IL LAVORO COME CULTO
La convergenza tra spiritualità, sostenibilità e giustizia.
Vandana Shiva**
Il 5 dicembre del 2004 sono stata insignita del premio “Basavashree Award” come riconoscimento per il mio contributo nei riguardi della gente e della natura svolto attraverso la ricerca, le campagne informative e di movimento. Questo premio viene dato a coloro che si impegnano a creare una società giusta, ideale abbracciato da Saint Basava nel 12° secolo, nel sud dell’India. Egli dedicò la propria vita a lavorare contro la tirannia della discriminazione basata su casta, fede e genere.
La spiritualità di Basava era una riforma sociale imperniata sull’uguaglianza fra tutti gli individui. Rifiutava le differenze fra uomini e donne, fra coloro che avevano mestieri diversi o che appartenevano a caste e religioni differenti. Al centro della sua filosofia spirituale di giustizia sociale c’erano due categorie: Kayaka (lavoro come sacralità) e Dasoha (dono e condivisione sono sacri).
Secondo Basava, “Lavorare bene è divino” e “Non c’è nulla di più sacro del lavoro.” Intimamente associato con la sacralità del lavoro c’era la sacralità della condivisione. I compensi ottenuti, tramite il proprio lavoro, dovrebbero essere condivisi. L’accaparramento e l’accumulo, nella filosofia di Basava, sono deplorevoli.
Basava divenne il ministro delle finanze nel regno di Re Bjjala della dinastia Kalachuri e mise in pratica la sua filosofia religiosa come capo del tesoro. Arricchì il tesoro reale e, allo stesso tempo, alleviò le sofferenze del popolo, dimostrando che attraverso la giustizia può essere creato il benessere. Così nacque una nuova religione ed un nuovo ordine sociale. I seguaci di Basava provenivano da ogni settore della società, ricchi e poveri, sia da caste “alte” che “basse”, istruiti e non. La gerarchia di casta e genere era inaccettabile a Basava.
Si rese conto che la giustizia sociale non poteva essere realizzata senza una uguaglianza economica e che Kayaka e Dasoha erano i due pilastri per la giustizia economica e la democrazia. Kayaka significa letteralmente lavoro fisico o lavoro manuale. Ingloba il principio della dignità e della divinità del lavoro. Questi due antichi principi sono violati sia dal vecchio sistema indiano delle caste, sia dal nuovo sistema delle caste della globalizzazione delle società. Le istituzioni finanziarie e le corporazioni globalizzate sono oggi la casta elevata dei Bramini. I semplici lavoratori, dappertutto, sono la casta inferiore dalits.
Chi non lavora accumula benessere. Quelli che lavorano diventano sempre più poveri. Il mercato globale è basato su prezzi fasulli che non considerano né il valore del lavoro né quello delle risorse. La polarizzazione economica e la devastazione ecologica sono le inevitabili conseguenze di un sistema economico fondato su prezzi non veritieri, sulla svalutazione del lavoro delle persone e sul contributo della natura.
Secondo Basava è un peccato vendere o comprare un prodotto ad un prezzo ingiusto. Il cibo “a buon mercato” dell’agricoltura globalizzata e industriale si poggia sul fatto che al lavoro del contadino non viene dato il giusto valore e il naturale benessere. La globalizzazione basata su prezzi iniqui è quindi un sistema da condannare e abbiamo il dovere spirituale di creare alternative fondate sulla creatività di ogni individuo e sull’intrinseco valore dell’espressione creativa del lavoro fisico di ognuno.
Quando il sistema economico globale è basato sulla fine del lavoro, il lavoro come oggetto di venerazione diventa oggi una forza rivoluzionaria.
Al giorno d’oggi Kayaka può creare nuove energie per far cessare la disoccupazione e la disuguaglianza. Ovviamente, ognuno deve avere nella vita una professione o un’altra. Nessuno dovrebbe vivere però sul lavoro di qualcun altro, come un parassita, e l’attività di un individuo non dovrebbe danneggiare la società, dovrebbe invece provvedere ai suoi bisogni. Il guadagno derivante dal lavoro non dovrebbe essere esclusivamente a titolo personale ma incontrare anche le necessità della società. Questo conduce al principio che ognuno di noi lavori seguendo le proprie capacità e riceva dalla società a secondo dei suoi bisogni. Qualsiasi lavoro svolto con questo distacco assoluto diventa Kayaka, cioè lavoro come servizio di culto.
Tutti dobbiamo lavorare e vivere bene e non reclamare ricompense esclusivamente per noi. Dobbiamo imparare a vivere pure per il bene degli altri. Quindi, distribuire i frutti del nostro lavoro nello spirito di Dasoha. Solo allora il nostro lavoro diventa un lavoro consacrato. Ogni lavoro intrapreso per il bene del mondo sarà una funzione sacra.
