di Paolo Quircio
Nelle filosofie dello Yoga e del Vedanta esistono dei concetti cardine, dei veri e propri perni intorno ai quali ruotano entrambi i sistemi filosofici. Uno di questi è certamente il
Samsara, il ciclo di nascite e morti, spesso raffigurato con una ruota, a cui è incatenato il
Jiva, l’individuo, composto da
Atman, la parte divina, da cui
Jivatman, e dalle
Upadhi, i cosiddetti attributi limitanti - corpo, prana e mente - con cui il
Jiva tende erroneamente ad identificarsi, dimenticando la sua vera essenza, che è divina. Nel mondo di
Prakriti, la Natura, ogni cosa, sia essa una cellula, una pianta, un animale, un essere umano o l’intero Universo, nasce, si sviluppa, decade e muore. In questo andamento circolare, la ruota dell’esistenza, la morte non ha nulla di definitivo, è semplicemente un cambiamento di forma.
Secondo la teoria del
Samsara, quando una persona muore, il suo corpo fisico, composto dai cinque elementi,
pancha bhuta, terra, acqua, fuoco, aria e etere, agli elementi ritorna. Il corpo astrale, che è composto di mente e prana ed è magazzino di tutte le esperienze accumulate nel corso delle varie vite, le quali contribuiscono a formare il carattere innato nella prossima vita, rimane in attesa per un periodo variabile, quindi torna nel corpo che meglio si adatta alle sue esigenze karmiche, per proseguire il percorso verso la fonte da cui tutti proveniamo, il
Brahman, l’anima cosmica che tutto permea e a cui tutto appartiene.
Il modo in cui questo cammino si sviluppa e la velocità con cui il
Jiva riesce a raggiungere
Moksha, la liberazione dal ciclo di nascite e morti, dipendono da alcuni altri fattori fondamentali che cercheremo di capire meglio. Essi sono: la legge del
Karma, il rispetto del
Dharma e il conseguimento di
Viveka, la capacità di discriminare il reale dall’irreale, e
Vairagya, il distacco. Più che concetti di base, questi appena accennati sono delle leggi immutabili della natura in cui viviamo e a cui apparteniamo. Come è impossibile parlare e scrivere bene senza conoscere le regole della grammatica e della sintassi, o costruire un palazzo senza essere padroni delle varie leggi della fisica e della matematica, così è impossibile raggiungere il traguardo dell’emancipazione spirituale senza conoscerne le leggi. Swami Sivananda paragona il
Jiva al comandante di una nave: solo chi conosce bene le regole della marineria e possiede una bussola affidabile può portare la nave in porto attraverso bufere e bonaccia senza correre rischi.
IL KARMA
La parola
Karma proviene dalla radice sanscrita
kri, fare, agire, e vuol dire ‘azione’. Secondo la legge del
Karma, ad ogni azione corrisponde una reazione. Se al livello fisico è facile constatare la veridicità di questo principio, si preme l’interruttore e si accende la luce, al livello esistenziale, soprattutto se riferito non ad una singola vita, ma a molte, moltissime esistenze terrene, questo è un po’ più difficile e richiede un notevole impegno da parte del ricercatore spirituale. È anche importante sottolineare che quando parliamo di azione, non ci riferiamo esclusivamente a ciò che facciamo, ma anche a ciò che pensiamo e che diciamo.
Le parole a volte possono avere effetti più forti delle azioni, nel bene e nel male; ma, soprattutto, sia le parole che le azioni hanno la loro radice nel pensiero. Le intenzioni dietro a un’azione spesso sono più importanti dell’azione stessa. Sia un chirurgo che un assassino tagliano il ventre di un'altra persona, ma lo scopo del primo è di curarla, quello del secondo è di ucciderla, l’esatto opposto. “Siamo ciò che pensiamo”: il pensiero di una volta,
vritti, se ripetuto diventa abitudine,
samskara, le abitudini formano i tratti caratteriali,
vasana, e il carattere forma il destino,
Karma. Nella Bhagavad Gita Krishna spiega con chiarezza l’importanza del pensiero rispetto alle azioni: “Colui che, trattenendo gli organi di azione, siede pensando agli oggetti dei sensi, egli, la cui comprensione è velata dall’illusione, è ciò che chiamiamo un ipocrita.” (B.G. III, 6).
