LE RETI ECOLOGICHE: Come si protegge la diversità biologica
di Fulvio Di Dio
La più moderna teoria di conservazione della natura afferma che i parchi, per quanto importanti, da soli e per la loro limitata estensione rispetto a tutto il territorio non sono sufficienti per la tutela della biodiversità né per contribuire a pieno a mantenere efficienti i processi evolutivi di piante e animali. A conferma di ciò si fa comunemente riferimento alla Teoria delle isole, una teoria elaborata alla fine degli anni '60 da due biogeografi americani, Mc Arthur e Wilson. Questi ricercatori, in sintesi, scoprirono che le isole più erano piccole e lontane dalla terraferma, maggiore era la diminuzione in ricchezza e diversità di specie vegetali e animali presenti. In seguito altri ricercatori notarono che i parchi e le riserve naturali potevano essere paragonati, naturalisticamente parlando, a vere e proprie isole circondate da territori spesso densamente popolati e antropizzati, quindi simili a barriere quanto quella creata dal mare per le vere isole e quindi con analoghi problemi per la flora e la fauna.
Attualmente è sempre più necessaria e impellente la creazione di reti ecologiche che colleghino fra loro le aree protette in modo da garantire la sopravvivenza delle comunità biologiche e dei processi ecologici, in poche parole dare una possibilità di sopravvivenza alle piante e agli animali per i quali spesso le aree protette sono quasi un ultimo rifugio e anche un luogo da cui ripartire un giorno per riprendere possesso di territori che da tempo l'uomo ha loro sottratto. Creare una rete ecologica significa quindi non solo saper valutare la capacità di interscambio di piante e animali fra territori protetti, ma anche, in senso ecologicamente più ampio, fra i processi ecologici e le comunità umane che dimorano nell'intero sistema territoriale che per semplicità potremmo definire una bioregione [1]. Ecco quindi emergere l'importanza del ruolo dei Comuni, delle scuole e degli abitanti di una bioregione per la creazione di reti ecologiche locali e più in generale nella partecipazione alla pianificazione ecologica.
Le reti ecologiche sono diventate in questi ultimi anni caposaldo delle politiche internazionali di tutela e punto focale per la conservazione della biodiversità attraverso l'individuazione, la salvaguardia e la connessione di siti le cui condizioni naturali sono di primaria importanza. In Europa numerose istituzioni e autorità hanno elaborato diverse reti ecologiche. Il Consiglio d'Europa è stato il primo ad istituire una rete di riserve biogenetiche; l'Unione Europea ha messo a punto negli ultimi decenni una politica di conservazione delle zone centrali europee basandosi sull'adesione degli Stati membri ad una serie di convenzioni a livello europeo ed internazionale per specifici aspetti di conservazione. Possiamo ricordare a questo riguardo: * la Convenzione di Washington del 1973 sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali selvatiche minacciate di estinzione; * la Convenzione di Ramsar del 1971 sulla tutela delle zone umide; * la Convenzione di Berna del 1979, sulla conservazione dei biotopi e la protezione delle specie animali e vegetali selvatiche, che costituisce il fondamento della direttiva comunitaria "Habitat"; * la Convenzione di Bonn del 1979 sulla protezione delle specie animali migratorie appartenenti alla fauna selvatica; * la Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991, in cui viene riconosciuto come ecosistema unitario quello alpino e che individua nella politica di protezione della natura il fattore decisivo del processo di pianificazione del territorio; * la Convenzione sulla Biodiversità di Rio de Janeiro del 1992 per la conservazione della biodiversità; le direttive "Habitat" e "Uccelli" costituiscono il contributo della comunità europea. La diversità normativa dei paesi europei ha creato difficoltà nell'applicare le politiche comuni di conservazione della natura. Ogni Stato è infatti libero di scegliere i provvedimenti più opportuni per proteggere il proprio patrimonio naturale. Solo negli ultimi anni le iniziative a livello internazionale hanno preso il sopravvento sui programmi di protezione del singolo Stato. La creazione di reti ecologiche a livello europeo conferisce un'ulteriore dimensione alla politica di protezione della natura istituendo un'entità organica che prescinda dai confini nazionali.
