di Paola De Paolis
Il 15 agosto è il giorno natale di Sri Aurobindo ed anche il giorno in cui venne proclamata l’Indipendenza dell’India. Può sembrare una coincidenza, ma forse non lo è. Pubblichiamo, in proposito, alcuni estratti dall’Introduzione, di Paola De Paolis, al capolavoro di Sri Aurobindo da lei tradotto, il Poema “Savitri – Leggenda e Simbolo”, vol. I, Ediz. Mediterranee (la cui 2° edizione, riveduta e aggiornata, uscirà il prossimo ottobre).
Sri Aurobindo nasce a Calcutta il 15 agosto 1872, in quel Bengala che, all’inizio del XIX secolo, attraverso i canali della nuova influenza inglese, era divenuto un vero e proprio centro propulsore della cultura occidentale:
Nella mia casa paterna si parlava solo inglese e hindustani, egli ricorda.
Non conoscevo il bengali, niente dell’India o della sua cultura* (p. 7). Inviato a sette anni, dal padre medico condotto, a studiare in Inghilterra, a Manchester, Londra e infine Cambridge (dove, come documentano i biografi, vinse tutti i premi per la versificazione greca e latina), lettore insaziabile, assimila in breve tempo tutta la cultura europea leggendone i classici, antichi, medievali e moderni, nelle lingue originali, compreso il nostro Dante. La sua ri-nazionalizzazione cominciò solo a 20 anni, al suo rientro in India e avvenne, com’egli stesso precisa,
per naturale attrazione verso la cultura indiana (...)
C’era un attaccamento al pensiero e alla letteratura inglese, ma non all’Inghilterra come paese. (p. 7) […]
Nel 1893 dunque, Sri Aurobindo, perfettamente occidentalizzato, rimette piede sul suolo natale (
Come misi piede sul suolo indiano [...
], cominciai ad avere esperienze spirituali, ma queste non erano separate da questo mondo, avevano anzi un’interiore e infinita relazione con esso: p. 98). Gli basteranno 13 anni per reindianizzarsi fino al midollo: apprende il sanscrito, il bengali e molte lingue indiane moderne, assimilando profondamente nel contempo tutto il vasto patrimonio culturale e religioso del suo paese. […]
La sua attività è subito intensissima: oltre a insegnare francese e inglese al College di Baroda (di cui diventa presto rettore), svolge come giornalista, oratore e organizzatore una formidabile attività rivoluzionaria per la liberazione dell’India dal giogo britannico (
So di avere la forza di liberare questa razza caduta. Non è una forza fisica – non combatterò con la spada o il fucile – ma la forza della conoscenza, scriveva in una lettera del 1905: in A.B. Purani,
The Life of Sri Aurobindo, p. 82). Già la serie di articoli (
New Lamps for Old) che, ventunenne, aveva cominciato a scrivere sul quotidiano di Bombay
Hindu Prakash era stata interrotta dalle autorità. Ma è soprattutto sulle pagine del quotidiano inglese
Bande Mataram (‘
Inno alla Madre Patria’, titolo bengalese di una famosa poesia di Bankim Chatterji) ch’egli ispirerà come nessun altro il nascente movimento nazionalista:
La più grande cosa fatta in quegli anni fu la creazione di un nuovo spirito nel paese (p. 32), in un tempo in cui parlare di completa indipendenza era considerato, come ricorda Nirodbaran,
un delirio da pazzi (
Sri Aurobindo for All Ages, p. 43.
Sri Aurobindo fu
il primo politico in India che ebbe il coraggio di dichiararsi apertamente per la completa e assoluta indipendenza dell’India in un clima ove fino ad allora
l’agitazione politica peccava di ipocrisia e la visione obliqua era di moda: vd. Sri Aurobindo,
On Himself, 26, p. 29 e
New Lamps for Old, p. 6. Egli non si limitò alla propagazione dell’idea rivoluzionaria, ma organizzò praticamente in più settori la strategia della sua attuazione.)
