PSICOLOGIA DELLA DONNA E RELAZIONI DI COPPIA
Intervista ad Assagioli di Claude Servan Schreiber
Vidi Roberto Assagioli per la prima volta circa due anni fa, a Firenze, nella sua vecchia casa dove ha passato gran parte della sua vita. Fece entrare mio marito e me nel suo studio, pieno di libri e carte a tal punto che dovette muoverne una pila per farci sedere.
Per un lungo momento ci guardammo, noi tre, senza parlare. Assagioli sorrideva, i suoi occhi straordinariamente vitali in una faccia segnata dalla vecchiaia, e guardava ora l’uno ora l’altra di noi. Ci stava sottoponendo ad un esame? Era proprio il contrario: ci stava permettendo di scoprirlo senza fretta, e di stabilire un rapporto con lui, senza che noi neppure ci rendessimo conto di che cosa stava succedendo. Era un clima di comunicazione, dove le parole potevano trovar posto in seguito, mentre fra noi si stava sviluppando qualcosa di simile a una corrente. La sua faccia era illuminata da una gioia interna straordinaria e radiosa, come non ho mai incontrato in un ottuagenario, e raramente in uomini molto più giovani. Il suo messaggio di gioia, percepito immediatamente, e immediatamente comunicato, è il ricordo più bello che io conservo dei numerosi incontri che abbiamo avuto in seguito con lui. «Tutto è possibile e accessibile a voi: gioia, serenità, ve le offro come un dono».
Non mi aspettavo di trovare in Roberto Assagioli l’eco del mio interesse in un’area specifica: la psicologia delle donne in un mondo in cui i loro ruoli e le loro funzioni le portano a subire dapprima un condizionamento, poi un’oppressione che spesso non riconoscono. Agli occhi della femminista che io sono, il padre della psicosintesi ha dunque un merito in più: una straordinaria capacità di adattarsi ad atteggiamenti che cambiano, che gli viene dalla sua volontà di capire gli altri, e dal suo amore della verità scientifica, anche quando questa è diversa da credenze avute in passato. Sul soggetto delle donne Assagioli una volta era stato limitato; lo sa e lo ammette francamente.
È stato influenzato da pregiudizi culturali che denotano come «natura femminile» ciò che è in gran parte il prodotto di un sistema sociale. Ma in seguito si è liberato da questo punto di vista, dal peso dell’educazione ricevuta, del suo ambiente e della sua età, e si è interessato prontamente alla nuova ricerca esistenziale sulla natura delle donne, che è il nostro movimento di liberazione. Alla sua età, e per un italiano, questo è un doppio successo, specialmente a giudicare dai risultati.
Non c’è e non può esserci una psicosintesi generale delle donne, e neppure degli uomini. C’è solo, per ogni individuo di entrambi i sessi, un itinerario personale unico verso lo sviluppo di tutte le sue facoltà emotive, mentali e spirituali. «L’essere umano — mi ha detto Assagioli — oggi non è più definito da nessuno dei suoi ruoli. Io credo nel primato dell’essere umano non condizionato dal suo sesso». Ci può essere un messaggio più bello? Ecco, più estesamente, ciò che mi ha detto su questo soggetto:
Non possiamo parlare accuratamente di «donne» e di «uomini» in generale. Ognuno di noi è un essere umano prima di essere «uomo» o «donna». E ognuno di noi, uomo o donna, ha ruoli e funzioni da soddisfare individualmente, inter-individualmente, e socialmente. Qui è dove incominciano le differenze. Senza dubbio queste non sono differenze di valore, ma solo differenze di funzione. L’essere umano non è mai definito da nessuno dei suoi ruoli. Le donne come esseri umani possono accettare oppure o no i ruoli femminili tradizionali. Non è necessario che una donna accetti il ruolo di moglie o di madre. Può accettare un’altra vocazione. Non è una necessità, è una libera scelta.
La donna, quindi, ha ragione nel chiedere di essere trattata come un essere umano, e non «semplicemente come una donna» e basta. E ha ragione nel rifiutare di essere identificata con una certa immagine della donna. È un essere vivente, con tutta la dignità e le potenzialità di un essere vivente intero. Tutti gli atteggiamenti che limitano la possibilità della donna sono errati. Le donne hanno il diritto di richiedere il rispetto e la parità con gli uomini. E naturalmente lo stesso è vero per gli uomini.
