Là dove é il tuo amore, un giorno sarai anche tu

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I SENTIERI DELL' ESSERE
Le mille Vie della Spiritualità
I SENTIERI DELL' ESSERE
LA PRATICA DA SEGUIRE
Un monaco chiese a Dong-Shan:
C'è una pratica che le persone debbano seguire?
Dong Shan rispose:
quando diventi una vera persona c'è una tale pratica.
Sai essere freccia, arco, bersaglio?
<b>Sai essere freccia, arco, bersaglio?

Sai essere freccia, arco, bersaglio?
Conosci la sequenza delle costellazioni?
La fusione dell'idrogeno in elio?
Sai misurare la tua integrità?
Se rispondi
Avrai l'immortalità.

Laura Scottini

MEDITAZIONE TAOISTA
<b>MEDITAZIONE TAOISTA </b>





 

Chiudi gli occhi e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare e sentirai la verità.
Resta in silenzio e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto e troverai l'unione.
Sii quieto e ti muoverai sull'onda dello spirito.
Sii delicato e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente e compirai ogni cosa.
Sii umile e manterrai la tua integrità.

 

IL VUOTO CHE DANZA
IL VUOTO CHE DANZA










di H.W.L. Poonja


Rimani ciò che sei ovunque tu sei.
Se fai così, saprai immediatamente
di essere Quello che hai cercato
per milioni di anni.

Non c'è ricerca,
perchè si cerca solo qualcosa che si è perso.
ma quando niente è andato perduto
non ha senso
cercare qualcosa.

Qui semplicemente Stai Quieto.
Non formare nemmeno un pensiero nella mente.
Allara saprai
Chi sei realmente.

per tre motici la ricerca e la pratica
sono follie fuorvianti
sono l'inganno della mente
per posporre la libertà.
Continua...

PAROLE SU DIO
PAROLE SU DIO

di Simone Weil

Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio. … Così pure, la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni.

Il bello è ciò che si desidera senza volerlo mangiare. Desideriamo che sia. Restare immobili e unirsi a quel che si desidera senza avvicinarsi. Ci si unisce a Dio così: non potendosene avvicinare. La distanza è l’anima del bello.

Nella prima leggenda del Graal è detto che il Graal, pietra miracolosa che in virtù dell’ostia consacrata sazia ogni fame, apparterrà a chi per primo dirà al custode della pietra, il re quasi paralizzato dalla più dolorosa ferita: “Qual è il tuo tormento?”. La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nell’essere capace di domandargli: “Qual è il tuo tormento?”, nel sapere che lo sventurato esiste, non come uno fra i tanti, non come esemplare della categoria sociale ben definita degli “sventurati”, ma in quanto uomo, in tutto simile a noi, che un giorno fu colpito e segnato dalla sventura con un marchio inconfondibile. Per questo è sufficiente, ma anche indispensabile, saper posare su di lui un certo sguardo. Continua...
I BAMBINI
DAGLI OCCHI DI SOLE

I BAMBINI<br> DAGLI OCCHI DI SOLE










Vidi i pionieri ardenti dell’Onnipotente
superando la soglia celeste che è volta alla vita
discendere in frotta i gradini d’ambra della nascita;
precursori d’una moltitudine divina,
essi lasciavano le rotte della stella del mattino
per l’esigua stanza della vita mortale.

Li vidi traversare il crepuscolo di un’era,
i figli dagli occhi di sole di un’alba meravigliosa,
i grandi creatori dall’ampia fronte di calma,
i distruttori possenti delle barriere del mondo
che lottano contro il destino nelle arene della Sua volontà,
operai nelle miniere degli dei,
messaggeri dell’Incomunicabile,
architetti dell’Immortalità.

