NON LA RELIGIONE MA UNA SPIRITUALITA' LAICA SALVA GLI UOMINI
di Paolo D'Arpini
Un'amica tempo fa mi scrisse dicendomi: "“Perché parli sempre male delle religioni? Mi chiedo cos'è questo accanimento contro le religioni? Così si fomenta odio gratuito. Che le religioni siano state strumentalizzate credo siamo tutti d'accordo, ma non concordo col demonizzarle a tutti i costi...”
E' vero, le religioni hanno strumentalizzato la spiritualità naturale dell'uomo trasformandola in speculazione utilitaristica. Secondo me le religioni dovrebbero tutte venir superate, se si vuole che l'uomo recuperi la sua vera natura spirituale. Il distaccarsene è un fatto personale, certo, ma occorre essere consapevoli e ricordare i fatti che sono all'origine e pure conseguenza della strumentalizzazione religiosa. D'altronde l'evoluzione si snoda attraverso una continua "crescita" di coscienza.
Le religioni sono gabbie schematiche che impediscono la crescita, esse rappresentano un coacervo di regole, dogmi e credenze immobili nel tempo. Poco si adattano ai cambiamenti epocali, al massimo se vi sono dei cambiamenti ineluttabili le religioni sembrano conformarvisi diluendo un pochino la loro dottrina ma di fatto impedendosi di poter dare una idonea risposta evolutiva alle nuove condizioni della società e dell'ambiente. I religiosi mancano di "responsabilità", nel senso originario di "respons-abilità", ovvero la capacità di fornire risposte adeguate alla situazione contingente in cui ci si trova.
Vivendo nei fatti e non amando le diatribe dialettiche ma amando dire “pane al pane e vino al vino” ammetto che non mi piace sentirmi ristretto in un contesto qualsivoglia. Non amo le etichette non amo nessuna coercizione morale, politica, ideologica o religiosa.. Persino alcune sette ecologiste od animaliste o bioregionaliste o vegane etc. tendono a chiudersi in un recinto di norme stabilite e di confessioni di aderenza fissa stretta, senz'altra considerazione che quella di aderire al "vangelo" della setta. Se si vuole fare della spiritualità naturale dell'uomo una base per esprimere le norme di una “nuova religione” con tanto di sacerdoti titolati all’interpretazione e con tanto di bibbia decisa a tavolino dai sapienti, non sono d'accordo.
Non che con questo intenda rinnegare la realtà della spiritualità, semplicemente mi dissocio dal novero di chi ritiene di essere depositario delle “regole” (come hanno fatto alcuni gruppi sedicenti spiritualisti laici) e che decide di volerle impartire agli altri come un codice legislativo.
All'inverso riconoscendo senza pretenziosità l’esistenza delle diverse realtà delle nostre quotidianità siamo in grado di coglierne la ricchezza e l’unicità, conservandone la memoria quale eredità culturale. Possiamo in tal modo cogliere anche l’anima del luogo dove abitiamo, ove mente e corpo si fondono in un atto profondo d’amore e di gratitudine verso questa terra che ci ha donato la vita.
Contemporaneamente, nel rispetto dei vari elementi della Natura, permane la coscienza che la terra, l’acqua, l’aria, etc. sono beni comuni che non debbono essere alienati all’uomo ed agli altri animali. Forse come non mai oggi sento che la attuazione di una proposizione ecologista, disgiunta dal credo religioso, sarebbe oltremodo necessaria per garantire la continuità della civiltà umana, per non parlare della sua sopravvivenza “bruta” (anche in considerazione dell’alienazione sempre più forte con i cicli naturali e l’avvelenamento dell’habitat).
Attraverso la consapevolezza di appartenere al Tutto, accettando cioè la nostra compartecipazione olistica a "ciò che è", scopriamo una nuova forma di presenza vitale ecologica in cui non si perseguano scopi immaginari (paradisi, inferni, guadagni, etc.) ma in cui ci si occupi esclusivamente del presente stato dell’esistenza. Una presa di coscienza ’individuale’ di come è possibile il riequilibrio al contesto della vita senza ritenere che la nostra sia una funzione di controllo, di dominio (o di sudditanza ad una ipotetica divinità altra), sapendo che tutto quello che noi rubiamo oggi dovrà sicuramente essere pagato domani, questo nel caso del sovrappiù, mentre se il nostro respirare, mangiare, vivere rientra nell’insieme del vivere, respirare, mangiare di ogni altro essere vivente, a quel punto potremmo finalmente goderci la vita, senza aver colpe da espiare, senza dover abbandonare il nostro modo di vita sociale che ha contribuito alla fioritura di questa bellissima nostra specie umana.
