LE TORRI DELLA MORTE
In questi ultimi mesi, grazie anche alla forte impennata delle quotazioni del petrolio, sta ritornando prepotentemente alla ribalta l'idea che l'unica vera alternativa al combustibile fossile sia data dall'energia nucleare, i cui paladini si fanno sempre più spazio sui mezzi d'informazione; negli ultimi mesi sono anche usciti alcuni libri a supporto di questa tesi.
L'ultimo e certamente il migliore della serie, scritto da un illustre fisico italiano, Giancarlo Nebbia, consulente dell'A.I.E.A., si intitola "Nucleare: il frutto proibito", nel quale, pur non tacendo i gravi misfatti dell'uso militare di questa energia e paragonando l'incidente di Chernobyl a quello di Bhopal piuttosto che a quello della diga di Ban Qiao o ad altri disastri petroliferi, induce il lettore a considerare l'incidente nucleare assimilabile, se non inferiore come danni e frequenza, a quelli causati dalle tradizionali fonti energetiche. In tale opera né si fa riferimento ad altri incidenti occorsi né tanto meno si fa accenno al sempre più frequente uso di uranio impoverito negli armamenti convenzionali, fonti di gravi conseguenze sulla salute e sull'ambiente; non si nomina neppure minimamente la teoria della fusione a freddo e si lascia intravedere come unica alternativa al nostro fabbisogno energetico l'uso dell'energia nucleare, evidenziando gli alti costi sia economici che ambientali delle varie forme di approvvigionamento energetico maggiormente in uso.
Vediamo, comunque, nel dettaglio, gli innegabili vantaggi di questa energia "sicura e costante", questa energia "a basso costo" e "fatta in casa", questa energia "pulita". Energia sicura proprio non la si può definire perché, oltre al problema dell'estrazione mineraria e dei trattamenti dell'uranio e degli altri minerali, che comunque possono già dare luogo a contaminazioni, furti ed incidenti, esiste il problema del lunghissimo decadimento delle scorie radioattive, calcolato in migliaia di anni e per le quali non abbiamo ancora trovato nessuna possibilità né di decontaminazione né tantomeno di adeguate protezioni; gli attuali sistemi di incapsulamento e di stoccaggio in particolari siti possono offrire garanzie al massimo per un centinaio di anni, in condizioni normali, garanzie che verrebbero meno nell'eventualità di particolari fenomeni sismici d'una certa rilevanza che, secondo le previsioni dei maggiori sismologhi, potrebbero verificarsi negli anni a venire. Come le centrali nucleari sparse un po' ovunque nel mondo, anche i vari depositi di scorie radioattive, non sempre vigilati come sarebbe richiesto, potrebbero diventare facili bersagli di alcune formazioni terroristiche.
Non abbiamo dunque ancora le tecnologie necessarie per la risoluzione di questo problema ed è altamente immorale lasciare questa pesante eredità alle generazioni future. Irresponsabile a dir poco è stata la politica di molti governi, Gran Bretagna in testa, che dal 1946 al 1982 hanno disseminato nei fondali marini migliaia di fusti avvolti nel cemento contenenti materiale radioattivo, sulla cui resistenza dobbiamo iniziare sin d'ora seriamente a preoccuparci: ma non solo di fusti sono disseminati i fondali dei mari, da quello di Barents a quello del golfo di Napoli a quello della Hawaii e delle Isole Fiji, bensì anche di ordigni atomici e di sottomarini a propulsione nucleare: molti sono i casi di cui siamo a conoscenza, ma sicuramente altrettanti quelli di cui siamo all'oscuro.
Potremmo, inoltre, parlare delle varie Atomgrad, delle varie città atomiche fantasma come quella di Kurchatov, nell'ex Unione Sovietica, dove si costruiscono e si testano ordigni nucleari e dove ci si è serviti delle ignare popolazioni locali per osservare gli effetti delle radiazioni nucleari sua sull'uomo che sugli animali, che sull'intera catena alimentare. Potremmo, inoltre, parlare anche delle decine di città nucleari segrete sotterranee, alcune delle quali abbandonate da anni, in cui giacciono grandi quantità di materiale radioattivo.