. L’India, nella chiara visione di Sri Aurobindo, doveva innanzitutto conquistare la libertà per realizzare in futuro il suo speciale destino:
Solo in India si trova autotrattenuta, dormiente, l’energia e l’invincibile individualità spirituale che può ancora levarsi e spezzare le proprie catene e quelle del mondo, scriveva nella prima decade del ʼ900;
in India, la terra scelta, [la Verità spirituale] è preservata, (...)
essa dorme in attesa di quel risveglio dell’anima, l’anima dell’India leonina, luminosa, nascosta nei petali chiusi dell’antico loto d’amore, di forza e saggezza, non nei suoi deboli, sporchi, transitori e miserabili aspetti esteriori. Solo l’India può costruire il futuro dell’umanità. (In
India’s Rebirth, p. 84 e 88).
E lo studio della storia lo aveva portato alla conclusione che senza una rivoluzione nessun paese può conquistare la libertà:
La Pace fa parte dell’ideale supremo, ma dev’essere spirituale o almeno psicologica alla sua base; senza un cambiamento nella natura umana non può essere definitiva. Se è tentata su qualche altra base (principio morale o vangelo di non-violenza o qualunque altra) fallirà e potrà lasciare le cose peggio di prima ... (p. 22).
Sri Aurobindo mostra insomma fin dall’inizio di non essere
né un impotente moralista né un debole pacifista (p. 22). I suoi articoli, di cui lunghi estratti erano riportati nelle colonne del
Times di Londra, gli valgono un primo arresto per sedizione nel 1907. Liberato su cauzione, si dimetterà dal College di Baroda ma non dall’attività politica. Arrestato di nuovo l’anno dopo per implicazioni indirette nel fallito attentato a un giudice britannico, approfitta del forzato isolamento d’un anno nel carcere di Alipore per approfondire quella dimensione interiore e spirituale le cui porte gli si erano spalancate dopo l’esperienza – ottenuta in soli tre giorni e da allora stabilita per sempre – del silenzio mentale, in seguito al suo incontro con Baskar Lele, uno yogi del Maharashtra che aveva indovinato, dietro l’eroismo del giovane politico, il destino di una grande anima. Come ricorda lo stesso Sri Aurobindo,
* Tutte le citazioni in corsivo seguite dal solo riferimento di pagina, sono tratte da
On Himself, vol. 26 della SABCL (
Sri Aurobindo Birth Centenary Library, in 30 volumi. Una nuova edizione degli
Opera Omnia dell’Autore, in 37 volumi, la CWSA, (
Complete Works of Sri Aurobindo), è in via di completamento.
l’esito finale di quell’incontro fu che una Voce dentro di lui [Lele] lo fece rimettermi al Divino dentro di me imponendomi assoluto surrender
[sottomissione] alla Sua Volontà – un principio o piuttosto una forza-semenza alla quale mi attenni irremovibilmente e in maniera crescente e che mi fece passare attraverso tutti i meandri di un imprevedibile sviluppo yogico non legato ad alcuna singola regola o stile o dogma o Shastra [insegnamento]. (In Nirodbaran,
Op. cit., p. 84).
Gli Inglesi, che credevano allora di poter finalmente mettere a tacere
l’uomo più pericoloso con cui avevano fino a quel momento avuto a che fare, come dichiarò l’allora viceré dell’India Lord Minto (cfr. Manoj Das,
Sri Aurobindo in the First Decade of the Century, p. 134). lo videro di nuovo libero nel 1909, dopo un clamoroso processo. Il
Bande Mataram era stato soppresso, la maggior parte dei leader nazionalisti imprigionati, deportati o in esilio.