NATURA 2000 Con la direttiva europea 92/43 "Habitat" le politiche conservazioniste hanno assunto carattere generale e organico, avviando l'istituzione di una rete europea di siti ecologicamente rilevanti denominata Natura 2000. I siti non sono più considerati come sistemi chiusi ma come nodi di una rete: questo principio determina il riconoscimento di aree di connessione ecologica fra i siti, essenziali per i movimenti migratori e lo scambio genetico fra le popolazioni. Le reti a livello della singola nazione vengono utilizzate per predisporre reti ecologiche internazionali: attualmente sono in corso di preparazione in quasi tutti i Paesi europei piani di organizzazioni di reti che spaziano dai piani locali ai piani regionali e nazionali.
RETE EMERAUDE Oltre alla rete Natura 2000 è in fase di attuazione la rete di zone di interesse speciale per la conservazione chiamata Rete Emeraude. Questa scaturisce dall'applicazione dell'articolo 4 della Convenzione sulla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale d'Europa (più nota come Convenzione di Berna), dalla Risoluzione n° 1 del 1989 relativa alla protezione degli habitat, dalle tre Raccomandazioni (n° 14, 15 e 16 del 1989) relative all'istituzione di una rete di zone sempre individuate dalla Convenzione di Berna, e dalla Risoluzione n° 25 del 1991 relativa alla conservazione degli spazi naturali al di fuori delle zone protette vere e proprie. Attualmente sono in fase di determinazione i criteri per selezionare le specie il cui habitat necessita di speciale protezione, le regole per l'istituzione della rete e l'elaborazione digitale per la gestione dei dati. La Rete Emeraude rimane in stretta connessione con tutte le altre iniziative di conservazione e delle reti (Rete Natura 2000, Rete Ecologica Paneuropea, Corine Biotopes); si può considerare un'estensione della Rete Natura 2000 ad un'area geografica più ampia, che abbraccia anche i paesi dell'Europa centrale e orientale. La sua peculiarità sta nel fatto che estenderà oltre i confini degli Stati dell'UE i principi della protezione e della conservazione della natura indicati nella direttiva "Habitat".
RETE ECOLOGICA PANEUROPEA La Rete Emeraude verrà poi integrata nella Rete Ecologica Paneuropea (REP) prevista per il 2005, alla quale parteciperanno tutti i Paesi d'Europa. La realizzazione della REP contribuirà a limitare la scomparsa delle specie e degli habitat ed agevolerà il ripristino delle aree naturali. Il suo punto di forza sarà la varietà dei sistemi nazionali di protezione della natura e la valorizzazione delle esperienze acquisite nella realizzazione dei modelli delle altre reti. Mentre la Rete Natura 2000 e la Rete Emeraude mirano soprattutto a creare una rete di aree centrali carenti però di collegamenti naturali, nell'elaborazione del concetto di REP si deve contrastare la frammentazione e promuovere la scelta di siti collegati da corridoi ecologici. Inoltre le reti ecologiche non hanno un tipo di tutela integrale: una fase del progetto della REP sarà proprio l'elaborazione di una politica integrata, tenendo conto di tutti gli aspetti che caratterizzano il territorio su cui vanno a incidere. Mettere in rete le aree protette d'Europa significa superare il concetto di sito protetto considerato come un'isola naturale che rischia di estinguersi per mancanza di interrelazioni e scambi con altre zone naturali; è sufficiente connettere tra loro queste zone attraverso la creazione di corridoi ecologici, ovvero infrastrutture naturali che favoriscano gli scambi e la dispersione delle specie. Senza una politica di questo tipo le specie europee sono destinate ad estinguersi.