Nella sfera umana caduta essi entravano,
i volti ancora soffusi della gloria dell’Immortale,
le voci ancora in comunione coi pensieri di Dio,
i corpi magnificati dalla luce dello spirito,
portando la parola magica, il fuoco mistico,
portando la coppa dionisiaca della gioia,
Continua...
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI

di Maurizio Di Gregorio

Tutti cerchiamo qualcosa. Se lo cerchiamo nel mondo materiale pensiamo di trovarlo all’esterno di noi stessi. Se lo cerchiamo nel mondo spirituale siamo portati a credere di poterlo trovare all’interno di noi. Una massima dice: la risposta è dentro di te. Una battuta invece dice: la risposta è dentro di te, ma è sbagliata. Ambedue le affermazioni sono vere perché si riferiscono a due esseri diversi. Uno vero e l’altro falso. Come si fa a sapere quale é l’Io interiore che contiene tutte le risposte della vita? Dalla felicità. Nel primo caso si sa solo che si è felici, sia pure per un attimo, si è completamente, immensamente e interamente felici e più correttamente si dovrebbe chiamarla beatitudine. Nel secondo caso sappiamo solo, che a dispetto di ogni altra cosa, momentanea soddisfazione o eccitazione, non si è veramente felici. 
Aivanhov, definendo la natura umana, parla della coesistenza di una natura inferiore e di una natura superiore. All’interno di ognuno è una continua lotta tra due esseri (o stati di essere) in competizione che Aivanhov chiama Personalità e Individualità. “Persona “ è la maschera e in ogni incarnazione la maschera è diversa, “Individualità” è l’abitante della maschera, colui che non cambia, il vero Sé divino. La personalità è in parte ancora inesistente nel bambino ma già tracciata, si sviluppa con l’età come la trama di un tessuto e si consuma nella vecchiaia. Il risveglio dell’anima consiste nel riconoscimento del Sé interiore e nell’abbandono momentaneo della maschera della personalità. Ora anche se possiamo capire qualcosa del nostro essere maschera, né la mente, né il cuore né la volontà sono risolutivi.
E questo perché mente cuore e volontà sono una triade che esiste tanto nella natura delle Individualità quanto nella natura della Personalità.
“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” Quale è, in ogni dato momento, il cuore che chiede, la mente che cerca, la volontà che agisce? La strada dell’evoluzione spirituale, cioè della evoluzione dell’essere allo Spirito, è insidiosa perché ad ogni sviluppo della Individualità segue uno sviluppo della Personalità. Differentemente il discernimento è possibile solo dal punto di vista della Coscienza Superiore che è esattamente ciò che si illumina.
Fuori da questa esperienza si persiste sempre in un tipo di coscienza media, anche se ampliata o sofisticata, una coscienza media perché media in un equilibrio precario le necessità delle due nature....Continua...
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA

di Ervin Laszlo

Il grande compito, la grande sfida del nostro tempo è cambiare se stessi.
Questo elenco delle principali caratteristiche della nuova visione, della nuova coscienza, è scritto per stimolare la trasformazione, perché è possibile acquisire una nuova consapevolezza, perché tutti possono evolvere, tante persone l'hanno già fatto ed è diventata una conditio sine qua non della nostra sopravvivenza sulla Terra.
La prima caratteristica è l'olismo, la visione olistica, per contrastare la visione frammentaria, disciplinaria, atomistica, che separa tutto: la mente dalla natura, l'uomo e la società dalla biosfera, e tutti i campi della realtà l'uno dall'altro. La visione olistica è proprio quella comprensione Continua...
I FIGLI DELLA LUCE
I FIGLI DELLA LUCE




 


I Figli della Luce si nutrono di Pace, Libertà, Amore, Giustizia, Grazia, Benevolenza, Comprensione, Compassione, Generosità, Bontà, Luce, Verità, Positività, trasmettendo tutto questo intorno a loro. Le creature che vengono in contatto con i Figli della Luce percepiscono la Positività dell’operato della “Luce Amore” e uno stato di benessere entra in loro. Non sono consapevoli della fonte di questa Positività, ma stanno volentieri in compagnia dei Figli Luce dispensatori d’Amore.
Continua...
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA

di Matthew Fox

L’ecologia e la spiritualità sono le due facce della stessa medaglia. La religione deve lasciar andare i dogmi in modo da poter riscoprire la saggezza del mondo.
Come dovrebbe essere una religione ecologica? Negli ultimi 300 anni l’umanità è stata coinvolta in una grande desacralizzazione del pianeta, dell’universo e della propria anima, e questo ha dato origine all’oltraggio ecologico. Saremo capaci di recuperare il senso del sacro?La religione del futuro non sarà una religione in senso stretto del termine, dovrà imparare a lasciare andare la religione. Il Maestro Eckhart, nel quattordicesimo secolo disse, “Prego Dio di liberarmi da Dio”. Per riscoprire la spiritualità, che è il cuore autentico di ogni religione vera e fiorente, dobbiamo liberarci dalla religione. Sembra un paradosso. La spiritualità significa usare il cuore, vivere nel mondo, dialogare con il nostro sé interiore e non semplicemente vivere a un livello organizzativo esterno.
E. F. Schumacher, nel suo profetico modo di scrivere, disse, nell’epilogo di Piccolo è bello, “Dappertutto la gente chiede, ‘Cosa posso fare praticamente?’ La risposta è tanto semplice quanto sconcertante, possiamo, ciascuno di noi, mettere in ordine la nostra casa intima, interiore. Per far questo non troviamo una guida nella scienza o nella tecnologia, poiché i valori sui quali esse si poggiano dipendono sommamente dal fine per il quale sono destinate. Tale guida la si può invece ancora trovare nella tradizionale saggezza dell’umanità”.
Tommaso d’Aquino, nel tredicesimo secolo disse, “Le rivelazioni si trovano in due volumi – la Bibbia e la natura”. Ma la teologia, a partire dal sedicesimo secolo, ha messo troppa enfasi nelle parole della Bibbia, o del Vaticano o dei professori, ha messo tutte le uova nel paniere delle parole, parole umane, e ha dimenticato la seconda fonte della rivelazione, la natura!
Il Maestro Eckhart disse, “Ogni creatura è la parola di Dio e un libro su Dio”. In altre parole, ogni creatura è una Bibbia. Ma come ci avviciniamo alla saggezza biblica, alla saggezza sacra delle creature? Col silenzio. C’è bisogno di un cuore silente per ascoltare la saggezza del vento, degli alberi, dell’acqua e della terra. Nella nostra ossessiva cultura verbale, abbiamo perso il senso del silenzio. Schumacher disse, “Siamo ormai troppo intelligenti per sopravvivere senza saggezza”. Continua... 
SULL'ANARCHIA BUDDISTA
SULL'ANARCHIA BUDDISTA di Gary Snyder

Da un punto di vista buddista, l'ignoranza che si proietta nella paura e nel vano appetito impediscono la manifestazione naturale. Storicamente, i filosofi buddisti non hanno saputo analizzare fino a che punto l'ignoranza e la sofferenza erano dovuti o favoriti da fattori sociali, considerando il timore e il desiderio come fatti intrinseci alla condizione umana. Così, la filosofia buddista si interessò principalmente alla teoria della conoscenza e la psicologia fu svantaggiata, per dare più spazio allo studio dei problemi storici e sociologici. Anche il buddismo Mahayana possiede un'ampia visione della salvezza universale, la sua realizzazione effettiva si è concretizzata nello sviluppo di sistemi pratici di meditazione per liberare a una minoranza di individui da blocchi psicologici e condizionamenti culturali. Il buddismo istituzionale è stato chiaramente disposto ad accettare o a ignorare le disuguaglianze e le tirannie sotto il sistema politico che vigeva. È stata come la morte del buddismo, posto che è comunque la morte che riesce a far comprendere il significato della compassione. La saggezza senza compassione non sente dolore.
Continua...
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GLI INSEGNAMENTI DI DATTATREYA



di Paolo Quircio

Nell’ultimo periodo della sua incarnazione, quando la sua missione di Avatar stava per concludersi, Krishna impartì all’amico e discepolo Uddhava una serie di insegnamenti. Questi insegnamenti, una sorta di testamento spirituale di Krishna, sono raccolti in una porzione dello Srimad Bhagavatam Maha Purana, un testo molto lungo e complesso che narra la vita di Krishna. Spesso questa porzione viene pubblicata separatamente con il nome di ‘Uddhava Gita’.

