di Petra Guggisberg Nocelli
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Dobbiamo essere poliglotti psicologicamente e spiritualmente, imparare a essere traduttori (..)”
R. Assagioli
(Riflessioni sull’uso del linguaggio, del silenzio e sull’emancipazione della mente dal pensiero letterale in Psicosintesi)
CONCLUSIONI: Il “muro di silenzio” auspicato da Assagioli voleva originariamente senz’altro anche separare campi diversi di interesse e studio (quello scientifico, empirico della Psicosintesi da quello della spiritualità, della filosofia, dell’esoterismo e della religione), distinguere spazi e designare funzioni. Ma oggi possiamo forse provare a guardare questo muro in modo diverso, concentrando la nostra attenzione piuttosto sul materiale di cui esso è costituito: IL SILENZIO. Questo significa spostare l’accento dai contenuti che dovrebbero stare di qua o di là del muro, al tipo di atteggiamento interiore, di funzionamento mentale che il silenzio ci invita a coltivare nei confronti di ogni contenuto. Spostare cioè l’accento sul contenitore.
Ecco allora che il “muro di silenzio” può divenire un preziosissimo strumento in grado di emancipare gli psicosintetisti e la Psicosintesi (ma non solo) dal pensiero letterale e un potente antidoto contro i suoi sempre attuali corollari: il fanatismo, il fondamentalismo, la separatività, l’incomunicabilità, il conflitto etc. È in una mente allenata al silenzio che possono germogliare quelle abilità che rendono uno psicosintetista un buon psicosintetista: l’essere poliglotta e abile traduttore.
RIFLESSIONE: Qualche settimana fa ho letto l’articolo di Piero Ferrucci intitolato “
Sulla soglia del mistero” e quanto pubblicato in seguito da Marina Bernardi, “Riflessioni sulla Psicosintesi oggi”. Uno dei principali temi affrontati in questi due scritti é il rapporto che intercorre tra la Psicosintesi come concezione e prassi psicologica, educativa e (auto)formativa e gli altri campi del sapere umano legati alle credenze e ai sistemi spirituali, filosofici, esoterici, religiosi ecc. Più in particolare, i due scritti riflettevano sul “muro di silenzio” voluto a suo tempo da Roberto Assagioli tra la Psicosintesi e questi altri campi. Il tema mi ha sempre interrogata e condivido qui alcuni spunti che forse permetteranno di guardare al “famoso” muro come ad una possibilità di costruire ponti. Non so se questi spunti potranno contribuire al dibattito in corso e trovare una qualche applicazione pratica. Me lo auguro.
Assagioli era profondamente convinto dei molti fraintendimenti e delle “gravi difficoltà” poste dall’utilizzo del linguaggio nel parlare di realtà psicologiche, specialmente di quelle transpersonali o supercoscienti, e lo affermava chiaramente. Più specificamente, individuava tre ordini precisi di difficoltà proponendo per ciascuno di essi specifiche soluzioni o antidoti.
1. La prima difficoltà riguarda l’utilizzo, da parte del linguaggio umano, di metafore e simboli basati su cose concrete per designare realtà che concrete non sono affatto (ad es. la parola “anima” deriva dal greco “anemos”, che significa “vento”; “pensare” da “pesare” inteso in senso materiale e così via). L’antidoto ravvisato da Assagioli a questa prima difficoltà prevede l’impegno da parte dello psicosintetista a “riconoscere e tenere sempre presente la natura simbolica, di ogni espressione, sia verbale, sia di altro genere.” Le parole son quindi dei simboli e come tali vanno considerate. L’invito a riconoscere la natura simbolica, metaforica delle parole e del linguaggio, ci conduce alle altre due difficoltà identificate da Assagioli che riguardano appunto le caratteristiche proprie dei simboli:
- il loro essere unilaterali
- la loro natura duplice e contrastante.
