FORSE IL SILENZIO ESISTE DAVVERO
di Paolo Quircio
Forse solo il silenzio esiste davvero.
J. Saramago (Memoriale del convento)
Una delle tante cose che colpiscono il viaggiatore che si reca in India per la prima volta (ma in realtà anche in quelle successive), è l’attitudine degli Indiani, tutti gli Indiani, ricchi e poveri, colti e illetterati, di pronunciare quelle che alle nostre orecchie suonano come piccole perle di saggezza. Non credo che gli Indiani siano particolarmente più saggi degli altri popoli, ma evidentemente la loro antichissima cultura li ha forniti di un sistema di pensiero diverso dal nostro, con una visione della realtà apparentemente più semplice, in effetti molto profonda.
Molti anni fa mi trovavo in un villaggio dell’India centrale, ospite di un piccolo albergo ricavato da un’ala di un palazzo Moghul quasi in rovina. Mentre aspettavamo che la cena fosse pronta, andò via la luce, cosa assai frequente nell’India rurale di quel periodo. Mohammed, il factotum che gestiva il posto, sembrava quasi contento del piccolo, momentaneo incidente e spiegò, “Nel buio si vedono tante cose”. Sembra una frase banale, e forse lo è, detta tanto per suscitare stupore in chi la ascolta. Ma a ben guardare, soprattutto per chi, come noi, vive in una società ricchissima di stimoli visivi, dalla televisione al computer, dai poster affissi in ogni angolo alle pubblicità martellanti sui giornali e anche sui cellulari, è difficile riposare gli occhi. Per non parlare poi dell’inquinamento luminoso. È ormai impossibile vedere un cielo stellato per chi vive in città. Per vedere la Via Lattea bisogna andare in posti davvero remoti, lontani da centri abitati, e non è stato sempre così. Anche in India, ormai, per vedere il cielo notturno nella sua totalità bisogna recarsi in posti fuori mano.
Quello che abbiamo detto per gli stimoli visivi vale anche di più per quelli acustici. Viviamo in un mondo decisamente rumoroso. Oltre all’incessante rombo creato dal traffico automobilistico, siamo costantemente bombardati da musiche di sottofondo, tanto brutte quanto superflue, nei supermercati, negli ascensori, nei negozi, nei centri commerciali. Anche nella stazione della metro ci sono schermi con spot pubblicitari ad altissimo volume.
Soprattutto chi vive in città, a causa dell’alta densità di popolazione è costretto a subire in continuazione il rumore prodotto da chi lo circonda. Sembra che il mondo moderno rifugga il silenzio, anzi, sembra che rifugga l’assenza di stimoli sensoriali. Gli uomini e le donne di oggi sembrano incapaci di vivere senza un televisore acceso nella stanza, un telefonino da consultare in continuazione, musica (?) da ascoltare in ogni situazione. Il lavoro impone un’esposizione agli stimoli sensoriali continua. Il tempo libero è anche peggio, ristoranti affollati e chiassosi, pub e discoteche con musica assordante e ipnotica, spesso associata all’assunzione di sostanze che amplificano a dismisura questi stimoli sensoriali già eccessivi di per sé.
La vita sempre più prende la forma di un incessante, assordante schiamazzo. E i risultati di questo assordante schiamazzo, di questa frenesia continua, di questo impietoso bombardamento dei sensi si vedono sempre più, soprattutto nelle porzioni di popolazione culturalmente più indifese, come i ragazzi, cresciuti in questa condizione, l’unica che conoscono e che ormai considerano la normalità. I risultati ovviamente sono la totale mancanza di concentrazione, la difficoltà a formulare pensieri ben strutturati e conseguenziali, la superficialità sia di pensiero che di giudizio.
Non è un caso che tutte le tradizioni spirituali e religiose abbiano riservato un posto di primo piano al silenzio e alla solitudine. Tutti i grandi personaggi di tutte le religioni hanno passato lunghi periodi, a volte l’intera esistenza, in silenziosa solitudine. Parliamo dei 40 giorni nel deserto di Gesù, dell’eremitaggio di San Benedetto a Subiaco, dove ora sorge lo splendido monastero del Sacro Speco, di Buddha, di tutti i grandi Rishi della tradizione indiana, e potremmo citare mille e mille esempi. Nei monasteri cristiani la conversazione si limita all’essenziale, e non solo in quelli di clausura. La maggior parte del tempo che non è dedicato alle preghiere comuni si trascorre in solitudine e silenzio che, soli, favoriscono la contemplazione e la meditazione. Negli Ashram indiani in genere si parla il meno possibile e molti monaci praticano lunghi periodi di Mauna, il voto del silenzio.
