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IL MIO ORIENTE E' PIENO DI OCCIDENTE
Casadio Farolfi
"Non è con la ragione che si riesce a varcare i limiti della razionalità." Il battesimo del grande viaggio in India era previsto per il 29 luglio 1979. A Imola era una giornata caldissima, quasi afosa, un anticipo di quel clima che avrebbe accompagnato me e Roberta nelle settimane successive. In realtà, giunti a Bombay fu un monsone della durata ininterrotta di cinque giorni a darci il benvenuto; il tasso di umidità era insopportabile, tale da convincerci a proseguire il nostro viaggio puntando verso il nord del Paese. Fu un lungo itinerario - rigorosamente in treno - attraverso i luoghi turistici dell'India: Agra, Jaipur, Dehli, Benares, Madras, ma anche in tanti minuscoli paesi e villaggi dell'immensa campagna indiana, ben lontani dai falsi splendori delle città caotiche e chiaramente già in piena trasformazione occidentale. Tutto ci apparve come narrato dalle parole di Piero Verni e Folco Quilici, nelle immagini dei Continua... |
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DEL RICOPRIRSI DEL PAPALAGI
Tuiavii, un saggio capo indigeno delle Isole Samoa, compì un viaggio in Europa agli inizi del secolo, venendo a contatto con gli usi e i costumi del "Papalagi", I'uomo bianco. Ne trasse delle impressioni folgoranti che gli servirono per mettere in guardia il suo popolo dal fascino pericoloso dell'Occidente. Erich Scheurmann, un artista tedesco amico di Herman Hesse fuggito nei mari del Sud per evitare la I guerra mondiale, raccolse questo tesoro di saggezza e lo pubblicò in un libro. "Papalagi" è un trattato etnologico sulla tribù dei bianchi, esilarante ed atroce.
Il Papalagi è continuamente preoccupato di coprire ben bene la sua carne. "Il corpo e le sue membra sono carne, solo quello che sta sopra il collo è vero uomo"; così dunque mi disse un bianco che godeva di grande prestigio ed era considerato molto saggio. Voleva dire che degna di considerazione è solo la parte dove hanno dimora lo spirito e tutti i buoni e i cattivi pensieri. La testa. Quella, e in caso estremo anche le mani, il bianco le lascia volentieri scoperte. sebbene anche la testa e le mani altro non siano che carne e ossa. Chi lascia vedere la propria carne, non può più vantare alcun diritto di essere chiamato civile.
Quando un giovane sposa una fanciulla, non sa mai se è stato imbrogliato, perché non ha mai visto il suo corpo. Una fanciulla, per quanto bella possa essere, fosse anche la più bella taopou (una vergine del villaggio, la regina delle fanciulle) di Samoa, copre il suo corpo, perché nessuno lo possa vedere e trarre gioia da tale vista.
La carne è peccato. Così dice il Papalagi. Poiché il suo spirito è grande grazie al suo pensiero. I1 braccio che si leva per il lancio verso la luce del sole, è una freccia del peccato. I1 petto su cui ondeggia l'onda del respiro è la dimora del peccato... Le membra con le quali la vergine ci offre la sua siva (danza sacra) sono peccaminose. E anche le membra che si toccano per fare la creatura a gioia della. grande terra, sono peccato. Tutto è peccato ciò che è carne. In ogni tendine c'è un veleno, un subdolo veleno che passa da creatura a creatura. Chi anche solo guarda la carne, sugge il veleno, ne è ferito, è altrettanto riprovevole e perverso quanto colui che la mette in mostra. Così dunque dicono le sacre leggi morali dell'uomo bianco.
Anche per questo il corpo del Papalagi è ricoperto dalla testa ai piedi di panni, stuoie e pelli, in maniera così fitta e spessa che non un occhio umano vi può giungere, non un raggio di sole, così che il suo corpo diventa smorto, bianco e appassito come i fiori che crescono nel profondo della foresta vergine.
Lasciate che vi descriva, più ragionevoli fratelli delle molte isole, quale peso un solo Papalagi porta sul suo corpo. Prima di tutto, sotto ogni altra cosa, egli avvolge il suo corpo sotto una pelle bianca, ottenuta con le fibre di una pianta, chiamata pelle di sopra. La si solleva e la si lascia ricadere dall'alto verso il basso, sopra la testa, sul petto e sulle braccia, fino all'altezza dei fianchi. Sopra le gambe e le cosce fino all'ombelico, tirata dal basso verso l'alto viene la cosiddetta pelle di sotto. Entrambe sono poi ricoperte da una terza pelle, più spessa, intessuta con peli di animale, un quadrupede lanoso, che viene allevato appositamente per questo scopo. Questi sono i veri e propri panni e consistono per lo più di tre parti, una che copre il busto, l'altra l'addome e la terza le cosce e le gambe. Le tre parti sono tenute insieme da conchiglie e funi fabbricate con succhi dissecati dall'albero della gomma, così che da ultimo sembrano fatte di un pezzo solo. Questi panni sono nella maggior parte dei casi di un colore grigio come la laguna nelle stagioni delle piogge. Non devono mai essere colorati. Tutt'al più quello di mezzo, e anche qui soltanto per gli uomini che amano far parlare di sé e corrono molto dietro alle donne.