Noi diremmo, l’abito non fa il monaco. Non basta astenersi dal godimento degli oggetti dei sensi ed apparire ascetici, la rinuncia è reale e dà i suoi frutti solo quando abbiamo domato anche il desiderio. Conoscere questa legge fondamentale rende più facile progredire spiritualmente. Ipocrita è una persona che fa una cosa e ne pensa un’altra, perché vuole sembrare migliore di ciò che è in realtà. Anche Gesù parlava dei ‘sepolcri imbiancati’, di coloro che facevano di tutto per apparire rispettosi della legge, ma in privato facevano ben altro. Ma se i ‘sepolcri imbiancati’ subiscono una dura condanna per questo loro atteggiamento, l’ipocrita della Gita ha la possibilità di migliorare: praticando lo Yoga, un po’ alla volta, con gradualità, e sempre se ha davvero la volontà di farlo, egli riuscirà a controllare oltre al corpo anche i sensi, e dopo i sensi la mente, staccandosi sempre più dagli oggetti dei propri desideri.
Secondo la dottrina del
Karma ogni cosa che succede ha una sua causa profonda. Nulla accade per caso; la nascita di un filo d’erba o di un essere umano, una guerra, una catastrofe naturale, l’illuminazione di uno Yogi, tutto avviene perché in passato, di solito in una o più vite passate, sono state fatte delle cose che in seguito diventano causa di altre. Ogni effetto ha la sua causa e viceversa. Il seme è causa dell’albero e l’albero, a sua volta, è causa del seme.
Dovremmo sempre ricordare questa legge di causalità, soprattutto quando ci troviamo in situazioni sgradevoli o dolorose, malediciamo il destino e non capiamo perché si accanisce contro di noi. Tutto ciò che accade, sia buono sia cattivo, ha una causa precisa e per quanto riguarda noi umani, di solito la causa di quello che succede andrebbe cercata nelle nostre vite precedenti. Il modo e l’intensità con cui le cose causate da avvenimenti precedenti accadono sono determinati da una legge che tutti sperimentiamo nella vita, sia nel mondo fisico che in quello mentale: ad ogni azione corrisponde una reazione. Se tiriamo una palla sul muro, la stessa forza che abbiamo impresso alla palla la farà rimbalzare. Più forte è il tiro, più forte sarà il rimbalzo. Analogamente, poiché le azioni possono essere buone, cattive e miste, un po’ buone e un po’ cattive, le conseguenze nelle vite successive avranno le stesse caratteristiche.
La legge del
Karma è tanto giusta quanto inesorabile. Chi commette il male e pensa di averne evitate le conseguenze eludendo la giustizia umana è in grave errore. Se così non fosse nessuno potrebbe imparare dai propri errori e non ci sarebbe alcuna giustizia nel mondo. Infatti, ogni avvenimento ha una sua compensazione: il seme che marcisce nella terra fa nascere una nuova pianta. Questa a sua volta darà un seme, e quando morirà sarà nutrimento per la nuova pianta. Nel fuoco il carburante si annienta, ma quel fuoco serve a scaldare chi ha freddo o a cucinare del cibo. Attraverso questo principio di compensazione il
Karma mantiene tutto in equilibrio. È soltanto la nostra ignoranza che ci impedisce di cogliere il legame tra i vari avvenimenti. Riusciamo a vedere solo a breve distanza, e questo ci impedisce di percepire il disegno che muove ogni cosa. Se riuscissimo a vedere questo disegno, eviteremmo di commettere tutte quelle azioni che inevitabilmente ci porteranno una punizione.
