Come parli, così è il tuo cuore.
Paracelso

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I SENTIERI DELL' ESSERE
Le mille Vie della Spiritualità
I SENTIERI DELL' ESSERE
LA PRATICA DA SEGUIRE
Un monaco chiese a Dong-Shan:
C'è una pratica che le persone debbano seguire?
Dong Shan rispose:
quando diventi una vera persona c'è una tale pratica.
Sai essere freccia, arco, bersaglio?
<b>Sai essere freccia, arco, bersaglio?

Sai essere freccia, arco, bersaglio?
Conosci la sequenza delle costellazioni?
La fusione dell'idrogeno in elio?
Sai misurare la tua integrità?
Se rispondi
Avrai l'immortalità.

Laura Scottini

MEDITAZIONE TAOISTA
<b>MEDITAZIONE TAOISTA </b>





 

Chiudi gli occhi e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare e sentirai la verità.
Resta in silenzio e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto e troverai l'unione.
Sii quieto e ti muoverai sull'onda dello spirito.
Sii delicato e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente e compirai ogni cosa.
Sii umile e manterrai la tua integrità.

 

IL VUOTO CHE DANZA
IL VUOTO CHE DANZA










di H.W.L. Poonja


Rimani ciò che sei ovunque tu sei.
Se fai così, saprai immediatamente
di essere Quello che hai cercato
per milioni di anni.

Non c'è ricerca,
perchè si cerca solo qualcosa che si è perso.
ma quando niente è andato perduto
non ha senso
cercare qualcosa.

Qui semplicemente Stai Quieto.
Non formare nemmeno un pensiero nella mente.
Allara saprai
Chi sei realmente.

per tre motici la ricerca e la pratica
sono follie fuorvianti
sono l'inganno della mente
per posporre la libertà.
Continua...

PAROLE SU DIO
PAROLE SU DIO

di Simone Weil

Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio. … Così pure, la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni.

Il bello è ciò che si desidera senza volerlo mangiare. Desideriamo che sia. Restare immobili e unirsi a quel che si desidera senza avvicinarsi. Ci si unisce a Dio così: non potendosene avvicinare. La distanza è l’anima del bello.

Nella prima leggenda del Graal è detto che il Graal, pietra miracolosa che in virtù dell’ostia consacrata sazia ogni fame, apparterrà a chi per primo dirà al custode della pietra, il re quasi paralizzato dalla più dolorosa ferita: “Qual è il tuo tormento?”. La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nell’essere capace di domandargli: “Qual è il tuo tormento?”, nel sapere che lo sventurato esiste, non come uno fra i tanti, non come esemplare della categoria sociale ben definita degli “sventurati”, ma in quanto uomo, in tutto simile a noi, che un giorno fu colpito e segnato dalla sventura con un marchio inconfondibile. Per questo è sufficiente, ma anche indispensabile, saper posare su di lui un certo sguardo. Continua...
I BAMBINI
DAGLI OCCHI DI SOLE

I BAMBINI<br> DAGLI OCCHI DI SOLE










Vidi i pionieri ardenti dell’Onnipotente
superando la soglia celeste che è volta alla vita
discendere in frotta i gradini d’ambra della nascita;
precursori d’una moltitudine divina,
essi lasciavano le rotte della stella del mattino
per l’esigua stanza della vita mortale.

Li vidi traversare il crepuscolo di un’era,
i figli dagli occhi di sole di un’alba meravigliosa,
i grandi creatori dall’ampia fronte di calma,
i distruttori possenti delle barriere del mondo
che lottano contro il destino nelle arene della Sua volontà,
operai nelle miniere degli dei,
messaggeri dell’Incomunicabile,
architetti dell’Immortalità.