Dopo le cruciali esperienze spirituali vissute in carcere, la visione che Sri Aurobindo aveva della vita
era radicalmente cambiata e il suo lavoro volto ormai a
superare di gran lunga il servizio e la liberazione del paese, fissandosi su uno scopo precedentemente solo intravisto, che era universale nella sua portata e interessato a tutto il futuro dell’umanità (p. 34). Egli inizia un nuovo settimanale in inglese, il
Karmayogin, e uno in bengali, il
Dharma, ma tanto i suoi scritti quanto i suoi discorsi, che riaccendono di vita lo spirito d’indipendenza in folle crescenti, fluiscono ormai
da un assoluto silenzio della mente.
Nel 1910, un nuovo mandato d’arresto per sedizione cade in sua assenza: Sri Aurobindo, in seguito a un preciso e potente
Adesh [comando divino] era partito clandestinamente (un viaggio avventuroso e miracoloso) per Pondicherry, allora colonia francese, dove sarebbe restato ininterrottamente per 40 anni, concentrato in una
sadhana [disciplina spirituale] senza precedenti – fatta non per se stesso, ma per la coscienza terrestre:
per aprire una via affinché la coscienza terrestre cambi (...)
Lungi dal mio scopo propagare qualche religione, nuova o antica, per l’umanità in futuro. C’è una via da aprire che è ancora bloccata, non una religione da fondare ... (p. 147 e 125).
Il ritiro di Sri Aurobindo dall’attività politica, com’egli stesso precisò in seguito (parlando di sé alla terza persona),
non significò, come i più supposero, ch’egli si era ritirato in qualche altezza spirituale, privo d’ogni ulteriore interesse per il mondo o il destino dell’India. (...)
ché il principio stesso del suo yoga non era solo realizzare il Divino e raggiungere una completa coscienza spirituale, ma far anche entrare tutta la vita e l’attività del mondo nell’orizzonte di questa coscienza e azione spirituale e basare la vita sullo Spirito e darle un significato spirituale (p. 38)
: uno yoga destinato a essere una base non per un ritiro dalla vita, ma per la trasformazione della vita umana (p. 435).
Il seme dell’indipendenza dell’India era stato gettato ed egli la “vedeva” già libera: il suo personale intervento non era più indispensabile. (Prima di ritirarsi dall’attività politica, Sri Aurobindo sapeva
dal di dentro, come egli stesso affermò più tardi,
che il lavoro che aveva lì cominciato era destinato a essere portato avanti, sulle linee che aveva previsto, da altri, e che il trionfo del movimento che aveva iniziato era certo, senza la sua azione o presenza personali: p. 55). Inoltre, la grandezza del lavoro spirituale che l’attendeva
gli diveniva sempre più chiara e si rese conto che era necessaria la concentrazione di tutte le sue energie su questo (p. 37). In una lettera del 1920 al fratello Barin troviamo già espressa in sommi capi la peculiarità del suo yoga:
... Lo Spirito, il Sé, il Divino è sempre presente. Quel che il Divino vuole è che l’uomo Lo incarni qui, nell’individuo e nella collettività – realizzare Dio nella vita. L’antico sistema di yoga non è riuscito a conciliare o unificare lo Spirito e la vita; ha congedato il mondo come un’illusione o un gioco passeggero di Dio. Il risultato è stata una diminuzione del potere di vita e il declino dell’India (...)
Che sorta di perfezione spirituale è se alcuni asceti, rinunciatari, santi ed esseri realizzati raggiungono la liberazione, se alcuni devoti danzano in un delirio d’amore, d’ebbrezza e beatitudine divina, e un’intera razza, priva d’intelligenza e solo apparentemente viva, affonda in abissi d’oscurità e inerzia?
Si deve anzitutto ottenere ogni specie di esperienza parziale al livello mentale, inondando la mente di delizia spirituale e illuminandola di luce spirituale; in seguito si sale in alto. Se non si compie quest’ascesa, quest’elevazione al livello supermentale, non è possibile conoscere l’ultimo segreto dell’esistenza cosmica; l’enigma del mondo è insoluto. Lì [a livello supermentale] l’Ignoranza cosmica che consiste nella dualità del Sé e del mondo, dello Spirito e della vita, è abolita. Allora non c’è più bisogno di considerare il mondo come un’illusione: il mondo è un eterno gioco di Dio, la perpetua manifestazione del Sé. Allora è possibile conoscere e realizzare Dio pienamente, (...)