E' necessario ora fare una piccola digressione parlando anche del processo di fissione nucleare. L'uranio è un metallo pesante che nella sua forma naturale è costituito da tre isotopi tutti radioattivi, con prevalenza dell'isotopo 238, che a causa della sua grande vita media ha un'attività molto bassa, per utilizzarlo nei reattori o nelle armi nucleari è necessario arricchirlo con gli isotopi fissili 235U e 234U e il materiale che ne deriva è noto come uranio arricchito, mentre il materiale di scarto di questo processo è noto come uranio impoverito (D.U. depleted uranium) che è meno radioattivo di circa il 40% dell'uranio naturale, che però possiede delle qualità fisiche uniche quali la densità elevatissima (19 grammi al cm3, 1,7 volte quella del piombo), una notevole duttilità e inoltre + piroforico e quindi delle piccole particelle prendono spontaneamente fuoco a contatto con l'aria.
Gli USA, producendo circa il 40% dell'energia elettrica con centrali nucleari, detengono una quantità enorme di questo materiale, che a seconda delle fonti varia dalle 270.000 alle 560.000 tonnellate stoccate in cilindri sotto forma di esafluoruro, in tre impianti di diffusione gassosa, probabilmente esistono anche altri siti per gli scarti derivanti dagli impianti nucleari militari.
E' necessaria, comunque, una premessa, l'uranio impoverito, poiché è emettitore di particelle alfa, se contenuto anche solo in una scatola di plastica diventa innocuo, i problemi, che sono gravissimi avvengono nel momento in cui l'uranio entra all'interno del corpo umano o sotto forma di pulviscolo o di schegge. La tossicità chimica rappresenta la fonte di rischio più alta a breve termine ma la radioattività del D.U. può causare seri problemi chimici nel lungo periodo (anni o decenni dopo l'esplosione).
Il principale organo interessato per la tossicità dell'uranio è il rene, infatti le patologie renali sono state le più frequenti nella guerra del Golfo. Il rischio sembra essere minore per i soldati sottoposti a brevi inalazioni di D.U. (uranio impoverito), ma la situazione è certamente diversa per quelli con inalazioni più lunghe o colpiti da proiettili o schegge anche solo di striscio, mentre la situazione potrebbe essere molto pesante per la popolazione, infatti l'uranio lasciato sul campo di battaglia viene lentamente trasportato dal vento e respirato e può contaminare le falde acquifere, entrando nella catena alimentare.
In ambito civile, il D.U. viene usato in medicina per la schermatura delle radiazioni in ospedale, in mineralogia, nei pozzi petroliferi, nei pesi usati per far affondare gli strumenti nei pozzi pieni di fango, in ambito aerospaziale come contrappeso e per le superfici di controllo degli aerei. Non c'è alcun pericolo in questi usi, poiché l'uranio è custodito in appositi spazi che non permettono alle radiazioni di contaminare l'ambiente circostante e in questi ambiti non è soggetto ad esplosione. In ambito militare, il D.U. è usato specialmente nelle munizioni anticarro, infatti il processo di penetrazione polverizza la maggior parte dell'uranio che esplode in frammenti incandescenti quando colpisce l'aria dell'altra parte della corazzatura perforata, aumentandone l'effetto distruttivo, molte altre armi sono candidate oggi a contenere uranio impoverito, dai missili Cruise alle cosiddette bombe intelligenti ai vari tipi di proiettile particolarmente perforanti.