Nella sfera umana caduta essi entravano,
i volti ancora soffusi della gloria dell’Immortale,
le voci ancora in comunione coi pensieri di Dio,
i corpi magnificati dalla luce dello spirito,
portando la parola magica, il fuoco mistico,
portando la coppa dionisiaca della gioia,
Continua...
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI

di Maurizio Di Gregorio

Tutti cerchiamo qualcosa. Se lo cerchiamo nel mondo materiale pensiamo di trovarlo all’esterno di noi stessi. Se lo cerchiamo nel mondo spirituale siamo portati a credere di poterlo trovare all’interno di noi. Una massima dice: la risposta è dentro di te. Una battuta invece dice: la risposta è dentro di te, ma è sbagliata. Ambedue le affermazioni sono vere perché si riferiscono a due esseri diversi. Uno vero e l’altro falso. Come si fa a sapere quale é l’Io interiore che contiene tutte le risposte della vita? Dalla felicità. Nel primo caso si sa solo che si è felici, sia pure per un attimo, si è completamente, immensamente e interamente felici e più correttamente si dovrebbe chiamarla beatitudine. Nel secondo caso sappiamo solo, che a dispetto di ogni altra cosa, momentanea soddisfazione o eccitazione, non si è veramente felici. 
Aivanhov, definendo la natura umana, parla della coesistenza di una natura inferiore e di una natura superiore. All’interno di ognuno è una continua lotta tra due esseri (o stati di essere) in competizione che Aivanhov chiama Personalità e Individualità. “Persona “ è la maschera e in ogni incarnazione la maschera è diversa, “Individualità” è l’abitante della maschera, colui che non cambia, il vero Sé divino. La personalità è in parte ancora inesistente nel bambino ma già tracciata, si sviluppa con l’età come la trama di un tessuto e si consuma nella vecchiaia. Il risveglio dell’anima consiste nel riconoscimento del Sé interiore e nell’abbandono momentaneo della maschera della personalità. Ora anche se possiamo capire qualcosa del nostro essere maschera, né la mente, né il cuore né la volontà sono risolutivi.
E questo perché mente cuore e volontà sono una triade che esiste tanto nella natura delle Individualità quanto nella natura della Personalità.
“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” Quale è, in ogni dato momento, il cuore che chiede, la mente che cerca, la volontà che agisce? La strada dell’evoluzione spirituale, cioè della evoluzione dell’essere allo Spirito, è insidiosa perché ad ogni sviluppo della Individualità segue uno sviluppo della Personalità. Differentemente il discernimento è possibile solo dal punto di vista della Coscienza Superiore che è esattamente ciò che si illumina.
Fuori da questa esperienza si persiste sempre in un tipo di coscienza media, anche se ampliata o sofisticata, una coscienza media perché media in un equilibrio precario le necessità delle due nature....Continua...
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA

di Ervin Laszlo

Il grande compito, la grande sfida del nostro tempo è cambiare se stessi.
Questo elenco delle principali caratteristiche della nuova visione, della nuova coscienza, è scritto per stimolare la trasformazione, perché è possibile acquisire una nuova consapevolezza, perché tutti possono evolvere, tante persone l'hanno già fatto ed è diventata una conditio sine qua non della nostra sopravvivenza sulla Terra.
La prima caratteristica è l'olismo, la visione olistica, per contrastare la visione frammentaria, disciplinaria, atomistica, che separa tutto: la mente dalla natura, l'uomo e la società dalla biosfera, e tutti i campi della realtà l'uno dall'altro. La visione olistica è proprio quella comprensione Continua...
I FIGLI DELLA LUCE
I FIGLI DELLA LUCE




 


I Figli della Luce si nutrono di Pace, Libertà, Amore, Giustizia, Grazia, Benevolenza, Comprensione, Compassione, Generosità, Bontà, Luce, Verità, Positività, trasmettendo tutto questo intorno a loro. Le creature che vengono in contatto con i Figli della Luce percepiscono la Positività dell’operato della “Luce Amore” e uno stato di benessere entra in loro. Non sono consapevoli della fonte di questa Positività, ma stanno volentieri in compagnia dei Figli Luce dispensatori d’Amore.
Continua...
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA

di Matthew Fox

L’ecologia e la spiritualità sono le due facce della stessa medaglia. La religione deve lasciar andare i dogmi in modo da poter riscoprire la saggezza del mondo.
Come dovrebbe essere una religione ecologica? Negli ultimi 300 anni l’umanità è stata coinvolta in una grande desacralizzazione del pianeta, dell’universo e della propria anima, e questo ha dato origine all’oltraggio ecologico. Saremo capaci di recuperare il senso del sacro?La religione del futuro non sarà una religione in senso stretto del termine, dovrà imparare a lasciare andare la religione. Il Maestro Eckhart, nel quattordicesimo secolo disse, “Prego Dio di liberarmi da Dio”. Per riscoprire la spiritualità, che è il cuore autentico di ogni religione vera e fiorente, dobbiamo liberarci dalla religione. Sembra un paradosso. La spiritualità significa usare il cuore, vivere nel mondo, dialogare con il nostro sé interiore e non semplicemente vivere a un livello organizzativo esterno.
E. F. Schumacher, nel suo profetico modo di scrivere, disse, nell’epilogo di Piccolo è bello, “Dappertutto la gente chiede, ‘Cosa posso fare praticamente?’ La risposta è tanto semplice quanto sconcertante, possiamo, ciascuno di noi, mettere in ordine la nostra casa intima, interiore. Per far questo non troviamo una guida nella scienza o nella tecnologia, poiché i valori sui quali esse si poggiano dipendono sommamente dal fine per il quale sono destinate. Tale guida la si può invece ancora trovare nella tradizionale saggezza dell’umanità”.
Tommaso d’Aquino, nel tredicesimo secolo disse, “Le rivelazioni si trovano in due volumi – la Bibbia e la natura”. Ma la teologia, a partire dal sedicesimo secolo, ha messo troppa enfasi nelle parole della Bibbia, o del Vaticano o dei professori, ha messo tutte le uova nel paniere delle parole, parole umane, e ha dimenticato la seconda fonte della rivelazione, la natura!
Il Maestro Eckhart disse, “Ogni creatura è la parola di Dio e un libro su Dio”. In altre parole, ogni creatura è una Bibbia. Ma come ci avviciniamo alla saggezza biblica, alla saggezza sacra delle creature? Col silenzio. C’è bisogno di un cuore silente per ascoltare la saggezza del vento, degli alberi, dell’acqua e della terra. Nella nostra ossessiva cultura verbale, abbiamo perso il senso del silenzio. Schumacher disse, “Siamo ormai troppo intelligenti per sopravvivere senza saggezza”. Continua... 
SULL'ANARCHIA BUDDISTA
SULL'ANARCHIA BUDDISTA di Gary Snyder

Da un punto di vista buddista, l'ignoranza che si proietta nella paura e nel vano appetito impediscono la manifestazione naturale. Storicamente, i filosofi buddisti non hanno saputo analizzare fino a che punto l'ignoranza e la sofferenza erano dovuti o favoriti da fattori sociali, considerando il timore e il desiderio come fatti intrinseci alla condizione umana. Così, la filosofia buddista si interessò principalmente alla teoria della conoscenza e la psicologia fu svantaggiata, per dare più spazio allo studio dei problemi storici e sociologici. Anche il buddismo Mahayana possiede un'ampia visione della salvezza universale, la sua realizzazione effettiva si è concretizzata nello sviluppo di sistemi pratici di meditazione per liberare a una minoranza di individui da blocchi psicologici e condizionamenti culturali. Il buddismo istituzionale è stato chiaramente disposto ad accettare o a ignorare le disuguaglianze e le tirannie sotto il sistema politico che vigeva. È stata come la morte del buddismo, posto che è comunque la morte che riesce a far comprendere il significato della compassione. La saggezza senza compassione non sente dolore.
Continua...
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RAJA YOGA


Nello stesso modo che il corpo e il prana sono per lo hathayogi la chiave di tutte le porte dello yoga, la mente è la chiave del Raja Yoga. Ma siccome i due sistemi ammettono che la mente dipende dal corpo e dal prana - totalmente nello Hathayoga e solo in parte in quello tradizionale del Raja Yoga -, l'uno e l'altro accettano gli asana e il pranayama, ma mentre l'uno vi consacra tutta la sua attenzione, l'altro limita questi esercizi a un procedimento semplice non attribuendo loro che una funzione limitata.

