GESU' IN INDIA' ? UN BANDOLO FILOSOFICO
di Manuel Olivares
Il testo Gesù in India? – una ricerca in biblioteca e sul campo volta a far luce sulle numerose ipotesi di uno o più soggiorni di Gesù nel subcontinente indiano − è uscito circa due anni fa ed ha subito iniziato a destare un buon interesse. Non che sia il primo libro sull’argomento ma, in questo caso, ci stiamo prodigando per diffonderne i contenuti, presentandolo in varie sedi e cercando, in modi disparati, di stimolare un ricco e variegato dibattito. Una buona riuscita ha avuto, ad esempio, la presentazione presso la Libreria Aseq di Roma, probabilmente una delle migliori librerie esoteriche in Italia. Di recente è iniziata una stimolante collaborazione con l’Accademia ACOS di Carlo Dorofatti che ha avuto come primo esito − in data 14-10-2017 − una conferenza ( filmata e riportata a questo link) presso la Libreria Feltrinelli di Terni.
Facendo tesoro di quanto sta emergendo dalle diverse iniziative divulgative, si sta iniziando a delineare un bandolo filosofico che possa essere di costante ispirazione anche per le prossime edizioni del testo. L’ambito della ricerca è, difatti, molto vasto e questa prima edizione non può che essere, nei migliori auspici, un buon inizio ed un sasso nello stagno.
Le principali ipotesi in merito ad una o più possibili permanenze di Gesù in India
In breve, sono fondamentalmente due le ipotesi relative ad una possibile permanenza di Gesù nel subcontinente indiano, supportate da due personaggi vissuti a cavallo tra diciannovesimo e ventesimo secolo. Parliamo, nel primo caso, di un giornalista e viaggiatore russo: Nicholas Notovitch che, in un importante monastero buddhista vajrayana di scuola Drukpa del Ladakh (territorio indiano, parte dello stato di Jammu e Kashmir, ai confini con il Tibet), avrebbe scoperto alcuni manoscritti in cui si dettagliava quanto avrebbe fatto Gesù in India durante il periodo di cui non parlano i vangeli (tra i 14 e i 30 anni).
Notovitch tradusse i manoscritti dal tibetano e li fece pubblicare a Parigi, nel 1894, con il titolo La vie inconnue de Jésus Christ. Naturalmente il Vaticano non accolse con entusiasmo questa pubblicazione e Notovitch venne presto accusato, pubblicamente, di frode. Diversi anni dopo, tuttavia, nel 1922, un importante membro dell’élite colta indiana, Swami Abedhananda (vicepresidente della celebre Ramakrishna Mission), compì un viaggio di verifica nello stesso monastero, confermando la presenza dei manoscritti e traducendone, a sua volta, una parte. Dopo Abedhananda − la cui parziale traduzione dei documenti non si discostava sensibilmente da quella di Notovitch − altri ricercatori, sulle tracce degli stessi manoscritti, non ebbero più modo di trovarli. Comprensibilmente erano spariti.
Il secondo personaggio cruciale per le ipotesi in oggetto è stato il mistico musulmano Mirza Ghulam Ahmad, fondatore della celebre Comunità Islamica Ahmadiyya per avere maggiori informazioni sulla quale rimando al seguente articolo
Questi, nel suo testo Jesus in India, avrebbe fermamente sostenuto che Gesù sopravvisse alla crocifissione, ovvero che sarebbe stato calato dalla croce in uno stato di morte apparente o coma. Curato con il celebre Marham I Isa (letteralmente: unguento di Gesù, la cui ricetta figurerebbe addirittura nel Canone di Avicenna), avrebbe avuto modo di riprendersi per lasciare presto, insieme alla madre, la Palestina.
Mettendo insieme alcune fonti musulmane (il celebre Rauzat Us Safa, testo persiano del 1417, il cui titolo sta per Il giardino di purezza) e apocrife (gli Actae Thomae), dettagliati resoconti di viaggiatori (ad esempio O.M. Burke, autore del testo Among the dervishes), materiale orale di interesse antropologico (cui si è particolarmente dedicato, negli anni venti del ventesimo secolo, il pittore e antropologo russo Nicholas Roerich) e altri elementi (a cominciare dalla presenza della presunta tomba di Maria in Pakistan) si potrebbe oggi corroborare l’itinerario che avrebbe seguito Gesù, sopravvissuto alla crocifissione, proposto già alla fine dell’Ottocento da Mirza Ghulam Ahmad.
Dal Rauzat Us Safa risulta un soggiorno di Gesù, della mamma e di alcuni discepoli a Nasibain (oggi Nisibis, in Turchia ma al confine con la Siria), dagli Actae Thomae la presenza di Gesù nei territori dell’attuale Iskilip, nel nord dell’Anatolia, dal testo Among the dervishes risulta un loro passaggio e una lunga sosta in Afghanistan dove esisterebbe ancora la comunità dei Seguaci di Gesù. Maria non sarebbe, tuttavia, riuscita a raggiungere l’India come attesterebbe ― a circa settanta chilometri da Taxila, nell’odierno Pakistan ― il Mai Mari da Ashtan: Il luogo dell’ultimo riposo della Madre Maria, una tomba allineata con orientamento est-ovest, secondo l’uso ebraico, mentre nella cultura islamica l’orientamento è nord-sud.