Ognuno di noi può scegliere ugualmente di interpretare ruoli diversi. Per esempio, una donna può decidere di interpretare il ruolo di moglie o di madre, o entrambi. Può condurre un’attività sociale creativa o d’affari; può scegliere un ruolo oppure alternare vari ruoli — nella stessa giornata o anche durante periodi di tempo estesi. Questa è una libera scelta di un essere umano. Credo nel primato dell’essere umano non condizionato dal suo sesso.
Le differenze fra uomini e donne si trovano chiaramente riflesse nel nostro ambiente, nella famiglia e nella società. Ed è qui che noi dobbiamo lavorare per eliminare la loro ingiusta e dannosa cristallizzazione in pregiudizi e rigidi stereotipi.
Tuttavia è importante dire che queste differenze esistono anche all’interno della nostra psiche, nelle profondità del nostro inconscio, e anche nell’inconscio collettivo dell’umanità, dove appaiono attraverso alcuni degli archetipi più potenti. Dunque ci sono principi maschili e femminili universali che si manifestano in maniere assai diverse attraverso individui diversi. In altre parole, mentre i principi maschile e femminile esistono nell’universo, diverse persone li sentono e li descrivono in maniere differenti — come nel caso della Bellezza, della Verità, dell’Armonia, della Bontà, della Giustizia, o di qualsiasi altro principio universale.
Il punto qui non è di cercar di definire che cosa sono questi principi, ma di distinguere, nella nostra consapevolezza e nelle nostre relazioni con gli altri, il principio maschile e quello femminile da «uomo» e «donna». Dobbiamo riconoscere che entrambi i principi, quello maschile e quello femminile, hanno una loro esistenza legittima, e che sono presenti — anche se in forme uniche e proporzioni diverse — in ogni uomo e in ogni donna.
In ciascun essere umano c’è una percentuale di mascolinità psichica e una percentuale di femminilità psichica, completamente indipendente dal sesso dell’individuo. Ogni persona è una combinazione unica di queste energie. Quando guardiamo le donne in generale, troviamo che sono più sintonizzate con il principio femminile, vi accedono più facilmente, e ne hanno una percentuale più alta nella loro costituzione; e così gli uomini sono più sintonizzati con il principio maschile. Naturalmente questa è una generalizzazione. Le persone sono uniche. Per esempio, alcuni uomini sono psicologicamente più «femminili» di molte donne.
Prendiamo il caso della scrittrice francese George Sand (pseudonimo di Madame Dudevant) e Chopin. Erano amanti, e lui fisicamente aveva il ruolo dell’«uomo» e lei quello della «donna». Ma psicologicamente lui era femminile, e lei era maschile. George Sand si vestiva come un uomo, scriveva con uno stile vigoroso — e fumava sigari. Nella sua personalità predominava la mascolinità, mentre Chopin era immaginativo e sensibile.
C’è dunque una differenza fra sesso fisico e caratteristiche psichiche. Attraverso gli anni ho avuto occasione d’incontrare parecchie persone che temevano o addirittura erano convinte di essere omosessuali, semplicemente perché non si rendevano conto di questa distinzione.
Solo accettando tanto il principio femminile quanto quello maschile, armonizzandoli e unendoli dentro di noi, saremo capaci di trascendere il condizionamento dei nostri ruoli e di esprimere l’intera gamma del nostro potenziale latente.
Questo è vero per l’individuo quanto per la società. Dal punto di vista sociale, c’è un grande bisogno, nella società attuale, dell’espressione del principio femminile. La società ha bisogno di donne per contribuire agli aspetti più alti della sua femminilità — l’amore altruistico, la compassione, il sentimento e il rispetto per la vita — con cui le donne di solito hanno più familiarità e che spesso esprimono con una facilità maggiore che gli uomini. È quindi desiderabile per le donne essere coinvolte nella vita sociale e politica. Se così decidono, possono farlo, e intanto continuare a interpretare ruoli tradizionalmente femminili nella famiglia; oppure possono darsi completamente ad attività come il servizio sociale, rinunciando ai ruoli familiari tradizionali. Hanno il pieno diritto di farlo. La società deve rispettare e apprezzare il loro valido contributo.