Il professor Doug Rokke, ex direttore del progetto uranio impoverito degli USA e in passato colonnello dell'esercito dispiegato nel deserto dopo la guerra del Golfo in operazioni di bonifica ha asserito che l'uso del D.U. è un crimine di guerra. Il D.U. è stato anche accusato di essere la causa della sindrome del golfo caratterizzata da dolori acuti, spasmi della muscolatura, affaticamento e perdita di memoria che ha colpito circa 200.000 soldati USA dopo il conflitto del 1991. E' anche citato come causa dell'aumentato numero delle nascite di bambini deformi tra le quattro e le sei volte, di forme tumorali tra le sette e le dieci volte, secondo una relazione della commissione dell'ONU. Nel solo 1991, gli alleati hanno sparato 944.000 colpi per circa 2.700 tonnellate di D.U.
Un rapporto dell'authority sull'energia atomica redatto dall'Inghilterra affermava che circa 500.000 persone potrebbero morire prima della fine di questo secolo a causa di scorie radioattive rimaste nel deserto. Certamente, con questo sistema, come abbiamo visto, oltre ad aumentare l'efficacia distruttiva degli armamenti, si riesce anche a liberarsi in maniera redditizia delle proprie scorie radioattive.
Parlando anche dei vari incidenti, non pensiamo solo a Chernobyl o a Sellafield (GB) o Three Mile Island (USA) o Kyshtym (ex URSS) ma anche quello capitato a TOKAIMURA (Giappone), dove l'incidente in una fabbrica di combustibili nucleari scatenò una reazione incontrollata che causò la morte immediata di tre persone e la contaminazione di altre quattrocento, questo per evidenziare la pericolosità di tutta la filiera nucleare. Ricordiamo anche, visto che siamo in Giappone, l'ultimo recente incidente accaduto in quella che era ritenuta una delle centrali più sicure del mondo e dove, per il verificarsi di un sisma particolarmente violento vi fu una fuoriuscita seppur limitata di materiale radioattivo e furono evacuate oltre duecentomila persone.
Tokaymura accident Ma cosa sarebbe successo se un simile evento fosse avvenuto solamente a qualche migliaio di chilometri più ad ovest, in Cina o nelle ex Repubbliche Sovietiche, colpendo centrali obsolete, non certamente costruite in base ai più moderni sistemi antisismici? Ed, inoltre, quanti altri incidenti piccoli o meno piccoli che sono stati tenuti nascosti? In verità, sul nucleare e sui danni alla salute c'è un grande cover up, fatto di tante cose non dette o falsificate da parte di governi, comunità scientifiche ed organi di stampa.
Ricordo un articolo apparso su "La Stampa" di Torino, circa due anni fa, in occasione dell'anniversario dell'incidente di Chernobyl, firmato da uno dei più autorevoli fisici italiani, il professor Tullio Regge, il quale paragonava questa disgrazia citando le cinquantotto vittime ufficiali ad un normale incidente di percorso, simile per numero di decessi ad un incidente stradale che potesse essere capitato ad un'autocorriera. Esterrefatto dalla lettura di questo articolo non ebbi poi la forza di scrivere a quel giornale, proponendo la pubblicazione di alcuni fotogrammi tratti da documentari realizzati all'epoca nei vari ospedali e nei vari istituti vicini al luogo dell'esplosione, che documentavano non solo gli effetti sulle persone ma anche su feti e su bambini nati in seguito.
Sarebbe, altresì, interessante portare le testimonianze di tantissime famiglie italiane che hanno ospitato per anni i bambini di Chernobyl, tra le quali molte hanno avuto modo di visitare le zone colpite e parlare con varie persone, raccogliendo testimonianze e rendendosi davvero conto della portata di quel evento disastroso che a tutto oggi non si è ancora concluso.