I piedi infine vengono avvolti in una pelle morbida e in una molto rigida. Quella morbida è per lo più elastica e si adatta facilmente al piede al contrario di quella rigida. Anche questa è fatta con la pelle di un robustissimo animale, la quale viene lasciata a bagno nell'acqua, poi raschiata con un coltello, battuta e stesa al suolo fino a che si è completamente indurita. Con questa il Papalagi si costruisce poi una sorta di canoa dal bordo molto alto, grande giusto quanto basta per farvi entrare il piede. Queste barche da piedi vengono poi legate e allacciate con cordoni e ganci intorno alla caviglia, così che il piede resta chiuso in un rigido guscio, come il corpo di una lumaca di mare. Queste pelli da piedi il Papalagi se le porta addosso dal levar del sole fino al tramonto, con esse fa i suoi malaga,danza e le porta anche quando fa caldo come dopo la pioggia tropicale.
Poiché tutto ciò è assai innaturale come il bianco del resto ben comprende, e rende i piedi come morti, tanto che cominciano a puzzare...
Anche la donna porta come l'uomo molte stuoie e panni intorno al corpo e intorno alle gambe. La sua pelle è perciò tutta segnata da cicatrici e ferite a causa dei lacci. I seni sono vizzi e spenti e non danno più latte, per l'oppressione di una stuoia che lei si lega intorno al petto, dal collo fin al basso ventre, e anche sulla schiena, una stuoia indurita e irrigidita con ossa di pesce, filo di ferro e vari legacci. Perciò la maggior parte delle madri non possono più allattare i propri figli e devono dare loro il latte in un rotolo di vetro, chiuso sotto e munito al di sopra di un capezzolo finto. E non è neppure il proprio latte, quello che danno loro, ma il latte dei brutti animali rossastri e cornuti ai quali viene tolto con la forza, premendolo fuori da quattro tappi che hanno sotto la pancia.
Per il resto i panni delle donne e delle fanciulle sono molto più sottili e leggeri di quelli degli uomini, e possono anche essere variopinti e luccicare tanto da essere visti da lontano. Inoltre lasciano anche spesso intravedere collo e braccia e più carne di quegli degli uomini. Tuttavia è considerata buona cosa che una fanciulla si copra molto e allora la gente dice di lei con compiacimento "E' casta", e ciò sta a significare che rispetta le leggi dei buoni costumi.
Perciò non ho mai capito perché in occasione dei grandi fono (feste) e dei banchetti le donne le donne e le fanciulle possono lasciar scoperta molta più carne sul collo e sulle spalle, senza che ciò sia vergogna. Ma forse questo rappresenta appunto il pepe della festa, che in tali occasioni venga permesso ciò che non è consentito tutti i giorni...
Essendo i corpi delle donne e delle fanciulle così accuratamente ricoperti, gli uomini e i giovanetti provano un intenso desiderio di vedere la loro carne, com'è al naturale. Notte e giorno ci pensano e parlano molto molto delle forme delle donne e delle fanciulle, e sempre in modo che ciò che è bello e naturale appaia un grande peccato, come qualcosa che può essere visto solo nell'ombra più fonda. Se lasciassero vedere la carne più apertamente, potrebbero dedicare i loro pensieri ad altre cose, e i loro occhi non si storcerebbero e le loro bocche non pronuncerebbero parole vogliose ogni volta che incontrano una fanciulla.
Ma la carne è peccato, è di Aiut (il male). C'è pensiero più stolto, cari fratelli? Se si dovesse credere alla parola del bianco, si dovrebbe con lui desiderare piuttosto che la nostra carne fosse rigida come lava e priva di quel dolce calore che viene da dentro.
Ma noi vogliamo ancora rallegrarci della nostra carne che può parlare con il sole, di poter muovere le gambe come il cavallo selvatico perché nessun panno le lega e nessuna pelle appesantisce i piedi, di non essere costretti a fare attenzione perché il nostro copricapo non ci cada dalla testa. Godiamoci la gioia che ci dà la vergine che è bella nel corpo e mostra le sue membra al sole e alla luce della luna. Stolto, cieco e senza il senso della vera gioia è il bianco che deve tanto ricoprirsi per essere senza vergogna.
Fonte: www.enciclopediaolistica.it
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