RIFORME SOCIALI E LEGGE NATURALE DI PROGRESSO
di Sri Aurobindo
La riforma non una cosa eccellente in sé, come molti intelletti europeizzati immaginano; né è sempre un bene o una sicurezza restare immobili sugli antichi sentieri, come credono ostinatamente gli ortodossi. A volte la riforma è il primo passo verso l’abisso, ma l’immobilità è il modo migliore per ristagnare e andare in putrefazione. Né la moderazione è sempre il consiglio più saggio: la via di mezzo non sempre è dorata. È spesso un eufemismo per la miopia, per una tiepida indifferenza o per una pavida inefficienza. Gli uomini si definiscono moderati, conservatori o estremisti e gestiscono la loro condotta e le loro opinioni in accordo con quella formula. Ci piace pensare per sistemi e partiti e dimentichiamo che la verità è l’unico criterio. I sistemi non sono altro che delle comode casse in cui tenere ordinata la conoscenza, i partiti degli utili macchinari per l’azione combinata; ma li facciamo diventare una scusa per non prenderci il fastidio di pensare.
Si rimane stupefatti davanti alla posizione assunta dagli ortodossi. Si sforzano di deificare ogni cosa che esiste. La società induista ha certe disposizioni e abitudini che sono esclusivamente consuetudinarie. Non c’è alcuna prova che esse esistessero in antichità, né alcuna ragione per cui dovrebbero durare in futuro. Ha altre disposizioni e abitudini che possono essere citate, ma più spesso si tratta dei testi di moderni Smritikara, piuttosto che di Parasara e di Manu. La loro autorità risale agli ultimi cinquecento anni. Non capsico la logica che sostiene che poiché una cosa è durata cinquecento anni, deve perpetuarsi per eoni. Né l’antichità, né la modernità possono essere la prova della verità o la priva dell’utilità. Non tutti i Rishi appartengono al passato; gli Avatar ancora si manifestano; la rivelazione continua ancora.
Alcuni sostengono che in ogni caso dobbiamo rispettare Manu e i Purana, o perché sono sacri o perché sono nazionali. Bene, ma se sono sacri, dovete attenervi ad essi nella loro totalità e non apprezzare dei testi isolati, trascurando il corpo della vostra autorità. Non potete prendere a scelta; non potete dire “Questo è sacro e ad esso mi atterrò, quello è meno sacro e lo lascerò perdere.” Quando trattate in questo modo l’autorità sacra, state dimostrando che per voi non ha alcuna sacralità. State facendo un gioco di prestigio con la verità; perché fate finta di consultare Manu, quando realmente state consultando le vostre opinioni, i vostri interessi e o interessi. Ricreare l’intero Manu nella società moderna è come chiedere al Gange di risalire l’Himalaya. Senz’altro Manu è nazionale, ma lo sono anche i sacrifici animali e l’olocausto. Se una cosa è nazionale del passato, non ne consegue necessariamente che deve essere nazionale del futuro. Sciocco non riconoscere che le condizioni sono cambiate.
Abbiamo giustificazioni simili per l’ottusa conservazione di semplici abitudini; ma, per quanto varie siano le linee di difesa, non ne conosco alcuna che sia imperiosamente definitiva. Il costume è shishtachar, decoro, tutto quello che di ben educato e rispettabile la gente osserva. Ma altrettanto lo erano le usanze del passato remoto che hanno cessato di esistere e che, se oggi fossero riportate in vita, sarebbero severamente scoraggiate e in molti casi considerate criminali; e così sono anche le usanze del futuro a cui oggi resistiamo e che scoraggiamo - sono pronto a credere persino che il futuro ci prepari, non meno del passato, nuovi modi di vivere in cui i modo presente non scapperebbe alla censura della legge. È l’achar che produce lo shishta, non lo shishta che produce l’achar. L’achar è fatto dal ribelle, dall’innovatore, dall’uomo che nella sua epoca viene considerato eccentrico, non rispettabile o immorale, come veniva considerato Sri Krishna da Bhurisrava, perché aveva sconvolto i vecchi sistemi è i vecchi criteri.