Nel primo capitolo dell’Uddhava Gita, dal verso 25 in poi, si parla dell’incontro, nel folto di una foresta deserta, del potente re Yadu con un giovanissimo Brahmano solitario, un asceta. Il re, percependo la serenità e la felicità che emanavano dal ragazzo, gli chiese come mai, pur essendo nudo, senza famiglia né proprietà, completamente solo e povero, potesse essere così felice. Gli chiese inoltre da quale Guru avesse imparato tale saggezza. La Gita non ci dice il nome del giovane Brahmano, ma tutti i commentatori sono concordi nel riconoscere in lui Dattatreya, l’Avatar della Trimurti, il Guru degli Avadhuta, i mistici asceti, coloro che si sono ‘scrollati’ di dosso l’io e tutti gli attaccamenti che da esso derivano. Dattatreya rispose che non aveva mai avuto un insegnamento formale, né un Guru in carne e ossa, ma che tutta la sua saggezza gli era derivata semplicemente dall’osservazione di cose, animali e persone: i 24 Guru che sono stati descritti da Swami Sivananda nel capitolo I 24 Maestri di Dattatreya.

I primi cinque Guru sono i Pancha Bhuta, i cinque elementi che compongono l’intera Natura: Prithvi, la terra, Apas, l’acqua, Vayu, l’aria, Agni, il fuoco e Akasha, l’etere, che contiene e governa gli altri quattro. I cinque elementi sono legati anche ai cinque sensi, rispettivamente a odorato, gusto, vista, tatto e udito. Si noti che l’udito è legato ad Akasha, il più sottile ed impalpabile degli elementi, ed è questo uno dei motivi per cui la tradizione indiana è sempre stata tramandata principalmente per via orale.

Il primo Guru, anzi, la prima Guru è, e non potrebbe non essere, la TERRA, madre terra. In India si dice che nella vita di ogni persona ci sono tre Guru fondamentali: la madre, il padre e il Guru. La madre dà la vita e insegna le basi pratiche dell’esistenza, il padre insegna a vivere nella comunità e il Guru insegna a vivere nello spirito. È quindi naturale che la terra sia citata come primo Guru. Essa contiene i cinque elementi di cui è costituito il nostro corpo fisico, che alla terra torneranno dopo la sua morte; la terra ci sostiene e ci nutre, tollera pazientemente i nostri calci e tutte le sevizie che le infliggiamo costantemente, proprio come una madre tollera, paziente e tenera, i capricci del suo bambino.

Come la madre sa che il bambino fa i capricci proprio perché è un bambino, così il saggio sa che i torti che gli altri gli possono fare sono dettati dalla loro natura spirituale ancora scarsamente sviluppata, per questo li tollera e li accetta con pazienza e distacco. La terra ci insegna inoltre l’altruismo, il desiderio sempre presente di dare, di fare del bene a tutti, a prescindere dal loro comportamento, l’amore incondizionato, l’inclusione di tutto e di tutti; è l’essenza del Karma Yoga così come viene spiegato nei primi sei discorsi della Bhagavad Gita.

L’ACQUA, simbolo di purezza, è la seconda grande maestra. Nel Raja Yoga la purezza, sia esterna sia interna, fa parte dei Niyama, le prescrizioni, ed è detta Saucha. Purezza del corpo, considerato il tempio dell’Atman, ma soprattutto dei pensieri, dei sentimenti e dei comportamenti. Il raggiungimento di un certo grado di pulizia interiore e di un alto livello etico è un prerequisito imprescindibile perché la pratica yogica o spirituale in genere possa dare i risultati desiderati. Ed è per questo che la persona spiritualmente evoluta, grazie alla sua purezza può, come l’acqua pulita, rendere puro tutto ciò con cui viene in contatto.

