Di ciò di cui non si può parlare si tace. - Ludwig Wittgenstein

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I SENTIERI DELL' ESSERE
Le mille Vie della Spiritualità
I SENTIERI DELL' ESSERE
LA PRATICA DA SEGUIRE
Un monaco chiese a Dong-Shan:
C'è una pratica che le persone debbano seguire?
Dong Shan rispose:
quando diventi una vera persona c'è una tale pratica.
Sai essere freccia, arco, bersaglio?
<b>Sai essere freccia, arco, bersaglio?

Sai essere freccia, arco, bersaglio?
Conosci la sequenza delle costellazioni?
La fusione dell'idrogeno in elio?
Sai misurare la tua integrità?
Se rispondi
Avrai l'immortalità.

Laura Scottini

MEDITAZIONE TAOISTA
<b>MEDITAZIONE TAOISTA </b>





 

Chiudi gli occhi e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare e sentirai la verità.
Resta in silenzio e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto e troverai l'unione.
Sii quieto e ti muoverai sull'onda dello spirito.
Sii delicato e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente e compirai ogni cosa.
Sii umile e manterrai la tua integrità.

 

IL VUOTO CHE DANZA
IL VUOTO CHE DANZA










di H.W.L. Poonja


Rimani ciò che sei ovunque tu sei.
Se fai così, saprai immediatamente
di essere Quello che hai cercato
per milioni di anni.

Non c'è ricerca,
perchè si cerca solo qualcosa che si è perso.
ma quando niente è andato perduto
non ha senso
cercare qualcosa.

Qui semplicemente Stai Quieto.
Non formare nemmeno un pensiero nella mente.
Allara saprai
Chi sei realmente.

per tre motici la ricerca e la pratica
sono follie fuorvianti
sono l'inganno della mente
per posporre la libertà.
Continua...

PAROLE SU DIO
PAROLE SU DIO

di Simone Weil

Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio. … Così pure, la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni.

Il bello è ciò che si desidera senza volerlo mangiare. Desideriamo che sia. Restare immobili e unirsi a quel che si desidera senza avvicinarsi. Ci si unisce a Dio così: non potendosene avvicinare. La distanza è l’anima del bello.

Nella prima leggenda del Graal è detto che il Graal, pietra miracolosa che in virtù dell’ostia consacrata sazia ogni fame, apparterrà a chi per primo dirà al custode della pietra, il re quasi paralizzato dalla più dolorosa ferita: “Qual è il tuo tormento?”. La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nell’essere capace di domandargli: “Qual è il tuo tormento?”, nel sapere che lo sventurato esiste, non come uno fra i tanti, non come esemplare della categoria sociale ben definita degli “sventurati”, ma in quanto uomo, in tutto simile a noi, che un giorno fu colpito e segnato dalla sventura con un marchio inconfondibile. Per questo è sufficiente, ma anche indispensabile, saper posare su di lui un certo sguardo. Continua...
I BAMBINI
DAGLI OCCHI DI SOLE

I BAMBINI<br> DAGLI OCCHI DI SOLE










Vidi i pionieri ardenti dell’Onnipotente
superando la soglia celeste che è volta alla vita
discendere in frotta i gradini d’ambra della nascita;
precursori d’una moltitudine divina,
essi lasciavano le rotte della stella del mattino
per l’esigua stanza della vita mortale.

Li vidi traversare il crepuscolo di un’era,
i figli dagli occhi di sole di un’alba meravigliosa,
i grandi creatori dall’ampia fronte di calma,
i distruttori possenti delle barriere del mondo
che lottano contro il destino nelle arene della Sua volontà,
operai nelle miniere degli dei,
messaggeri dell’Incomunicabile,
architetti dell’Immortalità.