Capiremmo che la qualità della vita che viviamo non è data né dal caso, né dalla fortuna, ma sempre e solo dalle nostre azioni liberamente compiute, anche se non nell’immediato. Si dice che la ricompensa di una vita ben vissuta è la stessa vita ben vissuta, e viceversa. Chi cerca di dare alla propria esistenza un valore spirituale, etico, in pace con gli altri e con la propria coscienza, in genere sarà ricompensato da una vita serena e spiritualmente intensa. Sarà inoltre in grado di affrontare le difficoltà che inevitabilmente gli si presenteranno con spirito di accettazione, senza maledire il cielo e gli dei per quello che gli tocca, sapendo che tutto quello che accade ha un unico responsabile: se stesso.
“Così come un uomo getta via i sui abiti consumati e ne indossa di nuovi, così anche il Sé incarnato getta via i corpi consumati ed entra in dei corpi che sono nuovi.” Bhagavad Gita II, 22.
Se smettiamo di identificarci con questo corpo mortale e capiamo che la nostra vera e profonda essenza, la nostra vera e profonda identità è quella dell’
Atman che si è incarnato in questo corpo, come si è incarnato in altri innumerevoli corpi in precedenza, capiremo il senso di continuità e l’ampio respiro di questa dottrina.
È questo il principio fondamentale di tutta la dottrina del
Karma. Chi pensa che sia una dottrina che induce al fatalismo, alla rassegnazione e alla deresponsabilizzazione è in errore. È esattamente il contrario. Nella diatriba tra libero arbitrio e predestinazione che ha occupato le menti dei filosofi occidentali per secoli, innescando polemiche e scontri a volte anche cruenti, la dottrina del
Karma trova la giusta sintesi. Nasciamo in situazioni contingenti che appaiono casuali, ma non lo sono affatto. Il nostro corpo, la nostra mente, la famiglia in cui nasciamo e lo strato sociale di appartenenza sono conseguenza di ciò che siamo stati nelle vite precedenti, di ciò che abbiamo liberamente fatto. Il modo in cui viviamo questa situazione, le azioni che compiamo oggi in totale libertà e indipendenza sono quelle che determineranno i modi della prossima incarnazione.
Nella dottrina dello Yoga si distinguono tre tipi di
Karma:
Sancita Karma,
Prarabdha Karma e
Agami o
Kriamana Karma. Il primo è la somma di tutti i
Karma che si sono accumulati nelle nostre vite precedenti. Sono tanti, tantissimi, e pertanto in ogni vita solo una parte di essi viene scelta perché possa essere esaurita, bruciata, per così dire. Questa parte del tutto è il
Prarabdha. I
Karma che creiamo in questa vita e che daranno i loro frutti nelle vite future, sono gli
Agami. Da questa distinzione appare evidente come il nostro destino sia tutt’altro che una partita a dadi. Tutto, ma veramente tutto quello che siamo fisicamente e mentalmente è stato creato esclusivamente da noi. Per spiegare i tre diversi tipi di
Karma viene spesso usato un’analogia: la faretra che contiene tutte le frecce è il
Sancita, la freccia che è già stata scoccata è il
Prarabdha, e la freccia che stiamo per lanciare è l’
Agami Karma. Il
Prarabdha è la freccia già partita e niente e nessuno può fermarla né richiamarla indietro.
Anche i
Mahatma, le grandi anime, gli illuminati, hanno dovuto nella loro ultima vita godere, nel bene e nel male, dei frutti delle loro azioni passate. Quello che invece può bruciare in via definitiva sia i
Karma passati che quelli futuri è la
Brahma Jnana, la conoscenza del Divino, la realizzazione del Sé. Chi ha raggiunto questa profonda conoscenza ha superato l’erronea identificazione con le
Upadhi, gli attributi mortali dell’
Atman, per identificarsi con l’
Atman stesso, immutabile ed eterno. Una volta acquisita questa conoscenza profonda, il
Jiva non si considera più l’autore delle proprie azioni, che così smettono di produrre
Agami Karma. La
Brahma Jnana inoltre ha il potere di bruciare completamente anche il
Sancita, lasciando esclusivamente il
Prarabdha, che deve essere vissuto fino in fondo.
