IMPATTO ZERO: TRA BISOGNI E FELICITA'
Intervista a Colin Beavan di Laura Stefani
Un giorno nel novembre del 2006 Colin Beavan, quarantenne americano, scrittore di libri di storia, che si autodefi nisce a liberal schlub (traducibile come “un bamboccione di sinistra”), ha deciso di passare all’azione, anzi alla eco-azione. Dice che semplicemente era stufo di quelli come lui, quelli che a parole denunciano il riscaldamento globale, lo scioglimento dei ghiacci, la deforestazione e tutti i danni infl itti all’ambiente, ma nella pratica continuano a sposare uno stile di vita che ne è la principale causa. Obiettivo: vivere per un anno – con sua moglie Michelle, sua fi glia Isabella e Frankie, il cane – nel loro appartamento del Greenwich Village a Manhattan, a impatto zero.
Riflessione
Non stiamo parlando solo di azzerare le emissioni di carbonio, ma di un progetto ben più ambizioso, cioè cercare di limitare al minimo l’incidenza dei consumi umani su aria, corsi d’acqua, terra. Tradotto in termini di vita quotidiana signifi ca eliminare auto e mezzi pubblici, ma anche tv, frigorifero, lavatrice, smettere di prendere l’ascensore – la coppia abita fortunatamente solo al nono piano di un grattacielo –, di andare al ristorante, di acquistare nei supermercati, cancellare tutti gli abbonamenti a riviste e giornali, rinunciare alle vacanze, bandire i voli aerei, in poche parole smettere di consumare per smettere di inquinare. E, a proposito di deforestazione, eliminare completamente l’uso di carta igienica, aspetto che ha attirato la curiosità di tutta la stampa americana fi n dall’inizio del progetto. Il tutto, in piena New York e con una moglie che si dichiara fashion addicted e junk food addicted, insomma il tipico consumatore incurante che vive di usa e getta. Per questo, forse, Colin Beavan si è dato (e ha dato all’esperimento) un nome da super eroe, No Impact Man (Un anno a impatt o zero, Cairo Editore, 2010), che poi è diventato il titolo di un libro, di un documentario e di un blog attivissimo e ricco di consigli pratici, nominato da Time tra i migliori 15 siti dedicati all’ambiente a livello mondiale. Un enorme successo, tanto che volente o nolente No Impact Man ora è diventato una eco-star con un’agenda fittissima.
Alcuni non gli hanno risparmiato critiche, la principale delle quali riguarda il sospetto di avere usato una nobile causa per fare dell’autopromozione. Ma lui risponde: «Be’, ho ricevuto anche molti elogi, ma il punto non sono io. Piuttosto sono i lettori di questo articolo. La questione centrale è: siete rassegnati a lasciare il pianeta così com’è o siete disposti a correre dei rischi e a modifi care certi comportamenti per migliorare la situazione?». Lui ci ha provato e lo ha fatto sulla propria pelle per trovare una risposta anche a molte altre domande: è possibile vivere in maniera totalmente eco-friendly nella nostra società? Abbiamo realmente bisogno di tutti questi prodotti realizzati a danno dell’ambiente? Vivere a impatto zero mi renderà un uomo più felice? O mi trasformerà in un freak? L’unico lusso che si è concesso è stato di procedere per gradi, alleggerendosi di un problema alla volta. Il primo e il più evidente è la spazzatura domestica.
Beavan, all’inizio del libro guarda nei tre sacchi di rifi uti che tiene nell’ingresso e fa un inventario del contenuto accumulato in soli quattro giorni: un numero imprecisato di tazze e bottiglie di plastica, cannucce, confezioni di cibo take-away, bacchette cinesi, tovaglioli, pannolini della bimba, confezioni di alluminio da gastronomia e una testa di lattuga intonsa passata direttamente dal frigo al bidone. «Non era l’idea della spazzatura in sé a sconvolgermi e farmi sentire in colpa, ma il fatto che la maggior parte fossero contenitori usati per massimo cinque minuti e subito buttati». Più avanti, rifl ette con una certa ironia: «C’è una spiegazione al fatto che i sacchi della spazzatura non sono trasparenti. È per non permetterci di vedere all’interno. Questa iperproduzione di scarti visibili ci farebbe sentire piuttosto a disagio». È lo spettro onnipresente del packaging, che la famiglia Beavan decide di aggirare comprando nei mercati cittadini, stipando in borse di tela o contenitori di vetro, solo local food proveniente da un raggio di massimo 250 miglia. Addio, caffè, quindi. I prodotti cosmetici e per l’igiene personale vengono sostituiti da deodoranti, dentifrici, shampoo casalinghi a base di bicarbonato di sodio, che pare sia eccellente nelle tre situazioni. Banditi anche i pannolini della bimba, sostituiti dai vecchi ciripà in cotone.
