Nello stesso modo che il corpo e il prana sono per lo hathayogi la chiave di tutte le porte dello yoga, la mente è la chiave del
Raja Yoga. Ma siccome i due sistemi ammettono che la mente dipende dal corpo e dal prana - totalmente nello Hathayoga e solo in parte in quello tradizionale del Raja Yoga -, l'uno e l'altro accettano gli asana e il pranayama, ma mentre l'uno vi consacra tutta la sua attenzione, l'altro limita questi esercizi a un procedimento semplice non attribuendo loro che una funzione limitata.
Non è difficile osservare che l'uomo, anche se è essenzialmente un'anima incarnata, a motivo della sua natura terrestre e delle sue attività mentali, è soprattutto un essere fisico e vitale che sembra dipendere, almeno a prima vista, quasi interamente dal corpo e dal sistema nervoso. Anche la scienza e la psicologia moderne hanno affermato durante un certo tempo che questa dipendenza era una vera e propria identificazione, tentando di dimostrare che mente e anima non hanno esistenza propria e che in realtà tutte le operazioni mentali possono riassumersi in funzionamenti fisici.
Anche al di fuori di questa insostenibile ipotesi, si è talmente esagerata la dipendenza da farne una condizione rigorosamente obbligatoria, e, per molto tempo, il predominio mentale sul funzionamento del corpo e sulla vita, o la possibilità per la mente di staccarsi da entrambi, sono stati considerati come un errore, una pretesa morbosa della mente o una allucinazione. La dipendenza è quindi restata assoluta e la scienza non ha trovato la vera chiave, che d'altra parte non ha nemmeno cercato, non potendo di conseguenza scoprire il segreto della liberazione.
La scienza psico-fisica dello yoga non commette certamente questo errore; essa cerca la chiave, la trova e può effettuare la liberazione, in quanto tiene conto del corpo fisico o del corpo mentale di cui quello fisico è una specie di grossolana riproduzione, potendo in tal modo scoprire certi segreti di esso che non si sarebbero rivelati ad una investigazione puramente fisica. Questo corpo mentale o psichico, che l'anima conserva anche dopo la morte, contiene ugualmente una
forza pranica sottile che corrisponde alle sue natura e sostanza sottili (ovunque vi sia vita esiste necessariamente una energia pranica e una sostanza in cui essa si muove) che passando attraverso un sistema di canali, chiamati nadi (l'organizzazione nervosa sottile del corpo psichico), convergenti in sei centri, o piuttosto sette, tecnicamente chiamati
"loti" o "circoli", chakra, si eleva lungo una scala ascendente fino alle sommità in cui si trova il loto dai mille petali da cui scaturisce l'energia mentale e vitale. Ognuno di questi loti è il centro e il punto di raccolta di un particolare sistema di operazioni, di forze e di energie psicologiche (ogni sistema corrisponde a un piano della nostra esistenza psicologica) che sgorgano con le correnti di energia pranica attraverso i nadi.
Questo schema del corpo psichico è riprodotto dal corpo fisico con la sua colonna vertebrale come uno stelo con i suoi centri somiglianti ai chakra, che si elevano dalla base della colonna, dove si trova il centro più basso, fino al cervello in cui il più alto è situato nel loto dai mille petali, brahmarandhra, alla sommità del cranio. Tuttavia, questi chakra o loti sono chiusi nell'uomo fisico, o non sono che parzialmente aperti facendo si che solo rimangano attivi in lui il genere e la quantità di potere che basta alla sua vita normale, e che solo intervenga il quantum di mente e d'anima sufficienti alle necessità.
Dal punto di vista meccanico, questa è la vera ragione per cui l'anima incarnata sembra dipendere casi strettamente dalla vita corporea e nervosa, anche se questa dipendenza non è né cosi completa né casi reale come potrebbe sembrare a prima vista.
