PROPOSTE PER UNA COSTITUENTE ECOLOGISTA E UN NEW DEAL AMBIENTALE ITALIANO
di Giuliano Tallone
16 giugno 2010 Proposte per una Costituente Ecologista e un “New Deal Ambientale” italiano di Giuliano Tallone Le ultime elezioni politiche e europee, con la scomparsa dal Parlamento nazionale e comunitario della rappresentanza dei Verdi, ed in quello di Bruxelles anche di ecologisti italiani in senso generale (nessun “Ecodem” del PD è stato eletto), pongono una questione seria ed una riflessione storica e di svolta sulla rappresentanza ecologista in Italia. La questione dell’ambientalismo politico italiano è oggi anche un paradosso: nel momento in cui a livello internazionale la questione ambientale, soprattutto attraverso il paradigma dei cambiamenti climatici, si impone al centro della società e della politica, esso sostanzialmente scompare. Questa riflessione diventa ancora più forte se si guarda allo scenario dei prossimi anni nel quale le questioni ambientali, del clima, dell’estinzione e scomparsa degli ecosistemi, delle migrazioni umane connesse ai fenomeni di desertificazione diventeranno sempre più pressanti sulla società e sull’economia. Il futuro del nostro pianeta e di chi verrà dopo di noi deve essere al centro dell’azione della politica del nuovo secolo. Guardando all’Italia è necessario dare una risposta al degrado dell’ambiente, del paesaggio e ai gravi problemi sociali che investono il nostro paese. In questo articolo si sviluppano alcune riflessioni già proposte in merito dall’autore in altre sedi.
Una visione per una Costituente Ecologista La responsabilità verso il nostro Pianeta e quindi anche verso il nostro Paese, deve essere la base di un impegno indirizzato ad ottenere veri risultati nel campo dell’economia, della società e della politica che porti ad una risposta efficace verso i problemi globali. Va riformato l’attuale modello di sviluppo economico, responsabile dei cambiamenti climatici e globali degli ecosistemi in atto, basato sull’uso delle fonti fossili e su un consumo senza limiti delle risorse naturali che ha generato nel pianeta povertà, squilibri e guerre. Va superato il vecchio modo di misurare il Pil con indicatori che valutino lo sviluppo in termini di benessere sociale e ambientale. Dobbiamo puntare alla qualità, consumando meno e meglio e tutelando sempre di più la salute dei cittadini. Ciò di cui si sente da molte parti bisogno è di una visione. Una visione del mondo che incorpori l’attuale scenario di riferimento nella comunicazione, nell’economia e nella politica, che per la sua connotazione ormai solidamente globale, non può che avere come orizzonte geografico non solo i ristretti confini nazionali ma un’interlocuzione internazionale, verso l’Europa ed oltre. In questo senso i nuovi grandi partiti ecologisti europei sono un’esperienza positiva da guardare come riferimento. Anche lo scenario temporale di un progetto politico di questo genere deve essere ampio e non guardare alla cronaca della politica a cui siamo tutti abituati, e della quale la gran parte della gente non vuole più sapere nulla. Bisogna lavorare per il domani, senza troppo preoccuparsi dell’immediato.
L’analisi dei soggetti Il Manifesto per la Costituente Ecologista si dovrebbe rivolgere a tutte le donne e tutti gli uomini che ancora credano che un cambiamento sia possibile, che un mondo diverso è possibile. Il processo di una Costituente Ecologista deve essere per definizione aperto, partecipato, non settario e indirizzato a tutti coloro che hanno il “coraggio di osare” a costruire ancora una volta un percorso politico di prospettiva futura. La proposta potrebbe essere aperta non solo a coloro che non vanno più a votare perché non trovano una risposta nella politica odierna, nei suoi meccanismi autoreferenziali e nella sua classe dirigente, ma anche a tutti coloro che rappresentano una visione ecologista di minoranza nei partiti di centrosinistra o nel centrodestra e vogliono collaborare allo sviluppo di un progetto nuovo e senza percorsi precostituiti. Così come il percorso di una Costituente Ecologista andrebbe aperto a persone, organizzazioni, reti, associazioni, circoli, gruppi che condividano i suoi contenuti e che intendano condividere una parte del percorso, anche in modo indipendente, ma dando il proprio contributo. Tra i movimenti politici esistenti evidentemente ci si potrebbe rivolgere in particolare a chi condivide una visione coerente con quella che qui si propone: “grillini”, PBC (Per il Bene Comune), liste civiche, movimenti locali, ambientalisti e “liberi pensatori” tra i Radicali, nel PD, nell’Italia dei Valori, nei partiti della sinistra. Ma anche agli ambientalisti nel centrodestra che si devono confrontare con un modello economico proposto dall’attuale Governo, sviluppista, consumista e nuclearista, che ha poco a che fare con le loro convinzioni. E, non da ultimo, a quegli esponenti del mondo cristiano che lottano per un mondo più equo e giusto con il lavoro missionario con i poveri delle baraccopoli del terzo mondo, o esercitano una azione di base, nelle periferie, contro le Mafie, ma anche alla visione Francescana, che sono interessati a costruire un progetto che possa incidere anche direttamente nella politica.
Una domanda da porsi: perché i Verdi in Italia non hanno funzionato? Il movimento politico dei Verdi oggettivamente ha dimostrato notevoli limiti a rappresentare la forte domanda sociale di garanzie ambientali, ben visibile tra l’altro nel nostro Paese nella forza dell’associazionismo ambientalista (WWF, Legambiente, LIPU, Greenpeace, Italia Nostra, CTS, Verdi Ambiente e Società, Federnatura e altre sigle) ed animalista (LAV, ENPA, Animalisti Italiani, LAC ed altri). Il “partito del 2%” ha potuto garantire per diversi anni una presenza rilevante e significativa dei temi ambientali nella politica, costringendo anche gli altri partiti ad occuparsene, ma alla lunga non ha retto - come i fatti dimostrano. Dal punto di vista di un ambientalista, ritengo che non si tratti di fare un “autodafé” o una critica distruttiva di questa esperienza politica (molte buone cose sono state fatte dai Verdi nei loro oltre 20 anni di storia) ma di passare oltre con obiettivi più grandi.
Le cose buone da cui ripartire sono una sensibilità ambientalista diffusa nella società; la forza delle associazioni ambientaliste, che probabilmente stanno entrando in una nuova fase della loro storia; gli ottimi risultati dei partiti ecologisti in Europa; una rappresentanza di ambientalisti piccola ma significativa in diversi partiti ed in particolare nei Radicali e nel PD (gli Ecodem), e forse in prospettiva prossima in “Sinistra e Libertà”; queste forze politiche però, nonostante gli auspici di alcuni, non possono essere considerate partiti ecologisti in senso stretto, in quanto (almeno al momento) osservati dall’esterno paiono non porre al centro del loro progetto la questione ambientale, che pure viene considerata importante, ma la considerano nei programmi solo uno dei “tematismi” di cui occuparsi. Ovviamente resta la speranza che tutte le forze politiche del centrosinistra – e magari del centrodestra - possano aprirsi realmente ad un vero progetto ecologista, anche se la situazione sul campo oggi sembra molto diversa.
Pensando al futuro, le cose cattive da non rifare sono invece appoggiarsi su di una dirigenza politica vecchia, chiusa ed autoreferenziale; una gestione degli incarichi di governo basata sulle appartenenze e sulle conoscenze e non sulle capacità individuali; un’insufficiente coinvolgimento del mondo ambientalista ed in particolare di quello associativo nelle scelte strategiche politiche e di governo; una comunicazione “in difesa” sui temi ambientali. Da quest’ultimo punto di vista l’opinione pubblica è stata portata a considerare l’ambientalismo e l’ecologismo politico come radicalmente legati all’idea dell’ambientalismo del “no”: e questo è uno dei nodi principali da sciogliere se si intende costruire un futuro politico per questi temi.
La Destra italiana, su questo nella massima arretratezza culturale anche all’interno della propria area politica a livello internazionale, arriva in alcuni suoi esponenti a negare la stessa esistenza del problema ambientale. La mozione del Senato di qualche mese fa sui cambiamenti climatici rappresenta nella sua interezza il livello più basso da questo punto di vista, rimarcato con una pressione costante della corazzata informativa, in questo caso soprattutto sulla carta stampata, che dà ampissimo spazio ai pochissimi scienziati negazionisti. In Europa Sarkozy o la Merkel, non certo di sinistra, hanno ben altra attenzione a questi problemi. Anche la presenza di una anima ambientalista minoritaria ma combattiva nella Destra italiana (si pensi all’esperienza di Fare Verde e dei GRE) può essere un auspicio per una crescita culturale su questi temi anche in quest’area politica. Negli anni scorsi, con il percorso iniziato con l’Ulivo, si è avuta l’impressione che si potesse creare una grande forza politica di centrosinistra che tra i suoi temi fondanti mettesse una visione diversa dei problemi del nostro tempo, anche in riferimento alla questione ambientale. Prima della nascita del PD un appello di un nutrito gruppo di ambientalisti (incluso il sottoscritto) aveva richiesto con forza un approccio di questo tipo, che nell’esperienza concreta è rimasto invece minoritario.
Dal punto di vista del proprio pubblico di riferimento una nuova forza politica ambientalista dovrebbe essere in grado di rivolgersi non solo a coloro che si sono sempre riconosciuti nelle politiche “verdi”, ma anche in quegli elettori che oggi si sentono poco rappresentati dalle forze esistenti: giovani, donne, immigrati al di là degli steccati – ormai forse superati – delle tradizionali categorie della “destra” e della “sinistra”. Il successo recente dell’Italia dei Valori – che deve far riflettere -, la capacità di aggregazione della politica non organizzata come quella del movimento di Beppe Grillo e soprattutto un elevatissimo e crescente astensionismo dimostrano una forte richiesta di una politica nuova e basata sui contenuti e non sulle formule politiche. La novità emersa dall’Assemblea nazionale dei Verdi di Fiuggi è stata proprio quella di una proposta verso una “Costituente ecologista”. Ma a chi ha minima memoria sovviene che già a Genova nel 2007, in tempi non sospetti, lanciando il “Partito del Clima” i Verdi proposero un’Assemblea Costituente che in sintesi fu presentata come formata da “metà dei delegati dei Verdi e metà della società civile”. I Verdi attuali potrebbero dunque essere il facilitatore e il soggetto che propone ed avvia il processo della Costituente Ecologista, e ne garantiscono l’operatività, all’interno della quale si pongono invece come uno dei soggetti che vi partecipano, anche se non l’unico. Ma quindi, alla luce di quanto sopra descritto – e di alcune delle ragioni che potrebbero rispondere dei limiti di consenso dimostrati dal “Partito dei Verdi”, quali potrebbero essere le condizioni “teoriche” ed ideali per potere costruire un progetto sensato e con un futuro? Proviamo ad elencarne alcune.