Nella sfera umana caduta essi entravano,
i volti ancora soffusi della gloria dell’Immortale,
le voci ancora in comunione coi pensieri di Dio,
i corpi magnificati dalla luce dello spirito,
portando la parola magica, il fuoco mistico,
portando la coppa dionisiaca della gioia,
Continua...
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI

di Maurizio Di Gregorio

Tutti cerchiamo qualcosa. Se lo cerchiamo nel mondo materiale pensiamo di trovarlo all’esterno di noi stessi. Se lo cerchiamo nel mondo spirituale siamo portati a credere di poterlo trovare all’interno di noi. Una massima dice: la risposta è dentro di te. Una battuta invece dice: la risposta è dentro di te, ma è sbagliata. Ambedue le affermazioni sono vere perché si riferiscono a due esseri diversi. Uno vero e l’altro falso. Come si fa a sapere quale é l’Io interiore che contiene tutte le risposte della vita? Dalla felicità. Nel primo caso si sa solo che si è felici, sia pure per un attimo, si è completamente, immensamente e interamente felici e più correttamente si dovrebbe chiamarla beatitudine. Nel secondo caso sappiamo solo, che a dispetto di ogni altra cosa, momentanea soddisfazione o eccitazione, non si è veramente felici. 
Aivanhov, definendo la natura umana, parla della coesistenza di una natura inferiore e di una natura superiore. All’interno di ognuno è una continua lotta tra due esseri (o stati di essere) in competizione che Aivanhov chiama Personalità e Individualità. “Persona “ è la maschera e in ogni incarnazione la maschera è diversa, “Individualità” è l’abitante della maschera, colui che non cambia, il vero Sé divino. La personalità è in parte ancora inesistente nel bambino ma già tracciata, si sviluppa con l’età come la trama di un tessuto e si consuma nella vecchiaia. Il risveglio dell’anima consiste nel riconoscimento del Sé interiore e nell’abbandono momentaneo della maschera della personalità. Ora anche se possiamo capire qualcosa del nostro essere maschera, né la mente, né il cuore né la volontà sono risolutivi.
E questo perché mente cuore e volontà sono una triade che esiste tanto nella natura delle Individualità quanto nella natura della Personalità.
“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” Quale è, in ogni dato momento, il cuore che chiede, la mente che cerca, la volontà che agisce? La strada dell’evoluzione spirituale, cioè della evoluzione dell’essere allo Spirito, è insidiosa perché ad ogni sviluppo della Individualità segue uno sviluppo della Personalità. Differentemente il discernimento è possibile solo dal punto di vista della Coscienza Superiore che è esattamente ciò che si illumina.
Fuori da questa esperienza si persiste sempre in un tipo di coscienza media, anche se ampliata o sofisticata, una coscienza media perché media in un equilibrio precario le necessità delle due nature....Continua...
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA

di Ervin Laszlo

Il grande compito, la grande sfida del nostro tempo è cambiare se stessi.
Questo elenco delle principali caratteristiche della nuova visione, della nuova coscienza, è scritto per stimolare la trasformazione, perché è possibile acquisire una nuova consapevolezza, perché tutti possono evolvere, tante persone l'hanno già fatto ed è diventata una conditio sine qua non della nostra sopravvivenza sulla Terra.
La prima caratteristica è l'olismo, la visione olistica, per contrastare la visione frammentaria, disciplinaria, atomistica, che separa tutto: la mente dalla natura, l'uomo e la società dalla biosfera, e tutti i campi della realtà l'uno dall'altro. La visione olistica è proprio quella comprensione Continua...
I FIGLI DELLA LUCE
I FIGLI DELLA LUCE




 


I Figli della Luce si nutrono di Pace, Libertà, Amore, Giustizia, Grazia, Benevolenza, Comprensione, Compassione, Generosità, Bontà, Luce, Verità, Positività, trasmettendo tutto questo intorno a loro. Le creature che vengono in contatto con i Figli della Luce percepiscono la Positività dell’operato della “Luce Amore” e uno stato di benessere entra in loro. Non sono consapevoli della fonte di questa Positività, ma stanno volentieri in compagnia dei Figli Luce dispensatori d’Amore.
Continua...
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA

di Matthew Fox

L’ecologia e la spiritualità sono le due facce della stessa medaglia. La religione deve lasciar andare i dogmi in modo da poter riscoprire la saggezza del mondo.
Come dovrebbe essere una religione ecologica? Negli ultimi 300 anni l’umanità è stata coinvolta in una grande desacralizzazione del pianeta, dell’universo e della propria anima, e questo ha dato origine all’oltraggio ecologico. Saremo capaci di recuperare il senso del sacro?La religione del futuro non sarà una religione in senso stretto del termine, dovrà imparare a lasciare andare la religione. Il Maestro Eckhart, nel quattordicesimo secolo disse, “Prego Dio di liberarmi da Dio”. Per riscoprire la spiritualità, che è il cuore autentico di ogni religione vera e fiorente, dobbiamo liberarci dalla religione. Sembra un paradosso. La spiritualità significa usare il cuore, vivere nel mondo, dialogare con il nostro sé interiore e non semplicemente vivere a un livello organizzativo esterno.
E. F. Schumacher, nel suo profetico modo di scrivere, disse, nell’epilogo di Piccolo è bello, “Dappertutto la gente chiede, ‘Cosa posso fare praticamente?’ La risposta è tanto semplice quanto sconcertante, possiamo, ciascuno di noi, mettere in ordine la nostra casa intima, interiore. Per far questo non troviamo una guida nella scienza o nella tecnologia, poiché i valori sui quali esse si poggiano dipendono sommamente dal fine per il quale sono destinate. Tale guida la si può invece ancora trovare nella tradizionale saggezza dell’umanità”.
Tommaso d’Aquino, nel tredicesimo secolo disse, “Le rivelazioni si trovano in due volumi – la Bibbia e la natura”. Ma la teologia, a partire dal sedicesimo secolo, ha messo troppa enfasi nelle parole della Bibbia, o del Vaticano o dei professori, ha messo tutte le uova nel paniere delle parole, parole umane, e ha dimenticato la seconda fonte della rivelazione, la natura!
Il Maestro Eckhart disse, “Ogni creatura è la parola di Dio e un libro su Dio”. In altre parole, ogni creatura è una Bibbia. Ma come ci avviciniamo alla saggezza biblica, alla saggezza sacra delle creature? Col silenzio. C’è bisogno di un cuore silente per ascoltare la saggezza del vento, degli alberi, dell’acqua e della terra. Nella nostra ossessiva cultura verbale, abbiamo perso il senso del silenzio. Schumacher disse, “Siamo ormai troppo intelligenti per sopravvivere senza saggezza”. Continua... 
SULL'ANARCHIA BUDDISTA
SULL'ANARCHIA BUDDISTA di Gary Snyder

Da un punto di vista buddista, l'ignoranza che si proietta nella paura e nel vano appetito impediscono la manifestazione naturale. Storicamente, i filosofi buddisti non hanno saputo analizzare fino a che punto l'ignoranza e la sofferenza erano dovuti o favoriti da fattori sociali, considerando il timore e il desiderio come fatti intrinseci alla condizione umana. Così, la filosofia buddista si interessò principalmente alla teoria della conoscenza e la psicologia fu svantaggiata, per dare più spazio allo studio dei problemi storici e sociologici. Anche il buddismo Mahayana possiede un'ampia visione della salvezza universale, la sua realizzazione effettiva si è concretizzata nello sviluppo di sistemi pratici di meditazione per liberare a una minoranza di individui da blocchi psicologici e condizionamenti culturali. Il buddismo istituzionale è stato chiaramente disposto ad accettare o a ignorare le disuguaglianze e le tirannie sotto il sistema politico che vigeva. È stata come la morte del buddismo, posto che è comunque la morte che riesce a far comprendere il significato della compassione. La saggezza senza compassione non sente dolore.
Continua...
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RELIGIONE E UTOPIA


Parlare di Dio è stato quasi sempre problematico per chi si è collocato in una prospettiva rivoluzionaria.
Ma la contrapposizione politica alle religioni ha indotto al rifiuto del trascendente, producendo così una spiritualità e una sensibilità di gran lunga inferiori a quella religiosa. Come se, osservando l'abbazia di San Galgano, priva del tetto di copertura, si venisse colpiti solo dal cielo attraversato da nubi o dalla geometria degli astri.
Non si tratta comunque di sciogliere l'eterno dubbio su Dio (che, forse, appartiene al segreto della morte), quanto di provare che l'etica religiosa non è né la 'teoria' in assoluto né la più alta affermazione della vita.