Non è difficile osservare che l'uomo, anche se è essenzialmente un'anima incarnata, a motivo della sua natura terrestre e delle sue attività mentali, è soprattutto un essere fisico e vitale che sembra dipendere, almeno a prima vista, quasi interamente dal corpo e dal sistema nervoso. Anche la scienza e la psicologia moderne hanno affermato durante un certo tempo che questa dipendenza era una vera e propria identificazione, tentando di dimostrare che mente e anima non hanno esistenza propria e che in realtà tutte le operazioni mentali possono riassumersi in funzionamenti fisici.
Anche al di fuori di questa insostenibile ipotesi, si è talmente esagerata la dipendenza da farne una condizione rigorosamente obbligatoria, e, per molto tempo, il predominio mentale sul funzionamento del corpo e sulla vita, o la possibilità per la mente di staccarsi da entrambi, sono stati considerati come un errore, una pretesa morbosa della mente o una allucinazione. La dipendenza è quindi restata assoluta e la scienza non ha trovato la vera chiave, che d'altra parte non ha nemmeno cercato, non potendo di conseguenza scoprire il segreto della liberazione.

La scienza psico-fisica dello yoga non commette certamente questo errore; essa cerca la chiave, la trova e può effettuare la liberazione, in quanto tiene conto del corpo fisico o del corpo mentale di cui quello fisico è una specie di grossolana riproduzione, potendo in tal modo scoprire certi segreti di esso che non si sarebbero rivelati ad una investigazione puramente fisica. Questo corpo mentale o psichico, che l'anima conserva anche dopo la morte, contiene ugualmente una forza pranica sottile che corrisponde alle sue natura e sostanza sottili (ovunque vi sia vita esiste necessariamente una energia pranica e una sostanza in cui essa si muove) che passando attraverso un sistema di canali, chiamati nadi (l'organizzazione nervosa sottile del corpo psichico), convergenti in sei centri, o piuttosto sette, tecnicamente chiamati "loti" o "circoli", chakra, si eleva lungo una scala ascendente fino alle sommità in cui si trova il loto dai mille petali da cui scaturisce l'energia mentale e vitale. Ognuno di questi loti è il centro e il punto di raccolta di un particolare sistema di operazioni, di forze e di energie psicologiche (ogni sistema corrisponde a un piano della nostra esistenza psicologica) che sgorgano con le correnti di energia pranica attraverso i nadi.
Questo schema del corpo psichico è riprodotto dal corpo fisico con la sua colonna vertebrale come uno stelo con i suoi centri somiglianti ai chakra, che si elevano dalla base della colonna, dove si trova il centro più basso, fino al cervello in cui il più alto è situato nel loto dai mille petali, brahmarandhra, alla sommità del cranio. Tuttavia, questi chakra o loti sono chiusi nell'uomo fisico, o non sono che parzialmente aperti facendo si che solo rimangano attivi in lui il genere e la quantità di potere che basta alla sua vita normale, e che solo intervenga il quantum di mente e d'anima sufficienti alle necessità.

Dal punto di vista meccanico, questa è la vera ragione per cui l'anima incarnata sembra dipendere casi strettamente dalla vita corporea e nervosa, anche se questa dipendenza non è né cosi completa né casi reale come potrebbe sembrare a prima vista.
L'energia dell'anima non è interamente attiva nel , corpo né nella vita fisica, i poteri segreti della mente non si sono ancora svegliati e le energie corporee e nervose predominano. Ma l'energia è là, da sempre, addormentata. Si dice che sia arrotolata e sonnolenta come un serpente (è perciò che la si chiama Kundalini Shakti) nel chakra più basso o Muladhara. Quando il pranyama dissolve la separazione fra le correnti inferiori e superiori del prana nel corpo, Kundalini riceve una specie di shock e si sveglia, si svolge e incomincia a salire come un serpente di fuoco aprendo ogni loto a mano a mano che va elevandosi, finché la Shakti s'incontra col Purusha nel loto dai mille petali, brahmarandhra, in un profondo samadhi di unione.