In questa fase della storia millenaria dell’uomo abbiamo privilegiato il secondario, il superfluo, a scapito del primario, ovvero il cibo, l’acqua, l’aria. E’ importante per noi esseri umani integrati analizzare le ragioni di questo sviamento. Uno sviamento che è stato forse necessario per scoprire il valore di tesi astratte ma che non può continuare ad occupare tutto lo spazio possibile del nostro esistere.
La specie umana è in continua evoluzione e così dovremmo poter prendere coscienza che il nostro vivere si svolge in un contesto inscindibile. Di fatto è così, solo che dobbiamo capirlo e viverlo, prima a livello personale e poi a livello di comunità. Ognuno può e deve “comprendere” la necessità di riequilibrare la sua alimentazione ed il suo stile di vita non sentendosi però obbligato da una ideologia o da una spinta etica. La maturazione può e deve avvenire per auto-consapevolezza ecologica e fisiologica.
Insomma dobbiamo compiere il primo passo verso noi stessi concentrando la nostra attenzione sulle cose che possono essere fatte, per noi stessi e da noi stessi, nell’immediato presente.
Per cominciare riponiamo fiducia nelle nostre personali capacità innate di riconoscerci nella grande espressione dell’esistenza. Questo non significa abbandono della comunità, anzi una tale consapevolezza corrisponde alla riscoperta dei valori della comunità, valori basati sulla propria autoresponsabilizzazione nei confronti di noi stessi -in primis- e successivamente verso i nostri consimili (i viventi nella loro totalità). Non può essere un atteggiamento sentimentale, bensì operativo, organico, definitivo e totale, comprendente i vari piani dell’andamento vitale senza esclusione di modi e senza eccessi.
Come abbiamo visto c'è una sostanziale differenza fra religione e spiritualità. La religione indica l'aderenza alle norme e ai dogmi, quindi rappresenta un "atto di fede", cioè un "credere" e mettere in atto quei dogmi e quelle norme nella propria vita. Perciò essa appartiene al dominio della mente ed è opinabile. All'inverso la spiritualità naturale è la scintilla cosciente che qualifica ogni essere vivente e che nell'uomo si manifesta in forma di "consapevolezza di sé". Quindi la spiritualità è la vera natura dell'essere e non è subordinata ad alcuna precondizione.
Da ciò se ne deduce che la "spiritualità naturale", intesa correttamente, è per sua propria natura "laica" ovvero aldilà di ogni contestualizzazione religiosa. Quindi è impensabile che un membro di una religione possa esprimere "laicamente" la spiritualità relativa a quella religione.
Vorrei ora chiarire il significato originario e concettuale di "spiritualità laica" che viene malamente indicato come un modo di esprimersi spiritualmente da parte di membri laici di una qualsiasi religione... In verità il termine laico derivante dal greco "laikos" sta a significare l'assoluta non appartenenza ad un modello religioso, o filosofico, e persino politico. Perciò, ‘laico’ significa "al di fuori di ogni contesto socialmente strutturato". Ad esempio la traduzione inglese di "laico" è "laymen" che significa "uomo comune" ed il termine inglese più prossimo ad esprimere il concetto di spiritualità laica è "awe" ovvero "meraviglia di Sé".
In verità la spiritualità laica sta ad indicare la "spiritualità naturale", che spinge la ricerca spontanea dell'uomo verso la sua origine, verso il significato misterioso della vita, tale anelito è indirizzato verso l'auto-conoscenza.
Tanto per cominciare stabiliamo che "spirito" significa "sintesi fra intelligenza e coscienza". E quindi il suo "essere" non richiede alcuna conferma esterna. Ognuno afferma la propria esistenza sulla base della sua diretta esperienza di esistere e di averne coscienza. Non è necessario che alcuno ne dia conferma.
Non è necessario "credere” nella propria esistenza per dire "io sono", lo sappiamo senza ombra di dubbio da noi stessi. Mentre per sentenziare l'assunzione di una fede o la mancanza di una fede non possiamo fare a meno di usare il termine "credo" oppure "non credo". Se ne deduce che l'essere ed esserne contemporaneamente coscienti è naturale ed inequivocabilmente vero, mentre sostenere qualcosa che ha il suo fondamento nel pensiero, cioè nella speculazione mentale, è solo un processo, un concettualizzare.
Non voglio fare il difficile ma è ovvio che nessuno dirà mai "credo di esistere e di essere consapevole" mentre per qualsiasi altra affermazione (o forma pensiero astratta o concreta) dovrà sempre usare il termine "credo in questo od in quello … nella religione o nell'ateismo" od in qualsiasi altra cosa a cui si presta fede...
"Io sono" è perciò la verità pura e semplice ed è qui vano spiegare le possibili ragioni di tale "essere" giacché questo procedimento esplicativo (o interpretazione) rientra solo nella speculazione ed è quindi opinabile.