È più facile difendere il costume in quanto ancestrale e pertanto curarsene. Ma se i nostri avi avessero sempre mantenuto quel punto di vista, i nostri tanto amati costumi non avrebbero mai preso vita. O, più razionalmente, i costumi devono essere preservati, perché il fatto che sono stati a lungo utili nel passato dimostra una sovrana virtù di conservazione della società. Ma tutte le cose hanno una data e un limite. Tutti i costumi che sono durati a lungo sono stati estremamente utili al loro tempo, persino il totemismo e la poliandria. Non dobbiamo ignorare l’utilità del passato, ma, di preferenza, cerchiamo un’utilità presente e futura.
Costumi e Legge possono quindi essere alterati. Ad ogni epoca il suo Shastra. Ma non possiamo asserire direttamente che vadano modificati o, anche se la modifica è necessaria, allora vanno modificati in una direzione prestabilita. Ci si sente respinti dall’entusiasmo ignorante dei riformatori sociali. Le loro menti di solito sono uno strano guazzabuglio di maldigerite nozioni europee. Ben pochi di loro sanno qualcosa dell’Europa, e persino quelli che l’hanno visitata la conoscono male. Ma per loro le cose o le idee contrarie alle nozioni europee non sono altro che superstiziose, barbare, nocive e ottenebrate, non sopportano che quello che in Europa è lodato e praticato non sia considerato assolutamente razionale e illuminato.
Apprezzano ancor più degli stessi Occidentali la forza, la conoscenza e il gusto dell’Europa; sono più ciechi del più cieco e autoreferenziale Anglosassone davanti alla sua debolezza, alla sua ignoranza e alla sua miseria. Sono affascinati dal bell’aspetto che l’Europa presenta a se stessa e al mondo; sono restii a riconoscere alcuna malattia nelle viscere, alcuna sporcizia nel retro. Perché gli Europei sono così attenti a nascondere tanto il loro corpo sociale, quanto quello fisico, e ritrarsi con più orrore dalla nudità e dalla mancanza di decoro che dalla realtà del male. Se vedono quest’ultimo in se stessi, distolgono lo sguardo, gridando “Non è niente, o è molto poco; noi siamo sani, siamo perfetti, siamo immortali.” Ma il volto e le mani non possono essere sempre coperti, e vediamo delle macchie.
Il riformatore sociale ripete certi argomenti triti come parole d’ordine. Per queste antichità è un fanatico o un crociato. Di solito non agisce secondo le sue idee, ma in tutta sincerità le ama e lotta per loro. Insegue i suoi toccasana come fossero panacee; gli sembrerebbe un’infedeltà mettere in discussione o esaminare la loro efficacia. I suoi dottori europei gli hanno detto che il matrimonio precoce danneggia il fisico di una nazione, e per lui quello è vangelo. Non è conveniente ricordare che in India il deterioramento fisico è un fenomeno recente, e che i nostri nonni erano forti, vigorosi e belli. Si affretta ad abolire le ragazze naach[1] che stanno già scomparendo, ma non sembra preoccupato dal fatto che le prostitute si moltiplicano. Probabilmente alcuni potrebbero pensare che sia un guadagno il fatto che la malattia europea stia sostituendo quella indiana! Egli tende a distruggere il nostro sistema sociale cooperativo e non vede che l’Europa fa grandi, titanici passi verso il socialismo.