L'energia dell'anima non è interamente attiva nel , corpo né nella vita fisica, i poteri segreti della mente non si sono ancora svegliati e le energie corporee e nervose predominano. Ma l'energia è là, da sempre, addormentata. Si dice che sia arrotolata e sonnolenta come un serpente (è perciò che la si chiama
Kundalini Shakti) nel chakra più basso o Muladhara. Quando il
pranyama dissolve la separazione fra le correnti inferiori e superiori del prana nel corpo, Kundalini riceve una specie di shock e si sveglia, si svolge e incomincia a salire come un serpente di fuoco aprendo ogni loto a mano a mano che va elevandosi, finché la Shakti s'incontra col Purusha nel loto dai mille petali, brahmarandhra, in un profondo samadhi di unione.
Tanto per impiegare un linguaggio meno simbolico e più filosofico, ma forse meno profondo, si può dire che la vera energia del nostro essere è addormentata e incosciente nelle profondità del nostro sistema vitale, e che si sveglia mediante la pratica del pranayama. Nella sua espansione, essa apre tutti i centri del nostro essere psicologico, dove risiedono i poteri e la coscienza di ciò che adesso potrebbe essere chiamato il nostro" sé subliminale"; di conseguenza, man mano che i centri di potere e di coscienza si vanno aprendo, abbiamo accesso a piani psicologici successivi e diveniamo capaci di entrare in comunicazione con i mondi o stati d'essere cosmici che corrispondono loro; tutti i poteri psichici, anormali per l'uomo fisico, ma naturali per l'anima, si sviluppano in noi. Infine, alla sommità dell'ascesa, questa energia ascendente c in espansione s'incontra col sé super cosciente nascosto al di sopra e dietro la nostra esistenza fisica e mentale. Quest'incontro comporta
un profondo samadhi d'unione in cui la nostra coscienza di veglia si perde nel super cosciente. Cosi, mediante una pratica minuziosa ed ininterrotta del pranayama, lo hathayogi perviene, a suo modo, ai risultati psichici e spirituali che gli altri yoga ottengono con metodi psichici e spirituali più diretti. Il solo aiuto mentale che riceve è quello dovuto all'impiego di un mantra, sillaba, nome o formula mistica, che ha una parte di straordinaria importanza nei sistemi di yoga indiani. Il segreto del potere del mantra, dei sei chakra e della Kundalini Shakti, è una delle verità centrali di questa scienza psico-fisica e delle sue complesse pratiche, di cui la filosofia tantrica assicura di darci una esposizione razionale e la più completa e metodica documentazione. Tutte le religioni e le discipline dell'India che si richiamano a metodi principalmente psico-fisici dipendono più o meno dal
tantrismo, nelle loro pratiche.
Il Raja Yoga impiega anch'esso il pranayama per raggiungere gli stessi fini psichici dello Hathayoga, ma essendo il suo sistema basato intieramente sui principi psichici, non se ne serve .che come una delle tante attività nella serie di pratiche, limitando il suo uso a tre o quattro occasioni. Non parte dalle asana né dal pranayama, ma insiste dapprima su una purificazione morale e mentale. Questa pratica preliminare è di estrema importanza; senza di essa il resto del Raja Yoga rischia di essere turbato, sciupato e pieno d'inattesi pericoli mentali, morali e fisici! Secondo il sistema classico, questa purificazione morale si divide in due categorie:
le cinque yama e le cinque niyama. Le yama nell'India moderna, le persone che sono attirate verso lo yoga, ma che raccolgono i procedimenti qua e là, da libri o da persone poco istruite nella materia, si tuffano direttamente nel pranayama del Raja Yoga, con risultati frequentemente disastrosi. Solo coloro che sono spiritualmente forti, possono permettersi di compiere eventuali errori su questo cammino.
Sono regole per il dominio di sé nella condotta morale, come per esempio, dire la verità, astenersi dal fare il male o dall'uccidere, dal rubare ecc., sono regole che indicano semplicemente un bisogno generale di autodominio e di purezza morale. Più largamente yama designa tutte le
autodiscipline che hanno come scopo il placamento dell'egoismo rajasico, delle sue passioni e dei suoi desideri nell'essere umano fino alla completa cessazione. Lo scopo è di creare una calma morale, un vuoto di passioni e di preparare in tal modo la morte dell'egoismo nell'essere umano rajasico.