Anche il Mahatma Gandhi lo praticava un giorno a settimana, per avere il tempo di recuperare le forze mentali e di riordinare le idee nei momenti convulsi della lotta per la libertà. Mauna è assolutamente essenziale per il progresso spirituale. Anche i grandi Maestri, che hanno fatto dell’insegnamento e della divulgazione delle filosofie spirituali la loro vita, prima di iniziare a predicare hanno trascorso lunghi periodi in solitudine e in silenzio. Ed è proprio da questi lunghi periodi di silenziosa introspezione che hanno tratto le conoscenze e la forza per poter poi condurre la vita impegnativa del Guru. Il voto di Mauna non prevede soltanto l’astensione dalla comunicazione verbale, ma da ogni tipo di comunicazione, anche quella fatta a gesti o con l’aiuto di bigliettini scritti. Ogni forma di comunicazione mette in contatto, in un modo o in un altro, due o più individui. Questo contatto inevitabilmente distrae dal lavoro di ricerca interiore, di autoanalisi, indispensabile per poter raggiungere l’alto livello di consapevolezza necessario per elevarsi spiritualmente.
Il quinto anga, parte, del Raja Yoga è Pratyahara, il ritiro dei sensi, e precede Dharana, la concentrazione, che a sua volta precede Dhyana, la meditazione. Vediamo quindi che tenere sotto controllo gli organi di senso, tutti gli organi di senso, è assolutamente necessario perché la mente possa trovare la capacità di concentrarsi. La mente elabora un pensiero alla volta, e anche quando sembra che si intrattenga su due o più pensieri contemporaneamente, in effetti essa si muove da un pensiero all’altro a una velocità tale che i pensieri sembrano contemporanei. Proprio per diminuire, fino ad arrestare, questa frenetica attività della mente il silenzio è uno strumento indispensabile.
Lo Yoga è una dottrina molto accurata che prende in esame tutti gli aspetti della psiche umana. Tra questi il linguaggio come punto di arrivo del percorso di formazione delle idee. Vengono individuati quattro stadi del linguaggio. Il primo, Vaikhari, comprende le parole che usiamo normalmente per indicare oggetti, azioni, concetti. La sede dell’energia di Vaikhari è il Vishuddha Chakra, il Chakra della gola, ed è collegato allo stato di veglia, al corpo fisico grossolano e a Kriya Shakti, la forza dell’azione.
La sua struttura è essenzialmente grossolana e funziona abbastanza bene per quanto riguarda le cose pratiche, ma comincia ad avere serie difficoltà quando si tratta di descrivere concetti astratti. In effetti anche nelle cose meno astratte a volte mostra i suoi limiti. Ad esempio, siamo tutti d’accordo nel definire bianca la neve o la parete di una casa, ma come facciamo a sapere qual è l’esatta percezione del bianco che ognuno di noi ha? È impossibile avere la certezza che la mia percezione del bianco sia la stessa di quella che ha un’altra persona. E stiamo parlando solo di colori, figuriamoci cosa succede quando si parla di bene e male, o di Dio. Per questa diversità di interpretazione e di percezione sono state combattute molte guerre!
A monte di Vaikhari abbiamo Madhyama, che è il livello di formazione dell’idea, il momento in cui l’idea prende corpo sotto forma di parola o di immagine, ancora non espressa. La sua sede è l’Anahata Chakra, il Chakra del cuore, è collegata allo stato di sogno, al corpo astrale o energetico e a Jnana Shakti, l’energia della conoscenza. È abbastanza più sottile di Vaikhari. È suono mentale, non percepibile. Anahata, vuol dire non originato, non percosso, quindi il Chakra del cuore è quello in cui nascono i suoni interiori, non causati da agenti esterni.
Lo stadio precedente a Madhyama è Pasyanti. La sede di Pasyanti è il Manipura Chakra, il Chakra dell’ombelico, ed è collegata allo stato di sonno profondo, al corpo causale e a Iccha Shakti, la forza della volontà. Pasyanti è suono sopramentale, è intuizione, per la persona spiritualmente evoluta è suono che non ha bisogno di intermediazioni. Ancora più sottile è Para. Para è collegata al Muladhara Chakra, il Chakra del perineo, il suo stato mentale è Turiya, il quarto stato della coscienza, che trascende i tre stati precedenti di veglia, sogno e sonno profondo. Para è vibrazione sonora talmente sottile da non essere percepibile, pur essendo la causa di ogni suono, attraverso il percorso di materializzazione che avviene mentre sale da un Chakra all’altro, trasformandosi in suono fisico, udibile. Quindi Vaikhari è legato al corpo fisico, Madhyama a Manas, la mente, Pasyanti a Buddhi, la mente superiore, intuitiva, e Para alla coscienza trascendente.
