La bellezza salverà il mondo (Dostoevskij)

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I SENTIERI DELL' ESSERE
Le mille Vie della Spiritualità
I SENTIERI DELL' ESSERE
LA PRATICA DA SEGUIRE
Un monaco chiese a Dong-Shan:
C'è una pratica che le persone debbano seguire?
Dong Shan rispose:
quando diventi una vera persona c'è una tale pratica.
Sai essere freccia, arco, bersaglio?
<b>Sai essere freccia, arco, bersaglio?

Sai essere freccia, arco, bersaglio?
Conosci la sequenza delle costellazioni?
La fusione dell'idrogeno in elio?
Sai misurare la tua integrità?
Se rispondi
Avrai l'immortalità.

Laura Scottini

MEDITAZIONE TAOISTA
<b>MEDITAZIONE TAOISTA </b>





 

Chiudi gli occhi e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare e sentirai la verità.
Resta in silenzio e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto e troverai l'unione.
Sii quieto e ti muoverai sull'onda dello spirito.
Sii delicato e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente e compirai ogni cosa.
Sii umile e manterrai la tua integrità.

 

IL VUOTO CHE DANZA
IL VUOTO CHE DANZA










di H.W.L. Poonja


Rimani ciò che sei ovunque tu sei.
Se fai così, saprai immediatamente
di essere Quello che hai cercato
per milioni di anni.

Non c'è ricerca,
perchè si cerca solo qualcosa che si è perso.
ma quando niente è andato perduto
non ha senso
cercare qualcosa.

Qui semplicemente Stai Quieto.
Non formare nemmeno un pensiero nella mente.
Allara saprai
Chi sei realmente.

per tre motici la ricerca e la pratica
sono follie fuorvianti
sono l'inganno della mente
per posporre la libertà.
Continua...

PAROLE SU DIO
PAROLE SU DIO

di Simone Weil

Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio. … Così pure, la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni.

Il bello è ciò che si desidera senza volerlo mangiare. Desideriamo che sia. Restare immobili e unirsi a quel che si desidera senza avvicinarsi. Ci si unisce a Dio così: non potendosene avvicinare. La distanza è l’anima del bello.

Nella prima leggenda del Graal è detto che il Graal, pietra miracolosa che in virtù dell’ostia consacrata sazia ogni fame, apparterrà a chi per primo dirà al custode della pietra, il re quasi paralizzato dalla più dolorosa ferita: “Qual è il tuo tormento?”. La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nell’essere capace di domandargli: “Qual è il tuo tormento?”, nel sapere che lo sventurato esiste, non come uno fra i tanti, non come esemplare della categoria sociale ben definita degli “sventurati”, ma in quanto uomo, in tutto simile a noi, che un giorno fu colpito e segnato dalla sventura con un marchio inconfondibile. Per questo è sufficiente, ma anche indispensabile, saper posare su di lui un certo sguardo. Continua...
I BAMBINI
DAGLI OCCHI DI SOLE

I BAMBINI<br> DAGLI OCCHI DI SOLE










Vidi i pionieri ardenti dell’Onnipotente
superando la soglia celeste che è volta alla vita
discendere in frotta i gradini d’ambra della nascita;
precursori d’una moltitudine divina,
essi lasciavano le rotte della stella del mattino
per l’esigua stanza della vita mortale.

Li vidi traversare il crepuscolo di un’era,
i figli dagli occhi di sole di un’alba meravigliosa,
i grandi creatori dall’ampia fronte di calma,
i distruttori possenti delle barriere del mondo
che lottano contro il destino nelle arene della Sua volontà,
operai nelle miniere degli dei,
messaggeri dell’Incomunicabile,
architetti dell’Immortalità.