Le
niyama sono ugualmente una disciplina mentale fondata su certe pratiche da seguirsi con regolarità, di cui la più alta è la meditazione sull'Essere divino; il loro scopo è di creare una calma ed una purezza sattvica ed una preparazione alla concentrazione, che serviranno di base e permetteranno di seguire con sicurezza il resto dello yoga. Quando questa base è assicurata, la pratica delle asana e del pranayama incomincia a dare frutti perfetti. In sé, il controllo della mente e del nostro essere morale mette solamente la nostra coscienza normale nella condizione preliminare corretta; non può apportare l'evoluzione né la manifestazione del superiore essere psichico necessario ai più vasti disegni dello yoga. Per ottenere questa manifestazione, bisogna sciogliere il nodo che unisce l'essere mentale al corpo vitale e al corpo fisico, ed aprire un passaggio all'ascesa, attraverso il nostro superiore essere psichico, per giungere all'unione col Purusha supercosciente. Ci si può arrivare mediante il pranayama.
In quanto alle
asana, il Raja Yoga non li utilizza che nella più facile e naturale posizione, quella che il corpo prende spontaneamente quando è seduto e raccolto, ma con il dorso e la testa formanti una linea retta, verticale, affinché non vi sia nessuna deviazione della colonna vertebrale. La ragione di questa regola è evidentemente legata alla teoria dei sei chakra ed alla circolazione dell'energia vitale fra il Muladhara e il Brahmarandhra.
Il
pranayama del Raja Yoga chiarifica e purifica il sistema nervoso; permette di far circolare l'energia vitale in modo uniforme in tutto il corpo, ed anche di guidarla dove si vuole, a se::onda dei bisogni; in tal modo, possiamo conservare il corpo e l'essere vitale in perfette condizioni di salute e di forza. Ci dà il dominio delle cinque operazioni abituali dell'energia vitale nel nostro sistema ed abolisce contemporaneamente le separazioni abituali che limitano la vita agli usuali movimenti meccanici della vitalità. Apre interamente i sei centri del sistema psico-fìsico e fa entrare nella coscienza di veglia il potere della Shakti e la luce del Purusha, risvegliati e svelati su ognuno dei piani ascendenti.
Accoppiato con l'uso del mantra, introduce nel corpo l'energia divina e prepara e facilita la concentrazione in stato di samadhi che rappresenta il coronamento del Raja Yoga.
La
concentrazione Raja Yoga si divide in quattro tappe: incomincia col ritirare la mente e i sensi delle cose esteriori, passa successivamente a fissarsi sull'unico oggetto della concentrazione ad esclusione di tutte le altre idee ed attività mentali, poi all'assorbimento prolungato della mente su quest'oggetto, arrivando infine a una completa interiorizzazione della coscienza che può allora svincolarsi dalla attività mentale esteriore nell'unità del samadhi. Il vero scopo di questa disciplina mentale è di ritirare la mente dal mondo esteriore per unirsi all'Essere divino. Durante le prime tappe occorre servirsi di un mezzo o di un appoggio mentale affinché la mente, che ha l'abitudine di correre da un oggetto all'altro, si fissi su un solo oggetto, simboleggiante il Divino. Generalmente è un nome, una forma, un mantra che aiutano il pensiero a fissarsi esclusivamente sulla conos::enza o sull'adorazione del Signore. Mediante questa concentrazione sull'idea, la mente passa poi dall'idea alla realtà che l'idea rappresenta e vi s'immerge silenziosa, assorta, unificata. Questo è il metodo tradizionale. Ne esistono anche altri, che sono ugualmente di carattere rajayogico in quanto si servono come chiave dell'essere mentale e psichico. Qualcuno mira alla tranquillizzazione della mente piuttosto che al suo assorbimento immediato, come la disciplina che consiste semplicemente nell'osservarla lasciando che la sua abitudine di vagabondare qua e là si esaurisca in una corsa senza meta e ritirandole ogni assenso; un altro metodo, più vigoroso e più rapidamente efficace, consiste nell'obbligare la mente ad escludere ogni pensiero diretto verso l'esterno e ad immergersi in se stessa, in una tranquillità assoluta da cui non può che riflettere il puro Essere o sparire in una esistenza supercosciente. I metodi differiscono, lo scopo e i risultati sono gli stessi.