Ho avuto, altresì, modo di parlare con alcuni medici italiani, i quali seppur con comprensibile prudenza, hanno avanzato l'ipotesi che l'incremento di alcune forme tumorali (soprattutto al seno) e alcune disfunzioni della tiroide, verificatesi negli anni immediatamente successivi al disastro di Chernobyl siano con buona probabilità da mettere in relazione all'evento stesso. Per parlare ancora di sicurezza, vorrei citare un piccolo aneddoto, perché tale mi sembra: l'ENEL ha investito nella Repubblica Slovacca nel completamento di due reattori a Mochovce quasi 1,9 miliardi di euro per un totale di 880 Megawatt di energia prodotta con una tecnologia sovietica progettata negli anni settanta.
Greenpeace ha presentato a maggio un rapporto sulla sicurezza di quel impianto che si basa sugli ultimi documenti ufficiali disponibili del 2002, ENEL che aveva promesso di fornire il piano di fattibilità con le ultime modifiche non ha ancora consegnato nulla. Ma l'elemento paradossale è la mancanza di un guscio di protezione da eventi esterni come la caduta di un aereo. A questa obiezione ENEL risponde che "la possibilità di un impatto aereo su Mochovce è trascurabile", dichiarazione riportata da Affari e Finanza di Repubblica il giorno prima della ricomparsa del fantomatico Bin Laden in un nuovo video. Se poi vogliamo passare ai bassi costi del nucleare, diciamo che una sola centrale, anche se di 15.000 Megawatt, non servirebbe a nulla perché produrrebbe una quantità di energia insufficiente rispetto al nostro fabbisogno reale e che per ottenere una quantità di energia significativa ne andrebbero costruite almeno dieci, per una spesa di sola costruzione de 30 miliardi di euro (professor Sergio Ulgiati, pubblicato su Famiglia Cristiana n. 39/2007). Non dimentichiamo poi che oltre agli alti costi gestionali, di questa centrale, in Italia disponiamo di pochissimi giacimenti di minerali uraniferi e che, quindi, un domani saremo, seppure in misura nettamente inferiore rispetto al petrolio, sempre in balia delle altalene del mercato dovute all'inesorabile legge della domanda e dell'offerta.
Molti sostengono che è inutile continuare a rifiutarsi di costruire centrali nucleari in Italia quando, dalla Francia alla Svizzera alla Slovenia, importiamo energia prodotta con impianti termonucleari siti al di là dell'arco alpino: innanzitutto non dimentichiamo che esiste pur sempre una distanza di qualche centinaio di chilometri dai nostri maggiori centri abitati e che la possibilità di un incidente nucleare cresce in relazione alla densità degli impianti che insistono su quel territorio, in parole povere costruendo sempre nuove centrali aumentiamo notevolmente la probabilità di incidenti; non va inoltre dimenticato che in una centrale una volta spenta esiste un'attività residua del materiale fissile e che la bonifica del sito richiede tempi medio lunghi e costi elevati.
Abbiamo passato in rassegna i grandi rischi dell'uso dell'energia nucleare non solo in campo militare ma anche in quello civile, abbiamo volutamente insistito più su quello civile che d'altronde è quello che ci interessa maggiormente per il nostro assunto, ma non va dimenticata l'enorme potenzialità distruttiva degli arsenali nucleari sparsi in tutto il mondo con la metà dei quali si farebbe esplodere la Terra causando un collasso dell'intero sistema solare. Vediamo ora quali possono essere le serie alternative all'uso di questa energia. Da più parti si dice che le varie energie, siano esse solari, eoliche, idroelettriche riescono a coprire in minima parte il fabbisogno energetico del pianeta e che le colture agricole, dalle quali si possono ricavare le cosiddette biomasse, facendo lievitare di conseguenza i prezzi dei prodotti agricoli, non solo impoveriscono le nazioni in via di sviluppo, ma sottraggono spazio vitale alle tradizionali coltivazioni per uso alimentare.
