IL TURISMO DEI DIRITTI
I flussi di migrazioni accelerano costantemente, in un mondo dove le distanze si accorciano sempre di più, ci ritroveremo tutti in un punto, come nella cosmicomica di Calvino. Ma c’è anche chi gira per il mondo seguendo una nuova forma di nomadismo forzato, sperando di incrociare luoghi in cui i diritti siano alla portata di tutti. Sono i nuovi “turisti dei diritti” per i quali bisognerebbe riscrivere la Carta dei diritti della persona, un documento capace di tutelare chi si aggira per il mondo nella speranza di vedere protetti e tutelati i propri diritti, di procreazione, come d’asilo, di cittadinanza come alla salute. In un mondo che ci fa sentire sempre più “globali”, gli individui possono percorrere distanze chilometriche per vedere realizzati e protetti i propri diritti.
Dunque ci fanno credere di far parte di un mondo omologato, in cui livellano le leggi del mercato per creare accessi liberi là dove ci sono gli interessi più succulenti. Ma per i cosiddetti “turisti dei diritti” è chiaro che in materia di diritti gli Stati si regolano diversamente. Lo stesso movimento degli individui avviene per un diritto inalienabile, ossia il diritto alla circolazione delle persone. Già il secolo scorso ha visto crollare diverse barriere a riguardo, in seguito alla caduta del muro di Berlino e all’apertura delle frontiere cinesi, lasciando fluire liberamente circa 1 miliardo e mezzo di persone.
Una grossa spinta alla scoperta, che è stata promotrice dello sviluppo del turismo, è stata la ricerca di maggiori diritti, perché milioni di persone potevano recarsi a conoscere Stati in cui i diritti che gli venivano negati erano invece tutelati. Ma nel corso del secolo il turismo cambia piano piano faccia, dalla sua evoluzione al boom, fino alle ultime tendenze, che pongono anche dei limiti a questo fenomeno, sulla base di un’etica fondata sul rispetto dell’ambiente, dei diritti e dei valori.
Grazie a questi nuovi impulsi gli Stati si sono dotati, favoriti dagli sforzi dell’Organizzazione Mondiale del Turismo, di politiche di rispetto delle identità locali e delle culture autoctone, basando il turismo su una scoperta del territorio che potesse preservarle, custodirle e sostenerle. Inoltre si è combattuto il perverso fenomeno del turismo sessuale, cercando di fare del turismo un’attività etica, di lotta alle ingiustizie e alle discriminazioni.
Il turismo si fa quindi veicolo di una cultura dei diritti, che insieme al viaggio di avventura, di svago e di relax unisce l’interesse ad una socialità nuova e condivisa tra il paese ospitante e il viaggiatore che si impegna a conoscere non solo il contesto in cui viaggia, ma anche le persone che in quella cultura e di quella cultura vivono, dando dignità al viaggio e all’ospitalità e sostenendo la formazione e l’educazione insieme alla solidarietà e alla cooperazione.
Purtroppo però bisogna ammettere che questo tipo di cultura appare ristretta agli addetti ai lavori, se così si possono definire. Chi già sostiene i diritti e le buone pratiche di certo preferirà un turismo non invadente nei confronti dei popoli e dell’ambiente, ma pochi sforzi vengono fatti a livello istituzionale e per educare la maggioranza dei cittadini sul valore etico del turismo e sui diritti della persona. Non ci viene insegnato a viaggiare, neanche ad occhi chiusi. Se ci si comporta con rispetto a casa propria, se si ammette la dignità dell’individuo già nel proprio paese e l’importanza di preservare la natura, allora non si farà fatica a riconoscere lo stesso bisogno di giustizia e di rispetto anche in altri luoghi del mondo. Parlando di più di queste tematiche si potrebbe insegnare il viaggio come strumento di crescita personale e di incontro arricchente tra gli individui, dandoci una dimensione nuova dello scambio anche con lo straniero a casa nostra. Questo vorrebbe dire vivere una società globale.
|