L’ARIA trasporta la fragranza dei fiori e anche gli odori sgradevoli di vario genere, ma non è l’odore; l’aria è il veicolo del prana che, quando respiriamo, alimenta il nostro corpo sottile, ma non è prana. Si muove da una parte e dall’altra rimanendo sempre se stessa, senza cambiare e senza attaccarsi in maniera definitiva a nulla. È l’emblema del non attaccamento, quello stesso non attaccamento, Vairagya, a cui tende tutto il percorso spirituale. Vairagya è strettamente collegata ad Aparigraha, la mancanza del desiderio di possesso, uno degli Yama, le regole del Raja Yoga.

Il FUOCO rappresenta sia la luce della conoscenza, sia il fuoco che distrugge le impurità del nostro essere. Anche questo è strettamente collegato agli Yama, a Tapas in particolare. Questa parola viene solitamente tradotta con ‘austerità’, quasi con un senso di autopunizione. Niente di più lontano dallo spirito profondo dello Yoga. Nella Bhagavad Gita Krishna critica aspramente coloro che mortificano in maniera eccessiva il proprio corpo, credendo di accelerare il percorso spirituale. Tapas, che viene dalla radice sanscrita tap, fuoco, è soprattutto una pratica di autodisciplina, di esercizio della volontà al fine di purificare, di bruciare tutte le impurità del desiderio, dell’inerzia, dell’Adharma, ciò che rallenta o impedisce il progresso spirituale.

Il CIELO, che è poi l’etere, Akasha, è quella sostanza estremamente sottile ed impalpabile che pur sostenendo tutta l’impalcatura di Prakriti, la Natura, ne resta distaccata. Esso appare azzurro, ma azzurro non è, come il cristallo puro che prende il colore dell’oggetto su cui viene posato, senza per questo cambiare. È il simbolo dell’Atman, l’anima individuale, frazione di quella universale, che dà vita a tutto senza essere quel tutto, perché il tutto si muove, cambia, nasce e muore, mentre l’Atman è eterno e immutabile.

Dopo i Pancha Bhuta abbiamo i due astri principali: la LUNA e il SOLE, ed entrambi stanno in qualche modo a rappresentare Maya, l’illusione in cui vive l’uomo che non ha ancora raggiunto l’illuminazione. La Luna appare in continua mutazione, tanto che l’intera umanità su queste mutazioni ha imparato a misurare il tempo, ma in realtà è sempre la stessa, è sempre intera anche quando se ne vede solo una sottilissima falce. Così come l’Atman, che pur nella sua immutabilità viene spesso erroneamente confuso con le mutevoli Upadhi, gli attributi dell’anima, cioè il corpo e la mente.

È come se vedessimo una persona e pensassimo che il suo vestito è la persona stessa, e non soltanto un involucro che riveste quella persona per un dato periodo di tempo. Ancora di più simbolo di Maya è il Sole, che riflettendosi nella miriade di piccole pozze d’acqua sembra dar vita ad una miriade di piccoli soli, così come il Brahman che, riflettendosi nella gran quantità di esseri che compongono l’umanità, sembra dividersi in altrettante particelle, mentre la sua natura è, e rimarrà sempre, l’immutabilità, l’unità.
           
Quindi Dattatreya ci spiega con validi esempi come l’attaccamento ai piaceri dei sensi può portare il ricercatore spirituale e l’uomo in genere verso l’abisso. L’ELEFANTE cade nella trappola a causa della sua lussuria, il PESCE abbocca all’amo per la sua ghiottoneria, il CERBIATTO per il suo amore per la musica, la FALENA attratta dallo splendore del fuoco. Tutti seguono il proprio istinto di soddisfare i propri appetiti e desideri, ma rimangono inesorabilmente bruciati, in un modo o in un altro. L’esempio dei PICCIONI che cadono nella rete dell’uccellatore per attaccamento ai propri figli e alla propria sposa porta ancora più avanti questo concetto, anche se per le persone che conducono una vita laica sembra impossibile vedere una persona amata in pericolo senza intervenire. Non è esattamente questo il punto. Karmicamente ci sono varie fasi nel corso del Samsara, il ciclo di nascite e morti, dette Ashrama.