Leadership. Un primo punto è avere persone credibili che “ci mettano la faccia”. Come dimostrano le esperienze europee si può ripartire, anche in tempi brevi, da realtà non esaltanti e da un consenso apparentemente debole, qualora si riesca a sfondare il muro dell’informazione. Con il sistema dei media attuale, soprattutto in quello italiano dominato e controllato da un grande corazzata comunicativa saldamente nelle mani del premier in carica, è necessario avere un messaggio forte, credibile e coerente. Per realizzare queste tre condizioni, e per convincere un pubblico di cittadini ed elettori disillusi e stanchi, occorre avere dei testimonial molto credibili. In Francia sono stati José Bové, Daniel Cohn – Bendit ed Eva Joly, grandi comunicatori e molto amati dalla gente; in Italia si dovrebbe trovare un panel di personalità che abbiamo al tempo una fama e credibilità personale, e che siano in grado di convincere che il progetto che si mette in campo sia realmente innovativo, serio e davvero credibile. Senza queste condizioni sarebbe molto difficile pensare di costruire una strada che trovi il consenso di una parte significativa dell’elettorato.
Progetto. Un secondo punto è la necessità di costruire un movimento di valori, di idee e anche di “ideologia”. Quello che si sente chiedere dal “popolo di sinistra”, ma anche da molti disillusi già elettori di destra o senza appartenenze precise, è un vero progetto, basato su una vera visione e su vere idee. Chi non condivide la visione individualistica, consumistica e facile del modello incarnato dalla politica attuale, chi è stanco di veline, di opinionisti e di urla, chi vorrebbe costruire un modello di società più basato sui rapporti umani, sulla conoscenza reciproca, su un’equa divisione dei diritti e delle risorse, su un rispetto per la natura e la vita, cerca un soggetto credibile che porti avanti non solo dal punto di vista teorico, ma in modo sostanziale un progetto politico in questa direzione. La prospettiva ambientalista al momento è l’unica che proponga una vera alternativa alla logica della libera economia e della globalizzazione dei consumi. Nuovi paradigmi come quello della “decrescita felice”, che certamente vanno ancora elaborati per essere comunicabili e comprensibili alla gente, soprattutto nel bailamme informativo italiano, propongono una vera alternativa di società, in Italia e nei rapporti con il mondo. Buona parte del Centrosinistra italiano (PD, Italia dei Valori, Radicali) si accosta a questi problemi con una visione iniziale simile, ma con risposte “riformiste” che non mettono in discussione il modello economico dello sviluppo, ma semplicemente lo accostano ad una forma più dolce, aggettivandolo con un “sostenibile”. La “green economy” del PD è un modo di produrre cose diverse nello stesso sistema economico, anche se da un punto di vista sostanziale questo approccio va certamente nella direzione auspicata dall’ambientalismo. Un movimento politico verde ha certamente un approccio più duro alla questione, che molte persone però potrebbero apprezzare se si fosse in grado di rappresentarlo adeguatamente. In questo senso l’ambientalismo non è più solo una risposta ai problemi dell’ambiente (inquinamento, estinzioni, uso di risorse, ecc…) come negli anni ’70: è una visione del mondo, della società e dell’economia. Una visione moderna, orientata al futuro e anche al momento l’unica realmente alternativa per i problemi del XXI Secolo.
Forma e struttura. Sostanziali per le sorti dell’ambientalismo politico di oggi sono le questioni di forma. La forma di cui oggi si sente il bisogno è quella di un non partito: una rete ecologista territoriale e tematica, libera, diversa e aperta. L’esperienza del “Partito Verde” dimostra che le dinamiche interne di un’organizzazione fortemente strutturata (tessere, incarichi, candidature, esecutivi, ecc….) può condurre a risultati non attesi e molto lontani da quelli necessari per garantire il raggiungimento degli obiettivi politici che si erano posti inizialmente. Nel mondo moderno la vera forza delle organizzazioni si ha dove esse sono libere aggregazioni di volontà comuni: la rete internet e le sue forme di social networking sono l’esempio di come esse possono sviluppare relazioni, rapporti e iniziative. In una parola, politica. Sperimentazioni interessante è ovviamente quella iniziata da Beppe Grillo, ma anche molte altre reti informali potrebbero – se liberamente e autonomamente coinvolte – supportare lo sviluppo di una nuova soggettività politica. Un movimento politico in grado di rappresentare il mondo moderno e le sue speranze, i suoi progetti, i suoi aneliti dovrebbe avere l’ambizione, la coerenza e la forza di riuscire a coagulare persone rispettandole nella loro individualità, e convincendole di partecipare realmente allo sviluppo del progetto, potendo influire direttamente alla sua realizzazione. Certamente tutto ciò non è facile, ma forse è una partita che qualcuno dovrebbe avere il coraggio di giocare.
Temi e obiettivi di una politica ecologista Ciò che non manca sono i grandi temi centrali su cui costruire una politica. I cambiamenti climatici, anche per l’attenzione che questo tema riceve da alcuni anni nei contesti internazionali e nelle risposte politiche ed economiche, sono senz’altro un elemento centrale. L’idea del “Partito del Clima” su cui si è già lavorato nel recente passato è sicuramente un aspetto essenziale. In una politica realmente ambientalista non si può però dimenticare l’altra faccia della medaglia, sulla quale anche molti ecologisti spesso soprassiedono, e che è e sarà nei prossimi anni un altro paradigma sostanziale anche nelle questioni economiche. La crisi dell’estinzione, sulla quale la Commissione Europea su iniziativa del Governo Tedesco ha avviato l’iniziativa di un “Rapporto Stern” autonomo, chiamato TEEB (The Economics of Ecosystems and Biodiversity), proprio al fine di convincere governi e operatori economici di questa priorità. Entrambi questi temi comportano il mettere in discussione la politica estera italiana, le sue priorità, il modello energetico e l’azione delle grandi società italiane nel mondo (ENI, ENEL, AGIP). A livello nazionale, dobbiamo affermare una nuova politica per fermare il consumo del territorio, affrontare il problema smog trasformatosi in emergenza sanitaria, investendo prioritariamente sul trasporto pubblico su ferro. Rendere più rigorosa la tutela del paesaggio del nostro Paese violentato e offeso dagli abusi ma anche dalle cementificazioni legalizzate. Valorizzare la bioedilizia, investire nella prevenzione del dissesto idrogeologico, realizzare sistemi di gestione dei rifiuti – che preferiamo chiamare “elementi del ciclo della materia” imperniati sulla loro riduzione alla fonte, attraverso la progettazione dell’intero ciclo di vita di ogni prodotto, e quindi il recupero la raccolta differenziata e il riciclaggio. Ci sentiamo profondamente impegnati nella tutela dei diritti degli animali e nel superamento della vivisezione e nel batterci contro i tentativi di liberalizzazione della caccia. L’acqua è un bene comune ed è un elemento strategico nell’ambito di una seria politica ecologica e dei diritti. Va tutelata la biodiversità e tutti gli ecosistemi, e valorizzata l’agricoltura biologica e di qualità libera da Ogm che garantisca le tradizioni tipiche e quelle enogastronomiche. Il nostro patrimonio storico-archeologico-artistico-paesaggistico, la nostra cultura e i beni immateriali che potranno essere sempre di più grande opportunità di nuova occupazione. Il diritto all’ambiente e il principio di precauzione devono essere costituzionalmente garantiti, mentre il nostro codice penale deve essere modificato per assicurare alla giustizia eco-mafiosi ed eco-criminali. E’ poi necessario lavorare sulla struttura dello Stato e soprattutto il federalismo fiscale, che vanno ripensati anche alla luce dei loro impatti sul sistema del territorio italiano. L’informazione, e la possibilità di comunicare alla gente le vere dimensioni dei problemi del nostro tempo, senza catastrofismi e “politiche del no”, ma con realismo e pragmaticità, nell’attuale contesto nazionale è senz’altro un’altra priorità. La ricerca, l’università e la scuola sono altri mondi con i quali fare i conti, sui quali investire.
1. Un progetto per la decrescita: una società più sobria, equa e felice Già Keynes preconizzava che la società matura nell’economia di mercato, una volta raggiunto un certo gradi avanzato di sviluppo, avrebbe rallentato il suo ritmo di crescita, in quanto oltre certi limiti di “benessere” la disponibilità di beni è inutile. Nonostante nelle società occidentali questa soglia, in media, sia già stata ampiamente superata e i nostri consumi eccedano di alcuni ordini di grandezza il necessario, il modello di società che ci viene proposto dai media e soprattutto dalla televisione è basato non solo sulla crescita come paradigma indiscusso, ma sulla “necessità del superfluo”. Gli obiettivi dei giovani di oggi sono il “divertimento”, i videogiochi, la televisione, il “velinismo”, alla rincorsa di un eccesso sempre più spinto nel consumo e nell’inutile. Questa spinta è in gran parte artificiale, dovuta a modelli culturali imposti, reiterati e costruiti a tavolino, grazie soprattutto al potere mediatico delle televisioni commerciali, in mano ad un unico soggetto che grazie al suo ruolo pubblico, e alla mancanza di regole, controlla anche gran parte della televisione pubblica, oltre che parti significative della carta stampata, in una situazione che tutto il mondo giudica anomala.
Nelle società occidentali, ed anche nella nostra, questa situazione di accompagna ad una grande disparità nella distribuzione del reddito, e quindi anche della capacità di consumo. In Italia esistono milioni di poveri certificati dall’ISTAT, e gran parte della ricchezza è concentrata in una fascia limitata della popolazione. Tra queste disparità, e in parte causa di esse, va considerato che la fiscalità è estremamente mal distribuita, e soprattutto la diffusissima evasione fiscale – concentrata per i meccanismi esistenti sul lavoro autonomo e sulle attività imprenditoriali, in quanto i dipendenti al contrario sono necessariamente ed automaticamente legati al prelievo fiscale - aumenta notevolmente la forbice tra chi ha redditi alti e chi ha redditi bassi. Per reperire risorse per lo “sviluppo” dell’economia i governi di centrodestra del nostro paese, volendo dimostrare un abbassamento formale della pressione fiscale, hanno seguito la chimera di un liberismo spinto, ed applicato soprattutto una politica di taglio generalizzato della spesa pubblica, che va ben oltre le necessità di un risanamento e di efficienza della spesa, e assume dimensioni strutturali. Ciò si sta tramutando in questi anni in un secco taglio dei servizi forniti dallo stato sociale: sanità, scuola, università, pubblico impiego e servizi connessi.
Tra coloro che condividono l’analisi e la definizione delle questioni e dei problemi ambientali come centrali nel nostro tempo e nei suoi modelli economici, le risposte possibili sono diverse. Ne possiamo estremizzare due, attraverso le proposte di due economisti francesi che propongono due visioni differenti e contrapposte dal punto di vista filosofico, anche se forse non così distanti dal punto di vista operativo: J.P. Fitoussi da un lato e S. Latouche dall’altro. Entrambi questi economisti condividono l’esigenza di mettere in campo alcuni strumenti operativi, anche se con gradi diversi di convinzione rispetto alle loro priorità: 1) la necessità di stabilire nuove modalità di valutazione dell’economia: dal PIL alla definizioni di indici di reale benessere individuale e sociale; 2) il possibile utilizzo di meccanismi economici per interiorizzare il costo delle esternalità ambientali nei prezzi dei beni; 3) il miglioramento delle tecnologie per arrivare ad una “dissociazione” tra il consumo di materia ed energia e produzione di beni (relativa od assoluta).