Sia gli ortodossi che i riformatori si perdono nei dettagli; ma sono i principi che determinano i dettagli. Quasi ognuno dei punti sollevati dai riformatori sociali potrebbe essere sistemato in un modo o nell’altro senza influire sul bene permanente della società. È pietoso vedere della gente affaticarsi sulla questione del matrimonio tra subcaste e trionfare su un caso isolato. Se lo spirito, così come il corpo delle caste debba rimanere, è la questione moderna. Che gli Induisti ricordino che la casta così com’è è meramente jat, la gilda commerciale santificata ma non più effettiva, non è la religione eterna, non è chaturvarnya. Non mi interessa se le vedove si risposano e restano sole; ma è di infinita importanza considerare come le donne debbano essere legalmente e socialmente relazionate all’uomo, se come sue inferiori, pari o superiori; perché anche il rapporto di superiorità non è più impossibile nel futuro di quanto lo fosse nel lontano passato.
E la questione più importante di tutte è se la società deve essere competitiva o cooperativa, individualistica o comunista. Il fatto che si parli così poco di queste cose e ci infiammi su dei dettagli insignificanti, mostra dolorosamente l’impoverimento dell’intelletto medio indiano. Se si decidono queste grandi cose, come dovrebbe essere, le più piccole si sistemeranno da sole.
Ci sono standard universali e standard particolari. Al momento attuale tutte le società hanno bisogno di riforme, la parsi, la maomettana e la cristiana non un briciolo di meno di quella induista, che sembra essere l’unica a sentire il bisogno di riforme radicali. Nei cambiamenti del futuro, la società induista deve prendere l’iniziativa di stabilire un nuovo standard universale. Inoltre, come Induisti, dobbiamo cercare attraverso quello standard universale, uno standard particolare per noi stessi. Noi abbiamo uno standard che è al tempo stesso universale e particolare, la religione eterna, che è la base, permanente e sempre innata in India, di quella cosa mobile, mutevole e multiforme che chiamiamo Induismo.
Attaccarsi dove siamo come una patella non è il dharma, né lo è un salto nel buio. La religione eterna è realizzare Dio nella nostra vita inferiore e in quella esteriore, nella società non di meno che nell’individuo. Esha dharmah sanatanah. Dio non è né antichità né novità: Egli non è il Manava Dharmashastra, né il Vidyaranya, né il Raghurandan; e non è neanche un Europeo. Dio, che essenzialmente è Sacchidananda, è Satyam, Prema e Shakti manifestate – Verità, Forza e Amore. Qualsiasi cosa sia coerente con la verità e con il principio delle cose, qualsiasi cosa aumenti l’amore tra gli uomini, qualsiasi cosa conduca alla forza dell’individuo, della nazione e della razza, è divina, è la legge di Vaivaswata Manu, è il sanatana dharma e lo shastra induista.
Solo che Dio è la tripla armonia, Egli non ha un solo lato. Il nostro amore non deve renderci deboli, ciechi o sciocchi; la nostra forza non deve renderci duri e furiosi; i nostri principi non devono renderci fanatici o sentimentali. Pensiamo con calma, pazienza, imparzialità; amiamo totalmente e intensamente, ma saggiamente; agiamo con intensità, nobiltà e forza. Se anche allora commettiamo degli errori, Dio non ne commette alcuno. Noi decidiamo ed agiamo; Egli determina il frutto, e qualsiasi cosa Egli determini è buona.
La sta già determinando. Gli uomini si sono preoccupati a lungo per le riforme sociali o per un’irreprensibile ortodossia, e l’ortodossia è crollata senza che venissero fatte le riforme sociali. Ma in ogni momento Dio è andato in giro per l’India a far sì che il Suo lavoro venisse effettuato, malgrado le chiacchiere. Sconosciuta agli uomini, la rivoluzione sociale si prepara, perché riguarda il mondo intero, non solo l’India. Che ci piaccia o meno, Egli spazzerà via gli scarti del passato indiano e del presente europeo. Ma la scopa non è sempre sufficiente; a volte Egli preferisce usare la spada. Sembra probabile che sarà usata, perché il mondo non ripara se stesso rapidamente, e perciò dovrà essere riparato violentemente.