2. Quando ci si riferisce all’unilateralità dei simboli si vuole indicare che essi sono in grado di esprimere unicamente “un aspetto, una modalità, una concezione parziale di una data realtà”. Lo psicosintetista è chiamato a ovviare a questa difficoltà utilizzando “simboli diversi per indicare la stessa verità” e nella sintesi dei differenti simboli utilizzati. Egli deve insomma essere un poliglotta (conoscere e parlare vari linguaggi) e un abile traduttore (essere in grado di esprimere la stessa idea utilizzando differenti sistemi simbolici di riferimento, passando dall’uno all’altro con abilità). L’uso del linguaggio si fa funzionale alla reciproca comprensione.
3. Infine, la natura “duplice e contrastante” dei simboli. I simboli possono rivelare la realtà, essere un tramite, un intermediario che facilita il contatto con la verità che essi indicano;oppurelapossono velare divenendocosì una trappola che ci spinge “fuori di noi”. Infatti, ci ricorda Assagioli, “l’uomo che li prende letteralmente, che non va alla realtà passando attraverso il simbolo, ma a questo si ferma, non raggiunge la verità”. Come recita un detto buddhista che amo moltissimo: “Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”. Lo psicosintetista ha quindi il compito di impegnarsi a distinguere il dito (il simbolo, la parola, la credenza, la dottrina e così via) dalla luna (la realtà/verità indicata) per poi focalizzare con decisione la sua attenzione su quest’ultima.
Dunque, qualche settimana fa, mentre passeggiavo lungo la battigia del mar Ligure osservando il placido e trasparente andirivieni delle onde, riflettevo sull’immagine del “muro di silenzio”, sui suoi significati e sulle sue funzioni. Mi venivano in mente cose già ben chiarite: i muri (come ad esempio quello di Berlino) servono a impedire, dividere e separare qualcosa da qualcos’altro; i muri sono anche necessari a delimitare e distinguere spazi fra loro diversi definendone le rispettive funzioni. Nessuno si sognerebbe mai di negare che, in un edificio, la funzione della cucina è differente dalla funzione del bagno e da quella della camera da letto. Perfino in un meraviglioso open-space (“Casa Assagioli”?) si continuerebbe a cucinare sui fornelli, a dormire in un letto e a lavarsi nella doccia. Ma queste mie riflessioni ruotavano ancora attorno ad un’insoddisfacente rappresentazione del muro visto come “una spessa barriera di mattoni”.
Ad un certo punto però la mia attenzione si è spostata dall’idea-immagine definita e pesante del “muro” (il dito?) all’altra idea-immagine rimasta sullo sfondo, più sfuocata e lontana, del “silenzio” (la luna?). Ed è stato come se, improvvisamente, vedessi questo muro per la prima volta. Il “muro” con cui Assagioli ha voluto delimitare lo spazio della Psicosintesi può davvero non essere un muro di Berlino, un’invalicabile barriera di mattoni. Può invece essere trasparente e leggero. Lo è potenzialmente sempre stato. Infatti, é un muro costituito, fatto di un materiale molto particolare con proprietà specifiche: IL SILENZIO.
A tutta prima quest’immagine della Psicosintesi delimitata, circondata dalla trasparenza e dalla pace del silenzio può forse apparire poetica e nulla più. In realtà essa presenta delle implicazioni interessanti che possono indicare con chiarezza il tipo di funzionamento mentale che lo psicosintetista è invitato a coltivare quando approccia differenti sistemi di credenze, dottrine e metafore.
Come sappiamo bene, in Psicosintesi il silenzio ha significati e funzioni molto precise,ben più profonde ed evocative della semplice assenza di parole o della mancanza di comunicazione. La pratica regolare e quotidiana del silenzio ha la funzione di sviluppare la capacità di mantenere una “zona di disidentificazione”, di raccoglimento, in mezzo a tutti i rumori della vita quotidiana.
