di Tilde Bozzo
La strada in salita è quella che porta a Fiesole. La casa che cerco è sulla destra. A sinistra, di fronte, un pendio verdissimo con piante d’alto fusto: un boschetto con ampi spazi, sereno.
Salgo al primo piano. Mi apre una donna sulla cinquantina che con un sorriso mi fa accomodare nel salotto d’attesa. Poltrone vecchie, diverse fra loro, messe in un cerchio talmente ristretto che per prendere posto bisogna scavalcarne una.
Al muro un bellissimo arazzo indiano con una scritta tradotta su un bigliettino appeso in centro: “Qualunque sia il motivo per cui tu sia venuto da me, io ti accolgo per quel motivo”.
Abbasso lo sguardo e mi meraviglia vedere su di una mensola le cianfrusaglie più disparate: un orribile cane di ceramica, due composizioni natalizie piene di ciuffi argentei, un abat-jour dal cappello vecchio e smunto e storto.
Entro nello studio di Roberto Assagioli. Dietro una scrivania del secolo scorso stracolma di fogli, opuscoli, ecc. (compreso un cigno di ceramica porta-qualcosa) sta lui.
Mi viene incontro con passo incerto. Piccolo, magro, vecchio, con la barbetta bianca, gli occhiali che non nascondono i suoi infiniti occhi dolci che mi guardano con interesse. Non si sa se fisicamente porta bene o male i suoi 84 anni.
Immediatamente capisco che questo non interessa, come non interessano più i suoi cani di ceramica, i suoi cigni, i suoi tristi abat-jours.
In un attimo penso: se è vero che cerchiamo di supplire con l’ordine e l’armonia esterna quella che ci manca internamente, lui non ne ha certo bisogno.
Legge la mia autobiografia. (È già molto sordo e questo è il modo migliore per comunicare i nostri pensieri). Poi si volta verso di me con la sua seggiola girevole e mi dice guardandomi diritto e dandomi la sua tenera mano segnata dall’artrosi:
“Brava, brava, continui così, lavorando in se stessa. Ha visto che quando ha avuto bisogno ha trovato nella vita chi l’ha aiutata”.
Tutto mi dice guardandomi coi suoi occhi speciali, con un sorriso di compiacimento, come se io fossi l’essere più amabile e valido della terra, e se anche non lo fossi questo non avrebbe importanza.
La cosa che conta è che “io sono”. Io sono lì con lui, in un momento senza tempo in un luogo non importa dove, a un livello in cui regna la pace e l’armonia.
Gli metto in mano l’altro foglio contenente le mie domande. E, quasi a concentrare maggiormente la mia attenzione sulle sue risposte corrugo la fronte, come è mia abitudine da sempre. Lui passa dolcemente le dita sulla mia fronte e mi dice:
“Ricordati, ricordati sempre, che la psicosintesi è gioia”.
A proposito dei miei problemi, man mano che lui li legge mi domando come mai li ho esposti, dato che ora sono solo fatti privi di ogni problematicità.
Le sue risposte sono di una chiarezza e di una semplicità estrema e riconosco in quel momento di essere una “contorsionista” della vita.
Le mie preoccupazioni che riguardano il lavoro di segretaria al Centro di Roma e della facoltà di Psicosintesi presso l’Università del Mediterraneo (lavoro per il quale ho tanta buona volontà e neppure la più piccola esperienza) sono sciolte con queste semplici parole:
“Lavori tranquilla, non potrà sbagliare molto, e se sbaglierà, ciò servirà a correggerla. E poi, in questo cosmo imperfetto, in mezzo all’umanità così imperfetta lei vuol cercare la perfezione? Non ha bisogno di chiedere niente a nessuno”.
Di tutti gli argomenti che abbiamo toccato riporto le sue parole a proposito dell’aiuto che possiamo ricevere e dare.
“Prendiamo dalla nostra guida ciò che ci può dare, ma non appoggiamoci a Lei. E non facciamone un modello ideale. Siamo noi che dobbiamo raggiungere il Sé, non guardarlo in uno specchio come facciamo se guardiamo il nostro maestro. Lavorate, riunitevi in gruppetti, discutete fra voi. Siamo delle costellazioni, non dei Sistemi Solari. Emaniamo, non accentriamo. Dall’interno all’esterno, non viceversa.
Per aiutare gli altri ci sono due modi: quello materno e quello paterno. Quello materno: proteggere, aiutare. Va bene temporaneamente ma, come la madre dovrebbe fare col bambino, è da lasciare il più presto possibile.
Quello paterno: far sì che l’adolescente abbia la possibilità di camminare da solo. Diamo l’esempio, non cerchiamo mai di persuadere. Non addossiamoci i problemi degli altri; aiutiamoli, quando l’aiuto ci viene richiesto, senza identificarci. ‘Questo posso darti. Se vuoi, prendi. Non posso darti di più.’
Sarete incolpati di egoismo, di menefreghismo, di insensibilità: molto meglio questo piuttosto che aiutare maternamente. Così non si permette la crescita degli altri, la loro evoluzione, e questo è il più grave danno che possiamo fare.
Si può indicare la via, ma poi ognuno deve lavorare in se stesso. Molto meglio nessun maestro piuttosto di un ottimo maestro che voglia imporsi.
Poi armonizziamo noi stessi, viviamo serenamente; in questo modo trasmetteremo senza inutili discorsi la serenità intorno a noi, e gli altri potranno trovare la loro via”.
Il suo sorriso è contagioso, la sua calma fa pensare: la vita in fondo è una cosa tanto semplice, perché ce la complichiamo? La sua gentilezza è così genuina che ti senti gentile anche tu, con tutta l’anima.
Poi mi consegna un suo vecchio scritto dicendomi che contiene cose ormai superate.
“Lo legga, lo utilizzi e di quello che le par buono ne parli pure, ma non lo consegni ad altri perché lo leggano. È bello avere qualche piccolo segreto, no?” mi dice sorridendo. Con questo atteggiamento, come se ci fosse una tacita intesa fra lui e me, lo lascio.
È come un amico di sempre e mi viene spontaneo dargli due baci sulle guance. La sua barbetta è dura come setola.
Al di là della porta ridiscendo sulla terra.
Questo accadeva il 26 maggio 1972. L’esempio vivente della “nuova vita” era rimasto là, nel suo studio antico. Ma col tempo, ripensando alle sue parole, a tutto quello che mi aveva trasmesso, comprendevo sempre più ciò che era stato un condensato di Amore e di Saggezza offerto così semplicemente, da essere umano a essere umano.
Quanti significati e insegnamenti anche nell’ultimo episodio del “segreto” tra il Grande che mette a nudo le sue imperfezioni e la piccola perfezionista insicura che nuota e si dibatte fra le onde della personalità.
Quel suo modo di vedermi nella mia totalità, ma di focalizzarsi solo sulla parte migliore di me, a cui offrire generosamente le sue energie, non era forse l’esempio chiaro del lavoro interiore che io avrei dovuto portare avanti in futuro, sempre? Da quella prima visita non mi capitò più di corrugare la fronte: questo fatto fu notato anche da lui e da allora ogni mia esperienza psicosintetica è stata strettamente legata alla gioia, tanto più grande, quanto più alto il livello dell’esperienza vissuta.
Insieme a tutti coloro che sono stati e sono aiutati dal suo Spirito rivolgo un pensiero di gratitudine a Roberto Assagioli, oggi come allora.
Tratto dal “Quaderno della Comunità di Psicosintesi di Città della Pieve” n° 1 – luglio 1988
(fonte: Psicoenergetica.it)
Libri di Roberto Assagioli e sulla Psicosintesi