E’ notevole osservare – come già detto in precedenza in questo articolo - che questi punti sono al centro del progetto economico e politico di leader di centrodestra come Sarkozy in Francia, che propone attraverso il lavoro di una specifica commissione lo sviluppo di ricerche per definire una alternativa al PIL come indice di riferimento, l’introduzione di una Carbon Tax e l’investimento nella ricerca e nel trasferimento tecnologico. Ai punti sopra elencati il modello della decrescita (o a-crescita), che si è sviluppato a partire dal Rapporto Meadows del Club di Roma – MIT degli anni ’70, ed è stato articolato negli ultimi anni in particolare da Serge Latouche, aggiunge un elemento sostanziale: è necessario definire nuovi e veri obiettivi della società moderna che siano ispirati a rallentare – e annullare – la richiesta di una “crescita” dei consumi, per invece investire sulla qualità della vita, sulle relazioni sociali, sulla cultura, su un modello più sobrio di società che sia realmente sostenibile per il pianeta. E’ questa la visione che condividiamo, visione che non ci impedisce di lavorare insieme a tutti coloro che – pur credendo ancora possibile applicare il “credo” della crescita economica e dello “sviluppo” sostenibile – sulle risposte tattiche condividono i nostri obiettivi. Ritengo però che sia altrettanto necessario ed indispensabile lavorare per cambiare la cultura del nostro tempo, la visione di società, i modelli sociali che vengono imposti ed accettati, per costruire una “decrescita felice”, senza ritenerci dei monaci del riciclo, degli asceti del risparmio delle risorse. Convinti che un mondo diverso è possibile, dipende da noi, dalla nostra cultura, dai nostri comportamenti e dalla nostra volontà.
La green economy e il suo paradigma che lo sviluppo e trasferimento tecnologico possano contribuire a sviluppare una economia basata sulla compatibilità ambientale, in ogni settore, è comunque una priorità per ogni programma ambientalista. Il recentissimo rapporto delle fondazioni Symbola e Fare Futuro (una interessante congiunzione di interessi di soggetti che fanno riferimento ad aree politiche tanto diverse) delinea in modo convincente alcuni possibili settori e alcune positive esperienze. Obiettivi concreti possono essere investire sulla ricerca, tecnologia e sulla sostenibilità in campo industriale, sulle energie alternative, sui cicli virtuosi, sui marchi di sostenibilità (EMAS e Ecolabel), sulla diminuzione delle emissioni in atmosfera, aria e acqua, e fare acquisire all’Italia una leadership internazionale in questo campo.
Costruire filiere territoriali e distretti di competenza, investire nella ricerca di base ed applicata, raggiungere almeno gli standard europei in termini di livello di investimento. Creare think thank per sviluppare nuove idee ed applicazioni; investire negli spin off universitari nel campo delle tecnologie ambientali, intese in senso lato. Insomma, investire nella green economy. Può darsi che un vero disaccoppiamento della crescita economica dalla crescita del consumo delle risorse non sia possibile, e che quindi vada costruito un modello che tenda alla decrescita. Nel frattempo, comunque, investire sul miglioramento dell’efficienza ambientale della tecnologia non può fare che del bene all’ambiente, all’economia e alle nostre vite.
In merito alle politiche del clima, Kyoto e Copenhagen è necessario contribuire anche con impegni del sistema Italia alla discussione internazionale in materia di emissioni in atmosfera di gas serra, elevando gli obiettivi in questo campo in modo da renderli efficaci nel contrastare il riscaldamento del clima. E’ necessario fare assumere al nostro Paese, e all’Europa, un ruolo trainante anche per le grandi economie più restie ad adottare obiettivi concreti (USA, Cina e India). A ciò si collega la gestione del ciclo dell’energia, dove è necessario investire innanzitutto sostanzialmente sulla razionalizzazione dell’uso dell’energia, sul risparmio energetico, sull’efficienza energetica - a partire dall’edilizia, e in tutti i campi -, investire sostanzialmente sulle fonti rinnovabili, a partire dagli oggettivi successi nello sviluppo del settore ottenuti con il conto energia e le altre iniziative del Governo Prodi in merito (incentivi per le ristrutturazione energetiche degli edifici con il “55%”, ecc…), proseguendo e sviluppandone l’esperienza.
Inoltre sicuramente bisogna valutare e pianificare l’impatto delle fonti di energia a livello territoriale, incluse laicamente anche le rinnovabili – questione sulla quale alcune forze politiche ed associazioni ambientaliste che spingono nella direzione della green economy spesso sorvolano. Va eliminata definitivamente l’opzione nucleare, e si deve investire invece convintamene nella ricerca sulle fonti di energia anche di base che può portare a futuri sviluppi anche nel medio-lungo termine (es. idrogeno, fusione, ecc…). Ovviamente si devono anche rivalutare le scelte in materia di fonti di approvvigionamento, anche per le loro conseguenze in termini di rapporti con gli altri paesi (es. ruolo dell’ENI nel mercato del gas dalla Russia o dagli altri paesi dell’Est, ecc…), legandole a scelte strategiche e durature di politica estera.
Un settore cruciale è quello dei trasporti ed industria dell’auto, nel quale è necessario sviluppare, con un forte investimento pubblico iniziale, e con il coinvolgimento dei privati nella gestione, i metodi di trasporto collettivo metropolitani su ferro (metropolitane soprattutto nei grandi nuclei urbani – Roma, Milano-Bergamo-Brescia, Torino, Napoli, Genova, agglomerazione Venezia-Mestre-Padova, Palermo), ed in generale il trasporto pubblico, ovunque ove sia possibile, investire nel trasporto merci su ferro e via nave e negli snodi di interscambio del sistema, de-investire sul trasporto su gomma (tariffazioni, ecc…). Nell’industria automobilistica si deve investire sui carburanti ecologici, sullo sviluppo dell’auto elettrica e ad idrogeno, sul riciclo nello smaltimento degli automezzi a fine ciclo di vita. Infatti in generale, e non solo in questo settore, è necessario superare il concetto di “rifiuto” per attivare ad un ciclo organizzato della materia e dei materiali utilizzati nella produzione di merci, che implichi la progettazione dei beni tenendo conto di tutto il loro ciclo di vita, interiorizzandone i costi nei prezzi. Riciclare, riusare, non sprecare, e superare le emergenze che richiedono discariche e “termovalorizzatori” riprogettando tutto il ciclo in modo che non servano è una impellente priorità del Paese. Da subito.
Il Principio Europeo “chi inquina paga” Gran parte delle strategie delineate con questo articolo in realtà sono già – o meglio sarebbero – impegni formali che derivano dall’adesione già avvenuta dell’Italia a molte convenzioni internazionali e anche dal diritto europeo. Un buon esempio è quello dell’attuazione del principio comunitario “chi inquina paga”. Dal punto di vista ambientale è infatti urgente, nell’attuazione di tale principio, definire una “Carbon Tax”, già sviluppata da altri paesi come la Francia di Sarkozy, al fine di correlare i costi di produzione includendovi le esternalità ambientali. In termini più generali, al fine di evitare una concorrenza forzata da un fortissimo dumping sociale ed ambientale da parte di paesi come la Cina, sarà indispensabile lavorare nel contesto internazionale al fine da caricare di dazi doganali che tengano conto anche delle esternalità ambientali e sociali i paesi nei quali la produzione non segue gli standard oggi acquisiti in Europa, o che ci si pone l’obiettivo di raggiungere. E’ evidente che esiste una correlazione tra competitività del sistema italiano e politica internazionale, tra costo del lavoro e della produzione nel nostro paese e la capacità di essere concorrenti sui mercati mondiali. E’ anche ovvio che dal punto di vista della singola impresa alla domanda se produrre in Italia – o in Europa - o produrre in Cina la risposta sarà quest’ultima se non esistono meccanismi di perequazione dei costi di produzione che tengano in conto dei diversi standard ambientali e sociali di produzione. Un obiettivo prioritario delle trattative internazionali nelle diverse sedi (trattative bilaterali, GATT, G8-G20, ecc…) sarà quindi quello di stabilire meccanismi commerciali che non rendano più competitivi i produttori che non considerano i costi ambientali e sociali nei loro costi di produzione. E’ però evidente che questa deve essere una priorità assoluta, nelle trattative sui gas serra come più in generale su tutte le politiche economiche, in quanto sarà centrale nei prossimi anni nello stabilire gli scenari di consumo delle risorse naturali di tutto il Pianeta e delle emissioni. Senza questo approccio le politiche ambientali globali sono condannate ad una pesante sconfitta.
Un grande piano dell’occupazione verde nei settori della green economy e per le città Economia vuol dire lavoro, economia verde vuol dire lavoro verde. Per ogni settore economico su cui si investe è necesario prevedere precise ricadute occupazionali che facciano crescere una nuova generazione di competenze in tutto il paese e far lavorare i nostri “cervelli”, a partire dai laureati, specializzati con master, dottorati che produciamo con alti costi per le loro famiglie e la nostra società, e poi sono costretti ad andare all’estero per trovare un lavoro qualificato, o rinunciare ad esso inserendosi nel girone della sottooccupazione. Ma anche creare occasioni per tutti, anche per chi un titolo di studio non ce l’ha, o si deve “riciclare” da esperienze precedenti, nell’economia verde. Per costruire questo progetto si possono individuare molti settori interessati e molte figure professionali potenzialmente coinvolte con i quali stabilire delle partnership strategiche: - ricerca di base ed applicata e tecnologie energetiche della green economy (solare, eolico, biomasse, rinnovabili in genere, ….); - bioedilizia, risparmio energetico degli edifici, case in legno, materiali per coibentazione, ecc…); - tecnologie innovative e ricerca nel campo dei trasporti sostenibili e dei carburanti (auto elettriche e a idrogeno, efficienza nei consumi, nuovi carburanti, applicazioni sportive, …); - applicazioni innovative nel ciclo dei prodotti e delle materie (ciò che fino ad oggi si sarebbe chiamato “rifiuti”), del riciclo, del riuso; - lavoro nel campo della difesa geomorfologica, dell’ingegneria naturalistica, della geologia tecnica ed ambientale; - lavoro nei parchi e nelle altre aree protette in campo di conservazione della biodiversità, partecipazione locale, educazione ambientale, ricerca e monitoraggio territoriale; - turismo sostenibile in tutte le sue declinazioni (ippoturismo, cicloturismo, birdwatching, canyoning, escursionismo, arrampicata e alpinismo, scuba diving, vela, …), guide e interpreti ambientali e turistiche; - università, enti di ricerca, progetti speciali (Programma Antartide, Iniziativa Tassonomica Nazionale, ….); - pianificazione e gestione del territorio.