Nella sfera umana caduta essi entravano,
i volti ancora soffusi della gloria dell’Immortale,
le voci ancora in comunione coi pensieri di Dio,
i corpi magnificati dalla luce dello spirito,
portando la parola magica, il fuoco mistico,
portando la coppa dionisiaca della gioia,
Continua...
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI

di Maurizio Di Gregorio

Tutti cerchiamo qualcosa. Se lo cerchiamo nel mondo materiale pensiamo di trovarlo all’esterno di noi stessi. Se lo cerchiamo nel mondo spirituale siamo portati a credere di poterlo trovare all’interno di noi. Una massima dice: la risposta è dentro di te. Una battuta invece dice: la risposta è dentro di te, ma è sbagliata. Ambedue le affermazioni sono vere perché si riferiscono a due esseri diversi. Uno vero e l’altro falso. Come si fa a sapere quale é l’Io interiore che contiene tutte le risposte della vita? Dalla felicità. Nel primo caso si sa solo che si è felici, sia pure per un attimo, si è completamente, immensamente e interamente felici e più correttamente si dovrebbe chiamarla beatitudine. Nel secondo caso sappiamo solo, che a dispetto di ogni altra cosa, momentanea soddisfazione o eccitazione, non si è veramente felici. 
Aivanhov, definendo la natura umana, parla della coesistenza di una natura inferiore e di una natura superiore. All’interno di ognuno è una continua lotta tra due esseri (o stati di essere) in competizione che Aivanhov chiama Personalità e Individualità. “Persona “ è la maschera e in ogni incarnazione la maschera è diversa, “Individualità” è l’abitante della maschera, colui che non cambia, il vero Sé divino. La personalità è in parte ancora inesistente nel bambino ma già tracciata, si sviluppa con l’età come la trama di un tessuto e si consuma nella vecchiaia. Il risveglio dell’anima consiste nel riconoscimento del Sé interiore e nell’abbandono momentaneo della maschera della personalità. Ora anche se possiamo capire qualcosa del nostro essere maschera, né la mente, né il cuore né la volontà sono risolutivi.
E questo perché mente cuore e volontà sono una triade che esiste tanto nella natura delle Individualità quanto nella natura della Personalità.
“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” Quale è, in ogni dato momento, il cuore che chiede, la mente che cerca, la volontà che agisce? La strada dell’evoluzione spirituale, cioè della evoluzione dell’essere allo Spirito, è insidiosa perché ad ogni sviluppo della Individualità segue uno sviluppo della Personalità. Differentemente il discernimento è possibile solo dal punto di vista della Coscienza Superiore che è esattamente ciò che si illumina.
Fuori da questa esperienza si persiste sempre in un tipo di coscienza media, anche se ampliata o sofisticata, una coscienza media perché media in un equilibrio precario le necessità delle due nature....Continua...
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA

di Ervin Laszlo

Il grande compito, la grande sfida del nostro tempo è cambiare se stessi.
Questo elenco delle principali caratteristiche della nuova visione, della nuova coscienza, è scritto per stimolare la trasformazione, perché è possibile acquisire una nuova consapevolezza, perché tutti possono evolvere, tante persone l'hanno già fatto ed è diventata una conditio sine qua non della nostra sopravvivenza sulla Terra.
La prima caratteristica è l'olismo, la visione olistica, per contrastare la visione frammentaria, disciplinaria, atomistica, che separa tutto: la mente dalla natura, l'uomo e la società dalla biosfera, e tutti i campi della realtà l'uno dall'altro. La visione olistica è proprio quella comprensione Continua...
I FIGLI DELLA LUCE
I FIGLI DELLA LUCE




 


I Figli della Luce si nutrono di Pace, Libertà, Amore, Giustizia, Grazia, Benevolenza, Comprensione, Compassione, Generosità, Bontà, Luce, Verità, Positività, trasmettendo tutto questo intorno a loro. Le creature che vengono in contatto con i Figli della Luce percepiscono la Positività dell’operato della “Luce Amore” e uno stato di benessere entra in loro. Non sono consapevoli della fonte di questa Positività, ma stanno volentieri in compagnia dei Figli Luce dispensatori d’Amore.
Continua...
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA

di Matthew Fox

L’ecologia e la spiritualità sono le due facce della stessa medaglia. La religione deve lasciar andare i dogmi in modo da poter riscoprire la saggezza del mondo.
Come dovrebbe essere una religione ecologica? Negli ultimi 300 anni l’umanità è stata coinvolta in una grande desacralizzazione del pianeta, dell’universo e della propria anima, e questo ha dato origine all’oltraggio ecologico. Saremo capaci di recuperare il senso del sacro?La religione del futuro non sarà una religione in senso stretto del termine, dovrà imparare a lasciare andare la religione. Il Maestro Eckhart, nel quattordicesimo secolo disse, “Prego Dio di liberarmi da Dio”. Per riscoprire la spiritualità, che è il cuore autentico di ogni religione vera e fiorente, dobbiamo liberarci dalla religione. Sembra un paradosso. La spiritualità significa usare il cuore, vivere nel mondo, dialogare con il nostro sé interiore e non semplicemente vivere a un livello organizzativo esterno.
E. F. Schumacher, nel suo profetico modo di scrivere, disse, nell’epilogo di Piccolo è bello, “Dappertutto la gente chiede, ‘Cosa posso fare praticamente?’ La risposta è tanto semplice quanto sconcertante, possiamo, ciascuno di noi, mettere in ordine la nostra casa intima, interiore. Per far questo non troviamo una guida nella scienza o nella tecnologia, poiché i valori sui quali esse si poggiano dipendono sommamente dal fine per il quale sono destinate. Tale guida la si può invece ancora trovare nella tradizionale saggezza dell’umanità”.
Tommaso d’Aquino, nel tredicesimo secolo disse, “Le rivelazioni si trovano in due volumi – la Bibbia e la natura”. Ma la teologia, a partire dal sedicesimo secolo, ha messo troppa enfasi nelle parole della Bibbia, o del Vaticano o dei professori, ha messo tutte le uova nel paniere delle parole, parole umane, e ha dimenticato la seconda fonte della rivelazione, la natura!
Il Maestro Eckhart disse, “Ogni creatura è la parola di Dio e un libro su Dio”. In altre parole, ogni creatura è una Bibbia. Ma come ci avviciniamo alla saggezza biblica, alla saggezza sacra delle creature? Col silenzio. C’è bisogno di un cuore silente per ascoltare la saggezza del vento, degli alberi, dell’acqua e della terra. Nella nostra ossessiva cultura verbale, abbiamo perso il senso del silenzio. Schumacher disse, “Siamo ormai troppo intelligenti per sopravvivere senza saggezza”. Continua... 
SULL'ANARCHIA BUDDISTA
SULL'ANARCHIA BUDDISTA di Gary Snyder

Da un punto di vista buddista, l'ignoranza che si proietta nella paura e nel vano appetito impediscono la manifestazione naturale. Storicamente, i filosofi buddisti non hanno saputo analizzare fino a che punto l'ignoranza e la sofferenza erano dovuti o favoriti da fattori sociali, considerando il timore e il desiderio come fatti intrinseci alla condizione umana. Così, la filosofia buddista si interessò principalmente alla teoria della conoscenza e la psicologia fu svantaggiata, per dare più spazio allo studio dei problemi storici e sociologici. Anche il buddismo Mahayana possiede un'ampia visione della salvezza universale, la sua realizzazione effettiva si è concretizzata nello sviluppo di sistemi pratici di meditazione per liberare a una minoranza di individui da blocchi psicologici e condizionamenti culturali. Il buddismo istituzionale è stato chiaramente disposto ad accettare o a ignorare le disuguaglianze e le tirannie sotto il sistema politico che vigeva. È stata come la morte del buddismo, posto che è comunque la morte che riesce a far comprendere il significato della compassione. La saggezza senza compassione non sente dolore.
Continua...
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KARMA DHARMA VAIRAGYA



