IL PUNTO DI NON RITORNO DELLA CIVILTA'
di Lester Brown
Negli ultimi anni vi è stata una crescente attenzione rispetto al raggiungimento di soglie e punti di rottura nei sistemi naturali. Ad esempio, gli scienziati si preoccupano di quando la riduzione della popolazione di una specie in via di estinzione arriverà a un punto tale da renderne impossibile il ripristino. I biologi marini temono il momento nel quale la pratica della pesca senza regole innescherà il collasso di una riserva ittica. Sappiamo che ci sono stati punti di rottura nelle società precedenti alla nostra, oltre i quali sono state sopraffatte dalle forze che le minacciavano. È stato ad esempio il caso dell’accumulo di sali minerali nei canali di irrigazione che ha sopraffatto i Sumeri. I Maya invece sono giunti a un punto in cui l’effetto del taglio di troppi alberi e la relativa perdita degli strati superficiali di terreno, è stato semplicemente al di sopra della loro possibilità di gestire la situazione.55
Non è sempre facile prevedere il momento in cui ci si trova di fronte al punto di rottura che porta al declino e al collasso delle società sopraffatte da uno o da più problemi contemporanei. In generale, i paesi economicamente più avanzati sono in grado di affrontare le nuove minacce in modo più efficace dei paesi in via di sviluppo. Per esempio, mentre i governi degli stati industrializzati sono stati in grado di limitare la diffusione dell’Aids al di sotto dell’1% della popolazione adulta, molti stati in via di sviluppo non ci sono riusciti e ora stanno lottando contro un elevato ritmo di diffusione dell’infezione. Ciò è ancora più evidente in alcuni paesi sudafricani, dove il 20% degli adulti ne ha contratto il virus.56 Una situazione simile si ha per la crescita demografica. Mentre in quasi tutti i paesi industrializzati, tranne che negli Stati Uniti, la crescita della popolazione si è fermata, continua a essere rapida negli stati africani, mediorientali e nel subcontinente indiano. Quasi tutti i 70 milioni di persone che rappresentano la crescita mondiale annua nascono in paesi nei quali i sistemi naturali di supporto sono molto danneggiati dall’eccessiva pressione demografica, quindi proprio in quelle nazioni che sono meno in grado di sostenerla. In questi paesi sta crescendo il rischio di un collasso strutturale.57
Alcune questioni, tuttavia, sembrano superare anche la capacità di gestione dei paesi più avanzati. Sarebbe stato logico aspettarsi che negli stati che per primi si sono resi conto della riduzione delle falde acquifere sotterranee, i governi si fossero adoperati per migliorare l’efficienza del consumo idrico e per stabilizzare la popolazione così da ripristinare lo stato degli acquiferi. Sfortunatamente nessun paese, industrializzato o in via di sviluppo, lo ha fatto. Pakistan e Yemen rappresentano due stati in crisi nei quali il sovrasfruttamento delle falde acquifere e le minacce alla sicurezza delle riserve idriche stanno assumendo dimensioni assai preoccupanti. Sebbene la necessità di ridurre le emissioni di anidride carbonica sia evidente da molto tempo, nessun paese, industrializzato o in via di sviluppo, è riuscito a diventare carbon neutral, cioè a bilancio zero nelle emissioni. Finora questo traguardo si è rivelato politicamente troppo difficile, anche per le società tecnologicamente più avanzate. L’aumento dei livelli di anidride carbonica in atmosfera rischierà di essere ingestibile per la civiltà del XXI secolo, così come lo è stato l’aumento di sale nel terreno per la civiltà sumera nel 4000 a.C.? Un’altra potenziale grave tensione è rappresentata dall’imminente calo della produzione petrolifera. Nonostante da vent’anni la produzione mondiale di petrolio superi l’individuazione di nuovi giacimenti, solo la Svezia e l’Islanda hanno un programma che alla lontana somigli a un piano per far fronte alla riduzione della fornitura di petrolio.58
Questo non vuole essere un elenco di problemi irrisolti, ma si vorrebbe dare un’idea di come il numero stia crescendo. Il rischio è che il loro sommarsi e le loro conseguenze possano travolgere sempre più i governi, comportando il proliferare di stati in crisi e infine il tracollo della civiltà. La sfida consiste nel valutare gli effetti delle tensioni sul sistema globale. Effetti abbastanza evidenti nel campo della sicurezza alimentare, che è stata il punto debole di molte civiltà poi estinte. Molti fattori convergenti stanno rendendo difficile per gli agricoltori di tutto il mondo tenere il passo con la crescita della domanda alimentare. Tra questi c’è il calo delle falde idriche, la crescente conversione di terreni a uso non agricolo, e un maggior numero di eventi climatici estremi come ondate di calore, siccità e alluvioni. Di conseguenza, la produzione globale di cereali è risultata inferiore alla domanda in sette degli ultimi otto anni, facendo scendere il livello mondiale delle scorte cerealicole al livello più basso degli ultimi 34 anni. Tra la fine del 2005 e la fine del 2007 il prezzo del mais è quasi raddoppiato e quello del frumento quasi triplicato.59