È noto che un ruolo non marginale nell'invenzione della religione è stato giocato dal bisogno di elaborare, secondo un modello piramidale con all'apice il concetto della divinità, una teoria che spiegasse il processo del divenire dell'universo, della natura e degli esseri umani. Su tale discendenza verticale si sono poi fissati i princìpi metafisici e la relativa architettura politico-sociale che ne è conseguita.
L'etica umana è stata perciò costruita sull'imposizione di un 'dover essere' religioso, piuttosto che a partire dalle norme di una ragionata convivenza. In quella prima fase, d'altronde, per imporre e far accettare regole sociali più avanzate, era forse necessario accreditare l'esistenza di un mondo sovrannaturale che superasse la parzialità e la finitezza dell'uomo. In tal modo la specie umana ha potuto prendere le distanze dalla sua radice primitiva, saldamente ancorata alla istintualità, per approdare a un primo sistema di rapporti sociali mediati.
Ma se le religioni hanno potuto convivere con l'evoluzione delle società è perché, tutto sommato, le società hanno ruotato attorno ai loro capisaldi e non viceversa.
Utilizzando un linguaggio sentenzioso e senza mai staccarsi dal grande tema della salvezza eterna, hanno parlato e parlano 'più compiutamente' di politica di quanto non sappia fare, ancora oggi, qualsivoglia ideologia. In questo senso le religioni fanno più politica con la loro filosofia morale che non i partiti con le loro alleanze e strategie.
Questo spiega anche perché le religioni, diversamente da quanto avviene per gli Stati e le forme di governo, sopravvivono agli scandali e alla corruzione, a inesattezze anche grossolane, a guerre e scismi. Spesso, anzi, le loro pecche sono state addebitate a errate applicazioni dei princìpi, così che l'invocazione del 'ritorno alle origini' ha scavalcato a piè pari l'analisi delle loro contraddizioni strutturali.
Ma nessuna deviazione, neanche la più grave, ha mai modificato i fondamenti della loro filosofia morale, che sono rimasti sostanzialmente in linea con il messaggio essenziale dei fondatori.
Se da un lato tuttavia è possibile smascherarne i raggiri, dal momento che basta trovarvi 'una sola' imperfezione per escludere l'origine divina delle religioni, dall'altro, la dimostrazione delle loro antinomie, da sola, serve a ben poco.
Il bisogno di rassicurazione continuerà infatti a ossigenarsi con il respiro metafisico della preghiera, poiché quella pratica è così consolidata da apparire impermeabile a qualsiasi critica. In tal senso (questo) Dio non è ancora morto, e non è detto che, quando si sarà scoperta la strada della felicità terrena, l'idea dell'Assoluto debba necessariamente morire.

Se il Dr. Cristo ha individuato nella povertà lo strumento della liberazione degli uomini, è anche perché non è riuscito a concepire la ricchezza come valore positivo.
Nelle società pre-industriali, d'altronde, le masse vivevano una vita così indigente che neppure un'equa distribuzione della ricchezza esistente avrebbe potuto migliorarla in misura significativa.
Di conseguenza per millenni la miseria è stata assunta come condizione naturale. Ed essendo inimmaginabile (utopica) la produzione di una gran quantità di beni e ancor più la loro diffusione di massa, anche le ideologie erano prigioniere della povertà. 
Ecco perché la tensione verso la società del 'meno peggio' (la proposta cristiana) era il massimo cui si potesse aspirare. E difatti il Dr. Cristo non solo ha supposto (dogmaticamente) che la povertà non potesse essere eliminata, ma è giunto addirittura a indicarla come valore.
In verità (è proprio il caso di dire "in verità") Gesù, anche se in buona fede, ha solo illuso i poveri di poter arrivare sul piolo dei primi. Imponendo loro di restar poveri, e quindi ultimi, non ha fatto altro che ribadire, consapevolmente o no, che la scala di classe è l'unico metro possibile della storia umana.