Azione
Dopo qualche settimana di nuovo regime, la quantità di spazzatura non organica della famiglia Beavan crolla a meno del 5% rispetto alla precedente, mentre quella organica è trasformata in compost da una batteria di lombrichi, ospitati in un’apposita cassetta in cucina. Che conclusioni trarre? «Negli Usa il 40% dei rifi uti è costituito da contenitori di plastica. In realtà, non ne abbiamo bisogno. Ciò signifi ca che il 40% dei prodotti che vengono realizzati con grandi costi ambientali non sono indispensabili: basta rendersene conto». Pensiamo alle buste di plastica: secondo il Worldwatch Institute ogni anno nel mondo se ne buttano tra i 4000 e i 5000 miliardi. È l’articolo più presente nei negozi. Di questi, solo l’1% viene effettivamente riciclato, il resto brucia negli inceneritori o viene disperso nell’ambiente. «E l’aspetto surreale è che queste buste, pensate per un utilizzo rapido, sono fatte con un materiale che dura centinaia di anni» aggiunge Beavan.
Beavan progressivamente e quasi sempre con il sorriso sulle labbra scopre anche il piacere del cibo sano e della cucina casalinga, rigorosamente vegetariana. Delle serate a lume di candela con gli amici. I ritmi della sua giornata rallentano, il tempo si dilata. In pochi mesi, quello che poteva sembrare dall’esterno un esercizio di autoprivazione mostra i suoi tanti benefi ci. Si scopre più magro (alla fi ne il bilancio è di meno 10 chili, ricordate i nove piani a piedi?), si sente più in forma e anche più felice. Ma mai un momento di crisi? «Certo. Ho messo in discussione tutto quando sono stato criticato dalla stampa. Una persona sola non può fare nessuna differenza, dicevano. Ma è falso, i cambiamenti della società iniziano dai cambiamenti individuali».
Coerente con questa idea, Colin sul blog organizza periodicamente No Impact Week, a cui si può aderire da qualsiasi paese del mondo, perché ognuno sperimenti, nella pratica, questo stile di vita per sette giorni. Già, quali abitudini ha mantenuto fi nito l’anno fatidico? «Niente congelatore. Niente lavatrice. Niente aria condizionata. Caloriferi spenti. Niente tv, anche se ogni tanto parcheggiamo Isabella davanti al computer perché veda un fi lm. Continuo a girare con il mio barattolo di vetro in cui bevo caffè e acqua e continuo ad andare in bicicletta. Prendo la metropolitana solo quando piove. Uso sempre bicarbonato per lavarmi i capelli e come deodorante. Non mangio carne, ma vado in vacanza».
L’ultimo step della coppia è stato il volontariato presso alcune associazioni ambientaliste di New York. Perché alla fi ne la vera scoperta a cui è approdato Colin Beavan è una semplice somma tra due fattori: ridurre da una parte l’impatto negativo e aumentare dall’altra quello positivo per vivere davvero a impatto zero, in equilibrio tra bisogni e felicità. «In tante interviste, nessuno mi ha mai chiesto quale sia lo scopo della vita. Se chiedo a mia fi glia: “Perché viviamo?”. Lei risponde: “Per ridere”. E se le chiedo: “Di che cosa dobbiamo preoccuparci?”. Lei aggiunge: “Che anche gli altri ridano”. Per me ha ragione, siamo tutti sulla stessa barca e c’è solo una cosa che ha senso fare: aiutarci reciprocamente».
Fonte: Slow Food n.46
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