di Paolo Quircio 

Nelle filosofie dello Yoga e del Vedanta esistono dei concetti cardine, dei veri e propri perni intorno ai quali ruotano entrambi i sistemi filosofici. Uno di questi è certamente il Samsara, il ciclo di nascite e morti, spesso raffigurato con una ruota, a cui è incatenato il Jiva, l’individuo, composto da Atman, la parte divina, da cui Jivatman, e dalle Upadhi, i cosiddetti attributi limitanti - corpo, prana e mente - con cui il Jiva tende erroneamente ad identificarsi, dimenticando la sua vera essenza, che è divina. Nel mondo di Prakriti, la Natura, ogni cosa, sia essa una cellula, una pianta, un animale, un essere umano o l’intero Universo, nasce, si sviluppa, decade e muore. In questo andamento circolare, la ruota dell’esistenza, la morte non ha nulla di definitivo,  è semplicemente un cambiamento di forma.

Secondo la teoria del Samsara, quando una persona muore, il suo corpo fisico, composto dai cinque elementi, pancha bhuta, terra, acqua, fuoco, aria e etere, agli elementi ritorna. Il corpo astrale, che è composto di mente e prana ed è magazzino di tutte le esperienze accumulate nel corso delle varie vite, le quali contribuiscono a formare il carattere innato nella prossima vita, rimane in attesa per un periodo variabile, quindi torna nel corpo che meglio si adatta alle sue esigenze karmiche, per proseguire il percorso verso la fonte da cui tutti proveniamo, il Brahman, l’anima cosmica che tutto permea e a cui tutto appartiene.

Il modo in cui questo cammino si sviluppa e la velocità con cui il Jiva riesce a raggiungere Moksha, la liberazione dal ciclo di nascite e morti, dipendono da alcuni altri fattori fondamentali che cercheremo di capire meglio. Essi sono: la legge del Karma, il rispetto del Dharma e il conseguimento di Viveka, la capacità di discriminare il reale dall’irreale, e Vairagya, il distacco. Più che concetti di base, questi appena accennati sono delle leggi immutabili della natura in cui viviamo e a cui apparteniamo. Come è impossibile parlare e scrivere bene senza conoscere le regole della grammatica e della sintassi, o costruire un palazzo senza essere padroni delle varie leggi della fisica e della matematica, così è impossibile raggiungere il traguardo dell’emancipazione spirituale senza conoscerne le leggi. Swami Sivananda paragona il Jiva al comandante di una nave: solo chi conosce bene le regole della marineria e possiede una bussola affidabile può portare la nave in porto attraverso bufere e bonaccia senza correre rischi.
 
IL KARMA
La parola Karma proviene dalla radice sanscrita kri, fare, agire, e vuol dire ‘azione’. Secondo la legge del Karma, ad ogni azione corrisponde una reazione. Se al livello fisico è facile constatare la veridicità di questo principio, si preme l’interruttore e si accende la luce, al livello esistenziale, soprattutto se riferito non ad una singola vita, ma a molte, moltissime esistenze terrene, questo è un po’ più difficile e richiede un notevole impegno da parte del ricercatore spirituale. È anche importante sottolineare che quando parliamo di azione, non ci riferiamo esclusivamente a ciò che facciamo, ma anche a ciò che pensiamo e che diciamo.

Le parole a volte possono avere effetti più forti delle azioni, nel bene e nel male; ma, soprattutto, sia le parole che le azioni hanno la loro radice nel pensiero. Le intenzioni dietro a un’azione spesso sono più importanti dell’azione stessa. Sia un chirurgo che un assassino tagliano il ventre di un'altra persona, ma lo scopo del primo è di curarla, quello del secondo è di ucciderla, l’esatto opposto. “Siamo ciò che pensiamo”: il pensiero di  una volta, vritti, se ripetuto diventa abitudine, samskara, le abitudini formano i tratti caratteriali, vasana, e il carattere forma il destino, Karma. Nella Bhagavad Gita Krishna spiega con chiarezza l’importanza del pensiero rispetto alle azioni: “Colui che, trattenendo gli organi di azione, siede pensando agli oggetti dei sensi, egli, la cui comprensione è velata dall’illusione, è ciò che chiamiamo un ipocrita.” (B.G. III, 6).

