UN CUORE PIENO DI MERAVIGLIA
di Katie Green
L’unione tra scienza e spiritualità rispecchia la trasformazione che sta avvenendo negli individui.
Dando una rapida occhiata nella lente metto bene a fuoco il mio microscopio. Il campione, un’ameba viva, si muove lentamente nel suo contenitore. È soltanto una singola cellula, invisibile a occhio nudo, posso percepire la sua complessità solamente con un forte ingrandimento e notare gli innumerevoli processi e reazioni che avvengono sotto ai miei occhi ogni momento. Particelle piccolissime aumentano improvvisamente d’intensità e la cellula ondeggia, si allunga e si muove in un’altra direzione.
Il mio compito è quello di descrivere come questo accada, come la cellula si allunghi per inghiottire il cibo formando così strutture proteiche, scrivo su come fa a sapere dove e quando assemblarle.
Nonostante ciò, la mia mente non è completamente focalizzata sull’anatomia e fisiologia della mia ameba. Mentre, assorta, la osservo, sono colma di umiltà e rispetto, sento il vibrare di ogni mia cellula mentre percepisco la vita nell’ameba. Sono sopraffatta dall’esperienza di sentirmi viva e di come la vita ci colleghi tutti: me, l’ameba, tutti gli altri studenti e amebe del laboratorio. Respiro profondamente e mi riempio del sentimento di comunione e meraviglia.
Non posso descrivere questa sensazione. Penso che se consegnassi un rapporto dichiarando il senso profondo di unità che mi collega all’ameba, sarei cacciata via dall’università come tossicodipendente! Tuttavia questa mia empatia con l’ameba, con la quercia o con l’universo intero, è il vero amore che mi ha ispirato a studiare biologia.
Desidero ardentemente una scienza che rispetti ambedue gli aspetti della mia esperienza: sia l’analisi e la comprensione scientifica della vita sia lo spirito di comunione con la vita. Onorandoli entrambi la scienza si aprirebbe alla saggezza umana che proviene dalle sue diverse relazioni con lo spirito. Porterebbe inoltre il respiro della vita agli stessi scienziati, infondendo, ai loro scopi accademici, amore, compassione e connessione con l’universo.
Molti degli scienziati con i quali lavoro considerano la spiritualità alquanto spassosa. Ammetto raramente di meditare, di contemplare o di avere un’esperienza spirituale, questo suona blasfemo alla scienza e si incorre nella vergogna e nel ridicolo. Questo atteggiamento è dominante perché lo spirito è qualcosa che va al di là dello scopo del sapere, del fatto e dell’evidenza. La scienza si focalizza sui meccanismi e sul materialismo, vede l’universo come un insieme di azioni e reazioni di atomi nello spazio. La conoscenza di questo universo-macchina si ottiene attraverso l’osservazione e le misurazioni, quindi viene concessa importanza soltanto alle cose che possono essere osservate e quantificate. Questo può essere visto come una considerazione estrema della filosofia di Cartesio: la dualità tra la materia e la mente.
Da questa separazione, la scienza ha riconosciuto nella materia la sola realtà e la mente come un artefatto illusorio. Siccome lo spirito non può esistere in termini materiali, viene messo da parte come qualcosa di non esistente, che va oltre la mente umana. I fenomeni non misurabili, come i sentimenti, i valori e gli scopi sono visti come prodotti accessori della nostra coscienza, la consapevolezza che ci mette in grado di osservare, pensare e conoscere il nostro universo.
La spiritualità riconosce valore e scopo alle cose che invece la scienza attribuisce al caso, in questo modo non c’è da stupirsi se queste due visioni non si possono integrare. Poiché la scienza osserva l’universo come una macchina fortuita e inesorabile dobbiamo capire perché questo è generalmente ritenuto inconcepibile. La ragione è quella di aderire a un contesto ordinato di pensieri e convinzioni del quale il punto di vista scientifico è completamente circondato.
È importante riconoscere che non si tratta di arroganza o ignoranza, ma di un convincimento basato su quello che è considerato come una evidenza non discutibile. Gli scienziati stessi e la società dimenticano che la scienza è davvero un livello di coscienza.
