Come parli, così è il tuo cuore.
Paracelso

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I SENTIERI DELL' ESSERE
Le mille Vie della Spiritualità
I SENTIERI DELL' ESSERE
LA PRATICA DA SEGUIRE
Un monaco chiese a Dong-Shan:
C'è una pratica che le persone debbano seguire?
Dong Shan rispose:
quando diventi una vera persona c'è una tale pratica.
Sai essere freccia, arco, bersaglio?
<b>Sai essere freccia, arco, bersaglio?

Sai essere freccia, arco, bersaglio?
Conosci la sequenza delle costellazioni?
La fusione dell'idrogeno in elio?
Sai misurare la tua integrità?
Se rispondi
Avrai l'immortalità.

Laura Scottini

MEDITAZIONE TAOISTA
<b>MEDITAZIONE TAOISTA </b>





 

Chiudi gli occhi e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare e sentirai la verità.
Resta in silenzio e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto e troverai l'unione.
Sii quieto e ti muoverai sull'onda dello spirito.
Sii delicato e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente e compirai ogni cosa.
Sii umile e manterrai la tua integrità.

 

IL VUOTO CHE DANZA
IL VUOTO CHE DANZA










di H.W.L. Poonja


Rimani ciò che sei ovunque tu sei.
Se fai così, saprai immediatamente
di essere Quello che hai cercato
per milioni di anni.

Non c'è ricerca,
perchè si cerca solo qualcosa che si è perso.
ma quando niente è andato perduto
non ha senso
cercare qualcosa.

Qui semplicemente Stai Quieto.
Non formare nemmeno un pensiero nella mente.
Allara saprai
Chi sei realmente.

per tre motici la ricerca e la pratica
sono follie fuorvianti
sono l'inganno della mente
per posporre la libertà.
Continua...

PAROLE SU DIO
PAROLE SU DIO

di Simone Weil

Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio. … Così pure, la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni.

Il bello è ciò che si desidera senza volerlo mangiare. Desideriamo che sia. Restare immobili e unirsi a quel che si desidera senza avvicinarsi. Ci si unisce a Dio così: non potendosene avvicinare. La distanza è l’anima del bello.

Nella prima leggenda del Graal è detto che il Graal, pietra miracolosa che in virtù dell’ostia consacrata sazia ogni fame, apparterrà a chi per primo dirà al custode della pietra, il re quasi paralizzato dalla più dolorosa ferita: “Qual è il tuo tormento?”. La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nell’essere capace di domandargli: “Qual è il tuo tormento?”, nel sapere che lo sventurato esiste, non come uno fra i tanti, non come esemplare della categoria sociale ben definita degli “sventurati”, ma in quanto uomo, in tutto simile a noi, che un giorno fu colpito e segnato dalla sventura con un marchio inconfondibile. Per questo è sufficiente, ma anche indispensabile, saper posare su di lui un certo sguardo. Continua...
I BAMBINI
DAGLI OCCHI DI SOLE

I BAMBINI<br> DAGLI OCCHI DI SOLE










Vidi i pionieri ardenti dell’Onnipotente
superando la soglia celeste che è volta alla vita
discendere in frotta i gradini d’ambra della nascita;
precursori d’una moltitudine divina,
essi lasciavano le rotte della stella del mattino
per l’esigua stanza della vita mortale.

Li vidi traversare il crepuscolo di un’era,
i figli dagli occhi di sole di un’alba meravigliosa,
i grandi creatori dall’ampia fronte di calma,
i distruttori possenti delle barriere del mondo
che lottano contro il destino nelle arene della Sua volontà,
operai nelle miniere degli dei,
messaggeri dell’Incomunicabile,
architetti dell’Immortalità.

Nella sfera umana caduta essi entravano,
i volti ancora soffusi della gloria dell’Immortale,
le voci ancora in comunione coi pensieri di Dio,
i corpi magnificati dalla luce dello spirito,
portando la parola magica, il fuoco mistico,
portando la coppa dionisiaca della gioia,
Continua...
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI

di Maurizio Di Gregorio

Tutti cerchiamo qualcosa. Se lo cerchiamo nel mondo materiale pensiamo di trovarlo all’esterno di noi stessi. Se lo cerchiamo nel mondo spirituale siamo portati a credere di poterlo trovare all’interno di noi. Una massima dice: la risposta è dentro di te. Una battuta invece dice: la risposta è dentro di te, ma è sbagliata. Ambedue le affermazioni sono vere perché si riferiscono a due esseri diversi. Uno vero e l’altro falso. Come si fa a sapere quale é l’Io interiore che contiene tutte le risposte della vita? Dalla felicità. Nel primo caso si sa solo che si è felici, sia pure per un attimo, si è completamente, immensamente e interamente felici e più correttamente si dovrebbe chiamarla beatitudine. Nel secondo caso sappiamo solo, che a dispetto di ogni altra cosa, momentanea soddisfazione o eccitazione, non si è veramente felici. 
Aivanhov, definendo la natura umana, parla della coesistenza di una natura inferiore e di una natura superiore. All’interno di ognuno è una continua lotta tra due esseri (o stati di essere) in competizione che Aivanhov chiama Personalità e Individualità. “Persona “ è la maschera e in ogni incarnazione la maschera è diversa, “Individualità” è l’abitante della maschera, colui che non cambia, il vero Sé divino. La personalità è in parte ancora inesistente nel bambino ma già tracciata, si sviluppa con l’età come la trama di un tessuto e si consuma nella vecchiaia. Il risveglio dell’anima consiste nel riconoscimento del Sé interiore e nell’abbandono momentaneo della maschera della personalità. Ora anche se possiamo capire qualcosa del nostro essere maschera, né la mente, né il cuore né la volontà sono risolutivi.
E questo perché mente cuore e volontà sono una triade che esiste tanto nella natura delle Individualità quanto nella natura della Personalità.
“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” Quale è, in ogni dato momento, il cuore che chiede, la mente che cerca, la volontà che agisce? La strada dell’evoluzione spirituale, cioè della evoluzione dell’essere allo Spirito, è insidiosa perché ad ogni sviluppo della Individualità segue uno sviluppo della Personalità. Differentemente il discernimento è possibile solo dal punto di vista della Coscienza Superiore che è esattamente ciò che si illumina.
Fuori da questa esperienza si persiste sempre in un tipo di coscienza media, anche se ampliata o sofisticata, una coscienza media perché media in un equilibrio precario le necessità delle due nature....Continua...
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA

di Ervin Laszlo

Il grande compito, la grande sfida del nostro tempo è cambiare se stessi.
Questo elenco delle principali caratteristiche della nuova visione, della nuova coscienza, è scritto per stimolare la trasformazione, perché è possibile acquisire una nuova consapevolezza, perché tutti possono evolvere, tante persone l'hanno già fatto ed è diventata una conditio sine qua non della nostra sopravvivenza sulla Terra.
La prima caratteristica è l'olismo, la visione olistica, per contrastare la visione frammentaria, disciplinaria, atomistica, che separa tutto: la mente dalla natura, l'uomo e la società dalla biosfera, e tutti i campi della realtà l'uno dall'altro. La visione olistica è proprio quella comprensione Continua...
I FIGLI DELLA LUCE
I FIGLI DELLA LUCE




 


I Figli della Luce si nutrono di Pace, Libertà, Amore, Giustizia, Grazia, Benevolenza, Comprensione, Compassione, Generosità, Bontà, Luce, Verità, Positività, trasmettendo tutto questo intorno a loro. Le creature che vengono in contatto con i Figli della Luce percepiscono la Positività dell’operato della “Luce Amore” e uno stato di benessere entra in loro. Non sono consapevoli della fonte di questa Positività, ma stanno volentieri in compagnia dei Figli Luce dispensatori d’Amore.
Continua...
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA

di Matthew Fox

L’ecologia e la spiritualità sono le due facce della stessa medaglia. La religione deve lasciar andare i dogmi in modo da poter riscoprire la saggezza del mondo.
Come dovrebbe essere una religione ecologica? Negli ultimi 300 anni l’umanità è stata coinvolta in una grande desacralizzazione del pianeta, dell’universo e della propria anima, e questo ha dato origine all’oltraggio ecologico. Saremo capaci di recuperare il senso del sacro?La religione del futuro non sarà una religione in senso stretto del termine, dovrà imparare a lasciare andare la religione. Il Maestro Eckhart, nel quattordicesimo secolo disse, “Prego Dio di liberarmi da Dio”. Per riscoprire la spiritualità, che è il cuore autentico di ogni religione vera e fiorente, dobbiamo liberarci dalla religione. Sembra un paradosso. La spiritualità significa usare il cuore, vivere nel mondo, dialogare con il nostro sé interiore e non semplicemente vivere a un livello organizzativo esterno.
E. F. Schumacher, nel suo profetico modo di scrivere, disse, nell’epilogo di Piccolo è bello, “Dappertutto la gente chiede, ‘Cosa posso fare praticamente?’ La risposta è tanto semplice quanto sconcertante, possiamo, ciascuno di noi, mettere in ordine la nostra casa intima, interiore. Per far questo non troviamo una guida nella scienza o nella tecnologia, poiché i valori sui quali esse si poggiano dipendono sommamente dal fine per il quale sono destinate. Tale guida la si può invece ancora trovare nella tradizionale saggezza dell’umanità”.
Tommaso d’Aquino, nel tredicesimo secolo disse, “Le rivelazioni si trovano in due volumi – la Bibbia e la natura”. Ma la teologia, a partire dal sedicesimo secolo, ha messo troppa enfasi nelle parole della Bibbia, o del Vaticano o dei professori, ha messo tutte le uova nel paniere delle parole, parole umane, e ha dimenticato la seconda fonte della rivelazione, la natura!
Il Maestro Eckhart disse, “Ogni creatura è la parola di Dio e un libro su Dio”. In altre parole, ogni creatura è una Bibbia. Ma come ci avviciniamo alla saggezza biblica, alla saggezza sacra delle creature? Col silenzio. C’è bisogno di un cuore silente per ascoltare la saggezza del vento, degli alberi, dell’acqua e della terra. Nella nostra ossessiva cultura verbale, abbiamo perso il senso del silenzio. Schumacher disse, “Siamo ormai troppo intelligenti per sopravvivere senza saggezza”. Continua... 
SULL'ANARCHIA BUDDISTA
SULL'ANARCHIA BUDDISTA di Gary Snyder

Da un punto di vista buddista, l'ignoranza che si proietta nella paura e nel vano appetito impediscono la manifestazione naturale. Storicamente, i filosofi buddisti non hanno saputo analizzare fino a che punto l'ignoranza e la sofferenza erano dovuti o favoriti da fattori sociali, considerando il timore e il desiderio come fatti intrinseci alla condizione umana. Così, la filosofia buddista si interessò principalmente alla teoria della conoscenza e la psicologia fu svantaggiata, per dare più spazio allo studio dei problemi storici e sociologici. Anche il buddismo Mahayana possiede un'ampia visione della salvezza universale, la sua realizzazione effettiva si è concretizzata nello sviluppo di sistemi pratici di meditazione per liberare a una minoranza di individui da blocchi psicologici e condizionamenti culturali. Il buddismo istituzionale è stato chiaramente disposto ad accettare o a ignorare le disuguaglianze e le tirannie sotto il sistema politico che vigeva. È stata come la morte del buddismo, posto che è comunque la morte che riesce a far comprendere il significato della compassione. La saggezza senza compassione non sente dolore.
Continua...
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YAMA E NIYAMA 2


 
di Paolo Quircio

Sivananda nel capitolo di Bliss Divine - Il libro della beatitudine divina dedicato alla Verità ci dice: “La verità è la sede di Dio. La verità è Dio. Solo la verità trionfa. La verità è la legge di base della vita. La verità è il mezzo e lo scopo finale.La verità è la legge della libertà, la falsità la legge della schiavitù  e della morte”.
E non potrebbe essere altrimenti, soprattutto se si pensa all’equivalente sanscrito della parola: Satya. La sua radice è Sat, che vuol dire reale, nel senso più profondo del termine. Nel Vedanta si considera reale ciò che lo è da sempre e per sempre, l’Atman, quindi non effimero e transitorio, come il nostro aggregato di corpo fisico, prana e mente, quelli che nello Yoga vengono definiti Upadhi, gli aggregati limitanti.

Che la verità sia una virtù esaltata e lodata in ogni genere di etica è cosa nota e abbastanza naturale, sia nell’etica ‘umana’ che in quella ‘divina’. In quella umana la sincerità propria presume, o quanto meno fa sperare, anche in quella altrui e, di conseguenza, in una correttezza e un’affidabilità delle relazioni interpersonali che sarebbero gravemente minate dalla mancanza di fiducia nel prossimo. Queste le linee generali, dovremmo dire teoriche, perché nella vita quotidiana la menzogna regna sovrana.