Noi diremmo, l’abito non fa il monaco. Non basta astenersi dal godimento degli oggetti dei sensi ed apparire ascetici, la rinuncia è reale e dà i suoi frutti solo quando abbiamo domato anche  il desiderio. Conoscere  questa legge fondamentale rende più facile progredire spiritualmente. Ipocrita è una persona che fa una cosa e ne pensa un’altra, perché vuole sembrare migliore di ciò che è in realtà. Anche Gesù parlava dei ‘sepolcri imbiancati’, di coloro che facevano di tutto per apparire rispettosi della legge, ma in privato facevano ben altro. Ma se i ‘sepolcri imbiancati’ subiscono una dura condanna per questo loro atteggiamento, l’ipocrita della Gita ha la possibilità di migliorare: praticando lo Yoga, un po’ alla volta, con gradualità, e sempre se ha davvero la volontà di farlo,  egli riuscirà a controllare oltre al corpo anche i sensi, e dopo i sensi la mente, staccandosi sempre più dagli oggetti dei propri desideri.  

Secondo la dottrina del Karma ogni cosa che succede ha una sua causa profonda. Nulla accade per caso; la nascita di un filo d’erba o di un essere umano, una guerra, una catastrofe naturale, l’illuminazione di uno Yogi, tutto avviene perché in passato, di solito in una o più vite passate, sono state fatte delle cose che in seguito diventano causa di altre. Ogni effetto ha la sua causa e viceversa. Il seme è causa dell’albero e l’albero, a sua volta, è causa del seme.

Dovremmo sempre ricordare questa legge di causalità, soprattutto quando ci troviamo in situazioni sgradevoli o dolorose, malediciamo il destino e non capiamo perché si accanisce contro di noi. Tutto ciò che accade, sia buono sia cattivo, ha una causa precisa e per quanto riguarda noi umani, di solito la causa di quello che succede andrebbe cercata nelle nostre vite precedenti. Il modo e l’intensità con cui le cose causate da avvenimenti precedenti accadono sono determinati da una legge che tutti sperimentiamo nella vita, sia nel mondo fisico che in quello mentale: ad ogni azione corrisponde una reazione. Se tiriamo una palla sul muro, la stessa forza che abbiamo impresso alla palla la farà rimbalzare. Più forte è il tiro, più forte sarà il rimbalzo. Analogamente, poiché le azioni possono essere buone, cattive e miste, un po’ buone e un po’ cattive, le conseguenze nelle vite successive avranno le stesse caratteristiche.

La legge del Karma è tanto giusta quanto inesorabile. Chi commette il male e pensa di averne evitate le conseguenze eludendo la giustizia umana è in grave errore. Se così non fosse nessuno potrebbe imparare dai propri errori e non ci sarebbe alcuna giustizia nel mondo. Infatti, ogni avvenimento ha una sua compensazione: il seme che marcisce nella terra fa nascere una nuova pianta. Questa a sua volta darà un seme, e quando morirà sarà nutrimento per la nuova pianta. Nel fuoco il carburante si annienta, ma quel fuoco serve a scaldare chi ha freddo o a cucinare del cibo. Attraverso questo principio di compensazione il Karma mantiene tutto in equilibrio. È soltanto la nostra ignoranza che ci impedisce di cogliere il legame tra i vari avvenimenti. Riusciamo a vedere solo a breve distanza, e questo ci impedisce di percepire il disegno che muove ogni cosa. Se riuscissimo a vedere questo disegno, eviteremmo di commettere tutte quelle azioni che inevitabilmente ci porteranno una punizione.