Ai cristiani infatti non si è mai vietato di possedere schiavi, mentre agli schiavi si è comandato di amare il proprio padrone.
In realtà soltanto nel Settecento, con la nascita del pensiero liberale, è stata messa in discussione la schiavitù, e non certo grazie al cristianesimo, che (in questo) ha seguito le orme del pensiero di Platone e di Aristotele.  E tale 'svista' non è stata casuale.
Ma è fin troppo ovvio che la felicità non può realizzarsi in presenza della povertà o della differenza di classe, bensì in un quadro di 'sana ricchezza'. Di una ricchezza, cioè, che è sana perché ricca, contemporaneamente, di beni materiali e spirituali.
La 'ricchezza della povertà' rispecchia, al contrario, uno stato di desolazione esteriore che non può non divenire interiore, fino a coincidere con l'infelicità.
L'aspirazione a una 'sana ricchezza', che rappresenta la premessa a ogni progetto utopico, manca però totalmente al cristianesimo, ridottosi a gestire l'organizzazione pauperistica dei bisognosi.

Oggi, invece, può nascere il desiderio del 'molto meglio' (l'idea centrale dell'Utopia), poiché finalmente si può immaginare una società più sviluppata del capitalismo. Che comunque ha il merito storico di aver fornito la dimostrazione 'tecnica' di come, attraverso la rivoluzione industriale, si possa moltiplicare in modo laico "il pane e il vino" e sconfiggere così il dogma della povertà.
"Beati voi, che siete poveri", recita il Vangelo. E così di seguito: "Beati voi, che ora avete fame, [...] Guai a voi, che ora siete sazi, [...] Guai a voi, che ora ridete, [...]". Ma non ci sarebbe più beatitudine se ognuno vivesse in condizioni materialmente agiate e ricco di spiritualità amorosa?
Ora, uno dei limiti strategici del Dr. Cristo è che il razzo della sua liberazione non riesce mai veramente a decollare, incatenato com'è alla terra dal 'dovere della povertà' e da un amore di tipo sacrificale. Che, non potendo essere desiderato, è divenuto un atto di dolore (l'amore della santissima addolorata), accreditato falsamente come il più alto degli amori.
È evidente, a questo punto, che fatica e travaglio siano connaturati alla promessa cristiana. L'amore di Cristo perciò non può non essere mediocre, perché mediocre è la forma di vita che Egli ha immaginato.

Strano a dirsi, ma ciò che manca alla proposta di Gesù, di Colui che ha postulato l'amore come verbo onnipresente, è appunto la forza onnipotente del desiderio: la sola capace di far bruciare d'amore gli esseri umani.
Anzi, per sopperire all'assenza di una 'sana ricchezza' e di un 'sano amore', è stato frapposto, tra la felicità irrealizzabile nel regno umano e quella custodita esclusivamente nel regno dei cieli, un baratro invalicabile.
Nonostante ciò, sarebbe falso sostenere che nel cristianesimo non sia presente la domanda di utopia.
L'idea del paradiso ne è la dimostrazione.
Ma quella domanda è stata pignorata dal comandamento religioso, che ha mutato il bisogno di amore umano in bisogno di amore divino.
Di tracce utopiane rimangono perciò, nel messaggio cristiano, solo dei frammenti indecifrabili, poiché la religione ha trasferito la domanda del paradiso utopico fuori dal mondo reale, eludendo il progetto originario dell'Eden nello spazio e nel tempo della vita.
In questo modo l'amore c'è, ma non si vede, non si tocca, né tantomeno può scendere in mezzo a noi.

Il pregare, in questo senso, rappresenta la più straordinaria invenzione (psicologica) relativa ai modi di comunicazione tra uomo e Dio, poiché permette non solo di instaurare un dialogo con la divinità, ma anche di entrare in 'possesso' del suo amore.
La preghiera è infatti simile a una telefonata che non esige risposta. Anzi, presupponendo che Dio stia in ascolto, ogni argomento può divenire oggetto del proprio interrogarsi.
Se la leva del pregare è nel dio immaginato, la sua potenza è, quindi, soltanto nel credente, cioè nel monologo interiore.
L'essere espressa in forma rituale è infatti parte integrante e sostanziale del suo contenuto psicologico. E oltretutto il dialogo 'in absentia' possiede un potere evocativo e suggestivo senza pari.
Se da una parte tuttavia non si intende escludere la possibilità di una preghiera laica come forma di concentrazione dello spirito, dall'altra è fin troppo evidente che la preghiera religiosa risponde a ben altre esigenze. Rappresenta quasi sempre l'ultima spiaggia davanti alla morte o alla necessità di alleviare la sofferenza. La forza della sua suggestione non solo placa, ma fornisce anche un sostegno immaginario, al tempo stesso evanescente e forte, labile e autorevole, e perciò più 'solido' di quelli concreti e razionali.
La preghiera contiene, dunque, tutta la forza del bisogno e tutta la debolezza della risposta differita al bisogno. Salda tuttavia la distanza e la contraddizione tra realtà supposta e realtà vissuta, cioè tra amore e non-amore, e si propone come il principale strumento terapeutico di liberazione dal male, entità indefinita (extra-logica) che sovrasta, come presenza 'naturale', ogni paesaggio umano.