Il fatto che una donna possa dedicare se stessa per gran parte del tempo a certi ruoli non è per nulla una questione di inferiorità o superiorità. Le caratteristiche maschili e femminili, anche se dissimili, hanno lo stesso valore. Questa è l’affermazione di un fatto.
Le donne hanno ragione a protestare e ribellarsi agli annosi atteggiamenti pregiudiziali della società. Ma nel protestare si può perdere la propria prospettiva, si può diventare distruttivi e non costruttivi. Psicologicamente e storicamente, i conflitti e le esagerazioni possono essere capiti. L’ideale però sarebbe di rimanere nei confini di ciò che è giusto e costruttivo.
Per esempio, certe donne vanno all’estremo opposto dei loro stereotipi sociali correnti. Anziché equilibrare e integrare le loro energie femminili con quelle maschili, negano virtualmente il principio femminile in se stesse. Una donna può rifiutare i ruoli femminili tradizionali per dimostrare agli uomini che può interpretare i ruoli maschili. Qui c’è il pericolo della mascolinizzazione delle donne. Ironicamente, questo atteggiamento può derivare da una valutazione inconscia del principio maschile e dei ruoli maschili come intrinsecamente superiori a quelli femminili. Ma non c’è nessuna superiorità intrinseca di questo genere. C’è invece bisogno di rispettare e valutare il principio femminile e le maniere e i ruoli attraverso cui questa energia può essere espressa tanto dagli uomini quanto dalle donne. I ruoli maschili non sono né migliori né peggiori di quelli femminili. C’è bisogno di entrambi, ed entrambi hanno uguale valore.
Una questione controversa è se il fatto che le donne hanno spesso più sviluppate certe funzioni e gli uomini altre, sia prodotto dalla natura, dall’educazione, o dalla pressione sociale. Io credo siano presenti tutti e tre i fattori in proporzioni diverse in ogni individuo.
Mentre da un punto di vista sociale questo è un problema importante, per fortuna dalla prospettiva dell‘individuo può essere soltanto come è ora e come può migliorare.
Per esempio, se una donna ha avuto meno opportunità o incentivi per esprimere le sue idee, non mi sembra che sia necessario passare molto tempo e usare molta energia per capire perché, chi è responsabile di questo, e così via. Semplicemente, se questa funzione è sviluppata in modo insufficiente, lei può svilupparla, e lo stesso è vero per un uomo che non ha sviluppato funzioni femminili quali il sentimento o l’intuizione. (È chiaro che ci sono uomini che hanno bisogno di sviluppare il loro intelletto e donne che hanno bisogno di entrare in contatto con i loro sentimenti e di coltivare la loro intuizione). Qui il punto è di riconoscere in ogni persona le qualità forti e i lati deficitari — che non sono «difetti», ma lacune qualitative e relative — e di portarle a una condizione di armonia e di equilibrio. Questa è quella che io chiamo una prospettiva psicologicamente e spiritualmente pratica.
Ora veniamo alla coppia. Una coppia di individui fondata sull’uguaglianza fondamentale, sul rispetto, sull’apprezzamento reciproco di entrambi come esseri umani, può funzionare, può creare la psicosintesi di quella particolare coppia. Ognuno può lavorare alla sua psicosintesi e ognuno può anche collaborare alla psicosintesi dell’altro, aiutandolo a raggiungere la sua psicosintesi, e a rafforzare le sue funzioni meno sviluppate. Allora, dopo che entrambe le persone hanno fatto questo in una certa misura, possono agire veramente come una coppia combinando e completando le loro qualità e le loro funzioni in tutte le situazioni: nel matrimonio, nel loro ruolo come genitori, e nelle attività sociali.
Per ogni funzione da sviluppare c’è bisogno di un allenamento — spesso un allenamento che include esercizi specifici. Questo processo è analogo all’allenamento muscolare: se uno vuole fare un certo sport trova qualcuno che è competente con cui allenarsi, e dopo continua ad allenarsi da solo. Se un uomo riconosce che il suo lato emotivo e immaginativo è stato trascurato, lo può coltivare; se una donna trova che la sua mente non è attiva come vorrebbe, può allenarla. Ognuno deve «coltivare il suo giardino» piantandovi fiori diversi. Una donna, o un uomo, possono far da soli, ma è spesso più efficace, più facile, e più divertente farlo in due.