Ma questo è un principio generale; come possiamo determinare i principi che sono peculiari alla natura della comunità e alla natura dell’Epoca? Esiste una cosa come lo yugadharma, le giuste istituzioni e i modi di agire per l’epoca in cui viviamo. Perché, in effetti, l’azione dipende dalla forza della conoscenza o della volontà che deve essere usata, ma dipende anche dal tempo, dal posto e dal veicolo. Le istituzioni che sono giuste in un’epoca non sono giuste in un’altra. Sostituendo sistema sociale con sistema sociale, religione con religione, civiltà con civiltà, Dio conduce perpetuamente gli uomini in avanti verso manifestazioni più elevate e più inclusive della nostra perfettibilità umana.
Quando nel Suo movimento cosmico circolare Egli stabilisce qualche tipo di armonia mondiale stabile, quello è il Satya Yuga dell’uomo. Quando l’armonia vacilla, è mantenuta con difficoltà, non dalla natura degli uomini, ma da una forza accettata o da uno strumento politico, quello è il suo Treta. Quando il vacillare diventa inciampare e l’armonia va mantenuta ad ogni passo con una regolazione attenta e laboriosa, quello è il suo Dwapara. Quando c’è la disintegrazione e tutto finisce in crollo e rovina, niente può stare più lontano dal cataclisma che è il suo Kali. Questa è la legge naturale di progresso di tutte le idee e istituzioni umane. Questo vale sempre per la massa, continuamente, benché meno perfettamente, per il dettaglio.
Si potrebbe quasi dire che ogni umana religione, società, civiltà abbia le sue quattro Età. Perché questo movimento non solo è il più naturale, ma anche il più salutare. Non è una giustificazione per il pessimismo, né un vangelo di fede cieca e di doloroso annichilimento. Non è, come troppo spesso pensiamo nel nostro attaccamento alla forma, una malinconica legge di declino e la vanità di tutti i successi umani. Se ogni Satya ha la sua Kali, allo stesso modo ogni Kali prepara la sua Satya. Quella distruzione era necessaria per la sua creazione, e la nuova armonia, una volta perfezionata, sarà meglio di quella vecchia. Ma c’è la debolezza, c’è il mezzo successo che si trasforma in fallimento, c’è lo scoraggiamento, c’è la perdita di energia e di fede che offusca i nostri periodi di disintegrazione, l’apparenza di guerra, violenza, presa in giro, tumulto e ressa che vanno e vengono che assiste ai nostri periodi di graduale creazione e semi perfezione. Ma, se confidassero nell’Amore e nella Saggezza di Dio, invece di preferire ad esse le loro nozioni conservatrici e ristrette, piuttosto griderebbero che tutto sta rinascendo.
Così tanto dipende dal Tempo e dallo scopo immediato di Dio, che è più importante cercare di trovare il Suo scopo, invece di attaccarci ai nostri toccasana. Il Kala Purusha, Zeitgeist e Spirito della Morte, ha iniziato il suo terribile lavoro - lokakshayakritpravriddhas – aumentare per distruggere un mondo – e chi affronterà il Suo terrore e la Sua potenza irresistibile? Ma Egli non sta solo distruggendo il mondo che era, sta anche creando il mondo che sarà; è pertanto più vantaggioso per noi scoprire e collaborare a ciò che sta costruendo invece lamentarci e abbracciare quello che sta distruggendo. Ma non è facile scoprire il Suo orientamento, e spesso ammiriamo troppo delle costruzioni temporanee, che non sono altro che tende per i guerrieri in questa Kurukshetra, e le prendiamo per gli edifici permanenti del futuro.
Hanno pertanto ragione i Pandit quando fanno una differenza tra la pratica del Satya e la pratica del Kali. Ma nella loro applicazione di questa conoscenza, non mi sembra che siano sempre saggi o colti. Dimenticano, o non sanno, che Kali è l’epoca della distruzione e della rinascita, non dell’aggrapparsi disperatamente a qualcosa di vecchio che non più essere salvato. Si trincerano nel sistema del Kalivarjya[2], ma dimenticano che non sono le debolezze, ma le forze dell’antica armonia che sono state soggette a varjanam, l’abbandono.