Capiremmo che la qualità della vita che viviamo non è data né dal caso, né dalla fortuna, ma sempre e solo dalle nostre azioni liberamente compiute, anche se non nell’immediato. Si dice che la ricompensa di una vita ben vissuta è la stessa vita ben vissuta, e viceversa. Chi cerca di dare alla propria esistenza un valore spirituale, etico, in pace con gli altri e con la propria coscienza, in genere sarà ricompensato da una vita serena e spiritualmente intensa. Sarà inoltre in grado di affrontare le difficoltà che inevitabilmente gli si presenteranno con spirito di accettazione, senza maledire il cielo e gli dei per quello che gli tocca, sapendo che tutto quello che accade ha un unico responsabile: se stesso.


“Così come un uomo getta via i sui abiti consumati e ne indossa di nuovi, così anche il Sé incarnato getta via i corpi consumati ed entra in dei corpi che sono nuovi.” Bhagavad Gita II, 22.
Se smettiamo di identificarci con questo corpo mortale e capiamo che la nostra vera e profonda essenza, la nostra vera e profonda identità è quella dell’Atman che si è incarnato in questo corpo, come si è incarnato in altri innumerevoli corpi in precedenza, capiremo il senso di continuità e l’ampio respiro di questa dottrina.

È questo il principio fondamentale di tutta la dottrina del Karma. Chi pensa che sia una dottrina che induce al fatalismo, alla rassegnazione e alla deresponsabilizzazione è in errore. È esattamente il contrario. Nella diatriba tra libero arbitrio e predestinazione che ha occupato le menti dei filosofi occidentali per secoli, innescando polemiche e scontri a volte anche cruenti, la dottrina del Karma trova la giusta sintesi. Nasciamo in situazioni contingenti che appaiono casuali, ma non lo sono affatto. Il nostro corpo, la nostra mente, la famiglia in cui nasciamo e lo strato sociale di appartenenza sono conseguenza di ciò che siamo stati nelle vite precedenti, di ciò che abbiamo liberamente fatto. Il modo in cui viviamo questa situazione, le azioni che compiamo oggi in totale libertà e indipendenza sono quelle che determineranno i modi della prossima incarnazione.   
   
Nella dottrina dello Yoga si distinguono tre tipi di Karma: Sancita Karma, Prarabdha Karma e Agami o Kriamana Karma. Il primo è la somma di tutti i Karma che si sono accumulati nelle nostre vite precedenti. Sono tanti, tantissimi, e pertanto in ogni vita solo una parte di essi viene scelta perché possa essere esaurita, bruciata, per così dire. Questa parte del tutto è il Prarabdha. I Karma che creiamo in questa vita e che daranno i loro frutti nelle vite future, sono gli Agami. Da questa distinzione appare evidente come il nostro destino sia tutt’altro che una partita a dadi. Tutto, ma veramente tutto quello che siamo fisicamente e mentalmente è stato creato esclusivamente da noi. Per spiegare i tre diversi tipi di Karma viene spesso usato un’analogia: la faretra che contiene tutte le frecce è il Sancita, la freccia che è già stata scoccata è il Prarabdha, e la freccia che stiamo per lanciare è l’Agami Karma. Il Prarabdha è la freccia già partita e niente e nessuno può fermarla né richiamarla indietro.

Anche i Mahatma, le grandi anime, gli illuminati, hanno dovuto nella loro ultima vita godere, nel bene e nel male, dei frutti delle loro azioni passate. Quello che invece può bruciare in via definitiva sia i Karma passati che quelli futuri è la Brahma Jnana, la conoscenza del Divino, la realizzazione del Sé. Chi ha raggiunto questa profonda conoscenza ha superato l’erronea identificazione con le Upadhi, gli attributi mortali dell’Atman, per identificarsi con l’Atman stesso, immutabile ed eterno. Una volta acquisita questa conoscenza profonda, il Jiva non si considera più l’autore delle proprie azioni, che così smettono di produrre Agami Karma. La Brahma Jnana inoltre ha il potere di bruciare completamente anche il Sancita, lasciando esclusivamente il Prarabdha, che deve essere vissuto fino in fondo.           

