IL TURISMO SOCIALE FA BENE DUE VOLTE
di Fulvio Sangalli, docente a Milano Bicocca
Oggi il turismo sociale è un termine sempre più riutilizzato tra gli operatori impegnati nella ricerca della qualità e dell’inclusione sociale. Le ragioni possono essere varie. La prima è legata alla necessità di mantenere un diritto e un bene considerato primario, ma ora messo in crisi dalle nuove difficoltà economiche per i ceti sociali colpiti dalla precarietà. Inoltre esiste, da parte degli operatori sociali, la necessità e l'opportunità di ampliare il loro tradizionale ambito d'intervento, per realizzare iniziative che vadano oltre i servizi primari alla persona.
Il turismo sociale nacque per ampliare la partecipazione dei ceti popolari al mercato turistico, per affermare nuovi contenuti culturali, per promuovere relazione e socialità e anche per supportare più generali opzioni religiose, politiche o per consolidare appartenenze sindacali. Oggi, di fronte a una nuova domanda di turismo sociale si pongono due nuove prospettive: ridisegnare una nuova concezione del turismo, che vada oltre la tradizionale dimensione quantitativa e rivendicativa; valutare quali siano le modalità più opportune per svolgere un'azione efficace di sviluppo del settore stesso.
Si può propriamente parlare di turismo dello sviluppo, inteso come occasione di crescita e di potenziamento delle persone e delle comunità: in quest'ottica si passa dallo sviluppo del turismo al turismo dello sviluppo. Quest'ultimo considera la diversità come un’occasione di arricchimento e non di paragone, vedendo la cooperazione e non il conflitto come migliore modalità relazionale. Il turismo dello sviluppo non è più inteso come consumo, ma come una pratica arricchente. Si affermano nuove istanze e nuovi valori legati ai concetti e alle pratiche di sostenibilità, responsabilità e integrazione tra dimensione locale e globale delle azioni degli operatori e dei turisti.
Per fare turismo sociale nell'ottica dello sviluppo, occorre poi tener presenti anche degli ingredienti di tipo organizzativo, quali l'adozione ampia delle nuove tecnologie che facilitano l'integrazione tra le persone e la relazione tra domanda e offerta. Un passaggio fondamentale è collegato all'adozione di pratiche qualitative, capaci di rispondere ad una domanda sempre più esigente. Infine, si rende necessario un costante allineamento ai codici comportamentali elaborati a livello internazionale. Con questo nuovo paradigma il turismo sociale può avere un futuro nel quale creare valore per le persone e le comunità.
La seconda prospettiva è il passaggio dal focus sulla domanda a quello sull’offerta. Le nuove politiche di pricing degli operatori turistici (si pensi al low cost) rendono meno pressante l'organizzazione “sindacale” della domanda per ottenere migliori condizioni. È più utile lavorare alla qualificazione dell’offerta ricettiva e delle iniziative in generale, per facilitare la mobilità e le nuove esigenze di contenuto qualificato della pratica turistica. In quest'ottica possono operare nuovi attori del turismo sociale in grado di trasferire energie manageriali e operative fresche nel settore e di portarvi esperienze maturate in altri ambiti nell'area dell'ospitalità, delle relazioni e dell'attenzione alla persona.È il caso della cooperazione sociale che, a mio parere, può svolgere un ruolo proattivo per affermare il nuovo turismo sociale come turismo dello sviluppo.
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