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IL MIO ORIENTE E' PIENO DI OCCIDENTE
Casadio Farolfi
"Non è con la ragione che si riesce a varcare i limiti della razionalità." Il battesimo del grande viaggio in India era previsto per il 29 luglio 1979. A Imola era una giornata caldissima, quasi afosa, un anticipo di quel clima che avrebbe accompagnato me e Roberta nelle settimane successive. In realtà, giunti a Bombay fu un monsone della durata ininterrotta di cinque giorni a darci il benvenuto; il tasso di umidità era insopportabile, tale da convincerci a proseguire il nostro viaggio puntando verso il nord del Paese. Fu un lungo itinerario - rigorosamente in treno - attraverso i luoghi turistici dell'India: Agra, Jaipur, Dehli, Benares, Madras, ma anche in tanti minuscoli paesi e villaggi dell'immensa campagna indiana, ben lontani dai falsi splendori delle città caotiche e chiaramente già in piena trasformazione occidentale. Tutto ci apparve come narrato dalle parole di Piero Verni e Folco Quilici, nelle immagini dei Continua... |
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NEW DELHI E JAIPUR: PARADISO DI SAPORI
La gigantesca India può a bon diritto vantare una cultura gastronomica che affonda le radici nella notte dei tempi alla civiltà della Valle dell'Indo del 2550 a.C.. Ne sono testimonianza i reperti archeologici rinvenuti, tra cui compaiono anche oggetti agricoli e strumenti culinari.
I primi insediamenti umani sorsero sulle pianure naturalmente fertili grazia alla presenza di ben cinque fiumi che confluiscono nell'Indo. Grazie ai fiumi fu possibile mettere in piedi una rete commarciale e di comunicazione che contribuì a far circolare diverse specie come grano, sorgo e miglio, ma anche frutta in quantità. gli storici presumo che il declino della civiltà dell'Indio fu causato dagli Ari, una tribù nomade e guerriera che insediandosi definitivamente in queste zone svilupparono ulteriormente sia l'agricoltura che l'allevamento, introdussero i riti sacrificali con offerte di cibo e animali alle divinità. I veda testimoniano che posero le basi per la scienza ayurvedica. La nascita del biddhismo e del giainismo nel 500 a.C. diffusero l'alimentazione vegetariana, basandosi soprattutto su cibo a base di riso e grano insieme a legumi e spezie, uova, miele e ghee. Nell’induismo anche l’utilizzo dei vegetali per scopi alimentari venne comunque concepito come una forma di sacrificio: “I devoti di Krishna sono liberati da ogni peccato perché mangiano il cibo che è stato sacrificato a Dio. Gli altri, che preparano il cibo solo per il proprio appagamento, in verità si nutrono solo di peccato” (Bhagavadgita). Il paese subisce poi una gradulale islamizzazione, anche se le influenze arabe derivano da flussi commerciali di spezie esistenti prima della nascita di Maometto. L'Islam diffuse le norme coraniche e alcune tradizioni come il kebab (carni narinate) e il forne interrato (tandori).
L'influenza islamica si unì successivamente a quella persiana , dando origine ad una cucina ancora più particolare, servita soprattutto a corte dal 1500 in poi, quando regnava il sultanato di Babur, discendente di Gengis Khan e Tamerlano. Questa cucina era costituita da piatti molto raffinati di carne e creme con spezie preziose e frutta secca accomagnata da riso basmati. Simbolo di questa eleganza e sfarzo culinario divvenero i dolci, i cui ingredinti erano il latte concentrato, zucchero e spezie, finemente decorati con sottilissimi fogli d'oro e d'argento, che venivano serviti per il periodo del Ramadan. L'ingresso degli europei non cambiò di molto le tradizioni legate al cibo, a parte l'ingresso del tè ad opera degli inglesi. Furono anzi questi ultimi che diffusero la cucina indiana in europa.