Nella Bhagavad Gita Arjuna chiede a Krishna: cosa accade ad una persona che ha abbracciato lo Yoga, ma per qualche motivo non è riuscita a raggiungere Moksha, la liberazione finale? La risposta di Krishna non dà adito a dubbi: “Il Signore disse: "O Partha, non sarà mai perduto, in questo mondo o nella prossima vita. Chi si impegna in attività benefiche non farà mai una brutta fine. Dopo aver raggiunto i pianeti di coloro che sono virtuosi ed essere rimasto là per molti anni, chi è caduto dallo Yoga rinasce nella casa di persone che sono pure e benestanti. Può persino nascere in una famiglia di saggi yogi - certamente una simile nascita è estremamente rara in questo mondo. O discendente di Kuru, allora in quella vita recupera le realizzazioni della sua vita precedente, e ricomincia a sforzarsi verso la piena perfezione. Tutto ciò che aveva raggiunto nella vita precedente creerà certamente un'attrazione spontanea verso la perfezione, perché chi si sforza sinceramente nello Yoga trascende persino le regole delle scritture." B.G. VI 41-44.

Questa illuminante affermazione di Krishna ci spiega come la dottrina del Karma sia regolata dalle leggi di cui abbiamo parlato sinora, ma che queste leggi sono i modi attraverso i quali si snoda il percorso dell’Atman. Per andare da un punto a un altro si possono percorrere varie strade,  in modi diversi e a diverse velocità. Il cammino spirituale è quello che ci conduce dall’ignoranza alla conoscenza, dalle tenebre alla luce, dal grossolano al sempre più sottile, fino a trascendere anche lo stato più sottile, e quindi dall’umano al divino. Sarebbe impensabile che un percorso così profondo e complesso non abbia le sue regole precise. E queste regole sono appunto quelle della dottrina del Karma.

Un'altra cosa molto importante, che ci permette di capire meglio non solo quello che accade a noi, ma anche tutto intorno a noi, è che il Karma, con tutte le regole di cui abbiamo parlato sinora, non riguarda soltanto i singoli, né solo gli umani. Esiste un Karma delle famiglie, dei gruppi sociali, dei popoli, dell’umanità, della Terra e anche un Karma dell’Universo. Tutti questi Karma si incontrano, si incrociano e si intrecciano in maniera inestricabile. I Karma individuali convivono con quelli familiari e cosmici, ognuno di noi funge da agente karmico per le persone che ne  attraversano la vita. Ogni volta che due persone interagiscono è perché i rispettivi Karma li devono fare interagire, perché tra loro c’era qualcosa in sospeso. Molte anime vivono insieme per molte vite, con ruoli diversi, sessi diversi e così via. Krishna dice: "O Arjuna, io e te abbiamo entrambi conosciuto molte vite. Io le ricordo tutte ma tu no, o Parantapa." B.G. IV 5, ed è un bene non ricordarle.

Le memorie di una sola vita già creano tanti contrasti, rancori e miserie, figuriamoci se riconoscessimo in qualcuno colui che ci ha fatto del male, magari ucciso, tante vite prima. Sarebbe un inferno! Il mondo è tutta un’immensa recita in cui ci si scambiano i ruoli, ma con un unico scopo: l’evoluzione spirituale, quel lunghissimo cammino che, passando per tutte le forme della natura, aumentando costantemente il livello di consapevolezza di sé, ci porta all’aspetto umano e da questo a quello divino. Il nome che gli Indiani danno alle varie straordinarie avventure degli dei è Lila, che vuol dire ‘gioco’.

Anche noi umani partecipiamo a questa Lila, ma non ne siamo coscienti. Se ce ne rendessimo conto forse riusciremmo a prendere la vita con maggiore leggerezza e serenità, capiremmo che anche quelle cose che sembrano e che in effetti sono orrende, in realtà sono fasi passeggere di un mondo a realtà limitata. Di un grande sogno in cui noi siamo colui che sogna, il sogno e i personaggi del sogno stesso.
                                                                                                                               
Paolo Quircio
New Delhi - 03-12-2017

 
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