Parlando di lavoro ovviamente si dovrebbe discutere anche di equità fiscale, di lotta all’evasione, di “flessibilità” e diritti dei singoli lavoratori, di immigrazione e di lavoro nero. Ma soprattutto di lavorare al sicuro, lanciando un piano straordinario per la sicurezza sul lavoro. Una delle maggiori emergenze del nostro Paese è infatti la drammatica situazione degli incidenti sul lavoro. Come anche sottolineato dal Presidente della Repubblica questa è innanzitutto una questione di civiltà, e una priorità assoluta per la politica. Va costruito un Programma straordinario in materia, con rafforzamento delle strutture preposte al controllo, ma soprattutto con una diffusione della cultura della sicurezza non sono tra i datori di lavoro, ma soprattutto tra i lavoratori stessi, anche con il supporto del mondo sindacale. Questa battaglia ha anche un forte senso ambientale, l’ambiente di lavoro è quello nel quale (chi ce l’ha) passa gran parte del proprio tempo quotidiano.
E le città in particolare sono uno dei più rilevanti luoghi nei quali le persone passano il loro tempo lavorativo, il loro tempo libero, allevano i propri figli, in una parola vivono. E’ necessario quindi ripensare le città, la loro struttura, i loro spazi, i loro tempi, la loro dinamica ecologica, al fine di renderli luoghi migliori per vivere, per respirare, per stare. Un progetto del genere richiede diversi campi di intervento, trasversali ed integrati: investire strategicamente nella qualità dell’ambiente urbano, e avviare una reale lotta allo smog e alle polveri sottili; sviluppare una intensa politica nazionale dei trasporti locali, con investimenti sostanziali e un obiettivo chiaro a medio-breve termine su nuove linee metropolitane sotterranee a Roma, innanzitutto, e a Milano, Napoli, Torino, Palermo (vedi trasporti), con obiettivo di superare la soglia critica di efficienza del trasporto pubblico come concorrenziale a quello privato, promuovendone quantità, qualità, diffusione e velocità; sviluppare il car sharing; costruire reti ciclabili in tutte le città; promuovere lo spostamento a piedi (trekking urbano, ecc…); progettare le città a misura di bambino; aumentare la rete del verde pubblico attrezzato e fruibile, garantendone una gestione efficace e controllata (pulizia, sorveglianza, gruppi locali di supporto, ecc…); inserire una tariffazione per l’accesso ai nuclei urbani in automobile; favorire la realizzazione di parcheggi alle attestazioni periurbane del trasporto pubblico su ferro; dis-investire nella politica del cemento, e promuovere nel sistema produttivo dell’edilizia, come alternativa, la “rottamazione delle periferie degradate”; ridiscutere la normativa di riferimento in urbanistica e promuovere una legge urbanistica nazionale; chiudere definitivamente la stagione dei condoni, garantendo tempi certi (e brevi) per l’archiviazione nei comuni di tutto l’arretrato ancora esistente relativo ai condoni del 1985, 1994 e 2003; porre un obiettivo di diminuzione della superficie occupata da territori urbanizzati, riqualificando aree degradate e individuando meccanismi efficaci; inserire una “tassa di urbanizzazione” che disincentivi realmente l’utilizzazione di territorio agricolo e naturale per nuovi investimenti, privilegiando il riutilizzo di aree già occupate; Inserire premi di cubatura per i riaccorpamenti di edificazioni esistenti in occupazioni spaziali più limitate. Insomma, c’è molto da fare e tra tutti i temi sopra delineati, non certo in modo esaustivo, sarebbe necessaria anche una “politica del tempo”: favorire una gestione delle politiche del tempo, sui posti di lavoro e nei servizi pubblici (scuola, uffici, ecc…) che renda più vivibili le città e più facile la gestione delle attività da parte delle famiglie. Ed infine, promuovere un grande piano per la sicurezza stradale, a partire dalle città, per rispondere alla strage di persone, soprattutto giovani, alla quale si assiste ogni anno, integrandolo con le politiche dei trasporti.
2. Il Paesaggio italiano come metafora di un progetto politico Al centro di un progetto politico innovativo in Italia, paese nel quale è nato storicamente il concetto di paesaggio, non può esserci che quest’ultimo. Abbiamo la coscienza che i problemi del nostro tempo si debbano giocare su una scala globale, ma anche la coscienza che qualunque scelta su scale territoriali ampie non possa che basarsi su di un profondo radicamento su situazioni concrete, su pratiche relazioni tra uomo ed ambiente, tra territorio e sue risorse, tra storia e cultura sviluppatesi in precisi luoghi geografici, insomma in una parola nel paesaggio. Ritrovare un nuovo rapporto tra uso del territorio e qualità della vita umana non può che essere una via obbligata per un progetto politico innovativo ed antico al tempo, ricostruendo la dimensione ecologica del vivere quotidiano, pur nella coscienza che i flussi di materiali, merci, energia e persone sono oggi da osservare anche localmente, ma all’interno di un quadro globale. Nel paesaggio italiano si possono declinare molti temi disciplinari o interdisciplinari: agricoltura, turismo, parchi, biodiversità, reti ecologiche, riscoperta della dimensione comunitaria e di relazione della vita quotidiana, spazi per il tempo libero e molti altri. L’agricoltura europea è stato uno dei principali fattori di modellamento del paesaggio, e la storia dell’attività agricola è ancora leggibile, come Sereni e Turri hanno insegnato a tutti noi, nel paesaggio italiano. L’agricoltura è ancora oggi la fonte di sostentamento per una parte importante della popolazione del nostro paese. E’ necessario pensare a un vero e proprio “Patto tra agricoltori, paesaggio ed ambiente”, nel quale i primi si rendano conto di essere i principali protagonisti per l’esistenza dei secondi. Ma in Italia esistono due agricolture: intensiva in pianura, marginale in collina e montagna. Entrambe hanno i propri problemi, se pure diversi, e un diverso impatto sull’ambiente. Forte la prima, con l’utilizzo dei pesticidi, l’inquinamento dell’acqua e la banalizzazione degli ecosistemi, ma anche la seconda, a causa dell’abbandono dell’agricoltura marginale, ha impatti paradossalmente opposti. L’agricoltura italiana deve essere analizzata in quanto inserita nella PAC, ma con attenzione al fatto che nel 2013 ne è previsto il suo termine, con la necessità quindi che l’agricoltura italiana si inserisca in modo competitivo nel mercato europeo e globale delle derrate alimentari.
Il ruolo della grande proprietà terriera e dei piccoli agricoltori dal punto di vista ambientale e del paesaggio è molto diverso, ma ugualmente importante e vanno costruiti gli strumenti per la loro revisione in senso eco-compatibile. Così come è fondamentale in senso ambientale il ruolo dei Consorzi di Bonifica, fortemente partecipati dagli agricoltori, che da meri gestori delle acque possono diventare i veri manutentori del progetto ecologico del territorio e di difesa della biodiversità diffusa e delle reti ecologiche. Il biologico è ovviamente centrale nel definire un rapporto maggiormente sostenibile tra natura e agricoltura, anche per la sua capacità di attrarre l’attenzione del mercato e dei cittadini su alternative che sono possibili alla caduta di qualità dell’agricoltura industriale. L’energia rinnovabile in agricoltura è un grande tema: l’utilizzo delle biomasse, il solare, il micro-eolico aziendale hanno grandi potenzialità, ma vanno verificate anche le loro contraddizioni. Trasformare le produzioni food in non food per produrre biomasse specificamente previste per l’uso energetico è un processo antiecologico che va limitato ai casi realmente sostenibili (ad esempio la short rotation forestry dove ne sussistano le condizioni). Prevedere nel nostro paese centrali a biomasse che siano poi alimentate con olio di palma, prodotto nei paesi del terzo mondo tagliando foresta tropicale primaria, e quindi importato da noi è un nonsenso ed un assurdo che va rifiutato e negato. Certamente invece inserire nelle filiere produttive esistenti il recupero dei cascami e dei prodotti legnosi non utilizzati o dei liquami per produrre biogas sono pratiche positive che vanno incentivate. Così anche per il solare, dove ha poco senso dedicare terreni agricoli produttivi a impianti industriali di produzione di energia, o giustificare l’intensificazione agricola serricola, con tutti i suoi ritorni negativi dal punto di vista ambientale, solo perché dotata di impianti solari sui tetti.
La biodiversità in agricoltura è un elemento di grande qualificazione, e ogni sforzo va indirizzato al recupero delle cultivar di piante e delle razze genetiche di bovini, ovini, suini, caprini ed equini. Vanno incentivate le banche del germoplasma, gli studi sugli ultimi individui di piante da frutto di varietà in via di scomparsa, la differenziazione dei genotipi utilizzati in campo. Va valorizzata la presenza dell’IPGRI (la centrale di ricerca internazionale su questi temi) nel nostro paese, nei pressi di Roma. Questa è la vera alternativa agli OGM, per i quali il principio di precauzione va utilizzato come principio base. Va piuttosto incentivato il bioprospecting anche in questo campo, intensificando la ricerca sulle potenzialità alimentari dei prodotti naturali esistenti, in tutto il mondo, in generale la ricerca in agricoltura, compresa l’attività del CRA. Il rapporto inverso tra l’agricoltura e la biodiversità è un altro tema sostanziale. La qualità ecologica del paesaggio europeo e l’estinzione delle specie diffuse e comuni, come dimostrato nel caso degli uccelli, sono altamente correlati con le pratiche agricole. Nella PAC e nei PSR sono stati previsti correttivi in questo senso, ma molto lavoro resta ancora da fare. L’allevamento e il pascolo, le quote latte, sono infine un tema che interessa fortemente gli agricoltori italiani ma anche l’ambiente, in quanto in tutta Europa questa è una delle principali attività correlate con un paesaggio estensivo. Anche se le condizioni di questo comparto nel nostro paese sono molto diverse, va costruita una politica efficace.
Foreste e legname richiedono una politica nazionale che si è persa con il passaggio delle competenze in questa materia alle regioni e con la perdita di un ruolo di cerniera da parte del CFS. Vista la loro importanza come ambiente nel loro complesso e nell’ambito dei meccanismi sul clima, è indispensabile lavorare su un approccio coerente, pur facendo salvo l’attuale ruolo delle regioni. In questo contesto vanno inserite le politiche antincendio, che hanno ormai un respiro circumediterraneo, con l’Italia che supporta operativamente molte altre nazioni con cui già coopera. Va però superato il limite della filiera incendi-operai forestali-rimboschimenti, inserendo, come già accaduto in alcune esperienze positive, correttivi che siano realmente dissuasori per la presenza di questa calamità “naturale”. La manodopera straniera in agricoltura è una forte e crescente realtà che richiede specifiche attenzioni e politiche, per disincentivare la clandestinità e favorire l’inserimento e l’integrazione, anche con opportuni interventi sociali.