“conoscerMi ed entrare in Me completamente”, come dice la Gita. (In
Sri Aurobindo Archives & Research, Apr. 1980, p. 12-13).
Se il mondo non è una creazione di Maya (Illusione), né un ciclo di nascite nell’ignoranza dal quale dobbiamo fuggire (in un Nirvana o qualche Aldilà), ma
un campo di manifestazione in cui c’è una progressiva evoluzione dell’anima e della natura nella Materia, e dalla Materia, attraverso la Vita e la Mente, a ciò che è al di là della Mente fino a raggiungere la completa rivelazione di Satcitananda [l’Uno nel suo triplice aspetto di pura esistenza-coscienza-beatitudine]
nella vita (p. 126), la vita umana acquista un nuovo significato e far discendere nella coscienza “fisica” la verità supermentale è lo scopo dello yoga “integrale” di Sri Aurobindo, uno yoga in cui tutti i piani dell’essere (nella cui esplorazione, fra l’altro,
Savitri ci conduce) sono coinvolti, in quanto la loro trasformazione è la realtà dinamica di questa discesa:
Il nostro yoga non è un ripercorrere vecchi cammini, ma un’avventura spirituale (p. 109)
1. […]
Nel suo ritiro assoluto, durante il quale altre sue opere vedono la luce, salvo
Savitri, su cui lavorò fino all’ultimo, Sri Aurobindo è più che mai in contatto con le forze in gioco nel mondo:
No, non è con l’Empireo che sono impegnato; magari lo fosse. È piuttosto con l’estremo opposto, scriveva in una lettera del ʼ36,
è nell’Abisso che ho dovuto immergermi per costruire un ponte fra i due. Ma anche questo è necessario per il mio lavoro e lo si deve affrontare (p. 153). L’impresa tremenda di aprire le cellule fisiche alla Luce divina significa affrontare la formidabile resistenza dell’Incosciente terrestre
2:
È solo l’Amore divino che può sopportare il peso che devo sopportare, che devono sopportare tutti coloro che hanno sacrificato tutto il resto all’unico scopo di sollevare la terra dalle sue tenebre verso il Divino (p. 152).
Bisogna colmare l’abisso che separa la Mente dalla Supermente, aprire i passaggi chiusi e creare delle vie per salire e scendere lì dove ora non è che vuoto e silenzio, aveva scritto, 15 anni prima, ne
La Vita Divina (vol II, p. 659, ed. Mediterranee); un “lavoro da dio”
3 perché il terreno sia pronto per la prossima manifestazione:
So con assoluta certezza che l’avvento della Supermente è, nella natura stessa delle cose, inevitabile, scriveva nel 1934 (p. 167). E la discesa della Supermente significa che
il Potere [supermentale] sarà nella coscienza terrestre come forza vivente proprio come ci sono già la mente pensante e il mentale superiore. (...)
la discesa di questa Verità che apre la via a uno sviluppo della coscienza divina qui sulla terra è il senso finale dell’evoluzione terrestre (p. 146 e 143).
Il contatto di Sri Aurobindo col mondo esterno è spiritualmente attivo (
La mia vita è stata una battaglia dai primi anni ed è ancora una battaglia: il fatto che la conduca ora da una stanza al piano di sopra e con mezzi spirituali (…)
non fa alcuna differenza per il suo carattere: p. 153); se egli intervenne silenziosamente ogni volta che fu necessario
4 (
la storia molto raramente registra le cose che furono decisive ma che avvennero dietro il velo … : p. 49), da ricordare è almeno l’uscita dal suo riserbo durante la seconda guerra mondiale: quando il Nazismo minacciava di dominare il mondo, egli si dichiarò apertamente dalla parte degli Alleati, ponendo interiormente la sua forza spirituale su di essi dal momento di Dunkirk e incoraggiando in più modi aiuti concreti in loro favore quando l’opinione pubblica indiana, ancora amaramente anglofoba, considerava la vittoria di Hitler come la propria vittoria.