Il lavoro come servizio di culto può anche offrire soluzioni alle crisi ecologiche. L’inquinamento, la diffusione dei prodotti tossici in agricoltura, l’uso eccessivo dei combustibili fossili, che hanno portato al cambiamento climatico, sono tutti originati dalla sostituzione del lavoro umano con le macchine e i prodotti chimici. L’economia dei combustibili fossili che ha condotto al cambiamento del clima si fonda su “schiavi d’energia” piuttosto che sul lavoro come culto. Le forze invisibili che contribuiscono all’incremento della “produttività” di una moderna azienda agricola o di una fabbrica provengono dall’aumentato consumo di risorse naturali non rinnovabili. Amory Lovins, nel suo libro “World Energy Strategies”, ha descritto ciò come il lavoro “schiavo” svolto attualmente nelle attività in giro per il mondo. Secondo lui ogni persona sulla Terra possiede, in media, l’equivalente di circa cinquanta schiavi, che lavorano ognuno quaranta ore la settimana: “In termini di forza-lavoro, quindi, la popolazione della terra non è quattro miliardi ma circa 200 miliardi; il punto importante sta nel fatto che circa il novantotto per cento non si ciba di alimenti tradizionali. La disuguaglianza nella distribuzione di questo lavoro “schiavo” fra le diverse nazioni è enorme. Gli abitanti degli Usa, per esempio, hanno in media 250 volte più “schiavi” che la media in Nigeria. Questa è la ragione, sostanziale, della differenza nell’efficienza economica tra l’America e la Nigeria: essa non è dovuta alla differenza media dell’”efficienza” delle persone in quanto tali. Sembra che non ci sia modo di rilevare le efficienze relative tra americani e nigeriani; se agli americani mancassero 249 dei 250 “schiavi” che possiedono, chi potrebbe dire quanto “efficienti” si dimostrerebbero essi stessi?”
L’incremento nel livello di consumo delle risorse è universalmente considerato come un indicatore economico di sviluppo. Se l’attuale livello di consumo delle risorse degli Usa fosse accettato come sviluppo oggettivo dell’India, il fabbisogno totale delle risorse dell’India “sviluppata” può essere calcolato moltiplicando l’attuale consumo di risorse per 250. Né le foreste, né i campi o i fiumi potrebbero sostenere un tale “sviluppo.”
Quindi, invece di rincorrere “gli schiavi d’energia”, l’India dovrebbe seguire gli insegnamenti di Basava. Il lavoro come servizio di culto è, allo stesso tempo, una categoria spirituale, una categoria di giustizia sociale ed una categoria di sostenibilità ecologica. “La ricchezza senza lavorare” era anche, secondo Gandhi, uno dei sette peccati sociali. Riconoscere il lavoro come culto può essere, ai nostri giorni, una forza rivoluzionaria, come lo fu nove secoli fa.
Il diritto ad un lavoro creativo non è soltanto un diritto economico né un diritto umano. E’ soprattutto un dovere spirituale. Questo è il motivo per cui la disoccupazione creata dalla globalizzazione delle società non porta soltanto ad una disuguaglianza economica ma ad un ordine deplorevole. L’imperativo spirituale richiede un’economia nella quale ogni mente ed ogni corpo possa esprimere in pieno la propria potenziale creatività.
Riconoscendo che una società equa e veramente umana non può esistere a lungo se alla gente si nega il lavoro, Gandhi scrisse una costituzione economica: “La costituzione economica dell’India e, per questo argomento, quella del mondo, dovrebbe essere tale che nessuno dovrebbe soffrire per la mancanza di cibo e vestiario. In altre parole, ciascuno dovrebbe avere lavoro sufficiente per permettergli di arrivare a fine mese. Quest’ideale può essere realizzato universalmente soltanto se i mezzi di produzione delle necessità basilari della vita rimangono sotto il controllo delle masse. Esse dovrebbero essere disponibili liberamente a tutti, come lo sono l’aria e l’acqua, o come dovrebbero esserlo; non dovrebbero diventare un mezzo di sfruttamento da parte di altri. Il monopolio da parte di qualsiasi paese, nazione o gruppo di persone dovrebbe essere ingiusto. La negazione di questo semplice principio è la causa della povertà di cui siamo oggi testimoni.
**Vandana Shiva, direttrice del Bija Vidyapeeth, l’Istituto Internazionale del Vivere Sostenibile, a Dehra Dun, in India.
Tratto da "Terra, Anima, Società" vol. 2 - Edizioni FioriGialli
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