La prospettiva mondiale dei temi dell’agricoltura e dell’ambiente è eccezionalmente rappresentata dall’esperienza di Slow Food e dell’iniziativa “Terra Madre” che va considerata assolutamente una buona pratica, e il seme per una rete internazionale degli agricoltori “di base” la cui filosofia rientra totalmente ed assolutamente nell’ispirazione del presente programma politico. Tra la Monsanto e Vandana Shiva, siamo senza indugi e senza dubbi radicalmente e profondamente con quest’ultima.
Turismo, territorio, difesa idrogeologica, grandi opere: modellare il paesaggio Esiste un circuito virtuoso tra città d’arte, turismo, produzioni agricole tipiche e locali, territori, beni archeologici e storici, parchi e riserve, paesaggio, sole che fanno dell’Italia la più grande meta potenziale per il turismo del mondo. Sviluppare questa potenzialità, pensando a filiere corte locali e a fare della qualità del servizio e dei territori l’eccellenza italiana (così come già sottolineato e sperimentato da diversi soggetti come Slow Food, Legambiente, Symbola, ad esempio con la campagna “Piccola Grande Italia”) è la grande scommessa nazionale italiana.
E’ indubbio che l’approccio “Grandi Opere” in sé sia da rigettare, soprattutto come ricetta per rispondere alle questioni del rilancio dell’economia e dell’occupazione. Il Ponte sullo Stretto, il MOSE, la TAV Torino-Lione sono esempi di opere faraoniche, inutili (come ampiamente dimostrato da molti studi autonomi), dannose (sul MOSE la Commissione Europea, paradossalmente nell’archiviare la procedura di infrazione relativa in quanto l’intervento era una scelta politica strategica del paese interessato, riconosceva pienamente la violazione del diritto europeo e il danno agli habitat di interesse comunitario) ed anche insensatamente costose, a carico delle finanze pubbliche – nonostante i proclami dei loro sostenitori – con investimenti che potrebbero ben utilmente essere diretti a interventi ben più importanti e necessari. Le grandi opere che vogliamo sono ben altre: A) un grande piano nazionale per la difesa del suolo e la prevenzione del dissesto idrogeologico; B) le grandi reti dell’acqua da ristrutturare e riaggiornare per evitare le enormi dispersioni attuali; C) un piano nazionale per le aree protette, la biodiversità e il turismo sostenibile. Questi interventi avrebbero ritorni occupazionali più ampi, più duraturi e infinitamente più sostenibili delle cosiddette “Grandi Opere”, con un effetto sull’economia molto più di lungo termine, senza i costi di manutenzione del Ponte o del Mose che non si sa chi provvederà a colmare.
A. UN GRANDE PIANO DI DIFESA IDROGEOLOGICA E PROTEZIONE CIVILE La più importante ed urgente opera della quale l’Italia ha bisogno è un grande piano nazionale di difesa idrogeologica e di prevenzione del rischio idrogeologico. Il nostro è il paese delle frane, degli smottamenti, delle alluvioni ma anche dei terremoti e dei vulcani. Dobbiamo essere pronti alle emergenze, ma molto più dobbiamo prevenirle e progettare il territorio tenendo conto della sua fragilità e della conoscenza geologica ormai ampiamente disponibile e che comunque si può e si deve approfondire. Il cambiamento del clima non farà che peggiorare questa situazione, già grave, frutto di decenni di sottovalutazioni e di mancata previsione, prevenzione e pianificazione. Non solo l’aumento del livello del mare ma anche l’intensificazione degli eventi estremi, sia di pioggia elevata che di siccità, aumenteranno la sensibilità dei suoli all’erosione, e la frequenza degli eventi emergenziali. Innumerevoli eventi degli ultimi anni non fanno che continuamente confermarlo.
La difesa del suolo, da attuarsi con interventi di prevenzione, con uso sistematico dell’ingegneria naturalistica e con il ripristino di condizioni di naturalità dei fiumi, lasciando loro gli spazi necessari per mitigare gli eventi alluvionali (casse di espansione, meandri, aree di esondazione controllata e pianificata, ampliamento delle are incluse nelle arginature), attraverso la realizzazione degli interventi previsti nei piani di bacino, è una priorità assoluta. Lo stesso dicasi per i numerosissimi eventi franosi noti in tutto il Paese che minacciano centri abitati dei quali, laddove realizzati in modo abusivo o comunque non rispettoso delle dinamiche geomorfologiche, va prevista la delocalizzazione con opportuni meccanismi di programmazione. I centri abitati in aree di grande rischio sismico, a partire dagli uffici pubblici ed in particolare dalle scuole, vanno riprogettati, ristrutturati e dove necessario ricostruiti, prima che il costo sociale si paghi non in Euro ma in numero di vittime, coscienti che il tempo necessario per realizzare tali interventi si conta in anni e in decenni, nei quali il rischio permane ad un livello alto. Particolare attenzione va posta anche alla situazione del Vesuvio, di cui è nota la pericolosità, per il quale va attuato un piano straordinario coraggioso che affronti la questione, non rinviandola semplicemente nel tempo sperando che un evento eruttivo del quale è certa la previsione, essendo solo impossibile prevedere esattamente il momento, avverrà quando le responsabilità politiche e gestionali saranno di qualcun altro. Questa è la vera Grande Opera della quale l’Italia ha un enorme bisogno, e che avrà grandissimi ritorni sociali ed economici qualora si abbia il coraggio di realizzarla.
B. IL GRANDE PIANO DELL’ACQUA, per il ripristino delle reti e evitarne lo spreco La privatizzazione dell’acqua e delle reti è un male da evitare, contrastando le attuali scelte in questa direzione. L’acqua deve rimanere un bene pubblico e disponibile, e deve essere gestito in modo adeguato dallo Stato e dalle sue articolazioni territoriali. Grandi sforzi vanno posti poi a garantire la qualità delle acque interne, con interventi sostanziali per la gestione dell’intero ciclo dell’acqua. Va completata la rete dei depuratori, che da decenni viene immaginata ma solo parzialmente realizzata. Gli emungimenti abusivi diffusi – in agricoltura ma non solo - vanno censiti, verificati, chiusi quando insostenibili con gli obiettivi generali. L’acqua va dotata di un valore tale per il quale il suo spreco sia evitato in tutti i modi possibili. L’acqua potabile di qualità al rubinetto, a Km0, deve diventare la vera alternativa allo spreco delle acque potabili in bottiglia di plastica, un nonsenso ecologico. L’approccio da adottare in questa materia è quello del “Forum italiano dei movimenti per l’Acqua”, che si ispira tra l’altro alla figura di Padre Alex Zanotelli, il missionario comboniano italiano che ha vissuto per anni nella baraccopoli di Korogocho, alla periferia di Nairobi, in Kenya.
C. UN PROGRAMMA STRATEGICO NAZIONALE PER LA BIODIVERSITA’ In Italia vivono circa 57.000 specie di animali e di piante, la loro conservazione a lungo termine con il patrimonio che rappresentano non solo dal punto di vista scientifico, ma anche come potenzialità economica in diversi campi (agricoltura, ricerca medica e farmaceutica, materiali, turismo, ecc…) è una scommessa tutta da giocare. Manca ancora un Documento Strategico Nazionale, come previsto dalla Convenzione di Rio de Janeiro del 1992 sulla Diversità biologica, che affronti con coraggio il momento delle scelte trasversali necessarie per raggiungere realmente gli obiettivi posti dall’Unione Europea con l’iniziativa “Countdown 2010”: arrestare la perdita di biodiversità in Europa.
Inoltre esiste un altro fondamentale tema da affrontare con forza in tutte le sedi politiche: la perdita di biodiversità, specie, ecosistemi, è – insieme ed ugualmente al cambiamento del clima – la grande modificazione globale causata dalla nostra specie che rischia di modificare profondamente non solo l’aspetto del Pianeta che conosciamo, ma le nostre stesse vite. Rispetto al cambiamento del clima, dal quale è gravemente peggiorata - e per il quale è una fonte di mitigazione importante, attraverso la capacità fisiologica di riciclo dei composti chimici, di sequestro della CO2 e di produzione di ossigeno attraverso la fotosintesi – l’estinzione di massa globale è ancora più grave in quanto irreversibile, e pertanto va ugualmente combattuta in modo strategico. L’Unione Europea ha sviluppato una iniziativa – lo studio TEEB (The Economics of Ecosystems and Biodiversity) che va fortemente incoraggiata anche da chi governa l’Italia al fine di arrivare a produrre ciò che è considerato il “Rapporto Stern” per gli ecosistemi, al fine di sensibilizzare il sistema politico ed economico in materia, così come i media e il pubblico. La protezione di specie ed habitat, la lotta contro il commercio di animali e piante (per il quale si dovrebbe attivare una iniziativa coraggiosa di bando internazionale), la difesa delle foreste italiane e la lotta contro gli incendi boschivi, sono i grandi obiettivi da raggiungere.
Un progetto strategico per le Foreste Pluviali Tropicali Simbolica e rappresentativa di tutto questo programma politico dovrebbe essere una grande iniziativa per le foreste tropicali – che diventi un progetto strategico della presenza italiana nel mondo, anche visto l’impatto che le società italiane dell’energia e del legname producono concretamente su di esse, soprattutto in Africa ma anche in Sudamerica.
Un Programma Nazionale per i Parchi e le Reti ecologiche Lo strumento territoriale che si è dimostrato il più efficace nelle politiche ambientali, anche grazie allo sforzo congiunto del movimento ambientalista (Legambiente, LIPU, WWF innanzitutto) e della stessa associazione delle aree protette (Federparchi), oltre che per il ruolo istituzionale del MATTM, è quello delle aree protette. La legge quadro del 1991, che dimostra ancora una grande freschezza nonostante qualche difetto, ha permesso di far esplodere il sistema dei parchi e delle riserve (che ancora propriamente sistema a dire il vero ancora non è) ad una realtà che oggi coinvolge 1000 aree con circa 10.000 occupati. La politica dei parchi va incentivata, sostenuta, promossa, coscienti che si tratta di una grande politica pubblica che richiede investimenti, e che il loro ritorno non va contato in entrate nel bilancio degli enti gestori ma nelle ricadute sui territori interessati e sull’intero sistema nazionale. I parchi possono essere i nodi territoriali di un grande sistema anche economico che fa leva sulla filiera ricerca-monitoraggio-conservazione-partecipazione locale-turismo ed economia dei territori, che potrebbe essere una delle più importanti del Paese. Sono richiesti investimenti sostanziali, un rilancio di questa politica, l’inserimento nel sistema di funzioni di coordinamento e promozione centrale nazionale che siano in grado di mettere veramente a sistema la rete, facilitare i rapporti tra le aree protette e tra di esse e le popolazioni residenti e non, con il sistema economico. Una Agenzia nazionale, più volte evocata, potrebbe essere la cabina di regia di questo sistema, purché se basata su criteri di efficienza, efficacia e staccata dalle micro logiche politiche e di appartenenza, e solo sulla capacità del personale che dovrebbe essere coinvolto.
