SOLO NEL SILENZIO PERCEPIAMO LA NOSTRA VITA PRESENTE
di Bianca Carelli
La mentalità comune ritiene che silenzio sia semplicemente la mancanza di parola; la nostra società, presa dal vortice delle parole, teme il silenzio, che appare invece spesso utile e necessario, e, in alcune circostanze, saggio e sacro.
La parola è estremamente importante nei gruppi umani ma ha anche dei limiti: non arriverà mai ad esprimere perfettamente ciò che vorremmo perché ogni espressione verbale, per quanto possa apparire significativa, è sempre, almeno in parte, una cristallizzazione del nostro retaggio culturale. Le esperienze più alte sono sempre indicate, da mistici e illuminati, come “ineffabili”, proprio perché stra-ordinarie e
dirompenti.
Ecco perché il vero silenzio interiore può contribuire a farci percepire meglio il senso e la funzione di ogni parola, ad avvertirne la pertinenza o l’inutilità e, spesso, a collegarci con maggiore intensità e consapevolezza con ciò che ci circonda:
La persona solitaria, ben lontana da chiudersi in se stessa, diventa una con tutti.
Partecipa della solitudine, della povertà, dell'indigenza di ogni essere umano.
(Thomas Merton)
E’ nel silenzio che riusciamo a trascendere ogni forma di linguaggio stereotipato. In esso entriamo nella dimensione del meta-linguaggio, il quale ci aiuta a padroneggiare meglio la situazione per non scadere nei luoghi comuni e lasciarci incoscientemente condizionare dalla mentalità corrente. Poichè:
È solo nella solitudine e nel silenzio che la nostra vita è realmente
presente, che noi rispondiamo veramente al battito del cuore
dell'universo e siamo liberi di contemplare il miracolo dell'esistenza.
Forse non il mondo della strada ma il mondo del qui ed ora.
(John Lane, Lo spirito del silenzio)
Il vero silenzio interiore consiste nel non dare per scontati concetti, immagini, e persino il valore attribuito a termini acquisiti sin dall’infanzia; esso pertanto è uno dei principali motori del progresso civile ed etico e di ogni operazione che richieda cambiamento di regole e schemi sentiti come ormai inaridenti e cristallizzanti.
Affermava il poeta e scrittore francese Alfred de Vigny: “Solo il silenzio è grande; il resto è debolezza”. Nel linguaggio mistico del passato, “andare nel deserto” significava rientrare in se stessi per fronteggiare meglio le situazioni esterne; i monasteri di clausura usano ancora l’espressione “fare deserto” a proposito della necessità del silenzio interiore in cui l’anima può vibrare all’unisono con il Cosmo.
Per far nascere realmente in noi stessi questo “fiore del deserto” sono richieste vigilanza, saggezza e determinazione, perché la nostra mente è avida di contenuti e il nostro piccolo sé teme il vuoto, nel quale potrebbe perdere la sua illusoria identità: L’Intelligenza cosmica ha messo i suoi tesori là dove il rumore non può avere accesso.
Per raggiungere quelle regioni, bisogna staccarsi dal livello delle passioni ordinarie e dalle loro grandi oscillazioni, e aumentare l’intensità delle vibrazioni della propria anima. È introducendo il silenzio nella sua anima che il discepolo si innalzerà fino a quelle regioni in cui l’Intelligenza cosmica ha posto la felicità.
(Omraam Mikhaël Aïvanhov, Pensieri quotidiani)
E l’iniziato Dante conferma che le esperienze più alte non si possono “ridire”:
Nel ciel che più della sua luce prende
fui io e vidi cose che ridire
né sa né può chi di lassù discende
(Paradiso, canto I)
Bianca Carelli
30-01-2019
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