Chi scrive queste righe, e probabilmente la maggior parte di chi le legge, appartiene al Grihastha Ashrama, lo stadio della persona comune, che lavora e ha famiglia, verso la quale deve adempiere a tutti i suoi doveri. Ma l’insegnamento di Dattatreya è rivolto soprattutto agli Avadhuta, agli asceti, che hanno rinunciato a tutti gli attaccamenti, anche a quelli familiari. È importante notare che chi rinuncia agli affetti familiari per la vita spirituale non ama di meno, ma anzi, allarga i confini del proprio amore ad una platea ben più vasta di quella del gruppo ristretto di famiglia e persone care. Ama l’umanità tutta, anche chi non lo ama. Tutto va visto nella giusta prospettiva. 

Gli esempi seguenti si riferiscono in vari modi ad un altro dei Niyama del Raja Yoga: Santosha. Santosha vuol dire ‘appagamento’. Come il nostrano ‘chi si contenta gode’, anche Santosha è un inno alla vita semplice, ma un pochino più profondo. Ci invita al distacco, all’accettazione del nostro stato, che è solo transitorio. L’OCEANO accoglie le acque da tutti i fiumi del mondo, ma rimane sempre lo stesso; il PITONE aspetta pazientemente che le sue prede siano a portata per afferrarle, non le va a cercare; il BAMBINO, nella sua semplicità, gode di quel poco che ha, un po’ di latte e l’abbraccio della mamma; l’APE succhia solo poco nettare alla volta, quello che le serve, e se accumula lo fa soltanto per poter superare l’inverno, quando non ci sono fiori; la prostituta PINGALA solo quando abbandona la sua avidità di guadagno e si rende conto di avere abbastanza trova la serenità e dorme tranquilla; il CORVO è un passo ancora più avanti: conquista un pezzo di carne, ma questo suo possesso gli inimica tutti gli altri corvi e solo dopo averlo abbandonato ritrova la pace.

Cerchiamo sempre la felicità negli oggetti che crediamo ce la possano dare, dimenticando che la felicità è una condizione che può nascere solo ed esclusivamente  da dentro di noi e non dagli oggetti esterni che possediamo. Anche perché poi arriva inesorabile il RACCOGLITORE DI MIELE, Yama, il dio della morte, che ci priva di tutte le proprietà che abbiamo accumulato in vita, a cominciare dal nostro corpo. Questo personaggio dà in maniera molto chiara il senso dell’inanità, della vacuità della vita terrena quando è vissuta con l’unico scopo di soddisfare i propri desideri materiali.

La storia della RAGAZZA si collega in qualche modo a quella dei piccioni. Per chi decide di intraprendere una vita di meditazione e di profonda spiritualità la solitudine è imprescindibile. Molti conoscono la frase latina ‘Beata solitudo, sola beatitudo’, proprio perché la ricerca interiore, in tutte le culture e in tutte le epoche, ha un assoluto bisogno di silenzio, di quiete, di introspezione; tutte cose che solo la solitudine può dare.

San Benedetto, prima di promulgare la sua ‘Regola’, si ritirò in solitaria meditazione per quasi tre anni in una grotta sulla riva scoscesa dell’Aniene, nei pressi di Subiaco. La comunanza con altre persone mette in risalto la propria individualità, porta il proprio io a distinguersi da quello degli altri, e questo inevitabilmente porta contrasti e perdita della necessaria serenità. Ovviamente, come ogni cosa, anche la solitudine va coltivata per gradi. Si cercano dei momenti solitari da dedicare allo studio, alla meditazione, alle pratiche spirituali,  e man mano si cerca di allungare questi momenti.

Gli ultimi tre Maestri sono un po’ la summa di tutti gli altri. Il PRODUTTORE DI ARCHI è ovviamente Dharana, la concentrazione, il quinto Anga del Raja Yoga. Dopo aver purificato corpo e mente con i primi quattro Anga (Yama, Niyama, Asana, Pranayama) e aver imparato a ritirare i sensi col Pratyahara, si impara a concentrare la mente. Nella Bhagavad Gita più volte e sotto diverse angolature Krishna spiega ad Arjuna le qualità dell’uomo saggio.