Un Programma Strategico di Ricerca di base ed applicata in materia di biodiversità La Convenzione di Rio de Janeiro sulla biodiversità sottolinea come esista un rapporto significativo e sostanziale tra attività di conservazione e quelle di monitoraggio, ricerca ed educazione. Nel mondo esistono 1,5 milioni di specie conosciute (delle quali 57.000 in Italia) e si stima l’esistenza di 10-15 milioni. Al fine di dare un impulso sostanziale – anche dal punto di vista dell’occupazione – alla conservazione delle risorse biologiche è necessario sviluppare – e finanziare - un Programma Strategico di Ricerca di base ed applicata in materia di biodiversità, indirizzato a creare occasioni di lavoro in questo campo per la manodopera estemamente qualificata che esce dall’università, dando una proiezione non solo alle ricerche di base indispensabili per produrre poi ricadute concrete ed applicate (es. una Iniziativa Tassonomica Nazionale, investire sui musei naturalistici e la ricerca sistematica di base, sviluppare le attività di bioprospecting, nella ricerca genetica sulla biodiversità come il biocoding, ecc…), ma anche creando delle think thank che aiutino a portare i risultati delle ricerche in applicazioni concrete anche di interesse industriale (agricolo, farmaceutico) e territoriale (ingegneria naturalistica, ecc…). Se non conosciamo la biodiversità, in Italia e nel mondo, sarà molto difficile poterla conservare, ma anche utilizzare, adeguatamente.
Caccia, pesca e raccolta nel mondo moderno post-rurale Il movimento verde storicamente ha avuto un solo rapporto di opposizione assoluta con il mondo della caccia (e in parte della pesca), per una scelta etica di fondo che assimila i diritti degli animali a quelli della specie umana (vedi “diritti”). L’approccio animalista, quello vegetariano e naturista, il rifiuto della caccia hanno fatto parte, e fanno parte, della visione del mondo del movimento verde. Il superamento dell’attività venatoria e dei suoi impatti sulla fauna è stato – e rimane – un obiettivo politico strategico. Nella costruzione di un grande progetto ecologista aperto per il nostro paese e per il mondo, nella considerazione che esso debba essere aperto ed inclusivo, bisogna però forse aprire un ragionamento sul fatto che nella cultura rurale italiana esiste in modo diffuso la tradizione – ormai certamente storicamente superata dalla sensibilità diffusa soprattutto nel mondo urbano, ed in generale nella società – di un rapporto utilitaristico con la natura e i suoi “prodotti”, dando alimento ancora oggi a fenomeni “popolari”, sebbene sempre di più legati alle vecchie generazioni, di rapporto quasi viscerale con attività come la caccia, la pesca, la raccolta (ad esempio di funghi, ma anche prodotti del sottobosco, erbe, ecc…). E’ evidente che la cultura ambientalista ed ecologista deve puntare ad un superamento di tale visione, per renderla più vicina ad una relazione moderna – e “matura” - tra uomo ed ambiente, ma è anche vero che in una visione globale delle questioni e dei problemi esistono situazioni - ad es. quelle delle popolazioni tribali che utilizzano la caccia e la pesca come fonti di sussistenza, ma anche le forme di limitatissima caccia commerciale gestite a favore dei locali nei paesi del terzo mondo (incluse nell’approccio “Community based sustainable hunting”) – nelle quali pragmaticamente alcune eccezioni possono essere ritenute accettabili. Si può quindi aprire un confronto con quelle limitate parti del mondo venatorio che hanno un approccio tecnico e (almeno potenzialmente) ecologicamente sostenibile, al fine di rafforzare il patto ecologista con una componente “rurale” che aiuti a sviluppare una nuova cultura in questo senso che porti ad un superamento “consapevole” della richiesta di poter andare a caccia nel nostro paese? Si può non escludere “a priori” componenti del mondo venatorio (ma anche della pesca, “micologico”, ecc…) ad una discussione sulla Costituente Ecologista? La discussione su questo punto per quanto mi riguarda è solo aperta.
Il ruolo del CFS Il Corpo Forestale dello Stato è oggi la polizia ambientale del Belpaese. Un suo rafforzamento, un potenziamento delle sue competenze, dei suoi organici, delle sue attrezzature è fondamentale. Una decisione strategica – che non ha una soluzione aprioristica – riguarda anche il mantenimento o meno di un ruolo gestionale del CFS in materia di aree protette e beni demaniali. La legge quadro sui parchi del 1991 ha previsto il passaggio di alcune di esse ai parchi nazionali interessati, ma questo passaggio resta ancora oggi in gran parte da realizzare. Resterebbero però parti consistenti di demanio dello Stato in gestione diretta al CFS. Va presa una decisione strategica e almeno di medio termine in materia, dotando il CFS delle competenze, delle strutture e dei finanziamenti necessari qualora questo ruolo debba permanere, o accelerando le procedure di trasferimento agli Enti Parco o ad altri soggetti dei bei interessati qualora esso non debba farlo. Ciò che va evitato è l’attuale limbo nel quale l’efficienza della gestione è difficilmente realizzabile, visti i tagli di spesa in merito, e mettere nelle condizioni il soggetto gestore, qualunque esso sia, di lavorare in modo adeguato.
Un pilastro sociale per una politica ambientale: università, ricerca, scuola L’Università italiana vive una profonda crisi e una forte de-strutturazione che negli ultimi anni si sta tramutando, con la scusa dell’autonomia, in sostanziali tagli e diminuzione strutturale di risorse che ne stanno progressivamente minando la capacità di essere competitiva, internazionale e fonte di sviluppo culturale, scientifico e tecnologico per tutto il Paese. Il mondo della ricerca, ed in particolare i grandi enti nazionali preposti a questa funzione (CNR, ENEA, ISPRA e sue articolazioni, ARPA, ecc…) e i programmi strategici di ricerca anche di forte interesse ambientale e globale (es. un caso per tutti il Programma Antartide) vivono analoghe difficoltà e drastici tagli finanziari. Nonostante i proclami di tutte le forze politiche che si impegnano a portare i livelli di investimento sulla ricerca almeno alla media europea (e cioè al 2% del PIL), negli anni si assiste ad un costante depauperamento delle risorse e ad un taglio degli investimenti.
Un programma politico ambientalista mette al centro delle sue azioni una speciale attenzione per l’Università e il mondo della ricerca, con l’obiettivo di investire in modo continuativo e duraturo nel tempo sulla formazione in questo campo al fine di aumentare la competitività italiana e la capacità di essere produttori di nuove idee, ricerche, progetti, trasferimento tecnologico ed applicazioni industriali innanzitutto indirizzate al miglioramento del rapporto tra attività produttive e compatibilità ambientale. Un concreto e misurabile obiettivo di qualunque governo a presenza ambientalista deve essere raggiungere il 2% del PIL speso in ricerca.
Nella stessa direzione è l’idea di investire sul sistema scolastico come servizio pubblico per lo sviluppo degli individui, delle famiglie e delle società, sulla sua qualità e quantità. Investire sugli insegnanti, come risorsa strategica e di lungo termine per il paese, e sugli studenti, il vero capitale che dobbiamo coltivare per il futuro. Sviluppare una rete di asili nido, scuole materne e scuole dell’obbligo capillare, in particolare permettendo una gestione autonoma da parte delle famiglie, dei colleghi sui posti di lavoro, ecc… (asili e scuole aziendali, familiari, consortili, ecc…), secondo le migliori esperienze europee.
Difendere con la massima forza la scelta della scuola pubblica come garanzia moderna di indipendenza della formazione, dell’apertura e del pluralismo delle idee, del terreno del confronto e della multiculturalità. Dotare la scuola pubblica di tutti quegli strumenti che sono necessari per garantire uguale diritti ed uguale accesso all’istruzione a tutti i cittadini, di qualunque nazionalità, razza, religione, credo, abilità.
Musei, Cultura, Archeologia e Beni Culturali, Sistema delle Sovrintendenze L’Italia è il paese al mondo con il maggiore giacimento di beni paleontologici, archeologici, storici e culturali, essendo stata una delle culle della civiltà da 3000 anni a questa parte. In qualunque altro paese del mondo questo giacimento sarebbe al centro del progetto economico, sociale e culturale, da noi è vissuto spesso come un peso e un impedimento al “progredire” dell’utilizzo del territorio.
La politica dei beni culturali in Italia è stagnante da molto tempo, la sua impostazione risale agli anni ’30 e non è stata – se non minimamente – di innovarsi nel tempo e soprattutto sono mancati negli ultimi anni, come in tutto il settore pubblico, investimenti adeguati all’importanza e al valore del nostro patrimonio, nonostante le decine di città d’arte, di aree archeologiche di importanza mondiale, di siti del Patrimonio Mondiale UNESCO, le migliaia di musei e siti di immenso valore.
Il recupero del nostro patrimonio storico e culturale, la sua messa in rete e valorizzazione di fruizione (e turistica), l’apertura di una grande campagna di nuovi cantieri di scavo e di inventariazione dell’esistente, di sviluppo dei musei nazionali e locali possono essere una vera Grande Opera italiana, che potrebbe portare decine di migliaia di nuovi posti di lavoro attraverso la maggiore apertura di questi beni alla fruizione pubblica. La rete delle Sovrintendenze deve essere messa in grado di svolgere efficacemente il proprio lavoro, finalmente si deve passare dai proclami e dalle promesse ad una reale politica di investimenti che sarà una parte sostanziale del “new deal ambientale” italiano.
RAI e sistema dei mass media Una moderna democrazia parlamentare elettorale richiede un requisito di base affinché tutti i cittadini siano messi in grado di esprimersi avendo conoscenza e coscienza delle scelte alle quali partecipino: la libertà dell’informazione e l’effettivo accesso alla stessa da parte di tutti i cittadini.
Il sistema italiano dei media – come rilevato da tutti i commentatori indipendenti internazionali ed anche da molti nel nostro Paese – è fortemente condizionato e sbilanciato dal fatto che tre reti nazionali televisive su sei sono di proprietà di un unico soggetto. Tale situazione è ancora più aggravata dal fatto che lo stesso soggetto è proprietario di quotidiani e settimanali nazionali, case editrici, agenzie di pubblicità. Già ciò sarebbe sufficiente a dire che in Italia esiste un problema di democrazia imperfetta, o perlomeno orientata. Se poi aggiungiamo che lo stesso soggetto è leader della maggiore forza politica presente, e al momento anche Presidente del Consiglio, e che in tale veste ha la capacità di orientare fortemente – come minimo – anche le tre reti televisive pubbliche e i loro organi di informazione, è evidente che il nostro paese ha un problema molto serio. Un obiettivo fondamentale, quindi, di una proposta di governo ecologista che sia anche profondamente convinta del valore della democrazia è che questa situazione venga riequilibrata, e che ci sia un sistema di garanzia che non renda possibile il suo ripetersi in futuro.
