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ALTRI LUOGHI CON ALTRI OCCHI
VIAGGI E TURISMO CONSAPEVOLE
ALTRI LUOGHI CON ALTRI OCCHI
IL VERO VIAGGIO DI SCOPERTA
Il vero viaggio di scoperta
non consiste nel cercare nuove terre
ma nell'avere nuovi occhi.

Marcel Proust
Luoghi
Andiamocene in viaggio,
senza muoverci,
per vedere la sera di sempre
con altro sguardo,
per vedere lo sguardo di sempre
 con diversa sera.
Andiamocene in viaggio,
senza muoverci. 

Xavier Villaurrutia
(poeta messicano 1903 - 1950)
LA CASA DAL CUORE ANTICO
<B>LA CASA DAL CUORE ANTICO</b>







Mia

Firenze: caos, traffico, rumore, turisti, inquinamento.
Tutto ormai mi disgusta, mi nausea, mi angoscia.
Non respiro.
Soffoco.
Fuggo via, disperata ....

Continua...
IL MIO ORIENTE E' PIENO DI OCCIDENTE
<b>IL MIO ORIENTE E' PIENO DI OCCIDENTE </b>





Casadio Farolfi

"Non è con la ragione che si riesce a varcare i limiti della razionalità." Il battesimo del grande viaggio in India era previsto per il 29 luglio 1979. A Imola era una giornata caldissima, quasi afosa, un anticipo di quel clima che avrebbe accompagnato me e Roberta nelle settimane successive. In realtà, giunti a Bombay fu un monsone della durata ininterrotta di cinque giorni a darci il benvenuto; il tasso di umidità era insopportabile, tale da convincerci a proseguire il nostro viaggio puntando verso il nord del Paese. Fu un lungo itinerario - rigorosamente in treno - attraverso i luoghi turistici dell'India: Agra, Jaipur, Dehli, Benares, Madras, ma anche in tanti minuscoli paesi e villaggi dell'immensa campagna indiana, ben lontani dai falsi splendori delle città caotiche e chiaramente già in piena trasformazione occidentale. Tutto ci apparve come narrato dalle parole di Piero Verni e Folco Quilici, nelle immagini dei
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ATTRAVERSO PERCORSI DI LUCE


Recuperare il senso antico del viaggiare implica anche riprendere possesso del viaggio a scopi spirituali. Un tempo e ancora oggi il primato di questo tipo di viaggi è da riconoscere ai pellegrinaggi. Ogni anno milione di persone si mettono in marcia verso un cammino di spiritualità, percorrendo le strade a peidi. Non sono solo i fervidi credenti ad assegnare un ruolo sacro ai sentieri e alle strade che attraversano diversi paesaggi, ma sempre più spesso assistiamo a pellegrinaggi di cantati, scrittori, poeti, artisti, perfino scettici.

Il viaggio soprattutto nella letteratura ha sempre avuto un doppio significato, come rappresentazione delle mete di un percorso e raggiungimento di un traguardo, ma anche come spinta naturale verso il nuovo e la scoperta. L’incontro con lo sconosciuto e l’ignoto, che sia lo sguardo di un viandante amico o la visione di una montagna innevata all’orizzonte, ci si spinge continuamente al confronto con sé stessi, ci si abbandona alla fiducia in sé stessi, contando solo sulle proprie gambe, sulla fiducia nell’altro che incroceremo sulla strada e che potrà riservarci il suo aiuto e infine fiducia nello spirito che tesserà le trame delle nostre intenzioni per farle coincidere con le intenzioni del circostante.

Per Mario Soldati, scrittore e regista cinematografico tra i più conosciuti dalla cultura popolare italiana, il “viaggio” è “uno strumento per ordinare i significati, per illuminare il profilo delle cose e tenere insieme la complessità”15. Si può intuire da questa citazione che il viaggio è al tempo stesso “processo” cognitivo, ma anche “progetto” costruito sulla ricerca del nuovo e dell’inesplorato.

Edith Wharton è stata una delle autrici che maggiormente hanno contribuito alla letteratura del viaggio e alla cultura artistica del paesaggio italiano. Considerata una delle maggiori scrittrici della letteratura del 900, in uno di questi “essays” di viaggio, “Uno sguardo all’indietro” (1934), la Wharton fornisce una chiave di lettura dei suoi racconti scritti nei numerosi brevi e lunghi viaggi fatti in Italia, ricordando al lettore che “la storia dell’arte insegna ad analizzare un luogo come fosse un’opera, secondo le indicazioni di una rigorosa filologia”16. Tuttavia per quanto accurata sia stata la ricognizione, secondo l’autrice, rimane sempre qualche elemento imponderabile, “una marginalità insondata”. Ed è proprio in questo campo dell’inesplorato che la Wharton trova il fascino autentico del viaggio, ciò che rende possibile la conciliazione tra “l’esclusività” del viaggio e “l’eccezionalità” della scoperta.