"Ego te absolvo a peccatis tuis..."
Questo tracciato (che ben esemplifica la logica del cristianesimo) è tutto legato alla visione del bene come 'sottrazione del negativo'. Anziché infiammare l'anima di desiderio, si comanda infatti di 'non fare' ciò che 'non va fatto'. Per cui liberarsi dal male, come dal peccato, si risolve in un'operazione che toglie e non aggiunge nulla. E proprio perché suppone un futuro immodificabile, tale operazione prevede, con matematica certezza, che dopo il perdono si debba tornare a peccare, così da rendere l'uomo da una parte obbligato e dall'altra libero di sbagliare sempre.
Il 'peccato' non è perciò utilizzato come elemento di analisi sociale per indicare un diverso sistema di rapporti che spezzi la coazione a ripetere. E la riflessione che innesca si risolve, in definitiva, tutta nell'interiorità del soggetto. Ragion per cui l'intero meccanismo è raffigurabile come la corsa prevedibile di un treno che ritorna sempre nelle stesse stazioni.
Analizzare la natura del peccato equivarrebbe, d'altronde, a esaminare le condizioni che lo determinano. E ciò porterebbe inevitabilmente alla messa in discussione di tutta l'architettura sociale.

Il 'dio immaginato', infatti, non contempla la possibilità di altri percorsi, ma soprattutto non ha interesse a che gli uomini si emancipino. E intanto, avendo avocato a sé tutto l'amore, quel dio autorizza la flagranza di reato.
L'incurabilità del peccato diventa perciò, prima ancora che trasgressione delle regole, l'unica vera regola eterna, dato che al di fuori dei comandamenti passivi del 'non fare' non sono stati mai indicati quelli attivi del 'fare positivo'.                                                 
Una teoria che pretenda di essere veramente 'divina' dovrà, allora, più che indicare la mediazione delle contraddizioni, realizzarne la definitiva soppressione.
Dopodiché i comandamenti-divieti non avranno più ragione di essere, venendo a cadere le condizioni del loro determinarsi.
Non più quindi i comandamenti del 'non fare', bensì le regole della felicità.  Questa è la vera profezia mai rivelata!
Ora, creare una nuova socialità è molto difficile, molto più difficile che inventare una religione, molto più difficile che inventare Dio.
Verrebbe voglia di dire che il concetto dell'utopia comunista e il concetto di Dio si equivalgono, nel senso che nessuno li ha finora mai conosciuti. Un dio, però, è stato inventato e sarà sempre possibile inventarlo, poiché nessuno potrà mai dimostrarne la non-esistenza.
Creare l'Utopia significa, invece, sottoporne la validità a una permanente verifica.
Anche per questo la progettazione dell'Utopia sarà molto più complicata dell'invenzione di Dio. Ma quando si sarà realizzata, si entrerà in un concetto più ampio dell'attuale idea del divino.

Se qualcuno tuttavia pensa di chiudere la ricerca sull'Infinito, costui chiuda pure la sua attività di pensiero.


Alfa
Alfredo Alì        

Non insegna niente.
Non ha mai pubblicato niente.
Non è un politico di professione.
Non è un intellettuale.
Non dedica il libro a nessuno... in particolare.

Tratto dal libro Preludio alla Società dell'Utopia
 -  Pubblicato dalla Casa Editrice Editing & Printing                      
 -  ISBN  88-900133-0-3
- Printed in Italy, gennaio 1997
- www.utopia.it


 



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