Tanto per impiegare un linguaggio meno simbolico e più filosofico, ma forse meno profondo, si può dire che la vera energia del nostro essere è addormentata e incosciente nelle profondità del nostro sistema vitale, e che si sveglia mediante la pratica del pranayama. Nella sua espansione, essa apre tutti i centri del nostro essere psicologico, dove risiedono i poteri e la coscienza di ciò che adesso potrebbe essere chiamato il nostro" sé subliminale"; di conseguenza, man mano che i centri di potere e di coscienza si vanno aprendo, abbiamo accesso a piani psicologici successivi e diveniamo capaci di entrare in comunicazione con i mondi o stati d'essere cosmici che corrispondono loro; tutti i poteri psichici, anormali per l'uomo fisico, ma naturali per l'anima, si sviluppano in noi. Infine, alla sommità dell'ascesa, questa energia ascendente c in espansione s'incontra col sé super cosciente nascosto al di sopra e dietro la nostra esistenza fisica e mentale. Quest'incontro comporta un profondo samadhi d'unione in cui la nostra coscienza di veglia si perde nel super cosciente. Cosi, mediante una pratica minuziosa ed ininterrotta del pranayama, lo hathayogi perviene, a suo modo, ai risultati psichici e spirituali che gli altri yoga ottengono con metodi psichici e spirituali più diretti. Il solo aiuto mentale che riceve è quello dovuto all'impiego di un mantra, sillaba, nome o formula mistica, che ha una parte di straordinaria importanza nei sistemi di yoga indiani. Il segreto del potere del mantra, dei sei chakra e della Kundalini Shakti, è una delle verità centrali di questa scienza psico-fisica e delle sue complesse pratiche, di cui la filosofia tantrica assicura di darci una esposizione razionale e la più completa e metodica documentazione. Tutte le religioni e le discipline dell'India che si richiamano a metodi principalmente psico-fisici dipendono più o meno dal tantrismo, nelle loro pratiche.

Il Raja Yoga impiega anch'esso il pranayama per raggiungere gli stessi fini psichici dello Hathayoga, ma essendo il suo sistema basato intieramente sui principi psichici, non se ne serve .che come una delle tante attività nella serie di pratiche, limitando il suo uso a tre o quattro occasioni. Non parte dalle asana né dal pranayama, ma insiste dapprima su una purificazione morale e mentale. Questa pratica preliminare è di estrema importanza; senza di essa il resto del Raja Yoga rischia di essere turbato, sciupato e pieno d'inattesi pericoli mentali, morali e fisici! Secondo il sistema classico, questa purificazione morale si divide in due categorie: le cinque yama e le cinque niyama. Le yama nell'India moderna, le persone che sono attirate verso lo yoga, ma che raccolgono i procedimenti qua e là, da libri o da persone poco istruite nella materia, si tuffano direttamente nel pranayama del Raja Yoga, con risultati frequentemente disastrosi. Solo coloro che sono spiritualmente forti, possono permettersi di compiere eventuali errori su questo cammino. Sono regole per il dominio di sé nella condotta morale, come per esempio, dire la verità, astenersi dal fare il male o dall'uccidere, dal rubare ecc., sono regole che indicano semplicemente un bisogno generale di autodominio e di purezza morale. Più largamente yama designa tutte le autodiscipline che hanno come scopo il placamento dell'egoismo rajasico, delle sue passioni e dei suoi desideri nell'essere umano fino alla completa cessazione. Lo scopo è di creare una calma morale, un vuoto di passioni e di preparare in tal modo la morte dell'egoismo nell'essere umano rajasico.