Delhi, capitale gastronomica dell’India del nord La notevole varietà di popolazioni che troviamo a Delhi, diverse per origine etnico-geografica, matrice religiosa e casta ha contribuito a fare della capitale, il capoluogo delle più disparate cucine del nord del subcontinente indiano. Nella parte vecchia della città (Old Delhi), tutt’intorno ai vicoli della moschea di Jama Masjid troviamo I più antichi ed autentici locali di cucina Punjabi e Mughlai musulmana, ricavati in piccoli anfratti al riparo dal traffico caotico delle arterie principali. La cottura delle carni al forno tandori interrato, alla griglia (sheekh kabab) o in salse speziate nelle tradizionali pentole metalliche a forma di vaso (haandj), la frittura dei pani e dei fagottini di samosa al wok indiano (kadai) avviene spesso sul bordo del marciapiede. La strada è il luogo prediletto per preparare e consumare questo genere di cucina. Da provare, senza indugio, lo storico Karim (1913); il suo pollo speziato, senza coloranti e cotto al tandori, così come le carni d’agnello stufate al curry (kheema) valgono da sole una visita a Old Delhi. In questa parte della capitale troverete alcune tra le migliori pasticcerie: coloratissime e molto assortite di dolci al latte in foglia d’argento (barfi), di dessert di carote e frutta secca (halwa), morbide boulettes imbevute di sciroppo di zucchero (gulab jamun) o crema di latte (rasgulla). Nei vicoli intorno a Chandni Chowk fino al Naya Bazaar e al Gadodia Market è tutto un susseguirsi di botteghe dove potrete rifornirvi delle migliori spezie della città, tra venditori ambulanti di foglie di paan e té al latte (chai).
Jaipur: la cucina dei Maharaja Fondata dal Maharaja Jai Singh II intorno al XVII secolo la città di Jaipur rivela nello splendore delle sue dimore, palazzi e fortezze la raffinatezza e lo stato di ricchezza e benessere nel quale vivevano I suoi regnanti. Grazie alla tenacia del suo clan di guerrieri (Rajputs) e all’imponente sistema difensivo di mura la città riuscì a sottrarsi alle dominazioni Moghul e inglesi, conservando pressoché intatta la sua cultura d’origine e la sua cucina, tra le meno contaminate del nord dell’India. Il clima particolarmente secco e semi desertico ha limitato il numero di prodotti disponibili, ma non certo la fantasia e l’estro dei cuochi. I cereali rivestono un ruolo di primaria importanza, con la farina di grano, ceci, miglio e mais si preparano diverse varietà di pani non lievitati (roti, poori, parathas), tra le carni prevalgono l’agnello ed il montone marinati nelle miscele di spezie, insaporite con dosi massicce di peperoncino e stufate nel burro chiarificato (lal maas, kacher maas). In città è consigliata una sosta allo storico Laxmi Mishthan Bhandar (LMB restaurant) per gustare la specialità della casa: lo shahi thal, un vassoio che raccoglie 13 piccole portate: delizioso e non privo di curiosità, come I fagiolini del deserto (kair sangri), dei quali vanno ghiotti I cammelli, o gli gnocchi di farina di ceci piccanti in salsa di yogurt (bela rajastani). LMB nasce 250 anni fa, come pasticceria sacra specializzata nella preparazione dei dolci riservati alle offerte dei templi e ancora oggi ne propone le più esclusive versioni. Se volete concedervi un trattamento da Maharajah, il Taj Rambagh Palace è il più esclusivo ristorante di cucina regale, proposta in un palazzo da sogno in puro stile british Indian coloniale. Il suo imperial thali, servito nel vassoio d’oro o d’argento con relative posate, vi stupirà per la raffinatezza e l’eccellenza di sapori delle undici portate che lo compongono: bocconcini di formaggio cotti al forno tandori (panir tikka), chili rajastano farcito di verdure e spezie, lenticchie al curry (dal moong), fino ai dolci (barfi, rasmalai) serviti con lamine d’oro e d’argento…un’esperienza indimenticabile che da sola vale un viaggio a Jaipur.
Fonte: Gastronomade
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