Proprio quando sembrava che le cose non potessero più peggiorare, gli Stati Uniti, il “paniere” mondiale, ha previsto di raddoppiare la quota di cereali da destinare alla produzione di bioetanolo, dal 16% delle colture nel 2006 al 30% nel 2008. Di fronte a questo enorme incremento nella conversione di cereali in carburante, il prezzo mondiale del grano sta allineandosi al valore del petrolio. Questo infelice sforzo degli Stati Uniti per ridurre la dipendenza dal petrolio ha contribuito a elevare il prezzo dei cereali a livelli mai conosciuti, suscitando un’insicurezza alimentare mondiale senza precedenti. Sulla scia di questo stress, ancora più stati possono entrare in crisi.60
La crisi negli stati arriva improvvisamente e spesso in modo inaspettato. Se si guarda alle civiltà del passato si capisce che di frequente è stato un solo trend ambientale a causare la loro scomparsa. Invece oggi i paesi si trovano ad affrontare più trend contemporaneamente, alcuni dei quali si rinforzano a vicenda. Sumeri e Maya erano civiltà locali, isolate dal resto del mondo nella loro crescita e nella loro decadenza. Al contrario, noi possiamo mobilitarci tutti insieme per salvare la nostra civiltà globale, oppure rischiare di diventare tutti potenziali vittime di una sua distruzione.
1.6 IL PIANO B: UN PIANO DI SPERANZA
Il Piano B è impostato in rapporto a ciò che è necessario per salvare la civiltà, e non in rapporto a quello che può essere considerato politicamente realizzabile. Il Piano B non deriva da una particolare disciplina, da un settore o da una serie di assunti. Attuare il Piano B significa intraprendere diverse azioni contemporaneamente: eliminare la povertà, stabilizzare la popolazione e ripristinare gli ecosistemi terrestri. Il Piano prevede il taglio delle emissioni di anidride carbonica dell’80% entro il 2020, attraverso una mobilitazione per aumentare l’efficienza energetica e sfruttare al meglio le fonti di energia rinnovabile. Non conta tanto la sequenza con la quale attuare un ambizioso piano di salvataggio della nostra civiltà, quanto la velocità con la quale realizzarlo. Dobbiamo essere rapidi come fossimo in guerra, riorganizzare l’economia energetica del mondo a un ritmo che ricordi la trasformazione dell’economia industriale degli Stati Uniti nel 1942 dopo l’attacco giapponese di Pearl Harbor. Il passaggio dalla produzione di autoveicoli a quello di aerei, carrarmati e cannoni venne realizzato nel giro di mesi. E uno dei segreti di questo processo straordinariamente rapido è stato il divieto di vendere automobili, che è durato quasi tre anni.61
Ci troviamo di fronte a una sfida straordinaria, ma c’è da essere ottimisti. Tutti i problemi che dobbiamo affrontare possono essere risolti con le tecnologie esistenti. E quasi tutto ciò che è possibile fare per spostare l’economia mondiale verso un percorso sostenibile è già stato fatto in uno o più paesi. Gli interventi del Piano B prevedono l’utilizzo di tecnologie alternative già presenti sul mercato. Sul fronte energetico, per esempio, un avanzato impianto di turbine eoliche può produrre tanta energia quanto un pozzo petrolifero. Alcuni ingegneri giapponesi hanno ideato un frigorifero che utilizza solo un ottavo di elettricità rispetto a quelli in commercio fino a un decennio fa, ed esistono automobili ibride a benzina ed elettriche che sono due volte più efficienti della media delle vetture.62
Molti paesi stanno portando esempi concreti di applicazione del Piano B. La Danimarca, per esempio, oggi produce il 20% della sua elettricità dal vento e ha pianificato di alzare questa percentuale fino al 50%. Circa 60 milioni di europei oggi ricevono l’energia elettrica domestica da centrali eoliche. Entro la fine del 2007, circa 40 milioni di abitazioni cinesi verranno munite di sistemi solari termici per il riscaldamento dell’acqua a uso domestico. In Islanda quasi il 90% delle abitazioni sono scaldate con energia geotermica. Così facendo, questo paese ha quasi eliminato l’uso del carbone per il riscaldamento.63