Le niyama sono ugualmente una disciplina mentale fondata su certe pratiche da seguirsi con regolarità, di cui la più alta è la meditazione sull'Essere divino; il loro scopo è di creare una calma ed una purezza sattvica ed una preparazione alla concentrazione, che serviranno di base e permetteranno di seguire con sicurezza il resto dello yoga. Quando questa base è assicurata, la pratica delle asana e del pranayama incomincia a dare frutti perfetti. In sé, il controllo della mente e del nostro essere morale mette solamente la nostra coscienza normale nella condizione preliminare corretta; non può apportare l'evoluzione né la manifestazione del superiore essere psichico necessario ai più vasti disegni dello yoga. Per ottenere questa manifestazione, bisogna sciogliere il nodo che unisce l'essere mentale al corpo vitale e al corpo fisico, ed aprire un passaggio all'ascesa, attraverso il nostro superiore essere psichico, per giungere all'unione col Purusha supercosciente. Ci si può arrivare mediante il pranayama.

In quanto alle asana, il Raja Yoga non li utilizza che nella più facile e naturale posizione, quella che il corpo prende spontaneamente quando è seduto e raccolto, ma con il dorso e la testa formanti una linea retta, verticale, affinché non vi sia nessuna deviazione della colonna vertebrale. La ragione di questa regola è evidentemente legata alla teoria dei sei chakra ed alla circolazione dell'energia vitale fra il Muladhara e il Brahmarandhra.
Il pranayama del Raja Yoga chiarifica e purifica il sistema nervoso; permette di far circolare l'energia vitale in modo uniforme in tutto il corpo, ed anche di guidarla dove si vuole, a se::onda dei bisogni; in tal modo, possiamo conservare il corpo e l'essere vitale in perfette condizioni di salute e di forza. Ci dà il dominio delle cinque operazioni abituali dell'energia vitale nel nostro sistema ed abolisce contemporaneamente le separazioni abituali che limitano la vita agli usuali movimenti meccanici della vitalità. Apre interamente i sei centri del sistema psico-fìsico e fa entrare nella coscienza di veglia il potere della Shakti e la luce del Purusha, risvegliati e svelati su ognuno dei piani ascendenti.
Accoppiato con l'uso del mantra, introduce nel corpo l'energia divina e prepara e facilita la concentrazione in stato di samadhi che rappresenta il coronamento del Raja Yoga.

La concentrazione Raja Yoga si divide in quattro tappe: incomincia col ritirare la mente e i sensi delle cose esteriori, passa successivamente a fissarsi sull'unico oggetto della concentrazione ad esclusione di tutte le altre idee ed attività mentali, poi all'assorbimento prolungato della mente su quest'oggetto, arrivando infine a una completa interiorizzazione della coscienza che può allora svincolarsi dalla attività mentale esteriore nell'unità del samadhi. Il vero scopo di questa disciplina mentale è di ritirare la mente dal mondo esteriore per unirsi all'Essere divino. Durante le prime tappe occorre servirsi di un mezzo o di un appoggio mentale affinché la mente, che ha l'abitudine di correre da un oggetto all'altro, si fissi su un solo oggetto, simboleggiante il Divino. Generalmente è un nome, una forma, un mantra che aiutano il pensiero a fissarsi esclusivamente sulla conos::enza o sull'adorazione del Signore. Mediante questa concentrazione sull'idea, la mente passa poi dall'idea alla realtà che l'idea rappresenta e vi s'immerge silenziosa, assorta, unificata. Questo è il metodo tradizionale. Ne esistono anche altri, che sono ugualmente di carattere rajayogico in quanto si servono come chiave dell'essere mentale e psichico. Qualcuno mira alla tranquillizzazione della mente piuttosto che al suo assorbimento immediato, come la disciplina che consiste semplicemente nell'osservarla lasciando che la sua abitudine di vagabondare qua e là si esaurisca in una corsa senza meta e ritirandole ogni assenso; un altro metodo, più vigoroso e più rapidamente efficace, consiste nell'obbligare la mente ad escludere ogni pensiero diretto verso l'esterno e ad immergersi in se stessa, in una tranquillità assoluta da cui non può che riflettere il puro Essere o sparire in una esistenza supercosciente. I metodi differiscono, lo scopo e i risultati sono gli stessi.