L’educazione scientifica insegna un metodo percettivo che esclude gli aspetti non fisici dell’esperienza. La coscienza scientifica ricerca obbiettività, riconosce soltanto quello che può essere osservato e misurato. Gli scienziati, in quanto individui, non scelgono di respingere fenomeni soggettivi e non quantificabili. La loro scelta è predeterminata dal loro livello di coscienza ed è quindi ristretta agli assunti sui quali si basa la scienza. Non desidero lanciarmi contro la scienza. Come aspirante scienziata apprezzo e ammiro il sapere che essa fornisce. Nonostante ciò, questo non mi impedisce di riconoscere i limiti del sistema.
Da quando la scienza è vista come un fatto indiscutibile, è facile dimenticare che il sapere scientifico corrente ha nel suo nucleo centrale una serie di teorie che non sono, o non sono state ancora dimostrate sbagliate.
La scienza può essere mal interpretata come una disciplina che ha come obiettivo circoscritto e tangibile quello del sapere universale. È in effetti un viaggio infinito nutrito dalla meraviglia dell’uomo nei riguardi dell’universo. La scienza rappresenta niente di più, e niente di meno che la nostra migliore interpretazione della realtà in un dato momento. Col tempo, alcune teorie, se non si sono rivelate utili, sono state respinte o sono state sviluppate per fornirci una comprensione più approfondita. Curiosamente, questo non è il modo col quale viene vista la scienza, ritenuta un paradigma fondamentale della nostra cultura, tanto che l’evidenza scientifica viene considerata come un’inconfutabile conoscenza della realtà.
La scienza è un processo di acquisizione di conoscenza e comprensione dell’universo, tuttavia, siccome è portata avanti da esseri umani, è limitata a quello che noi umani possiamo percepire. Per raccogliere informazioni sul mondo possediamo solo i sensi fisici e nessuno di essi è completo. La vista è confinata a una ristretta gamma di colori, l’udito percepisce solo certe frequenze specifiche.
L’universo è colmo di informazioni sensoriali che vanno oltre le nostre percezioni. Gli insetti possono vedere gli ultravioletti, gli uccelli possono prevedere l’arrivo delle tempeste dal rumore del vento sulle montagne, gli elefanti comunicano a distanza di diversi chilometri usando suoni a bassa frequenza. Alcuni organismi possono perfino sentire le correnti elettriche o i campi magnetici che gli esseri umani non possono percepire.
Anche se ampliamo i nostri sensi (con l’aiuto di microscopi estremamente sensibili, telescopi e altri sofisticati strumenti) non saremo mai sicuri di star attingendo a tutta la gamma di informazioni disponibili. A questo riguardo c’è un ulteriore problema di percezione: non possiamo mai essere sicuri che qualcun altro senta esattamente come sentiamo noi. Benché queste parole sono stampate nel colore che conosciamo come nero, non c’è modo di sapere se la nostra esperienza del nero sia la stessa. Ci possono essere delle differenze di percezione nel nostro sistema sensoriale e poiché non le sapremo mai, l’esperienza del mondo per ogni singola persona è totalmente soggettiva.
Questo porta a domandarci sul significato dell’obbiettività della scienza, in quanto ogni misura, osservazione o interpretazione viene, prima o poi, elaborata da un essere umano. Questo ci conduce a un paradosso basilare, non ancora risolto, che permea l’intera scienza.
Una comprensione della realtà meccanica e materialistica presume che soltanto il fisico, la materia, sia reale, cioè la materia e l’energia che possono essere osservate e misurate. È ovvio che deve esistere qualcosa che osservi e prenda le misure, questo qualcosa si chiama coscienza e non può essere vista, quantificata e nemmeno localizzata. La cosa più certa è che non può essere osservata o misurata. In termini scientifici è quindi di poco valore ed è vista come un sottoprodotto dell’evoluzione del cervello.
Tuttavia, senza coscienza non ci potrebbe essere scienza perché non ci sarebbe modo di osservare e misurare la realtà materiale. Questo è un altro fattore che limita la ricerca dell’obbiettività. La coscienza è solo il modo di raccogliere informazioni, eppure è inevitabilmente soggettiva.
Molti scienziati stanno reclamando una nuova visione delle nostre ipotesi sulla realtà. La prova della teoria della relatività di Einstein suggerisce che le nostre nozioni relative alla materia fisica, la sostanza di cui è fatto l’universo, è errata. La materia è, in effetti, una forma di energia. Gli oggetti solidi ci appaiono fatti di materia mentre sono modelli energetici in continuo mutamento. La materia “accade” piuttosto che esistere, dando luogo a una realtà dinamica e interconnessa.