Il paesaggio, secondo un’eclettica definizione di Ian Mc Harg, è una tela senza cuciture, singolare ed irriproducibile, la quale quotidianamente viene strappata nell’illusione che possa venire riparata o sostituita, ma essa è unica, così come è unico l’ambiente in cui viviamo.

Oggi tutti noi siamo a conoscenza del fatto che abbiamo tragicamente compromesso gli habitat e gli ecosistemi di vita di molte specie animali, corrompendo forse irrimediabilmente anche il nostro. Abbiamo generato i presupposti per una frammentazione degli habitat originari, causando lo spaesamento delle specie che si ritrovano dinanzi barriere costruite dell’uomo e non pensate sui loro flussi di spostamento. Questo impoverisce di molto le risorse naturali e lo sviluppo dell’evoluzione di un paesaggio che si possa dire veramente naturale.

Un geografo francese, Pierre Donadieu, che svolge le sue ricerche presso l’École Nationale Supérieure du Paysage di Versailles, ha sviluppato recentemente una teoria secondo la quale gli spazi agricoli periurbani (quelli che circondano ormai gran parte delle città medio-grandi europee) pongono delle condizioni ai pianificatori dello sviluppo urbano: “quello di essere spazi vuoti, spazi che portano una propria idea di naturalità, spazi che presuppongono una società e un’economia che li produce non solo rurale”.

Donadieu non intende dirimere il conflitto “tra città e campagna”; bensì inverte le logiche della contrapposizione: è la città che dovrà farsi carico di tutelare la campagna, assicurando la permanenza del vuoto, portatore di valori di natura e di possibili progetti di riconnessione tra i diversi mosaici di paesaggio.

Circa quaranta anni fa, uno dei più autorevoli biologi molecolari, Sidney Brenner, si interrogava a proposito dei processi fondamentali d’integrazione degli esseri viventi: “in che modo un organismo leso o lacerato si rigenera nella stessa identica struttura che aveva in precedenza? Penso che nei prossimi anni dovremo scoprire un nuovo linguaggio atto alla comprensione degli organismi viventi altamente integrati”.

In questi ultimi anni, scienziati diversi, provenienti da campi di ricerca completamente lontani a livello disciplinare hanno approfondito alcuni concetti fondamentali di questo “nuovo linguaggio” alla ricerca di una “nuova interpretazione della vita” sul nostro Pianeta, determinando un mutamento di paradigma nel passaggio da una concezione meccanicistica del mondo ad una ecologica di tipo sistemico.

Questo passaggio è di straordinaria importanza per cercare di immaginare progetti di riequilibrio in quei territori dove i processi di sviluppo hanno creato insieme ad una nuova dimensione della città e dello spazio urbano, anche un’enorme quantità di frammenti di natura e ambiente rurale o sistemi territoriali nei quali l’essenza universale di un mosaico di paesaggio è stata lacerata o cancellata, al punto da renderne difficile la riconoscibilità e l’identità del luogo.

Lo sviluppo della cibernetica e della teoria generale dei sistemi (e le loro implicazioni sull’ecosfera e la tecnosfera), le nuove teorie dell’autoorganizzazione e dell’autopoiesi hanno costituito una cornice culturale nella quale collocare la visione degli ecosistemi come risultato degli equilibri dinamici tra i diversi processi naturali e quelli controllati in tutto o in parte dall’uomo. In tutti i sistemi complessi, il problema fondamentale oggi è l’approfondimento delle relazioni che intercorrono tra cambiamento delle strutture e sviluppo dei processi.

La pianificazione del paesaggio, all’interno di un sistema complesso quale oggi è il territorio dove si localizzano gli insediamenti, le infrastrutture e le produzioni della città “ruralizzata” e della campagna “urbanizzata”, si basa, oggi, sulla costante dialettica tra struttura e processo.

Qualsiasi pellegrinaggio non può prescindere da questi valori, deve farsi promotore dell’integrazione di questi stimoli all’unità del paesaggio come totalità formata da più anima che agendo e trasformandosi al suo interno trovano la loro armonia dando al turista spirituale la sensazione reale di far parte di qualcosa di più grande di quello che sperimenta nella vita quotidiana fatta di abitudini e distrazioni. Camminare tra i sentieri dello spirito che si sono materializzati in Terra e raggiungere la meta in un contesto in cui la natura ritorni ad accoglierci nel suo grembo ci mette in contatto con il nostro bambino interiore, quella parte più innocente del nostro sé, che ci permette di godere della vita con leggerezza e di vedere senza difficoltà le luci sul cammino, quegli spiragli di speranza che i viandanti prima di noi hanno seminato e che noi a cuore aperto possiamo accettare, per poterle donare un'altra volta ancora.

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