Per quanto riguarda il cibo, l’India, impiegando come modello la produzione casearia in piccola scala, che utilizza come fonte alimentare quasi esclusivamente residui di colture, ha più che quadruplicato la sua produzione di latte dal 1970, superando gli Stati Uniti come leader mondiale del settore. Il valore della produzione lattiero-casearia in India oggi supera quello dei raccolti di riso.64
Un avanzato sistema di allevamento del pesce in Cina, centrato sulla poli-coltura della carpa, ne ha fatto il primo paese dove la quantità di pesce allevato supera quella del pescato. Infatti i 32 milioni di tonnellate pro-dotte dall’itticoltura cinese nel 2005, rappresentano circa un terzo del pesce oceanico pescato in tutto il mondo.65
Noi immaginiamo quello che un Piano B potrebbe ottenere su scala mondiale da un caso come quello del rimboschimento delle montagne della Corea del Sud. Un tempo sterilee quasi privo di alberi, il terriorio della Corea del Sud è ora al 65% ricoperto di foreste. Un intervento che ha impedito le inondazioni e l’erosione del suolo, riportando l’equilibrio ambientale e la stabilità alle campagne.66 Gli Stati Uniti, che negli ultimi 20 anni sono tornati a utilizzare pratiche di coltivazione quali la messa a riposo dei campi e il no-till (vedi capitolo 8), hanno ridotto l’erosione del suolo del 40%. Contemporaneamente, i coltivatori del paese hanno aumentato la produzione di cereali di oltre un quinto.67
Alcune delle iniziative più innovative arrivano dalle città. Curitiba, una città brasiliana con un milione di abitanti, ha iniziato a ristrutturare il suo sistema di trasporti nel 1974. Da allora la popolazione è triplicata, ma il livello di traffico è calato del 30%. Amsterdam ha sviluppato un sistema di trasporto urbano alternativo, con il 40% dei percorsi cittadini reso ciclabile. Parigi ha sviluppato un piano di trasporti differenziato che prevede il ruolo fondamentale delle biciclette e intende ridurre il traffico automobilistico del 40%. A Londra per raggiungere lo stesso obiettivo è stata introdotta una ecotassa sulle automobili che entrano in centro.68
Non solo sono disponibili nuove tecnologie, ma alcune di queste possono essere combinate tra loro per giungere a risultati del tutto innovativi. Unire l’uso di automobili ibride a benzina ed elettriche a maggiori investimenti in impianti eolici che immettano in rete energia a basso costo, consentirebbe di percorrere quotidianamente maggiori tragitti con mezzi elettrici e a costi sempre più ridotti. In quasi tutto il mondo, la fornitura di energia elettrica domestica da parte di centrali eoliche può sostituire quella prodotta da petrolio importato.69
La sfida è quella di dare vita a una nuova economia e di procedere rapidamente, prima di perdere di vista i limiti della natura che il sistema economico comincia a rivelare. Questo capitolo introduttivo è seguito da cinque capitoli che indicano le principali sfide ambientali, demografiche ed economiche che la nostra civiltà si trova a fronteggiare. Seguono poi sette capitoli che delineano il Piano B, il cammino che il mondo ha bisogno di intraprendere e come percorrerlo. La nostra civiltà è in difficoltà in seguito a meccanismi che noi stessi abbiamo avviato. La buona notizia è che già esiste un impegno a invertire la tendenza alla distruzione ambientale. Solo per fare un esempio, all’inizio del 2007 l’Australia ha annunciato che proibirà l’uso delle lampade a incandescenza entro il 2010, sostituendole con lampade compatte a fluorescenza che sfruttano solo un quarto di energia rispetto alle prime. Il Canada ha avviato subito dopo un’iniziativa simile. L’Europa, gli Stati Uniti e la Cina si muoveranno nella stessa direzione. Il mondo dovrebbe procedere a una riduzione del consumo mondiale di energia elettrica di quasi il 12%, consentendo di dismettere 705 centrali elettriche a carbone. Questa iniziativa denominata “Ban the Bulb” potrebbe diventare la prima importante vittoria nella lotta alla stabilizzazione del clima.70
Essere coinvolti nella costruzione di questo modello economico nuovo e duraturo è esaltante, come la qualità della vita che ciò comporterà. Potremo respirare aria pulita. Le nostre città saranno meno congestionate, meno rumorose, meno inquinate, e più civili. Un mondo nel quale la crescita demografica si è stabilizzata, le foreste sono in espansione e le emissioni di anidride carbonica in diminuzione, è quindi un mondo possibile.
Quanto proposto e' solo una parte di cio' che occorrerebbe per realizzare una completa politica ecologica.
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