È facile comprendere come coloro che tramite le pratiche spirituali sono arrivati a livelli di consapevolezza elevati possano avere coscienza del livello di pensiero in cui operano. Per questo i praticanti avanzati possono comunicare anche telepaticamente, senza la mediazione del linguaggio grossolano. Quando i grandi Maestri si incontrano, di solito passano del tempo insieme senza dire una parola, si scambiano reciprocamente i Pranam, gesti di rispetto, e si accomiatano in silenzio. Una volta un discepolo chiese a Ramana Maharshi come mai non facesse mai discorsi, né avesse mai scritto dei libri (quello che sappiamo del suo pensiero, lo sappiamo solo attraverso le poche interviste concesse). Egli rispose che esistono tre tipi di insegnamenti: con la parola, con il contatto (imposizione delle mani) e con la presenza; lui apparteneva ai Maestri che praticavano quest’ultimo sistema. La sua presenza, che a quasi 80 anni dal suo Mahasamadhi si avverte ancora oggi in maniera tangibile nel Ramana Ashram ai piedi del monte Arunachala, era ed è in grado da sola a cambiare in profondità le persone che a lui si avvicinavano.
Questa classificazione del suono e della comunicazione, verbale e non, ci fa pensare alla cosmogonia dei testi indiani. Essi sostengono che dopo quello che oggi chiamiamo il Big Bang, il momento della creazione, l’energia divina si manifestò inizialmente come Shabda Brahman, il suono di Brahman. Una vibrazione talmente sottile da non poter essere percepita.
Questa vibrazione, questo suono-non suono, così vicina all’origine divina da essere inudibile, nel processo della creazione e di progressivo ispessimento dell’energia originaria, si trasforma nel primo suono udibile: la sacra sillaba OM, il Mantra universale. OM è la vibrazione che dà origine alla creazione e continua a vibrare, manifestandosi come suono sottile dell’Universo. OM è sempre esistito e sempre esisterà. Quando noi recitiamo il Mantra OM non creiamo nulla, semplicemente ci immettiamo in un flusso di energia estremamente sottile che ci conduce verso il Divino. Man mano che la creazione ha proseguito, trasformandosi da energia sottile a Tanmatra, il principio degli elementi, e quindi nei Bhuta, i 5 elementi grossolani, anche il suono si è trasformato da sottilissimo a sempre più grossolano. Grossolano non più solo nel senso di materiale, di non sottile, ma anche nel senso comune del termine: volgare, privo di finezza ed eleganza. E sono proprio queste le caratteristiche che il suono sempre più sta acquisendo: disarmonico, irritante, distrattivo, puro rumore che ci impedisce non solo di concentrarci, ma anche di pensare. Una sostanza inquinante per il nostro essere che anela alla leggerezza, alla libertà.
Abbiamo visto che il percorso spirituale è fondamentalmente un percorso a ritroso nella creazione, dal grossolano al sottile, in tutti i suoi aspetti. L’essere umano è un microcosmo che riflette e riproduce in ogni dettaglio il macrocosmo divino. L’unico modo per evolvere spiritualmente è quello di accordarsi, di sintonizzarsi progressivamente con l’armonia insita nell’universo. Questa armonia spesso è nascosta, velata dalla cortina fumogena delle sensazioni transitorie, dei piaceri effimeri a cui tendiamo a dare un’importanza eccessiva e fuori luogo, ma tant’è, è la nostra natura. Compito del ricercatore spirituale è quello di distinguere ciò che è utile per il proprio progresso da ciò che lo rallenta o lo impedisce tout court.
Compito delle energie negative che ci circondano è quello di sviarci, di farci prendere lucciole per lanterne, facendoci credere che alcune piccole soddisfazioni momentanee possano darci quella felicità a cui tutti aspiriamo. Purtroppo ciò che di solito accade è che le cocenti delusioni che questo tipo di ricerca ci riserva non ci inducono a cambiare strada, anzi, ci fanno intestardire ancora di più, continuando ad accumulare delusioni su delusioni. La felicità, lo stato di profonda beatitudine, Ananda, è insita fin dalla nascita nel nostro essere più profondo, e niente potrà mai portarcelo via; dobbiamo semplicemente andare a cercarla, separarla da tutto il cascame di dolore e di ignoranza che la circonda.