Non solo la falsità viene costantemente diffusa e spacciata per verità, ma se ne fa un uso sistematico di manipolazione delle menti altrui. Governanti, finanzieri, pubblicitari, rappresentanti del potere politico ed economico in genere, sono tutte categorie che vivono di fandonie, che basano il loro immenso potere sull’uso sistematico del falso. La divulgazione al pubblico di documenti segreti ha spesso rivelato come gli episodi che hanno causato alcune tra le più grandi tragedie della storia (dall’incendio del Reichstag all’incidente del golfo del Tonchino o alle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein), altro non fossero che menzogne appositamente costruite e abilmente diffuse.

Naturalmente questo uso continuo del falso non si limita ai cosiddetti ‘poteri forti’; anche nei rapporti interpersonali di lavoro, di amicizia,  spesso anche in quelli familiari, ci si affida con regolarità al falso, si crea una sorta di realtà parallela, completamente avulsa dal vero, dal reale.
 
Un proverbio indiano dice che se si ammazza una zanzara, al suo funerale ne verranno altre mille. Ed è esattamente quello che succede con le bugie: se ne dice una; se si dimostra debole, se ne dice un’altra per rafforzare la precedente, e così via, in un crescendo inarrestabile in cui si perde completamente il senso di ciò che è vero. È proprio questo smarrimento del senso della realtà, questa impossibilità di discriminare il vero dal falso, di separare il ‘grano dal loglio’ il terreno fertile in cui nascono il dubbio, la paura, l’ansia, il dolore e l’infelicità.

Vivere in un mondo intessuto di falsità non è soltanto eticamente inaccettabile, ma, e qui veniamo all’etica ‘divina’, è spiritualmente distruttivo. Come si può soltanto concepire di intraprendere un percorso spirituale, di progressivo innalzamento del nostro livello vibratorio, se nascondiamo le nostre debolezze, o peggio, dietro la cortina fumogena della falsità? Perché in fondo la falsità altro non è che una difesa che si usa, fin troppo spesso, per nascondere debolezze, colpe o precedenti falsità, in una spirale perversa che va assolutamente spezzata, se si vuole progredire spiritualmente.

Per tornare alla prima frase di Swami Sivananda citata: “ La verità è il mezzo e lo scopo finale.” La  verità è infatti un prezioso strumento di progressivo miglioramento, di costante purificazione dalla morchia della falsità. Ma, soprattutto, adottando la verità come indiscutibile e assoluto codice di comportamento, si riusciranno ad abbattere tutte le imperfezioni che cerchiamo di nascondere affermando il falso. Il motto apparentemente semplicissimo di Swami Sivananda era “Be good, do good”, sii buono, fai del bene. Chi si attiene a questa fondamentale regola non avrà mai bisogno di mentire. La bugia serve a nascondere ciò che non va in noi, i nostri cattivi pensieri, spesso seguiti da parole cattive e cattive azioni; le nostre paure e fragilità; il nostro egoismo e la nostra grettezza.

Affrontiamo la verità con coraggio, innanzitutto smettendo di mentire a noi stessi. Si dice che il coraggio chi non ce l’ha non se lo può inventare. Non è vero, nel modo più assoluto. Ricordiamo nuovamente cosa dice Patanjali: “Quando la mente è disturbata dalle passioni, si deve praticare ponderando su i loro opposti” Y.S. II, 33. E la paura non è che una passione, il cui opposto è il coraggio. Abbiamo paura di tante cose; cominciamo a sforzarci di superare la paura delle più piccole, per poi passare a quelle più importanti. Rendiamoci conto che la paura è un tarlo, un male che ci consuma da dentro e che è la manifestazione più evidente dell’attaccamento al complesso corpo-prana-mente dettato dall’Avidya, l’ignoranza spirituale.

Si può lavorare sulla causa, Avidya, con la pratica spirituale, con la meditazione e con lo studio degli Shastra, i testi sacri; ma allo stesso tempo si può agire anche partendo dai sintomi di Avidya: paura, ansia, falsità. Nessuno strumento è più efficace della verità nella lotta contro questi nemici interni, questi parassiti energetici e psichici che ci privano di tanta energia vitale e spesso ci rendono la vita impossibile, un vero inferno. Affrontiamo a viso aperto, impavidamente, queste piccole paure.