Ciò che si è salvato è semplicemente un argine temporaneo che abbiamo eretto sulle rive del mare dei cambiamenti, aspettando un’abitazione più stabile; e anche questo un giorno crollerà sotto l’urto delle onde, scomparirà inghiottito dalle acque. È arrivato il momento di quella distruzione? Noi pensiamo di sì. Ascoltate l’impeto di quelle onde – più formidabile del rumore dell’assalto, notate quel lento, cupo inaridimento, privo di rimorsi – osservate un mucchio dopo l’altro della nostra struttura rattoppata, illogica, cadente, come si corrode, scricchiola, trema sotto i colpi, rompendosi, affondando silenziosamente o con degli schizzi, improvvisamente o un po’ alla volta, nel fermento di quelle ondate. È arrivato il momento per una nuova costruzione? Noi diciamo di sì. Osservate l’attività, l’entusiasmo e l’affrettarsi avanti e dietro dell’umanità, il rapido prospettare, cercare, scavare fondare – vedete gli Avatar e le grandi vibhuti che arrivano, alzandosi compatte, marciando una attaccata all’altra. Non sono questi i segni e non ci dicono che il più grande Avatar di tutti arriva per stabilire il primo Satya Yuga del Kali?
Perché anche nel Kali, come dicono le segrete e antiche tradizioni degli Yogin, c’è una perpetua ripetizione minore dei sottocicli Satya-Treta-Dwapara-Kali, nel sotto-Satya un’armonia temporanea e imperfetta che nel sotto-Treta e nel sotto-Dwapara crolla e sparisce nel sotto-Kali. Il processo poi ricomincia di nuovo [……………………………….] perché ogni nuova armonia temporanea è più giusta e più perfetta della sua armonia precedente, ogni nuovo crollo temporaneo più fragoroso e terribile della sua dissoluzione anteriore. Sono già finiti i primi cinquemila anni del Kali che erano necessari a preparare per la distruzione finale le reliquie dell’antico Satya. Debolezza e violenza, errore, ignoranza e oblio, che si precipitano a velocità e ritmo sempre maggiori sull’intero pianeta, hanno fatto questo lavoro per noi. Il mattino del primo Kali-Satya è pronto a nascere, poche strisce di fioca luce sono già visibili. Così narra la non incredibile tradizione.
Sì. Una nuova armonia, ma non le cornamuse stonate del materialismo europeo, non una fondazione occidentale su mezze verità e falsità tutte intere. Quando c’è la distruzione, è la forma che muore, non lo spirito – perché il mondo e i suoi modi di esistere sono forme di un’unica Verità che appare in questo mondo materiale in corpi sempre nuovi, con abiti costantemente variati – l’Eterno interiore che prende la gioia della Mutevolezza esteriore.
La verità del vecchio Satya che è morto non era differente dalla Verità del nuovo Satya che deve nascere, perché è sempre la Verità che si ristabilisce da sé e si conserva. In India, la terra prescelta, è conservata; nell’anima dell’India dorme, in attesa del risveglio di quell’anima, l’anima dell’India leonina, luminosa, serrata nei petali chiusi dell’antico loto di forza e saggezza, non nella sua debole, sordida, transitoria e miserevole esteriorità. Solo l’India può costruire il futuro dell’umanità; solo in India può apparire un reale Avatar delle nazioni. E fin quando Egli non apparirà, tocca all’India risollevarsi dalla sua polvere, dal suo degrado – simbolo del Satyayuga distrutto - e unirsi alla sua anima tramite lo Yoga e conoscere il suo passato e il suo futuro.