La felicità è la nostra vera natura, il dolore e la sofferenza sono nostre creazioni e conseguenza delle nostre azioni sbagliate. Soltanto un’analisi introspettiva senza sosta, sostenuta da tutte le tecniche spirituali di cui disponiamo, dalle letture dei Testi Sacri alla meditazione, può condurci fuori da questo labirinto grossolano. Ma per fare questo abbiamo bisogno di grande pace, di grande silenzio, dentro e fuori di noi. La nostra mente vuole comunicare agli altri le proprie emozioni. Cerchiamo di limitare questa attitudine.
Cerchiamo di analizzare il nostro linguaggio, verbale e corporeo. Cerchiamo di capire quanti di questi segnali che in continuazione mandiamo all’esterno siano davvero necessari; mordiamoci la lingua quando stiamo per dire cose inutili o persino sgradevoli; evitiamo di infilarci nelle trappole di discussioni accalorate che non avranno altro risultato che creare astio e inimicizia. Evitiamo tutto ciò che ci distrae dalla nostra pratica spirituale, che non si può ridurre a un paio di lezioni di Yoga a settimana.
Controllando il nostro linguaggio e la nostra gestualità (che fa parte del linguaggio) inevitabilmente controlliamo la nostra mente. Cerchiamo di trovare un po’ di tempo ogni giorno, soprattutto la sera prima di dormire, per praticare Mauna, il silenzio. Invece di addormentarci davanti alla televisione, come accade a molti, possiamo andare a letto prima di stramazzare e dedicare l’ultima parte della giornata all’esame di quello che abbiamo fatto e pensato durante la giornata stessa. All’inizio troveremo difficile costringere noi stessi a tacere anche per un quarto d’ora; gradualmente scopriremo gli effetti benefici e gradevoli del silenzio e, senza alcun obbligo, spontaneamente allungheremo questi momenti di non-comunicazione. Nei giorni liberi potremmo trovare il modo per passare l’intera giornata in silenzio, magari camminando nella natura (senza cuffiette naturalmente).
Questa consuetudine con il silenzio esteriore piano piano ci condurrà ad un livello di silenzio interiore, conditio sine qua non per la concentrazione e quindi per la meditazione. Il silenzio è un grande maestro spirituale che abbiamo a portata di mano e che può farci fare passi da gigante nel nostro processo di sviluppo spirituale; invece di abbracciarlo e valorizzarlo, spesso lo temiamo, per paura che ci possa far scoprire una parte di noi che non siamo pronti a scoprire e che preferiamo ignorare. Il silenzio è un maestro gentile, che va per gradi; insegna le grandi verità in maniera non traumatica; ci porta pian piano a scoprire la nostra natura divina. Abbandonarsi al silenzio, immergersi nel silenzio è un ritorno alle origini, un’immersione vivificante nel liquido prenatale. E non bisogna pensare che sia una fuga dalla realtà, perché il silenzio in effetti è il suono della realtà più profonda. Seguiamo le avvertenze che ci dà Swami Sivananda nel raccomandarci la pratica del silenzio:
“All’inizio, osservando Mauna incontrerete alcune difficoltà. Ci sarà un intenso attacco di Vritti 1 Si presenteranno vari tipi di pensieri che vi obbligheranno a interrompere il vostro silenzio. Queste sono tutte vane immagini e trucchi della mente. Siate coraggiosi. Concentrate tutte le energie su Dio. Tenete la mente completamente occupata. Il desiderio di conversazione e compagnia svanirà. Troverete la pace.”2
Esiste qualcosa di più grande e più puro
rispetto a ciò che la bocca pronuncia.
Il silenzio illumina l'anima,
sussurra ai cuori e li unisce.
Il silenzio ci porta lontano da noi stessi,
ci fa veleggiare
nel firmamento dello spirito,
ci avvicina al cielo;
ci fa sentire che il corpo
è nulla più che una prigione,
e questo mondo è un luogo d'esilio.
Kahlil Gibran
Paolo Quircio
Roma, 21-02-2018
1 Alterazioni della mente, onde di pensiero.
2 Bliss Divine – Il Libro della Beatitudine Divina
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