Affermare che la coscienza è il risultato della scintilla divina o il percorso casuale della materia che si trasforma in vita lasciamolo dire ai sofisti. "Io sono" è l'unico fatto incontrovertibile che non abbisogna di prova o discussione alcuna. Ed è su questa base che voglio restare. Non ha senso quindi mettersi a discutere sui "modi".....o sulle "ipotesi". Dico ciò per tacitare ed evitare qualsiasi contrapposizione sulla realtà del fatto contingente da me espresso (e tutti a mente serena possono esserne consapevoli). Questa è laicità dello spirito.
La spiritualità naturale quindi è un semplice e banale "riconoscimento" dello stato spontaneo di ognuno di noi: conoscenza di Sé.
Non parlo della conoscenza empirica riferita al "piccolo sé" ovvero l'ego, il nome forma che crediamo di essere. Anche se conoscere le caratteristiche incarnate, saper individuare le pulsioni che contraddistinguono la nostra persona, è sicuramente utile per non farci imbrogliare dalla mente, per non cadere nella trappola della falsa identità. Infatti tutto ciò che può essere descritto non può essere “noi”, ma solo la struttura funzionale del corpo/mente (nella quale ci riconosciamo).
Questo apparato psico-fisico è il risultato della commistione di forze naturali (od elementi) e di qualità psichiche (che degli elementi sono espressione). Nella multiforme interconnessione di queste energie gli infiniti esseri prendono forma… Anche se –in verità- non si tratta di “forze” né di “esseri” bensì di una singola forza e di un solo essere che assume vari aspetti durante il suo svolgersi nello spazio-tempo.
Ma qui occorre descrivere la “capacità separativa” (maya – yin e yang) che produce l’illusione della diversità. Essa è il primo concetto che si forma nella mente (in effetti è la mente stessa) contemporaneamente all’apparire del pensiero “io”. Attenzione non si tratta dell’Io-Assoluto, l’Essere, ed esserne coscienti aldilà di ogni identificazione, si tratta invece del primo riflesso cosciente (di siffatto Io) nella mente e che consente l’oggettivazione e la percezione dell’esteriorità attraverso i sensi. In tal modo si attua il meccanismo dissociativo di “io sono questo” e quel che viene osservato “è altro”. Così il dualismo assume una sembianza di realtà e viene corroborato dalla causalità consequenziale alle trasformazioni che si srotolano nello spazio/tempo.
Il processo formativo duale è di facile individuazione da parte dell’accorto intelletto (nel senso di attento) ma questa considerazione è ancora all’interno del riflesso speculare della mente, per cui dal punto di vista della Conoscenza Assoluta anche questa spiegazione (o comprensione) è futile, forse non necessaria e magari addirittura fuorviante… (a causa della tendenza appropriativa del pensiero speculare) e qui ritorno alla necessità di conoscere la propria mente per non rimanere ingannati dalle sue elucubrazioni.
Qualcuno potrebbe chiedersi a questo punto: “…Allora perché scrivere tutto ciò? Perché leggerlo?” - Ma la risposta è banale, talvolta noi prima di gettare l’immondizia sentiamo il bisogno di esaminarla in ogni particolare, in modo da non aver rimpianti dopo… Purtroppo, in anni ed anni di volo basso, tutti noi abbiamo sviluppato un forte attaccamento alla zavorra…!
Ed infine chi è consapevole del Sé? Colui che si fonde in questa “conoscenza” giunge all’auto-realizzazione e alla liberazione dall’identificazione con l’agente. Per tale liberato vivente le azioni si svolgono spontaneamente e su di lui le "tentazioni" dei sensi e le loro impressioni non hanno appiglio alcuno. Per lui non esiste il mondo della dualità. La sua conoscenza è il Fuoco Sacro, che brucia ogni impressione latente espressione dell’ego. Colui che ha realizzato il Sé non è condizionato dal tempo, egli è la Morte della morte, è il vero eroe che non ha paura di nulla, perché non c’è un “altro” che lui possa temere..
Capisco che questa condizione esistenziale richiede una maturazione individuale ed una realizzazione della propria natura originale che non può essere il risultato di una “scelta” o di un “credo” … La vita al momento opportuno e con i modi che gli sono consoni condurrà l’uomo verso la sua meta, che è anche il suo inizio...
Questo ritorno, questa coscienza di Sé nell’Esistenza universale, non è una esperienza particolare, non ha bisogno di nomi o di attributi, è semplice riconoscersi in ciò che è…
E il ritorno a ciò che siamo e sempre siamo stati, Essere inscindibile, unico, che si manifesta in molteplici forme, ci consente di vivere in modo armonico, con noi stessi, ed in amorevole gentile e solidale collaborazione con la Terra e tutti i suoi abitanti,. Questo riconoscimento di Sé, o ritorno alla propria natura, non è quindi un’etichetta bensì uno stato di coscienza.
Paolo d'Arpini
Treia, 10-03-2019
|