Quando arriviamo a problemi particolari, possono emergere varie difficoltà, e ad ogni caso specifico possiamo applicare una terapia. Parlo di «terapia» nel senso più generale della parola, perché nessuno di noi è sano al cento per cento nel senso psicosintetico più alto. In situazioni difficili un terapeuta saggio e benevolo o un consulente può essere di grande aiuto: qualcuno che sia imparziale, gentile, comprensivo, che aiuti i due membri della coppia a diventare più consapevoli, che spieghi loro la situazione, e indichi le soluzioni possibili, aiutandoli a scegliere le maniere per raggiungerle.
Per ogni coppia la situazione è diversa. Ogni essere è unico. Questo unico moltiplicato unico dà unico al quadrato. Questo è un principio fondamentale della psicosintesi. Ogni caso è unico. Ogni situazione è unica. Ogni coppia è unica. Ogni famiglia è unica. Dobbiamo concentrarci sul problema esistenziale unico di una certa situazione, anziché su aspetti generici, e dopo scegliere le tecniche più adeguate per risolvere i problemi fittizi e inautentici. Può esser chiamata la fase «psicanalitica»: la scoperta degli ostacoli per un lavoro costruttivo; e gli ostacoli sono per lo più quelli di cui abbiamo parlato prima: atteggiamenti erronei di uomini e di donne. Io credo nell’uguaglianza di valore, nella differenziazione di funzioni fino ad un certo punto. Collaborazione e integrazione sulla base dell’uguaglianza.
Nell’educazione il bambino ha bisogno di un ambiente materno e di un ambiente paterno. C’è molto danno nell’educazione quando viene a mancare l’influenza paterna. Ma se per qualche ragione non c’è il padre, la donna può assumere anche un ruolo paterno. Questo è difficile, ma lo può fare, se vuole. E lo stesso è vero per l’uomo. Se la donna è assente, il padre può assumere anche un ruolo materno. Possiamo esprimere qualsiasi ruolo la vita richieda o che noi decidiamo di interpretare. Lo stesso è vero per il lavoro. In una grande varietà di situazioni c’è sempre nell’essere umano la possibilità, entro limiti ragionevoli, di fare qualsiasi cosa — di scegliere liberamente, di liberarsi dalle pressioni sociali, dai pregiudizi, dagli ostacoli, per raggiungere i suoi scopi più elevati.
Siamo ora in un periodo di crisi e di profondi cambiamenti. Io credo che la donna stia evolvendo forse più rapidamente dell’uomo. Per lui il compito è di scoprire il vero essere umano al di là delle limitazioni maschili — di essere non soltanto un uomo «maschile» ma un essere umano, che interpreta ruoli maschili, e se così decide, ruoli femminili.
Storicamente sappiamo che ci sono state civiltà matriarcali e civiltà patriarcali; l’ideale sarebbe ora una civiltà di sintesi, che non è né patriarcale né matriarcale, ma «psicosintetica», cioè una civiltà in cui si manifestano le qualità più alte e più belle di ognuno.
Questo è un fatto nuovo. In tutte le civiltà e culture storiche c’è stata una preponderanza dell’uno o dell’altro elemento. Ma in questa nuova civiltà e nella cultura universale emergente per la prima volta l’umanità è sufficientemente sviluppata per creare una realtà planetaria, globale che incorpora ciò che c’è di meglio in tutti gli uomini e in tutte le donne. Io credo che questa psicosintesi planetaria, questa psicosintesi dell’umanità, sia possibile e necessaria. Ogni problema particolare, allora, troverà il suo contesto in un tutto più grande, e il conflitto potrà essere rimpiazzato dalla cooperazione e dall’integrazione armoniosa. Tutto ciò è alla nostra portata, perché non è soltanto molto bello — è anche molto umano.
Intervista ad Assagioli di Claude Servan Schreiber
Tratto da “Synthesis”, Vol. I, 1974
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