Una che ricorre sempre è quella della capacità di meditare. Ma l’abilità necessaria ed ineludibile per meditare è quella di saper concentrare la mente. Gradualmente, prima per brevi periodi e in maniera parziale; poi sempre più a lungo e riducendo pian piano l’ampiezza dell’attività del pensiero, la mente diventerà Ekagrata, concentrata su un unico punto. Da lì sarà, se non facile almeno possibile, spegnere l’interruttore, silenziare la mente, per poter vedere ciò che la mente stessa ci nasconde. È quello che chiamiamo meditazione, Dhyana.

Il RAGNO è davvero emblematico dell’umanità tutta, quella occidentale dei giorni nostri in particolare. Le nostre ed altrui menti instancabilmente producono nuove idee, nuove mode, nuovi slogan, nuovi obiettivi da darsi. La maggior parte di tutto ciò non sono altro che trappole, ragnatele in cui si rimane invischiati e da cui non si riesce più a uscire. Subiamo una delusione amorosa e, ripensandoci a distanza di qualche anno, ci stupiamo di aver sofferto così tanto per una persona che oggi non degneremmo di uno sguardo. Da bambini ci eccitavamo tanto per dei giochi che oggi, quando i nostri figli ci ‘costringono’ a farli di nuovo, troviamo mortalmente noiosi. Che dire poi delle mode, che cambiano in continuazione e che ogni volta danno l’impressione di essere il ‘massimo’?

Eppure tutti, chi più chi meno, in un modo o in altro, sono catturati dalla ragnatela delle proprie idee. Solo la meditazione e la pratica spirituale possono fermare l’agitazione della mente, possono dare la necessaria serenità per vedere le cose della vita nella giusta luce e nella giusta prospettiva.

Parlo dello Yoga perché è la disciplina spirituale che pratico da anni e che conosco meglio, ma tutti coloro che hanno intrapreso un percorso di sviluppo spirituale concordano nel riconoscere che questo genere di pratiche cambia la scala di priorità nella vita. Esattamente ciò che ci insegna il ragno, smettendo di produrre inutili e dannose idee, preconcetti, certezze basate sul nulla, si trova (o si ritrova) il vero valore di ciò che ci circonda e , soprattutto, di ciò che è dentro di noi.

Infine lo SCARAFAGGIO. Questo Guru ci dà la misura della forza del nostro pensiero, soprattutto quando con Abhyasa, la pratica costante, riusciamo a concentrarlo al massimo grado e a indirizzarlo nella giusta direzione. Siamo ciò che pensiamo. Più mandiamo coscientemente la nostra mente verso il pensiero del Divino Brahman, più ci identificheremo con Esso, e non solo in questa vita. Nella Bhagavad Gita Krishna lo dice con chiarezza: “E colui che al momento della morte lascia il suo corpo pensando a Me, si congiunge a Me; su questo non c’è alcun dubbio (…) Perché chiunque abbandona il corpo pensando a un essere qualsiasi, a quell’essere egli va, a causa del suo costante pensare a quell’essere stesso.” B.G. VIII, 5,6.

Ovviamente l’ultimo pensiero non è frutto del caso. Si dice, e lo affermano anche le persone che hanno avuto esperienze di morte per poi tornare in vita, che al momento del trapasso la vita appare davanti agli occhi come un film e si pensa alle cose che hanno avuto più importanza durante l’esistenza.

È per questo che è così importante abituare la propria mente a pensare al Divino il più possibile, meditare su cose elevate, rivolgere il meno possibile il pensiero alle miserie della vita corrente e cercare di mantenerlo fisso su idee sacre, di bontà ed altruismo. Solo con questo tipo di ‘allenamento’ potremo avere la certezza che all’ultimo momento la nostra mente non andrà a ciò che stiamo lasciando, ma a ciò che stiamo ottenendo: Moksha, la liberazione.