Si potrebbe supporre che l'azione e lo scopo del Raja Yoga finiscano qui, in quanto la sua azione è di tranquillizzare le onde di coscienza e le loro molteplici attività, chitta vritti; dapprima prendendo l'abitudine di sostituire la turbata confusione rajasica con la calma luminosa delle attività sattviche, arrestando poi ogni attività; lo scopo è di entrare in una silenziosa comunione con l'anima ed unirsi poi ai Divino. Il sistema del Raja Yoga include altri scopi (quali l’uso e la pratica di poteri occulti), alcuni dei quali non sembrano avere rapporti con il fine principale né essere con esso incompatibili.
Questi poteri o siddhi, sono frequentemente condannati come un pericolo o una distrazione che deviano lo yogi dai solo legittimo scopo che è l'unione col Divino. Sembrerebbe quindi naturale che essi debbano venire evitati o che comunque, una volta giunti alla meta, divengano superflui e frivoli. Ma il Raja Yoga è una scienza psichica che include tutti gli stati di coscienza superiori e i loro poteri, in modo che l'essere mentale possa elevarsi sino al super cosciente come alla suprema possibilità di unione con l'Altissimo. Inoltre, finché è in un corpo, lo yogi non è sempre mentalmente inattivo, né immerso in samadhi; è quindi necessario tener conto dei poteri e degli stati che gli sono accessibili sui piani superiori dell'essere, se si vuole che la scienza sia completa.
Questi poteri e queste esperienze provengono in primo luogo dai piani vitali e mentali al di sopra del mondo fisico in cui viviamo e sono naturali all'anima nel suo corpo sottile; man mano che la nostra dipendenza dal corpo fisico va decrescendo, queste attività anormali divengono possibili ed anche si manifestano spontaneamente senza che siano volute. Si possono avere e possono essere fissate mediante certi procedimenti forniti dalla scienza del Raja Yoga; la loro utilizzazione dipende allora da un atto di volontà; oppure si può lasciare che si sviluppino da se stesse e servirsene quando vengono a noi spontaneamente o quando il Divino ci spinge ad utilizzarle. Oppure, anche quando si sviluppano e funzionano naturalmente, possono venir rifiutate con un gesto di devozione esclusiva al supremo unico scopo dello yoga. D'altronde esistono poteri più grandi e più completi che provengono dai piani supermentali e che sono gli stessi poteri del Divino, nel suo essere spirituale e nella sua ideazione supermentale.
Questi poteri non possono venire assolutamente assimilati mediante uno sforzo personale, per lo meno se si vogliono possedere in modo sicuro ed integrale; non possono che giungere dall'alto, e divengono naturali quando ci si eleva al di sopra della mente e si vive nell'essere, nella coscienza, nell'ideazione e nel potere spirituale. In tal caso non sono più" siddhi" anormali o laboriosamente acquisiti, ma semplicemente la natura stessa e il modo d'azione del nostro essere, se si continua ad essere attivi nell'esistenza del mondo.
Per un yoga integrale, i metodi particolari del Raja Yoga e dello Hathayoga, possono essere utili in certi stadi dello sviluppo, ma non sono affatto indispensabili. È vero che i loro principali scopi fanno parte integrante dell'universalità dello yoga integrale, ma si può arrivarci per altre strade. In realtà i metodi dello yoga integrale devono essere innanzi tutto spirituali, e se ci si abitua a dipendere troppo dai metodi fisici o da procedimenti psichici o psico-fisici stereotipi, si sostituiscono metodi superiori con metodi inferiori. Avremo l'occasione di ritornare più tardi su quest’argomento quando affronteremo il principio finale della sintesi dei metodi a cui tende il nostro esame dei diversi yoga.

Tratto da “Sintesi dello Yoga”, vol. II, capitolo 28, Sri Aurobindo, Ubaldini Editore.
 
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