5 Il contatto coi discepoli è mantenuto in forma epistolare: più di duemila pagine di corrispondenza
6 che costituiranno “uno strumento efficace verso il suo scopo centrale”:
una canalizzazione [della Forza che andava crescendo nella sua pressione sulla natura fisica] era necessaria, e questo servì allo scopo (p. 180).
Il 15 agosto del 1947 l’India conquista l’indipendenza. È il settantacinquesimo compleanno di Sri Aurobindo:
Considero questa coincidenza non come un incidente fortuito, ma come la sanzione e il sigillo della Forza divina che guida i miei passi sul lavoro con cui cominciai la mia vita, l’inizio del suo completo adempimento ... (p. 404),
scrive fra l’altro, per l’occasione, in un memorabile messaggio.
7 […]
Paola De Paolis
03-08-2018
1 Questo Yoga non fu praticato prima, affermava Sri Aurobindo nel 1924, tutti gli sforzi furono come movimenti preparatori perché la Verità può essere stata cercata ma non fu mai resa un fattore dinamico nel mondo. La difficoltà nel far discendere la Verità non è tanto negli strati fisici superiori quanto nella Materia grezza – il piano più materiale. La legge terrestre dev’essere cambiata e una nuova atmosfera dev’essere creata ... (In A.B. Purani, Op. cit., p. 193).
2 Come osserva Satprem, il lavoro “erculeo” di ripulitura del terreno intermedio è tutta la storia di Sri Aurobindo e Mère. (Sri Aurobindo – L’Avventura della Coscienza, p. 342).
3 A God’s Labour s’intitola una sua poesia del ʼ35. Questo lavoro non è mio, ma di Dio, scriveva nel ʼ20 (in Sri Aurobindo Archives & Research, Apr. ʼ80, p. 13). E nel ʼ15: Il risultato non mi appartiene, e a malapena, se mai mi appartiene, il lavoro (p. 424). Un lavoro fatto perché le cose diventino facili per quelli che vengono dopo di me, il che è ciò che s’intende per realizzazione di uno in tutti. (In A.B. Purani, Evening Talks, III, p. 4).
4 (…) dietro le forze e attività ordinarie della mente, della vita e del corpo nella Materia, scrive Sri Aurobindo, esistono altre forze e poteri che possono agire e agiscono da dietro e dall’alto; esiste anche un potere spirituale dinamico che può essere posseduto da coloro che sono avanzati nella coscienza spirituale (…) e questo potere è più grande di qualunque altro e più efficace (…) La Forza invisibile che produce risultati tangibili sia interiormente sia esteriormente è tutto il significato della Coscienza yogica (p. 38 e 197).
5 Sri Aurobindo sapeva infatti che il successo nazista avrebbe significato la schiavitù del genere umano alla tirannia del male, e un regresso per il corso dell’evoluzione, specialmente per l’evoluzione spirituale dell’umanità (…), la schiavitù non solo dell’Europa ma dell’Asia, e in essa dell’India, una schiavitù ancora più terribile di qualunque altra questo paese abbia mai sopportato, e la rovina di tutto il lavoro ch’era stato fatto per la sua liberazione. (p. 39).
6 Apparse poi come Letters on Yoga (Lettere sullo Yoga, in 6 voll., nella nostra traduzione italiana per le ediz. Arka, oggi ristampato da Il Libraio delle Stelle).
7 Il messaggio, richiestogli da All India Radio, venne da questa diffuso. Ricordiamo una nota di Sri Aurobindo del 1932: Non ho mai constatato, in fin dei conti, il fallimento di alcun mio volere riguardo a un solo evento importante nella gestione degli affari del mondo; benché, per realizzarlo, le forze cosmiche ci possano mettere molto tempo. (In L’Agenda di Mère, VIII, 5 ag. 1967, p. 283).