Il silenzio interiore è poi, soprattutto, la condizione necessaria allo sviluppo dell’intuizione, la funzione psicologica grazie alla quale possiamo entrare autenticamente in relazione con la dimensione transpersonale in noi e iniziare a dialogare con essa (e quindi anche ad aprirci e a dialogare autenticamente con gli altri poiché “Noi siamo il Sé, quel Sé siamo Noi”). Di più, per la Psicosintesi la possibilità di un contatto esperienziale con la sfera supercosciente è proprio una funzione del grado di silenzio interiore che riusciamo a realizzare.
Ecco allora che, inteso in questo modo, il “muro” voluto da Assagioli diviene un confine che delimita non tanto diversi campi di conoscenza e i loro contenuti, quanto differenti modalità di funzionamento mentale. E il materiale di cui esso è costituito, il silenzio, diviene la sostanza che costruisce quel ponte che ci conduce “oltre”: oltre il linguaggio che separa e divide, oltre la mente che categorizza e giudica e, soprattutto, oltre la letteralizzazione delle molteplici metafore (siano esse attinenti ai campi della spiritualità, dell’esoterismo, della filosofia, della religione e anche della scienza) che gli uomini scelgono di volta in volta per rivestire e colorare le stesse esperienze esistenziali archetipiche, le stesse verità perenni, gli stessi dati immediati della coscienza che si ripropongono a noi ancora ed ancora, universali in ogni tempo e cultura.
Mi riferisco alle ben note illuminazioni interne, alle esperienze estetiche e alla creazione artistica, alle intuizioni scientifiche, alle spinte all’azione eroica, a quella etica e umanitaria, al coraggio di andare verso il nuovo oltre i limiti del conosciuto, alla visione profonda, all’inventiva geniale, all’estasi, alla ricerca della libertà e della felicità, al gioco, all’autotrascendenza, alla bellezza, alla conversione all’Amore, ai sentimenti elevati, alla solidarietà, alla fratellanza. Sarebbe bello completare l’elenco. Il silenzio ci porta “oltre”. Ci (ri)porta a casa, in quel luogo che è fonte e sorgente e dal quale ogni parola, metafora e simbolo trae la sua origine.
Il silenzio permette quindi allo psicosintetista allenato di guardare in trasparenza i diversi sistemi di credenze, le diverse formulazioni dottrinali, i vari linguaggi. Il “muro di silenzio” diviene allora un filtro in grado di distillare, estrarre e far confluire nella Psicosintesi ciò che, nei differenti sistemi, indica una dimensione universale, comune, distinguendola da ciò che invece è particolare, espressione della specificità data dai vincoli di tempo, spazio e temperamento a cui sono stati e sono sottoposti gli individui e i gruppi umani che hanno informato quelle credenze, linguaggi e dottrine. La disidentificazione.
Forse proprio questa dimensione universale dell’esperienza umana è l’oggetto di studio più proprio della Psicosintesi. Essa è massimamente interessata a ciò che é potenzialmente in grado di accomunare tutti gli esseri umani, il maggior numero possibile di essi.
Assagioli voleva espressamente, programmaticamente che chiunque potesse riconoscersi nell’impostazione psicosintetica: le persone avviate lungo un cammino di ricerca spirituale più o meno definito, così come gli agnostici e gli atei; gli artisti e gli uomini politici, i mistici e i medici, gli yogi e gli scienziati, gli sportivi e i terapeuti.. Voleva che la Psicosintesi potesse essere accessibile a tutti senza spingere nessuno a rinunciare ai propri linguaggi particolari, alle metafore già adottate magari per convertirsi ad altri linguaggi e metafore, modificando così l’abito ma non il monaco.
Per realizzare questo obiettivo Assagioli ha scelto come linguaggio ufficiale quello che reputava essere il più adatto a sostenere questa vocazione universale della Psicosintesi: quello empirico, concreto, pragmatico della scienza. E non mi sembra che nel presente momento storico abbiamo a disposizione un sistema di riferimento più funzionale all’obiettivo di creare un comune terreno d’intesa che permetta il dialogo al di là dei particolarismi e delle credenze personali dei singoli individui o gruppi. Pur restando anch’esso simbolo!
