di Simone Weil
Ci si dirige verso una cosa perché si crede che essa sia buona; e vi si rimane incatenati perché è divenuta necessaria. Le cose sensibili sono reali in quanto cose sensibili, ma irreali in quanto beni. L'apparenza ha la pienezza della realtà, ma solo in quanto apparenza. In quanto altro dalla apparenza, è errore. L'illusione sulle cose di questo mondo non concerne la loro esistenza bensì il loro valore. L'immagine della caverna si riferisce al valore. Noi possediamo solo ombre di mutazioni del bene.
È altresì in rapporto al bene, che ci troviamo ad essere prigionieri, incatenati (l'attaccamento). Accettiamo i falsi valori che ci appaiono, e, quando crediamo agire, siamo in realtà immobili, perché rimaniamo dentro l medesimo sistema di valori. Atti effettivamente compiuti e tuttavia immaginari. Un uomo tenta il suicidio, viene salvato; e, dopo, non è maggiormente distaccato di quanto fosse prima. Il suo suicidio era immaginario. Il suicidio, certo, lo è sempre; per questo è proibito. Il tempo, a voler parlare rigorosamente, non esiste eccetto il presente, come limite). Eppure gli siamo sottoposti.
Tale è la nostra condizione. Siamo sottoposti a quel che non esiste. Sia che si tratti della durata sofferta passivamente - dolore fisico, attesa, rimpianto, rimorsi, paura -o del tempo elaborato - ordine, metodo, necessità -, in ambedue i casi non esiste ciò cui siamo sottoposti. Ma esiste la nostra sottomissione. Siamo realmente legati da catene irreali. Il tempo, irreale, vela tutto (e noi medesimi) di irrealtà. Il tesoro, per l'avaro, è l'ombra d'una imitazione del bene. È doppiamente irreale. Perché un mezzo (il denaro) è già, come tale, cosa diversa da un bene.
Ma preso in senso diverso dalla sua funzione di mezzo, eretto a fine, è ancor più lontano dall'essere un bene. Le sensazioni sono irreali in rapporto ai giudizi di valore; le cose sono irreali per noi in quanto sono valori. Ma l'attribuzione di un falso valore ad un oggetto toglie realtà anche alla percezione dell'oggetto stesso, perché annega la percezione nella immaginazione. Così, solo il distacco perfetto permette di veder le cose nude, fuor della nebbia di valori bugiardi. Per questo ci son volute le ulcere e il letame perché a Giobbe fosse rivelata la bellezza del mondo. Perché non c'è distacco senza dolore. E non c'è dolore sopportato senza odio e senza menzogna senza che vi sia anche distacco. L'anima che ha elevato il capo fuor del cielo pasce l'essere. Quella che è all'interno pasce le opinioni.
La necessità è essenzialmente estranea all'immaginario. Ciò che è reale nella percezione e che la distingue dal sogno, non è la serie delle sensazioni bensì la necessità involta in quelle sensazioni. « Perché queste cose e non altre? » « È così. » Nella vita spirituale l'illusione e la verità si distinguono nello stesso modo. Ciò che è reale nella percezione e che la distingue dal sogno non è la serie delle sensazioni ma la necessità. Distinzione fra quelli che rimangono nella caverna, chiudono gli occhi e immaginano il viaggio e quelli che lo compiono.
Realtà ed immaginazione anche nel mondo spirituale; e, anche qui, quel che differenzia è la necessità. Non semplicemente la sofferenza; perché ci sono anche sofferenze immaginarie. Quanto al sentimento interiore, esso ci inganna gravemente. Quel che distingue i luoghi spirituali dell'alto da quelli del basso, è, in quelli dell'alto, la coesistenza di vari piani sovrapposti.
L'umiltà ha per oggetto l'abolizione dell'immaginario del progresso spirituale.
Non c'è nessun inconveniente a credersi molto meno avanzati di quel che si è: la luce opera egualmente il suo effetto, che non nasce dall'opinione. Ce ne sono, invece, a credersi più avanzati, perché allora agisce l'opinione. Un criterio di definizione del reale può esser questo: la realtà è dura e rugosa. Vi si trovano gioie, non cose gradevoli. Quel che è gradevole è fantasticheria. Cercar di amare senza immaginare.