Si potrebbe supporre che l'azione e lo scopo del Raja Yoga finiscano qui, in quanto la sua azione è di tranquillizzare le onde di coscienza e le loro molteplici attività, chitta vritti; dapprima prendendo l'abitudine di sostituire la turbata confusione rajasica con la calma luminosa delle attività sattviche, arrestando poi ogni attività; lo scopo è di entrare in una silenziosa comunione con l'anima ed unirsi poi ai Divino. Il sistema del Raja Yoga include altri scopi (quali l’uso e la pratica di poteri occulti), alcuni dei quali non sembrano avere rapporti con il fine principale né essere con esso incompatibili.
Questi
poteri o siddhi, sono frequentemente condannati come un pericolo o una distrazione che deviano lo yogi dai solo legittimo scopo che è l'unione col Divino. Sembrerebbe quindi naturale che essi debbano venire evitati o che comunque, una volta giunti alla meta, divengano superflui e frivoli. Ma il Raja Yoga è una scienza psichica che include tutti gli stati di coscienza superiori e i loro poteri, in modo che l'essere mentale possa elevarsi sino al super cosciente come alla suprema possibilità di unione con l'Altissimo. Inoltre, finché è in un corpo, lo yogi non è sempre mentalmente inattivo, né immerso in samadhi; è quindi necessario tener conto dei poteri e degli stati che gli sono accessibili sui piani superiori dell'essere, se si vuole che la scienza sia completa.
Questi poteri e queste esperienze provengono in primo luogo dai piani vitali e mentali al di sopra del mondo fisico in cui viviamo e sono naturali all'anima nel suo corpo sottile; man mano che la nostra dipendenza dal corpo fisico va decrescendo, queste attività anormali divengono possibili ed anche si manifestano spontaneamente senza che siano volute. Si possono avere e possono essere fissate mediante certi procedimenti forniti dalla scienza del Raja Yoga; la loro utilizzazione dipende allora da un atto di volontà; oppure si può lasciare che si sviluppino da se stesse e servirsene quando vengono a noi spontaneamente o quando il Divino ci spinge ad utilizzarle. Oppure, anche quando si sviluppano e funzionano naturalmente, possono venir rifiutate con un gesto di devozione esclusiva al supremo unico scopo dello yoga. D'altronde esistono poteri più grandi e più completi che provengono dai piani supermentali e che sono gli stessi poteri del Divino, nel suo essere spirituale e nella sua ideazione supermentale.
Questi poteri non possono venire assolutamente assimilati mediante uno sforzo personale, per lo meno se si vogliono possedere in modo sicuro ed integrale; non possono che giungere dall'alto, e divengono naturali quando ci si eleva al di sopra della mente e si vive nell'essere, nella coscienza, nell'ideazione e nel potere spirituale. In tal caso non sono più" siddhi" anormali o laboriosamente acquisiti, ma semplicemente la natura stessa e il modo d'azione del nostro essere, se si continua ad essere attivi nell'esistenza del mondo.
Per un
yoga integrale, i metodi particolari del Raja Yoga e dello Hathayoga, possono essere utili in certi stadi dello sviluppo, ma non sono affatto indispensabili. È vero che i loro principali scopi fanno parte integrante dell'universalità dello yoga integrale, ma si può arrivarci per altre strade. In realtà i metodi dello yoga integrale devono essere innanzi tutto spirituali, e se ci si abitua a dipendere troppo dai metodi fisici o da procedimenti psichici o psico-fisici stereotipi, si sostituiscono metodi superiori con metodi inferiori. Avremo l'occasione di ritornare più tardi su quest’argomento quando affronteremo il principio finale della sintesi dei metodi a cui tende il nostro esame dei diversi yoga.
Tratto da “Sintesi dello Yoga”, vol. II, capitolo 28, Sri Aurobindo, Ubaldini Editore.