La teoria di Einstein spiega, inoltre, che i principi a noi familiari di spazio e tempo sono concetti illusori. Questi sono dei concetti talmente istituzionalizzati, sia nella metodologia scientifica che nella vita quotidiana, che è quasi sconcertante comprendere la realtà senza queste definizioni!
I fisici quantistici hanno dimostrato che la coscienza di un osservatore ha un impatto sugli eventi subatomici. Quando c’è qualcuno che le osserva, le entità quantiche esistono in una determinata posizione; fino ad allora hanno solo la probabilità di apparire in un dato posto. Questa è fisica avanzata delle particelle che ha una grande rilevanza anche fuori dai laboratori. Consideriamo che se la più piccola parte di unità della quale è composto l’universo reagisce allo sguardo di qualcuno, allora deve essere così per ogni oggetto e ogni fenomeno. Diventa quindi impossibile escludere l’influenza della nostra coscienza su un evento, mettendo ancora in discussione il concetto di oggettività.
Albert Einstein disse, “I problemi più importanti che affrontiamo non possono essere risolti allo stesso livello di pensiero che eravamo quando li abbiamo creati”. Vorrei estendere questo concetto dicendo che i problemi non possono essere risolti allo stesso livello di coscienza che eravamo quando li abbiamo creati.
Se dunque il problema della scienza è quello di limitarsi a una visione del mondo razionale e materiale, la soluzione non può venire dal razionalismo e dal materialismo. Le idee sopra accennate e quelle offerte dai numerosi libri che sfidano la scienza sono basate sull’empirismo e oggettività. Certo, questo è ciò che è richiesto per convincere di qualunque cosa la comunità scientifica. Una tale evidenza fornisce le basi ragionevoli sulle quali mettere in discussione lo stesso scopo della scienza ed è vitale il lavoro di coloro che ricercano o pubblicizzano queste informazioni.
Comunque, se è la coscienza scientifica rigida che stiamo tentando di dissolvere, non saranno sufficienti né l’evidenza empirica, né una perfetta filosofia. La spiritualità, per sua stessa natura, non si adatta a esser argomentata, discussa. Essa estende la sua conoscenza e comprensione per far fare l’esperienza della connessione, dello scopo e del valore dell’universo. Non importa quanti segni evidenti vengono raccolti per razionalizzare questi sentimenti, essi sono così estremamente personali che non possono mai essere relegati all’oggettività spassionata.
Definire lo spirito all’interno della coscienza scientifica richiederebbe spogliarlo e ridurlo a una cosa meccanica e materiale che, ovviamente, esclude la vera essenza di quello che è lo spirito. Non si creerà spazio per la spiritualità dentro la coscienza scientifica cercando di incorporarla. La coscienza scientifica deve espandersi per abbracciare i valori spirituali. Questo è un procedimento che nessuna lettura, nessun filosofeggiare, ricercare, razionalizzare, argomentare e discutere può esaurire.
La conoscenza intellettuale non è sufficiente a cambiare i punti di vista. Questo cambiamento può soltanto avvenire a seguito di una potente esperienza personale spirituale che richieda una reinterpretazione del mondo che possa inglobarla. Tutto quello che è necessario è la libertà dal pensiero che svaluti questa esperienza.
Credo che un incontro personale con la natura della realtà più profonda e sottile sia sufficiente a togliere le costrizioni della coscienza scientifica. Questi incontri, che vanno dalla rivelazione spirituale al sentimento di umiltà di connessione con la Terra, possono accadere ovunque, in preghiera, durante una meditazione o spontaneamente, osservando un’ameba al microscopio. In qualunque modo accada, sentirsi riempiti dalla divinità è un’esperienza personale profonda che non può essere insegnata o stabilita.
Non ho dubbi che dentro a ciascun scienziato vi sia un cuore pieno di meraviglia per l’universo, altrimenti perché dedicare una vita intera al suo studio? Abbiamo bisogno di risvegliare e suscitare questo sentimento intuitivo del sacro in ogni cosa e in ogni momento.
La scienza ha realmente valore per la comprensione del nostro universo, ma, infusa con lo spirito, verrebbe riempita di una forza vitale essenziale e potente, rendendola non soltanto una ricerca accademica ma una profonda connessione con la vita stessa. Il processo di espansione delle prospettive scientifiche non è l’incitamento a un sistema di credenze universali, ma esattamente l’opposto. Proponiamo di rimuovere le restrizioni del pensiero istituzionalizzato attraverso il ritorno a uno stato di coscienza più espanso che è stato represso per troppo tempo. Questo processo non ha obiettivi concreti e non può essere pianificato su larga scala.