Amare l'apparenza nuda e senza interpretazione. Allora ciò che si ama è davvero Iddio. Dopo esser passati attraverso il bene assoluto, si ritrovano i beni illusori e parziali, ma in un ordine gerarchico tale da non permettere la ricerca di un bene se non nei limiti concessi dallo scrupolo di un altro. Questo ordine è trascendente in relazione ai beni che collega ed è un riflesso del bene assoluto. Già la ragione discorsiva (l'intelligenza dei rapporti) aiuta a dissolvere le idolatrie considerando i beni e i mali come limitati, confusi e fluidi gli uni negli altri. Riconoscere il punto in cui il bene passa nel male: intanto che, nella misura in cui, riguardo a, ecc. Andare oltre la regola del tre. Si tratta sempre di un rapporto col tempo.
Perdere l'illusione del possesso del tempo. Incarnarsi. L'uomo deve compiere l'atto di incarnarsi, perché è disincarnato dalla immaginazione. È l'immaginazione che in noi viene da Satana. Rimedio contro l'amore immaginario. Concedere a Dio in se stessi il minimo necessario, quel che non gli si può assolutamente rifiutare - e desiderare che un giorno, il più presto possibile, quel minimo necessario divenga tutto. Trasposizione: credere che ci si innalza perché, conservando le medesime tendenze inferiori (per esempio: il desiderio di prevalere sugli altri), si sono forniti a quelle degli oggetti elevati. Ci si eleverebbe invece collegando tendenze elevate ad obbietti inferiori. In ogni passione avvengono prodigi.
Un giocatore è capace di vegliare e digiunare quasi come un santo, di avere premonizioni, ecc. È gran pericolo amare Iddio come un giuocatore ama il giuoco. Badare al livello dove si colloca l'infinito. Se lo si colloca ad un livello cui solo il finito conviene, importa poco con quale nome, poi, lo si chiami. I nostri elementi inferiori debbono amare Iddio; ma non troppo. Non sarebbe Dio. Lo amino come si ha sete e fame. Soltanto ciò che è più in alto ha il diritto di essere saziato. Timor di Dio in san Giovanni della Croce.
Non si tratta forse del timore di pensare a Dio quando se ne è indegni? Di offenderlo pensandolo malamente? Per questo timore gli elementi inferiori si allontanano da Dio. La carne è pericolosa in quanto si rifiuta di amare Iddio, ma anche in quanto interviene indiscretamente nel volerlo amare. Perché la volontà di combattere un pregiudizio è segno certo che se ne è impregnati? Quella volontà procede necessariamente da una ossessione. È uno sforzo affatto sterile per sbarazzarsene. In questi casi, solo la luce dell'attenzione è efficace ed è incompatibile con una intenzione polemica. Tutto il freudismo è impregnato del pregiudizio che si è assegnato per missione di voler combattere, vale a dire che ciò che è sessuale sia basso e volgare.
C'è una differenza essenziale fra il mistico che rivolge a Dio la capacità d'amore e di desiderio di cui l'energia sessuale è fondamento fisiologico, e la falsa imitazione del misticismo che, lasciando a quella capacità la sua orientazione naturale e fornendole un obbietto immaginario, imprime su quest'ultimo, come etichetta, il nome di Dio. La discriminazione tra queste due operazioni, la seconda delle quali è anche inferiore alla peggiore corruzione, è difficile ma possibile. Iddio e il sovrannaturale sono celati e senza forma nell'universo. È bene che siano celati e senza nome nell'anima.
Altrimenti si rischia di avere, sotto quel loro nome, qualcosa di immaginario (quelli che hanno nutrito e vestito il Cristo non sapevano che fosse il Cristo). Senso degli antichi misteri. Il cristianesimo (cattolici e protestanti) parla troppo delle cose sante. Morale e letteratura. La nostra vita reale è per più di tre quarti composta di immaginazione e di finzione. Rari sono i contatti autentici col bene e col male. Una scienza che non ci avvicini a Dio non vale nulla. Ma se ce ne avvicina malamente (cioè ad un Dio immaginario) è ancora peggio... Ciò che la natura opera meccanicamente in me, è male credere che io ne sia l'autore. Ma è anche peggio credere che ne sia autore lo Spirito Santo. Si è ancor più lontani dal vero.
Vari tipi di correlazioni e passaggi fra contrari: Mediante la totale devozione a qualche grande fine (compreso Iddio) concedere ogni licenza alla bassezza entro sé medesimi. Mediante la contemplazione della distanza infinita fra sé medesimi e ciò che è grande, fare dell'Io uno strumento di grandezza. Con qual criterio distinguerli? II solo possibile, credo, è questo: la correlazione erronea rende illimitato ciò che non deve esserlo. Fra gli uomini (eccettuate le forme supreme della santità e del genio) ciò che da l'impressione di esser vero è quasi necessariamente falso e ciò che è vero da quasi necessariamente l'impressione di esser falso.