Ogni vittoria, anche la più piccola, ci confermerà nella giustezza del metodo, proveremo ad alzare l’asticella, e la supereremo di nuovo. Ci incammineremo con sempre maggiore sicurezza sulla strada che conduce alla Verità, all’unica reale divina essenza del nostro essere, l’ Atman. Solo dopo aver conseguito la verità, dopo averla trasformata nel nostro modo di vivere, potremo accingerci alla conquista di tutte le altre virtù che da essa derivano: coraggio, forza d’animo e dignità; ma anche compassione e perdono; sono tutte qualità che trovano la loro origine e la loro forza nella verità.
 
Una volta, in un’intervista, Bertrand Russell, il filosofo e matematico inglese, disse che era stato un bambino molto vivace e che sua madre gli proibiva di fare tutte quelle cose che lui desiderava tanto fare, in compagnia degli altri coetanei. Ovviamente lui quelle marachelle le faceva lo stesso e, per non incorrere nelle inevitabili punizioni, aveva preso l’abitudine di mentire a sua madre. L’abitudine si era radicata con così tanta forza, che il piccolo Bertrand mentiva anche quando non faceva niente di male. Questo succede molto più spesso di quanto si pensi; si inizia a mentire per coprire un fallo e si continua senza motivo, così, per abitudine, perché l’energia del falso si impossessa di noi senza che ce ne rendiamo conto.    
  
In un precedente scritto 1 si è parlato dei quattro stadi del linguaggio; dal sottilissimo, causale, Para, fino al linguaggio udibile, fisico di Vaichara. Alla regola del percorso a ritroso della pratica spirituale, dal grossolano al sottile e dal sottile al causale, naturalmente non può sfuggire la ricerca della verità, anzi, in essa si  concentra in maniera esemplare tutta la Sadhana, la via spirituale. Iniziando a dire fisicamente, verbalmente, il vero, la mente, Manas, si comincia a riabituare ad esso e a rifuggire il falso. Da qui, per progressivo affinamento dell’essere, l’abitudine alla verità si sposta alla mente intuitiva, superiore, Buddhi, e quindi nelle camere più interiori del nostro cuore. A contatto con il Sé, con la parte più intima e spirituale di noi, la verità diventa Verità, diventa Sat, l’unica realtà imperitura, è Brahman.
 
Lo Yoga è uno strumento estremamente potente. Definirlo una filosofia è forse riduttivo e dà, o potrebbe dare, l’idea di una conoscenza fine a se stessa. Al contrario, è una dottrina essenzialmente pratica, il cui scopo è condurre il praticante verso la liberazione dal dolore insito nel ciclo di nascite e morti. È una dottrina estremamente variegata e ricorda un po’ i frattali. Ogni sua parte, infatti, riproduce l’intero. Abbiamo appena visto come la pratica della verità non sia che un aspetto dell’intera Sadhana. Lo stesso vale anche per gli altri Yama, ognuno di essi è di per sé un percorso completo e gli altri non sono che ulteriori aspetti dello stesso percorso; in questo modo ognuno può trovare l’aspetto della pratica che meglio si adatta alla propria personalità e, pur senza mai trascurare gli altri aspetti, progredire.
 
Il terzo Yama è Asteya. Steya vuol dire ‘rubare’, a è negazione, quindi ‘non rubare’, non appropriarsi di ciò che non ci spetta di diritto. Anche in questo caso lo Yama coincide con precetti sociali molto diffusi sotto ogni cielo. È proverbiale la severità dell’Islam nei confronti del furto: “Tagliate la mano del ladro e della ladra, come punizione per ciò che hanno fatto”, Corano 5:38. Pene corporali o condanna a morte per i colpevoli del reato di furto sono state applicate un po’ ovunque fino a non tantissimo tempo fa anche qui in Europa, e in alcuni paesi, anche non islamici, sono ancora previste.

D’altronde, in un mondo che si basa sulla proprietà privata è fin troppo ovvio che il furto non sia tollerato e che venga considerato una minaccia all’intero assetto sociale. Ma siamo sempre nel campo di precetti che regolano la vita della comunità. Asteya, come detto in precedenza per tutti gli Yama, ha certamente una valenza pratica finalizzata alla pacifica convivenza, ma per il Sadhaka, il ricercatore spirituale, ha significati ben più profondi, di purificazione.