Nella Bhagavad Gita Arjuna chiede a Krishna: cosa accade ad una persona che ha abbracciato lo Yoga, ma per qualche motivo non è riuscita a raggiungere Moksha, la liberazione finale? La risposta di Krishna non dà adito a dubbi: “Il Signore disse: "O Partha, non sarà mai perduto, in questo mondo o nella prossima vita. Chi si impegna in attività benefiche non farà mai una brutta fine. Dopo aver raggiunto i pianeti di coloro che sono virtuosi ed essere rimasto là per molti anni, chi è caduto dallo Yoga rinasce nella casa di persone che sono pure e benestanti. Può persino nascere in una famiglia di saggi yogi - certamente una simile nascita è estremamente rara in questo mondo. O discendente di Kuru, allora in quella vita recupera le realizzazioni della sua vita precedente, e ricomincia a sforzarsi verso la piena perfezione. Tutto ciò che aveva raggiunto nella vita precedente creerà certamente un'attrazione spontanea verso la perfezione, perché chi si sforza sinceramente nello Yoga trascende persino le regole delle scritture." B.G. VI 41-44.
Questa illuminante affermazione di Krishna ci spiega come la dottrina del Karma sia regolata dalle leggi di cui abbiamo parlato sinora, ma che queste leggi sono i modi attraverso i quali si snoda il percorso dell’
Atman. Per andare da un punto a un altro si possono percorrere varie strade, in modi diversi e a diverse velocità. Il cammino spirituale è quello che ci conduce dall’ignoranza alla conoscenza, dalle tenebre alla luce, dal grossolano al sempre più sottile, fino a trascendere anche lo stato più sottile, e quindi dall’umano al divino. Sarebbe impensabile che un percorso così profondo e complesso non abbia le sue regole precise. E queste regole sono appunto quelle della dottrina del
Karma.
Un'altra cosa molto importante, che ci permette di capire meglio non solo quello che accade a noi, ma anche tutto intorno a noi, è che il
Karma, con tutte le regole di cui abbiamo parlato sinora, non riguarda soltanto i singoli, né solo gli umani. Esiste un
Karma delle famiglie, dei gruppi sociali, dei popoli, dell’umanità, della Terra e anche un
Karma dell’Universo. Tutti questi
Karma si incontrano, si incrociano e si intrecciano in maniera inestricabile. I
Karma individuali convivono con quelli familiari e cosmici, ognuno di noi funge da agente karmico per le persone che ne attraversano la vita. Ogni volta che due persone interagiscono è perché i rispettivi
Karma li devono fare interagire, perché tra loro c’era qualcosa in sospeso. Molte anime vivono insieme per molte vite, con ruoli diversi, sessi diversi e così via. Krishna dice: "O Arjuna, io e te abbiamo entrambi conosciuto molte vite. Io le ricordo tutte ma tu no, o Parantapa." B.G. IV 5, ed è un bene non ricordarle.
Le memorie di una sola vita già creano tanti contrasti, rancori e miserie, figuriamoci se riconoscessimo in qualcuno colui che ci ha fatto del male, magari ucciso, tante vite prima. Sarebbe un inferno! Il mondo è tutta un’immensa recita in cui ci si scambiano i ruoli, ma con un unico scopo: l’evoluzione spirituale, quel lunghissimo cammino che, passando per tutte le forme della natura, aumentando costantemente il livello di consapevolezza di sé, ci porta all’aspetto umano e da questo a quello divino. Il nome che gli Indiani danno alle varie straordinarie avventure degli dei è
Lila, che vuol dire ‘gioco’.
Anche noi umani partecipiamo a questa
Lila, ma non ne siamo coscienti. Se ce ne rendessimo conto forse riusciremmo a prendere la vita con maggiore leggerezza e serenità, capiremmo che anche quelle cose che sembrano e che in effetti sono orrende, in realtà sono fasi passeggere di un mondo a realtà limitata. Di un grande sogno in cui noi siamo colui che sogna, il sogno e i personaggi del sogno stesso.
Paolo Quircio
New Delhi - 03-12-2017