Non ho qui speculato su cosa dovremmo costruire, cosa dovremmo abbattere, né definirò adesso le mie opinioni in dettaglio – ma qualsiasi cosa sia, dobbiamo farlo alla luce e nello spirito del triplice principio della natura divina; dobbiamo agire nel riflesso dell’Amore, della Forza e della Saggezza di Dio. Siamo Induisti che cercano di re-induistizzare la società, non di europeizzarla. Ma cos’è l’Induismo? O qual è il nostro principio sociale? Almeno una cosa è certa riguardo all’Induismo religioso o sociale, la sua intera prospettiva è indirizzata verso Dio, la sua intera ricerca e attività è la scoperta di Dio e il nostro appagamento in Dio. Ma Dio è ovunque ed universale.
Dove Lo cercava l’Induismo? L’Induismo antico o precedente al Buddhismo lo cercava sia nel mondo che al di fuori di esso; prese la sua posizione sulla forza, bellezza e gioia dei Veda, diversamente dall’Induismo moderno o post-Buddhismo, che è oppresso dalla concezione di Buddha del dolore universale e la concezione di Shankara di illusione universale – Shankara che fu il più abile a distruggere il Buddhismo, perché era egli stesso mezzo Buddhista. L’antico Induismo mirava socialmente alla nostra realizzazione di Dio durante la vita, l’Induismo moderno alla fuga dalla vita verso Dio.
L’ideale più moderno dà come frutti una spiritualità nobile e ascetica, ma ha un effetto raggelante e ostile sulla solidità e sullo sviluppo sociali, sotto la sua ombra la vita sociale tende a stagnare, per mancanza di fede e beatitudine, shraddha e ananda. Se dobbiamo rendere perfetta la nostra società e far sì che la nazione torni a vivere, allora dobbiamo tornare alla verità precedente e più completa. Non dobbiamo rendere la vita un’attesa della rinuncia, ma la rinuncia una preparazione alla vita; invece di scappare da Dio in città a Dio nella foresta, dobbiamo piuttosto tuffarci nella solitudine montana dentro le nostre stesse anime per la conoscenza, la gioia e l’energia spirituale, per sostenere qualsiasi parte ci venga data dal padrone della Lila.
Se conseguiamo quella forza, qualsiasi società sviluppiamo deve essere piena dell’istinto della vita immortale e muoversi inevitabilmente verso la perfezione. In quanto al modo preciso in cui la società sarà ricostruita, non abbiamo conoscenze a sufficienza per risolvere il problema. Prima di agire dovremmo sapere, ma, o siamo alquanto desiderosi di agire violentemente alla luce di qualsiasi fioco raggio di conoscenza che può sorprendere il nostro intelletto irriflessivo e, benché Dio usi spesso la nostra fretta eccessiva per scopi grandi e benefici, comunque quel modo di fare le cose non è il migliore, sia per un uomo che per una nazione. Una cosa che mi sembra chiara è che il futuro negherà il principio di egoismo individuale e di interesse personale su cui la società europea si è basata finora e i nostri rinnovati sistemi si baseranno sulla rinuncia all’egoismo individuale e all’organizzazione della fratellanza – principi comuni ai Cristiani, ai Maomettani e agli Induisti.
Sri Aurobindo
da: "Essays Divine and Human", CWSA (Complete Works of Sri Aurobindo), vol. 12, pp. 50-58.
Traduzione di Paolo Quircio, Il Libraio delle Stelle - FioriGialli - Tutti i diritti riservati
[1] Le ragazze naach, o nautch secondo la grafia inglese, erano delle danzatrici che intrattenevano gli ospiti durante i ricevimenti, soprattutto nel periodo Moghul e durante il dominio britannico. Appartenevano a questa categoria anche le devadasi, danzatrici sacre che si esibivano esclusivamente nei templi. Verso la metà dell’ottocento la tradizione cominciò a scemare e le ragazze, non avendo più alcun tipo di protezione, a volte si dedicarono anche alla prostituzione.
[2] Il Kalivarjya è un insieme di regole e, soprattutto, di divieti, riguardo alle cose da evitare di fare durante il Kali Yuga.
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