La causa motivante di Steya, infatti, altro non è che il desiderio di possesso, a qualunque costo. Asteya non è soltanto rubare nel senso più stretto della parola, Asteya è appropriarsi di ogni cosa che non è nostra per diritto naturale: non pagare le tasse, farci passare per ciò che non siamo, appropriarci di un’identità che non è nostra e così via. Più siamo legati agli oggetti che soddisfano i nostri sensi, più crediamo che il loro conseguimento ci renda felici. Naturalmente, come detto più volte in precedenza, questa erronea convinzione nasce dall’altrettanto erronea identificazione col complesso corpo-prana-mente.

Nella Bhagavad Gita Krishna spiega con chiarezza come il desiderio sia all’origine di ogni male: “Quando un uomo dedica la sua attenzione agli oggetti dei sensi, sviluppa attaccamento per essi. Dall’attaccamento nasce il desiderio e dal desiderio insoddisfatto la collera. Dalla collera nasce l’illusione, dall’illusione nasce la perdita della memoria, dalla perdita della memoria l’indebolimento della ragione. L’uomo privo di ragione corre verso la rovina. Ma colui che è padrone di sé, che si muove tra gli oggetti con i sensi pacificati, libero da attrazione e da repulsione, consegue la pace.” B.G. II, 62-64. Quando i nostri desideri ci ottenebrano la mente, siamo capaci di tutto, dimentichiamo il nostro codice etico e rubiamo; in vari modi, più o meno legalizzati, con varie sfumature (tra il rubare perché si ha fame e il rubare per affamare gli altri è chiaro che ci sono enormi differenze).

Come si è detto per Satya, anche Asteya in realtà non è il problema in sé, ma la sua manifestazione. Non basta la repressione del furto in quanto reato, la galera, il taglio della mano o l’impiccagione; per l’aspirante spirituale la questione fondamentale è quella della purificazione. Controllando il comportamento, non reprimendo, controllando, riusciamo a controllare la mente, inarrestabile macchina desiderante; acquietando la mente, acquietiamo tutto il nostro essere, elevando il livello di vibrazione e con esso il livello di consapevolezza.

Anche in Asteya quindi si nasconde l’intero percorso spirituale, l’intera Sadhana.  Il necessario percorso di purificazione, come detto in precedenza per Satya, si può intraprendere sia agendo sulle cause, quindi Karma Yoga, meditazione, introspezione; sia agendo sulle manifestazioni, quindi cominciare a ridurre i desideri più grossolani, quelli che ci conducono a comportamenti più asociali, di prevaricazione, e poi via via affrontare la globalità del problema, anche nelle sue sfumature più sottili. All’inizio ci sembrerà tutto molto difficile, ma poi, man mano che il processo di purificazione comincerà a dare i suoi risultati tangibili, ci guarderemo indietro e ci chiederemo come potessimo essere tanto insensati da mentire, rubare e così via.

Piano piano la nostra vita pre-Sadhana ci apparirà per quello che è: mera follia, un abisso di ignoranza. Negli Yoga Sutra Maharishi Patanjali dice: “Per lo Yogi fermamente radicato nella verità, le azioni danno i loro frutti, dipendendo interamente da essa.” Y.S. II, 36, e poi: “Essendo fermamente radicato nell’onestà (Asteya) tutte le cose preziose gli si presenteranno spontaneamente” Y.S.II 37. Quindi Patanjali suggerisce che il percorso di purificazione intrapreso attraverso lo studio e l’applicazione nella nostra vita quotidiana degli Yama conduce il praticante, l’aspirante Yogi all’acquisizione di Siddhi, di poteri psichici che gli permettono di realizzare i propri desideri, desideri puri, non più inquinati da egoismo o paure.

Swami Vivekananda, nel suo commentario dei Sutra, spiega questi due aforismi con una frase assolutamente illuminante: “Più scappi dalla natura, più essa ti seguirà, e se te ne disinteressi del tutto, diventerà la tua schiava.” È esattamente questo il senso di tutta la Sadhana spirituale, scrollarci di dosso il potere che la natura grossolana ha su di noi, soprattutto con le infinite varianti del desiderio, diventare padroni di noi stessi, consapevoli di essere puro Spirito, Atman.

Paolo Quircio
Roma, 30-03-2018
 

 1Forse il silenzio esiste davvero’, Newsletter FioriGialli Dossier del 30/03/2018

 
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