La proposta della Costituente Ecologista dovrà cercare comunque di svilupparsi appoggiandosi agli strumenti di comunicazione disponibili potenzialmente interessati a questo progetto (il quotidiano Terra, la Web-TV dei Verdi, Ecoradio, Radio Radicale, Radio Lifegate, ecc…), cercandosi di mettere in rete con tutti gli strumenti possibili anche nei new media (Facebook, sistema dei Blog, altri network sociali, il sito di Beppe Grillo, quello del PBC, quelli delle associazioni ambientaliste, ecc…) al fine di rompere la barriera della comunicazione che l’attuale sistema – e soprattutto quello televisivo – impone all’apertura di nuovi spazi di partecipazione politica.
Migrazioni, migranti, confronto tra culture, integrazione e diritti, cooperazione tra i popoli e le nazioni In una visione aperta del mondo e della sua attuale innegabile dimensione globale, ma anche riconoscendo la disparità storica tra chi sfruttava le risorse per la propria crescita economica ed industriale e che veniva sfruttato per le materie prime e per la manodopera, è inevitabile arrivare all’idea della parità di diritti tra tutti i cittadini del mondo, al rispetto dei migranti e delle loro sofferenze umane e sociali, dell’indispensabile riconoscimento dell’uguaglianza delle culture e della necessità di confrontarsi e di integrare i nuovi cittadini che arrivano nel nostro paese nella nostra realtà economica e sociale.
Anche fenomeni centrali del nostro tempo, come quello dell’estremismo religioso e del terrorismo internazionale, vanno affrontati con la necessaria laicità, riconoscendo le radici storiche delle cause di tali problemi, e utilizzando l’approccio del confronto e della cooperazione tra i popoli e le nazioni nell’affrontarli e nel cercare le soluzioni. Non siamo solo per la società multiculturale, ma riconosciamo che tale società è una ricchezza del nostro tempo e non è con lo scontro tra le culture, ma è con l’incontro tra di esse, il confronto e lo scambio di esperienze e di conoscenze che si possono trovare i problemi alle questioni centrali del mondo che conosciamo.
3. L’ambiente e la struttura dello Stato
L’Unità nazionale italiana è sempre più in pericolo e il Paese, ad un secolo e mezzo dal 1861, è spaccato in due, in ogni senso, e minaccia di rompersi in più pezzi. La riforma dello Stato in senso federalista non si accompagna ad una visione chiara dei rapporti tra Stato e Regioni, né del modello di sviluppo della società, di quali debbano essere i servizi minimi da garantire sul piano sociale, ambientale ed economico. Il federalismo odierno, assai lontano da quello di Cattaneo o di Gioberti, che esortavano all’unità nella diversità con una forte impronta patriottica e nazionale, si riduce ad una costellazione di mediocri localismi, sempre più piccoli, egoistici e autarchici, senza alcuna pulsione né proiezione verso l’Europa più avanzata. Negli ultimi anni quasi tutte le forze politiche hanno concorso a questi esiti con riforme sbagliate e confuse, che nulla hanno a che vedere col federalismo tedesco o americano, dotati di un centro forte e autorevole, espressione e sintesi di una identità nazionale piena e riconoscibile.
L’ambiente paga pesantemente questo sfaldamento selvaggio della struttura dello Stato, poiché le scelte territoriali effettuate sempre più in sede locale rispondono più facilmente a logiche di scambio che ad esigenze di garanzia per i cittadini. In campo urbanistico, ambientale e paesaggistico, il disastro si tocca con mano. La logica della “privatizzazione” del pubblico sta sempre più diventando la logica del “padrone a casa mia”, anche quando la “casa” è un bene comune che appartiene all’intera collettività mondiale. Più si avvicinano al livello locale i poteri decisionali, in materia di strumenti urbanistici e territoriali, di tutela dei beni culturali e ambientali, di parchi, di riserve naturali e più si è condizionati, nelle decisioni anche tecniche, dagli interessi municipali, di gruppi economici, di privati, più viene indebolita e devitalizzata l’azione degli organismi di tutela (Soprintendenze regionali e territoriali, Autorità di bacino, Arpa, Enti Parco dal livello nazionale a quello regionale, ecc.).
Con riferimento al dibattito corrente sulle riforme istituzionali è quindi evidente che è sempre più necessario ripensare fortemente l’approccio attuale, per ripensare ad un modello di Stato e di rapporti con le Regioni ed autonomie locali che sia realmente bilanciato, e non solo il frutto di pressioni centrifughe in tutte le direzioni.
Il pubblico impiego non è un problema da cui fuggire, non è solo un bacino di interessi elettorali, corporativi e familiari, non è la madre di tutte le corruzioni: è soprattutto una grande risorsa in termini di esperienze, capacità, formazione, persone che va valorizzata e messa nelle condizioni di funzionare e di produrre al meglio i servizi che i cittadini richiedono in una società giusta ed equa.
Le mafie e le ecomafie sono l’altra faccia dello Stato, il contro-stato, e non possono essere trattate solo come una questione di polizia giudiziaria, ma vanno combattute anche nella loro radice sociale e diffusa in alcune parti del territorio nazionale, ed anche nella loro ormai assestata dimensione di forza finanziaria che opera sui mercati nazionali ed internazionali. La Magistratura, le forze di Polizia, le Prefetture vanno messi nelle condizioni migliori di operatività, mezzi, strutture, in modo che possano rispondere in modo adeguato alle dimensioni del problema, che è una delle priorità nazionali; ma anche tutti quei soggetti che operano nella società civile per costruire una contro-cultura che si opponga a quella della malavita organizzata devono essere fortemente sostenuti perché siano in grado di sovvertire culturalmente le ragioni per le quali ancora non si è riusciti a debellare questi fenomeni, che hanno peraltro grandi ricadute sul campo ambientale.
BOX Laicità, Cattolicesimo e Ambientalismo sono compatibili? Un approccio ambientalista per cultura, visione storica ed origine del movimento, non si può sottrarre innanzitutto a un approccio che sia laico e rispettoso di ogni idea, credo o religione purché coerente con la propria visione generale indirizzata a costruire un mondo diverso e che abbia una prospettiva di sopravvivenza di lungo termine. In questo senso si può dire che l’attenzione “Radicale” a questi temi possa essere una fonte di ispirazione e un esempio di una modalità di confronto che può essere certamente condivisibile. La questione dei diritti umani (e come si dirà degli “animali non umani”) è senz’altro centrale in un approccio che voglia dirsi aperto, democratico, globale, rispettoso della cultura e della storia di tutti i popoli della terra. Il rispetto deve iniziare da quello per gli individui, per tutti gli individui, come chiave di un atteggiamento che riguarda ogni uomo ed ogni donna. Alcuni grandi temi etici – ed in particolare le posizioni sull’aborto e l’eutanasia - orientano la discussione politica negli ultimi anni e sono spesso al centro di polemiche anche infuocate e spesso strettamente ideologiche. Questi problemi vanno affrontati con un approccio laico, con rispetto per le idee di ciascuno, ma con la capacità di trovare delle soluzioni concrete ai problemi operativi della vita civile e alle reali situazioni che si pongono alle persone, alle famiglie, agli operatori sanitari e sociali.
Un approccio laico non impedisce di avere rispetto per il valore dell’impegno religioso, in una parità ed uguaglianza di diritti e di parola alle diverse confessioni, religioni e convinzioni personali. E’ evidente però che in Italia, dove è ospitata la Santa Sede e dove esiste una forte tradizione culturale cristiano-cattolica, il rapporto e l’interlocuzione con chi professa valori cristiani e cattolici sono un obbligo della politica. Dal punto di vista ambientalista questo approccio ha un interesse notevole, forse sottovalutato fino ad oggi, in quanto nella prospettiva per un mondo più equo esistono molti soggetti, organizzazioni e reti “di base”, in particolare quelle legate alla visione francescana, o quelle di supporto e di azione nel campo missionario (pensiamo ad esempio ai Comboniani), la cui azione è estremamente coerente con gli obiettivi di un programma politico come quello qui delineato. La lotta alla povertà e alla fame, lo sviluppo delle comunità locali nel terzo mondo, la difesa delle risorse naturali per la sussistenza di tali comunità e popolazioni, sono obiettivi strategici centrali per entrambe le visioni. Non dimentichiamo che probabilmente la Chiesa Cattolica è la maggiore organizzazione internazionale che agisce concretamente per eliminare le disparità tra i popoli e gli stili di vita, e per garantire a chiunque uguali diritti di sussistenza e sopravvivenza. E’ evidente d’altro canto che ciò non impedisce una critica ad altri aspetti dell’organizzazione vaticana, alla sua burocratizzazione, alle situazioni nelle quali le convinzioni e posizioni della Chiesa possono non essere coerenti con gli obiettivi che qui si stanno discutendo, come sui temi del controllo delle nascite. Ma ciò – ed un approccio laico alle questioni – non impedisce di vedere che nella visione cristiana esiste un alleato potente ad una costruzione di un mondo più equo, più giusto e più sostenibile, pure in una dialettica costruttiva.
Infine un progetto di società ambientalista non può non mettere al centro oltre ai diritti umani quelli degli animali non umani. Andrà prodotto un progetto di adeguamento delle normative che promuova: a) la scelta vegetariana, anche per le sue implicazioni ecologiche – oltre ovviamente per quelle etiche -; b) l’aumento dell’efficacia della lotta al randagismo; c) i diritti degli animali allevati nelle loro sedi di vita e sui mezzi di trasporto; d) la promozione e la valorizzazione del rapporto con gli animali domestici; e) il controllo e la regolamentazione della custodia degli animali “pericolosi” attraverso l’educazione dei proprietari; f) l’approvazione di stringentissimi standard qualitativi per i giardini zoologici, le esposizioni di animali a vario titolo (parchi tematici) e gli oceanari, per tendere al loro superamento culturale, e all’immediata chiusura di quelli che non rispettino tali standard; g) il controllo e la repressione delle zoomafie, delle corse clandestine, del traffico di animali e piante esotiche, del bracconaggio; ecc… Andrà insomma elaborata una vera e propria “carta dei diritti degli animali” che diventi non solo uno strumento normativo, ma soprattutto una acquisizione culturale e un diverso approccio etico nei confronti dei nostri cugini non umani.