Restano due importanti considerazioni da fare. La prima è questa: molti potrebbero ritenere gli insegnamenti di Dattatreya troppo difficili da seguire, troppo avanzati, rivolti esclusivamente agli asceti o aspiranti tali. È vero che egli era il Guru, anzi l’Adi Guru, il primo Guru, degli Avadhuta, gli asceti; ma è anche vero che ogni percorso, anche il più lungo, inizia non solo con il primo passo, ma con la volontà di farlo, quel primo passo. In ogni cosa c’è una gradualità, ogni arte, ogni mestiere si imparano un po’ alla volta, per gradi. I più grandi scrittori hanno dovuto innanzitutto imparare a tenere la penna in mano. Allo stesso modo, anche la pratica spirituale ha i suoi gradi, l’importante è capire qual è la direzione giusta e cominciare.

L’altra considerazione è su un possibile equivoco che potrebbe scaturire dalla storia di Dattatreya: che sia possibile compiere il percorso spirituale senza il bisogno di avere alcun Maestro, che basta fidarsi della propria capacità di osservazione e deduzione, della propria intelligenza. Non è esattamente così: la storia di Dattatreya e dei suoi 24 Guru fa parte di un testo sapienziale ed è parola di Krishna Jagad Guru.

Gli insegnamenti non si distaccano affatto da quelli presenti in tutti gli Shastra, i testi sacri dello Yoga e del Vedanta, e lo stesso Dattatreya è Datta Guru. Quindi, più che un invito a fare a meno di un Maestro, Datta Guru ci vuole dire di non essere solo passivi destinatari di un insegnamento, ma di digerirlo, di farlo nostro e di provare la veridicità di quell’insegnamento nella realtà che ci circonda. Se oggi è molto difficile, se non impossibile, trovare un Guru in carne e ossa, possiamo sempre fare riscorso agli insegnamenti dei Maestri del passato, dei grandi santi come Ramana Maharshi, Vivekananda o Yogananda Paramahansa oltre, ovviamente agli Shastra. Le vie ci sono e ci saranno sempre e il ricercatore spirituale serio e sincero, se lo vuole con tutto il cuore, una strada non può non trovarla.

Per concludere riguardiamo per un attimo i 24 Maestri: si parte da Prakriti, l’universo fisico; poi si spiega come questo universo sia fondamentalmente Maya, illusione, e quindi inaffidabile; si passa poi alla presa di coscienza del fatto che l’attaccamento all’io, al mio e a tutti i possessi materiali ed affettivi è solo fonte di dolore. Quindi il primo passo verso la soluzione: la concentrazione. Poi l’arresto della mente, fonte di infinite trappole paralizzanti. Ed infine l’invito ad indirizzare sempre, ogni momento del nostro tempo, il nostro pensiero al Divino, perché questa è la chiave che ci permetterà di diventare divini a nostra volta, o meglio, a prendere coscienza del fatto che già lo siamo, lo siamo sempre stati.
Questo è l’insegnamento di Dattatreya, Trimurti Avatara.

Paolo Quircio
Roma, 08-11-2017

 
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13 - 14 APRILE 2019 FIRENZE - WORKSHOP LA SAGGEZZA DEL CUORE - PER INSEGNANTI E GENITORI
02 APRILE 2019 MILANO - IL POTERE DELL INTUIZIONE
14 APRILE 2019 MILANO - IMPARIAMO AD INTERPRETARE SEGNI E COINCIDENZE - CON GIAN MARCO BRAGADIN
05 APRILE 2019 PERUGIA - MEDITAZIONE E ARTE
25 - 28 APRILE 2019 GROSSETO - SEMINARIO DI ASCOLTO DI SE CON IL RESPIRO
27 APRILE 2019 FIRENZE - HO OPONOPONO IL SEGRETO HAWAIANO
27 - 28 APRILE 2019 MONTELUPO FIORENTINO - CORSO DI COSTELLAZIONI FAMILIARI E SISTEMICHE
25 - 26 - 27 - 28 APRILE 2019 BELLARIA IGEA MARINA (RN) - OSHOFESTIVAL 2019
06 APRILE 2019 ROMA - TRA LUCE E OMBRA - SEMINARIO ESPERIENZIALE
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