Lo stato attuale delle conoscenze sull'importanza delle reti ecologiche ci porta dunque a riflettere anche sul fatto che bisogna considerare le necessità della vita nella sua globalità e non solo per le necessità della vita umana. In questo senso penso che ci sia proprio bisogno di cominciare veramente a ragionare a lungo termine se vogliamo che noi e chi verrà dopo di noi (piante, animali, umani), si ritrovi a vivere in un ambiente ecologicamente sano. "Pensa alla settima generazione", dovremo fare nostro questo importante insegnamento dei nativi americani. Tutto ciò significa progettare ecologicamente il futuro e agire sul territorio con una conoscenza locale e profonda di esso insieme a un tale rispetto da cercare di prevedere gli effetti delle nostre azioni da oggi a 300 anni! Partendo quindi dal principio generale che tutto il territorio, anche se a livelli diversi, dovrà essere conservato, questo progetto dovrebbe prevedere principalmente: 1. un sistema di aree protette, per la conservazione dei principali ecosistemi e aventi la funzione di "serbatoi" genetici, scientifici e psicologici; 2. corridoi ecologici, per garantire la dispersione naturale di specie e lo scambio del patrimonio genetico fra le popolazioni; 3. zone tampone, ossia territori situati intorno alle zone 1 e 2, innanzitutto per la loro protezione ma anche per la realizzazione di attività umane ecocompatibili e il recupero ambientale di territori degradati. 4. nel resto del territorio e nelle città, la continuazione in maniera sempre più decrescente delle attuali attività non sostenibili nell'ambito di una loro possibile quanto necessaria riconversione alla sostenibilità ecologica, insieme alla creazione di nuovi spazi verdi lasciati alla natura e interconnessi con i sistemi naturali esterni alle città stesse. Il fine ultimo sarà quello di garantire una adeguata continuità ambientale a tutto il territorio. Il lavoro della scuola e di chiunque creda in questo progetto, una vera e consapevole visione ecologica del futuro, sarà quello di rapportarsi principalmente non più con il concetto di sviluppo che se pur sostenibile non è altro che un ulteriore modo per continuare a sfruttare l'ambiente e le sue risorse, ma con un concetto di crescita della coscienza ecologica e spirituale in rapporto alla sacralità della Terra e di conseguenza al luogo dove si vive. La crescita del sé profondo di ciascuno di noi in rapporto alla natura potrà dare molte più soddisfazioni di un rapido arricchimento monetario avuto a scapito dell'ambiente. La teoria scientifica delle reti ecologiche ci porta quindi a riconoscere che "tutto è connesso" [2]. Montagne, fiumi, laghi, mari, piante, animali, esseri umani formano tutti insieme una rete di relazioni e non possono essere separati gli uni dagli altri, pena gravi ripercussioni sull'intero sistema, che esso sia a livello planetario (per esempio, grandi cambiamenti climatici) o locale (per esempio, estinzione di specie animali o vegetali). Se si comprende ciò appieno e in maniera ecologicamente profonda, si capirà bene quindi l'importanza di una politica di pianificazione ecologica, di educazione ambientale e azioni dirette incentrate sulle reti ecologiche. In generale si può pensare che conservare la natura anziché sfruttarla o meglio ancora vivere in una civiltà che decida di incoraggiare la selvaticità, alla fine potrà soddisfare i nostri reali e più importanti bisogni materiali e spirituali.
a cura di Fulvio Di Dio (spec. Diritto e Gestione dell'Ambiente) per comunicazioni:[email protected]
Note: [1] "Bioregione" è il termine coniato negli Stati Uniti all'inizio degli anni '70 e ormai usato comunemente per definire un territorio omogeneo dal punto di vista naturalistico e culturale. "Bioregionalismo" significa semplicemente vivere in un luogo in armonia con la natura. I "bioregionalisti" pensano se stessi principalmente come appartenenti ad una montagna o a un bacino fluviale. La rete della vita, la comunità intera di rocce, piante, animali ed esseri umani, è il loro fondamentale punto di riferimento. [2] F. Capra, La rete della vita, Milano 1997.
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