Non si può forzatamente risvegliare la coscienza di nessuno. È un profondo viaggio personale di connessione e di comunione tra il sé e la vita. La scienza ha bisogno di valorizzare questa crescita negli individui, dando la libertà di fare l’esperienza di essere parte dell’universo, che è molto di più di una semplice macchina.
La presenza o l’emersione dei valori spirituali possono essere visti come una minaccia per la scienza. Questo è comprensibile perché essi possono scuotere le fondamenta delle visioni scientifiche. Preferisco vedere questi cambiamenti come il prossimo passo nell’evoluzione della scienza. Così come le teorie individuali si espandono con lo sviluppo della comprensione, anche le nostre vedute devono evolvere. La scienza non deve essere abbandonata ma sviluppata attraverso lo spiegarsi della coscienza che sottende un risveglio spirituale.
Scienza e spiritualità possono interagire come complementari piuttosto che come forze conflittuali. La spiritualità offre alla scienza il respiro della vita che manca all’universo-macchina, permettendo all’umanità di ritrovare l’umiltà e il senso di appartenenza dei quali ci siamo privati da lungo tempo.
La scienza offre alla spiritualità le basi e la realizzazione nel mondo fisico, dove finalmente può essere valorizzato il suo contributo alla saggezza umana. L’unione sinergica tra scienza e spiritualità rispecchia il processo analogo presente in ogni individuo. In definitiva è qui che ha luogo il processo di trasformazione.
Se ogni persona, nella sua coscienza, espande lo spazio per entrambe, la coscienza della scienza e dell’umanità nel suo insieme, si avvicina ad abbracciare l’unisono di scienza e spirito. In questo modo, i semi della risoluzione tra scienza e spiritualità si trovano non nella nostra abilità di ragionare o convincere gli altri, ma nel nostro potere di nutrire entrambi gli aspetti dentro di noi.
Sogno a occhi aperti di portare, in una lezione, il mio professore a considerare le meraviglie che sta insegnando come qualcosa di più di una serie di avvenimenti casuali. Non sono adatta a discutere, specialmente con degli stimati accademici. Per quanto sia forte il mio convincimento nello scopo e nel valore della vita, ho ancora paura di parlare di spiritualità. Svelare le mie idee anticonvenzionali potrebbe, è triste dirlo, compromettere la mia laurea. La mia educazione scientifica e la mia viva spiritualità mi bruciano dentro in tal modo che la loro definizione è essenziale per la mia sanità mentale come potrebbe esserlo per la gran parte dell’umanità! Mi pare alquanto poco realistico il mio desiderio di introdurre nelle istituzioni scientifiche la pratica quotidiana della meditazione o unità didattiche facoltative di studio sul Buddismo, metafisica, sciamanesimo o altro che possa destare l’interesse per la contemplazione dello spirito.
Pensando a delle soluzioni che sono più a portata di mano mi sono ricordata all’improvviso della mia ameba. Se posso essere colmata dal senso di unità durante un’esercitazione in un laboratorio, lo può essere anche chiunque altro. Quel momento è stimolato semplicemente dal fare l’esperienza dell’ameba e non lottando con concetti complicati o tecniche sperimentali.
Durante i miei studi ho passato molto più tempo in aula che non a contatto diretto con le piante e gli animali di cui studiavo. Ripenso a quando studiare voleva dire semplicemente fare esperienza, le passeggiate in campagna durante la mia infanzia, con mio nonno, dalle quali ebbe inizio la mia passione per la natura. Mentre camminavamo, colmi della pace che ci circondava, mi indicava i nomi e mi raccontava le storie degli uccelli e dei fiori selvatici.
Ricordando ciò comprendo che la mia sete di conoscenza della biologia e il mio ardente desiderio spirituale di sentirmi unita alla vita hanno le stesse radici, in me e in chiunque altro. Il desiderio di conoscere l’universo e di sentire una più profonda connessione provengono dalla stessa fonte.
Scienza e spiritualità sono già una cosa sola, sfaccettature differenti della nostra continua ricerca di conoscenza e significato.
Katie Green
© FioriGialli.Tutti i diritti riservati. * Pubblicato con il permesso della rivista inglese Resurgence www.resurgence.co.uk
E' fatto divieto di pubblicazione sia totale che parziale in altra sede senza una ns. specifica autorizzazione. I trasgressori saranno perseguiti a norma di legge.
|