Quale può essere, dunque, l'alternativa al nucleare? La prima è una seria formazione ed informazione ad un uso sostenibile ed intelligente dell'energia stessa, da esercitare fin dalle scuole e concentrata su tutti i vari mass media, che porterebbe ad un risparmio energetico di oltre il 20%. Altre alternative esistono: una di queste è sicuramente la cosiddetta fusione fredda, che nel 1989 fece sognare il mondo ma che venne subito boicottata dalle grandi multinazionali, dalla comunità scientifica ufficiale, la stessa che si sta perdendo in un progetto veramente folle come quello della fusione calda, che necessita di temperature di milioni di gradi e che riprodurrebbe in piccolo quel processo che avviene nel sole, purtroppo oltre alle ingenti risorse economiche richieste dal progetto, pensiamo alle difficoltà negli aspetti del controllo della temperatura dei vari materiali di contenimento e della sicurezza dell'intero processo, oltre agli altri già citati costi. Ricordiamo che a differenza di questa tecnica studiata e portata avanti da circa quaranta anni per attuare la fusione calda degli atomi di idrogeno sfruttando enormi macchine capaci di far arrivare la temperatura interna anche a centinaia di milioni di gradi, la fusione fredda proposta da Fleischmann e Pons si basa sul principio dell'elettrolisi e sfrutta un'apparecchiatura semplicissima.
Martin Fleischmann e Stanley Pons Ricordiamo che la fusione fredda non nasce con Fleischmann e Pons: già nell'anno 1926, un chimico tedesco, Friedrich Paneth pubblicò sull'annuario della società di chimica tedesca il rendiconto dei suoi esperimenti sulla fusione e recentemente tali studi sono stati ripresi dal professor Vyaceslv Alekseyev, direttore del laboratorio sulle energie rinnovabili dell'Università di Mosca. Inoltre, anche Enrico Fermi negli anni trenta fece una ricerca per creare un generatore artificiale di neutroni. La nota a firma di Amaldi, Rasetti e Fermi venne pubblicata sulla ricerca scientifica nel 1937, dove si dimostrava la possibilità di sfruttare una reazione atomica particolare per produrre neutroni necessari per bombardare gli atomi. Per realizzare un tale impianto, Fermi usò acqua pesante, cioè un bersaglio contenente una percentuale alta di deuterio allo stato solido e visto il notevole sviluppo di calore, si dovette ricorrere all'aria liquida per mantenere a bassissima temperatura il blocco di ghiaccio. Questa potrebbe essere una prima reazione di fusione nucleare fredda o meglio superfredda. Purtroppo, da allora non venne mai più proposta e applicata se non fino al fatidico 25 marzo 1989. Da quel momento, in tutto il mondo vi furono parecchi ricercatori che continuarono la ricerca, molti a proprie spese, visto che la comunità scientifica e la grande industria tolsero quasi subito i loro finanziamenti a questa ricerca. Anche in Italia abbiamo numerosi ricercatori, tra i quali dobbiamo citare il professor Giuliano Preparata, un uomo ancora capace di lottare per la fusione a freddo e di denunciare la pericolosa situazione di insabbiamento di questa energia. In questi ultimi otto anni infatti, la ricerca ha raggiunto un livello accettabile nel cercare di creare energie a basso costo senza alcun impatto ambientale.
Dott. Costantino Paglialunga Per concludere, voglio citare testualmente le parole di un grande ricercatore italiano, Costantino Paglialunga, il quale ci dice: "la natura ancora non ci svela completamente i suoi segreti e questo perché il materialismo dell'uomo ancora non accetta le leggi dello spirito". Rimane indelebile nella mia mente una dichiarazione dell'insigne scienziato italiano, Gianfranco Valsè Pantellini: "Mendeleev ha parlato di elementi leggeri, elementi medi e elementi pesanti. Tutta la fisica atomica attuale è basata sull'uso di elementi pesanti. Però il fondamento della fisica atomica della natura, il meccanismo base che consente lo scorrere della vita è dato proprio dagli elementi leggeri e dalla loro suscettibilità di trasmutare a bassa energia".
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