BOX Uno sguardo alle questioni internazionali e globali: un nuovo patto planetario La Conferenza di Rio de Janeiro UNCED del 1992, vero momento di svolta – in parte mancata – delle politiche ambientali del pianeta, ha messo in luce il forte contrasto tra le nazioni “ricche” del Nord del Mondo (USA, Europa, Canada, Giappone e Australia in particolare) e quelle “in via di sviluppo” del Sud, capitanate in quel caso dal Brasile, a proposito di chi debba sostenere i costi delle grandi scelte ambientali che già allora sembravano inevitabili. In una prospettiva storica, è evidente che esista una giusta riserva da parte dei paesi che hanno subito i costi della colonizzazione delle nazioni occidentali, attraverso diverse forme come sovrasfruttamento delle risorse naturali, controllo esterno delle economie, debito, fame e povertà, ad accettare ora nuovi limiti allo sviluppo economico sulla base delle questioni ambientali globali. E’ indispensabile quindi che la comunità internazionale individui delle forme accettabili attraverso le quali sia possibile da un lato “restituire” parte della ricchezza nel tempo trasferita dal sud al nord del Mondo, e dall’altro garantire una maggiore equità nella distribuzione delle risorse. I meccanismi possono essere quelli della cooperazione internazionale, della cancellazione del debito, della lotta alla fame e alla povertà, della de-colonizzazione ed autodeterminazione dei popoli, del controllo dei fenomeni economici e finanziari internazionali che continuano a produrre sfruttamento e controllo esterno delle economie e delle istituzioni politiche dei paesi interessati, ma anche mezzi nuovi da sviluppare che includano il riconoscimento del valore dei beni comuni planetari (ad esempio le foreste o il patrimonio genetico della biodiversità), con pagamento dei costi relativi distribuiti non solo nei paesi direttamente interessati dalla presenza di tali beni. La mancata Convenzione sulle Foreste di Rio 1992 è un esempio degli strumenti che non ci sono e dei quali ci sarebbe estremo bisogno. Ovviamente la questione del clima, del Protocollo di Kyoto e di Copenhagen sono al centro di questi temi, così come dovrebberlo essere la perdita della biodiversità e degli ecosistemi, che ad esse sono strettamente correlate. Bisogna sottrarre la governance mondiale dalla sola regolazione dovuta alle dinamiche dei mercati finanziari e commerciali, ed inserire forti correttivi politici che evitino che la gestione delle risorse naturali sia sottoposta solo a logiche di interesse particolare e di sfruttamento economico. Questi obiettivi richiedono un ruolo forte dell'Italia sul piano internazionale, non solo a traino di altre economie e strutture politiche, e la sua capacità di influenzare in modo visionario le posizioni europee, che assumono particolare importanza nello scenario mondiale. Ciò richiede un forte impegno per supportare il ruolo della diplomazia italiana all’estero e nelle sedi internazionali, ed anche la capacità di inserire molti italiani in posizione chiave in tali sedi, e di mantenerli coordinati verso il raggiungimento di obiettivi comuni. Un attivismo di questo genere non potrebbe che far bene al sistema economico, produttivo e commerciale italiano, pur controllandolo in modo molto forte in merito ai suoi impatti sugli ecosistemi terrestri. Una speciale riflessione merita la presenza della Santa Sede all’interno del territorio italiano, come nodo di politiche internazionali radicate attraverso la presenza cristiana, in particolare missionaria, nel mondo. Politiche autonome, ma che potrebbero costruire un importante tassello degli obiettivi politici che la Costituente Ecologista si potrebbe porre.
L’Italia dovrà contribuire a porre sostanzialmente nell’agenda globale – anche attraverso la promozione di posizioni comuni europee in materia - i temi delle grandi scelte sui cambiamenti climatici, la conservazione degli ecosistemi e della biodiversità a partire dalle grandi foreste pluviali tropicali (Amazzonia, Bacino del Congo, Sud-est Asiatico), la lotta alla fame, alla povertà e alla desertificazione, alle guerre, il controllo dell’impatto sull’ambiente dei sistemi economici, produttivi e commerciali (GATT), nonché soprattutto dei meccanismi della finanza mondiale, la cui de-materializzazione va bilanciata con un controllo della politica. Dovrà spingere per obiettivi ambiziosi, concreti, misurabili ed efficaci per l’attuazione del Protocollo di Kyoto e dei suoi aggiornamenti, che mantengano il cambiamento del clima entro i 2° C al 2100. L’Italia dovrà porre con grande forza l’idea della necessità di adottare la Pace e la non violenza come fonti ispirazione delle politiche internazionali, proprie e degli altri paesi. Non ci si può arrendere all’idea che la democrazia si debba imporre con la forza e con dubbie operazioni di polizia internazionale, spesso nate sotto cattivi auspici (la guerra in Iraq contro le armi di distruzione di massa che non c’erano) o con motivazioni molto discutibili (in Afganistan la comunità internazionale aveva l’obiettivo di imporre la democrazia, far scomparire il burqua e le piantagioni di oppio, tuttora abbondanti e indiscusse). Nel rispetto del ruolo, della professionalità, dell’impegno e anche del sacrificio di chi è impegnato nell’Esercito e nelle altre Armi, che non sono in discussione in sé: il punto è che deve essere la politica che decide l’impegno internazionale delle Forze Armate, e che potrebbe scegliere altre forme di impegno – molto diverse – della risoluzione dei conflitti e delle relazioni tra le comunità nazionali. Va promossa una cultura della Pace, valorizzando e promuovendo un approccio alternativo alle scelte delle Nazioni Unite, della NATO e delle altre organizzazioni internazionali, che lasci quella militare come ultima ed estrema opzione, da rigettare in linea di principio nel rispetto del dettato costituzionale che rimarca come “l’Italia ripudia la Guerra”. Per questo grande attenzione va posta a ripensare la partecipazione alle missioni internazionali che si configurano apertamente come missioni di guerra, come quella in Afganistan, anche ponendo la questione nelle sedi internazionali deputate, anche visti i loro costi finanziari ed umani, sia per quanto riguarda i militari italiani che le popolazioni civili coinvolte. Le spese militari nel bilancio dello Stato vanno razionalizzate, ridotte e ridimensionate sulla base del nuovo assetto di politica estera che uscirà da un tale quadro nuovo di decisione, anche se garantendo al settore la massima efficienza ed aggiornamento delle strumentazioni disponibili, ed adeguato trattamento al personale militare per il grande impegno ad esso richiesto.
Il GATT ed il commercio internazionale vanno considerati come motore dell’impatto sugli ecosistemi e sulle popolazioni umane, e quindi come tali regolati dalla mano pubblica al fine di perequare i meccanismi di tali impatti. Il nuovo ruolo degli USA di Obama può essere sostanziale nel cambiare gli equilibri internazionali su questi temi, così come su quelli più strettamente ambientali, anche se le recenti uscite con la Cina fanno temere che prevalgano i soliti interessi di tipo mercantile e commerciale. Il ruolo dell’Europa e l’Europeismo, rifacendosi anche alle antiche visioni di Altiero Spinelli e agli altri padri dell’attuale Unione, così come la questione dell’ampliamento dell’EU a Est fino ad includere le frontiere del mondo musulmano con la Turchia, è centrale nel determinare un punto virtuoso delle trattative internazionali, soprattutto in una chiave di facilitazione dei rapporti con il Medio Oriente, incluso Israele, e il Mondo Arabo, viste anche le numerosissime connessione e gli intensi scambi non solo commerciali ma anche culturali, dovuti anche alla forte presenza di cittadini nordafricani sul continente europeo. La Russia e il Caucaso pongono questioni diverse soprattutto alla luce della loro posizione chiave come principale fonte di gas e prodotti energetici per l’Italia e l’Europa; da questo punto di vista si dovrà superare una logica politica esclusivamente di scambio con l’ “Amico Putin” per arrivare a politiche di vera cooperazione e vero confronto più dialogiche e dialettiche. In prospettiva futura sono chiave i rapporti con la Cina e l’India attualmente, soprattutto per la prima, regolati quasi esclusivamente sulla base dell’importazione di merci a basso costo da un lato, e dell’esportazione del “Made in Italy” sul ricco nuovo mercato orientale dall’altro. Essendo questi due paesi chiave nelle politiche ambientali e planetarie dei prossimi anni e decenni andrà posto ogni sforzo nell’articolare maggiormente tali relazioni anche su un piano più politico, sui diritti umani e l’ambiente.
Il Brasile e l’Amazzonia e le aree limitrofe di foresta tropicale in altri paesi del Sudamerica e Centroamerica sono probabilmente la priorità assoluta planetaria in termini ambientali. Ancora circa il 50% dell’Amazzonia è ben conservata, anche se la restante metà presenta problemi gravissimi e in aumento. Oltre ad essere il grande “polmone” verde del Pianeta, offrendo servizi ecosistemici fondamentali per gli equilibri dell’atmosfera, l’Amazzonia è il più grande serbatoio di biodiversità, con potenzialità enormi anche dal punto di vista economico (pensiamo alla sintesi di prodotti farmaceutici). Eppure nonostante questa importanza per tutte le nazioni della Terra, non esiste un vero e proprio sforzo internazionale per la conservazione di questo continente forestale, e la sua distruzione prosegue ad un ritmo elevatissimo per fare posto alle coltivazioni di soia o per l’allevamento bovino. Attivare una iniziativa specifica e strategica di collaborazione e dialogo con il governo brasiliano è quindi una assoluta priorità per la politica estera italiana, al fine di contribuire con gli altri attori sullo scacchiere internazionale, ed in particolare all’interno della Unione Europea, a trovare le forme adeguate per le quali il governo brasiliano e gli altri governi nazionali coinvolti (Perù, Venezuela, Ecuador, ecc…) possano decidere di investire maggiormente in politiche fortemente conservative per l’Amazzonia.
BOX Una possibile Carta dei Valori di una visione ecologista della politica
Equilibrio. Ricostruire equilibrio nel rapporto con l’ambiente e l’uso delle risorse, attraverso un modello economico complessivo che sia indirizzato alla “decrescita” in Italia e nel mondo.
Uguaglianza. Assicurare un accesso equo alle risorse da parte di tutti gli esseri umani e di tutte le nazioni.
Diritti. Garantire diritti umani identici a qualunque essere umano nel mondo.
Doveri. Ispirare ogni azione politica sul principio di legalità, e sul rispetto dei doveri che derivano dall’appartenere alla società da parte di tutti gli individui.
Dialogo. Costruire rapporti tra le persone, qualità della vita, relazioni familiari, dialogo tra gli individui, le genti, le nazioni, le religioni.
Culture. Investire sulla conoscenza, sull’educazione, sulla ricerca, su musei, biblioteche, archivi, luoghi di accesso ai documenti materiali della cultura e di scambio di idee. Garantire la libertà dell’informazione, chiave delle società democratiche moderne.
Democrazie. Uscire dalle logiche dei poteri forti, dalle decisioni prese dalle lobby più potenti, e costruire una libera partecipazione democratica delle persone nelle decisioni collettive sociali.
Trasparenza. Creare una accountability (verificabilità) delle pratiche politiche e della gestione della cosa pubblica come presupposto dell’esistenza della democrazia.
Informazione. Assicurare una informazione aperta, libera e accessibile da parte di tutti i cittadini senza che sia possibile che pochi soggetti ne abbiano il controllo diretto o diffuso, sia nei media pubblici (televisione e radio) che in quelli privati.
Articolo pubblicato sulla rivista giuridica Gazzetta Ambiente
Bibliografia
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