Consentitemi di fare un esempio di applicazione concreta di quanto appena detto che, a mio modo di vedere, illustra questa tensione chiaramente. La Psicosintesi considera l’ipotesi che il Sé transpersonale sia una realtà psichicha della quale è possibile fare esperienza. Sulla base di quest’ipotesi alcuni esercizi propongono l’incontro immaginato e il dialogo interiore con il Sé. Assagioli raccomanda di far precedere la somministrazione di questi esercizi da un momento psicagogico in cui si presenta il concetto nel seguente modo: lo psicosintetista adatta il proprio linguaggio alla mentalità e alle credenze di ognuno e non si aspetta il contrario, cioè che sia l’altro a modificare le proprie credenze per adeguarle a quelle dello psicosintetista.
Non si tratta affatto di istruire, o peggio convertire, le persone presentando loro nuovi concetti o credenze. Si tratta semplicemente di utilizzare il linguaggio (tenendo sempre ben presente che le parole sono simboli) per introdurre un’esperienza che, per definizione, si trova oltre tutte le parole e che può essere colta solo per via intuitiva. Per farlo nella maniera migliore - cioè in modo che le persone possano seriamente considerare quest’ipotesi degna di essere verificata mediante un percorso esperienziale che prevede un allenamento interiore – e necessario adeguare le parole ai singoli individui o gruppi.
Alle persone religiose si può dire, ad esempio, che l’espressione “Sé transpersonale” è un termine obiettivo, usato in psicologia, per indicare l'anima; agli agnostici si può proporre l'ipotesi che esista un centro superiore in ogni uomo e dire che vi è un numero notevole di esseri umani che ne hanno avuto l'esperienza; agli atei possiamo illustrare l’idea di potenzialità esistenti a livello inconscio non ancora attuate che possono indicarci preziose linee-guida nella nostra vita, e che rappresentano l’espressione di una più profonda autenticità.E così via.. Questo esempio riguarda il concetto di Sé transpersonale, ma il prinicpio che esso illustra può essere trasposto agli altri concetti-base della Psicosintesi.
CONCLUSIONI: Il “muro di silenzio” auspicato da Assagioli voleva originariamente senz’altro anche separare campi diversi di interesse e studio (quello scientifico, empirico della Psicosintesi da quello della spiritualità, della filosofia, dell’esoterismo e della religione), distinguere spazi e designare funzioni. Ma oggi possiamo forse provare a guardare questo muro in modo diverso, concentrando la nostra attenzione piuttosto sul materiale di cui esso è costituito: IL SILENZIO. Questo significa spostare l’accento dai contenuti che dovrebbero stare di qua o di là del muro, al tipo di atteggiamento interiore, di funzionamento mentale che il silenzio ci invita a coltivare nei confronti di ogni contenuto. Spostare cioè l’accento sul contenitore.
Ecco allora che il “muro di silenzio” può divenire un preziosissimo strumento in grado di emancipare gli psicosintetisti e la Psicosintesi dal pensiero letterale e un potente antidoto contro i suoi sempre attuali corollari: il fanatismo, il fondamentalismo, la separatività, l’incomunicabilità e il conflitto. È in una mente allenata al silenzio che possono germogliare quelle abilità che rendono uno psicosintetista un buon psicosintetista: l’essere poliglotta e abile traduttore.Egli così si è espresso al riguardo:
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La Verità è Una, ma la sua presentazione è diversa e di livelli diversi, in base al tipo di persone a cui ci rivolgiamo. Bisogna parlare a ciascuno nella loro lingua. Dobbiamo essere poliglotti psicologicamente e spiritualmente, imparare a essere traduttori (..)” R. Assagioli
“Thruth is One – but its presentation is diverse and so different levels, according to the kind of people to whom we address ourselves. One has to talk to each in their language. We have to be polyglots psychologically and spiritually, learn to be translators (..)” R. Assagioli
“Nella mente silenziosa ci sono le radici dell'intelligenza e dell'amore.”C. Pensa
Petra Guggisberg Nocelli,
Miglieglia 5 luglio 2018