Esprimere il vero costa fatica. Anche accoglierlo. Si esprime e si accoglie il falso, almeno ciò che è superficiale, senza fatica. Quando il vero sembra vero almeno altrettanto quanto il falso, si ha, allora, il trionfo della santità o del genio. Così san Francesco faceva piangere i suoi ascoltatori proprio come un predicatore volgare e teatrale. La durata, tanto i secoli per le civiltà quanto gli anni e le diecine d'anni per l'individuo, ha una funzione darwiniana di eliminazione degli elementi inadatti. Quel che è adatto a tutto è eterno
. Questo solo è il prezzo di ciò che vien detto esperienza. Ma la menzogna è un'armatura mediante la quale l'uomo permette spesso alla parte inadatta di se stesso di sopravvivere ad avvenimenti che, senza quella armatura, lo ucciderebbero (e, per esempio, permette all'orgoglio di sopravvivere alle umiliazioni); e quella armatura è quasi una secrezione della parte inadatta per difendersi dal pericolo (l'orgoglio, nella umiliazione, rende più spessa la menzogna intima). C'è nell'anima qualcosa che somiglia ad una fagocitosi; tutta quella parte che è minacciata dal tempo secerne menzogna per non morire; e in proporzione al pericolo di morte. Per questo non c'è amore della verità senza un incondizionato consenso alla morte.
La croce di Cristo è la sola porta della conoscenza. Considerare ogni peccato commesso come un dono di Dio. Che la essenziale imperfezione, dissimulata nel profondo di me stessa, si sia in parte manifestata ai miei occhi quel tal giorno, quella tale ora, in quella tale circostanza, è un dono. Desidero, supplico che la mia imperfezione si manifesti intera al mio sguardo, quanto la vista umana ne è capace. Non perché guarisca, ma perché, anche se non dovesse guarire, io fossi nella verità. Tutto quel che è senza valore fugge la luce.
Quaggiù, ci si può nascondere nella carne. Al momento della morte non lo si può più. Si è consegnati nudi alla luce. Vale a dire, secondo i casi, l'inferno, il purgatorio o il paradiso. La ragione del ritrarsi dagli sforzi che avvicinerebbero al bene è la ripugnanza della carne; ma non la ripugnanza della carne per lo sforzo. È la ripugnanza della carne per il bene. Infatti, per una causa malvagia, se lo stimolo sia abbastanza forte, la carne accetterà qualsiasi cosa, sapendo che può farlo senza morire. Anche la morte, subita per una causa malvagia, non è morte vera per la parte carnale dell'anima. Vedere Iddio in volto: questo, per la parte carnale dell'anima, è mortale.
Per questo fuggiamo il vuoto interiore: perché Dio potrebbe insinuarvisi. Non sono la ricerca del piacere e l'ostilità allo sforzo a generare il peccato, bensì la paura di Dio. Si sa che non si può vederlo in volto senza morire; e non si vuol morire. Si sa che il peccato ci preserva efficacissimamente dal vederlo in volto; il piacere e il dolore ci procurano solamente il leggero impulso indispensabile al peccato, e soprattutto il pretesto, l'alibi, ancor più indispensabili.
Come ci vogliono pretesti per le guerre ingiuste, così ci vogliono falsi immagini di bene per il peccato, perché non si può reggere il pensiero che si sia in cammino verso il male. La carne non è quel che ci allontana da Dio; è il velo che ci mettiamo dinnanzi per farne schermo fra Dio e noi. Forse è così soltanto a partire da un certo punto. Sembra suggerirlo l'immagine della caverna. In principio, quel che fa male è il moto. Quando si giunge all'orifizio, è la luce. Essa non acceca soltanto: ferisce. Gli occhi le si ribellano. Non potrebbe forse esser vero che da quel momento in poi si possono commettere solo peccati mortali?
Celarsi alla luce, non è peccato mortale? Orribile pensiero. Meglio la lebbra. Ho bisogno che Iddio mi prenda di forza; perché se ora la morte, sopprimendo lo schermo della carne, mi mettesse davanti al suo volto, io fuggirei.
Simone Weil
estratto da
L'Ombra e la Grazia