Gesù ― ancora nella prospettiva di Mirza Ghulam Ahmad che diversi autori avrebbero seguito ― avrebbe poi raggiunto il Kashmir per parlare alle disperse tribù di Israele, giunte in Asia centrale e in Kashmir in diverse ondate, a partire dalla diaspora assira dell’ottavo secolo a.C. Della possibile origine ebraica di diverse genti che popolano oggi aree del Kashmir e dell’Afghanistan (talora conosciuti come Bani Israel) si è occupato anche il celebre documentarista israeliano Simcha Jacobovici nel suo lavoro, del 2003: Quest for the lost ten tribes of Israel
Il Kashmir, del resto, recherebbe diverse testimonianze del soggiorno del profeta Yuz Asaf (che secondo i sostenitori della tesi di Mirza Ghulam Ahamd sarebbe il nome persiano di Gesù) e addirittura è possibile indicare come elemento corroborante un passaggio, in sanscrito, del Bhavishya Maha Purana, la cui versione originale risale al 115 d.C.
In generale i Purana (in sanscrito: testi in cui si parla di vicende antiche) sono uno dei pilastri della letteratura tradizionale hindu.
Nel passaggio in questione si riporta un breve colloquio in terra kashmira ― avvenuto probabilmente prima del 78 d.C. ― tra il re di una popolazione conosciuta come Saka e un sant’uomo che si presenta come Figlio di Dio nato da una vergine.
Dalle parole del sant’uomo al re emerge un messaggio di natura monoteista ma con una netta eco pagana.
Cito: « O re, io vengo da una terra lontanissima, dove non c’è verità e dove il male non conosce limiti. […]
Sono apparso come Isha Masih o Gesù Messia. Ho ricevuto la Messianicità o Cristicità.
Ho detto loro, “Eliminate tutte le impurità della mente e del corpo. Recitate la preghiera rivelata. Pregate autenticamente nel modo giusto, obbedite alla legge. Ricordate il nome del nostro Signore Dio. Meditate su colui la cui dimora è nel centro del sole”.[…]
Ho chiesto agli esseri umani di servire il Signore. Ma ho sofferto per mano dei malvagi e dei colpevoli. In verità, o Re, tutto il potere è nel Signore, il quale è nel centro del sole. E gli elementi, e il cosmo, e il sole, e Dio sono per sempre. Perfetto, puro e in beatitudine, Dio è sempre nel mio cuore. Per questo mi è stato dato il nome di Isha Masih».
Molto altro ci sarebbe da scrivere ma come breve introduzione al testo Gesù in India? credo possa bastare
Un Gesù transculturale
Promuovendo, come si accennava in apertura, il testo Gesù in India? ci stiamo rendendo conto che, lungi dall’essere divisivo, il tema dei possibili anni indiani di Gesù può rappresentare un ponte tra diverse culture e questo, in piena globalizzazione e a fronte della necessità di realizzare una sana società plurale, è sicuramente qualcosa di cui possiamo beneficiare tutti. Se, sino ad oggi, le ipotesi che Gesù abbia vissuto un consistente periodo in India − negli anni di cui non parlano i Vangeli (tra i 13 ed i 30 anni di età) e/o in anni successivi all’ordalia della crocifissione cui, secondo alcune prospettive, sarebbe sopravvissuto – non hanno goduto di molta popolarità in Occidente, sono, di converso, state sempre molto popolari in India.
Come emerge dal libro e da ulteriori ricerche, anche Pandit Nerhu − il più importante statista indiano – le considerava con benevolenza e lo stesso si può dire dei più celebri maestri indiani del Novecento, da Paramhansa Yogananda a Satya Sai Baba, da Swami Shivananda a Osho Rajneesh, per fare appena alcuni nomi.
Inoltre, vivendo io stesso − da circa 12 anni − buona parte del mio tempo in India, ho potuto constatare di persona quanto le ipotesi che Gesù abbia lungamente vissuto nel subcontinente siano generalmente accettate, in loco, dalle stesse persone comuni, di media cultura.
Spostandoci nel mondo buddhista, le tesi del possibile soggiorno di Gesù in India sono ugualmente considerate con attenzione, anche a fronte di alcune evidenti analogie tra gli insegnamenti del Buddha e quelli del nazzareno. Soprattutto nell’ambito del Buddhismo tibetano Gesù tende ad essere facilmente assimilato ad un bodhisattva ed è del resto, come abbiamo visto, proprio in un monastero di Buddhismo tibetano nell’aspra e suggestiva regione del Ladakh (il monastero di Hemis) che sono stati trovati importanti manoscritti che dettagliano la vita di Gesù in India.
Nello stesso mondo islamico Gesù ha un ruolo di primaria importanza. Forse pochi ancora sanno che Gesù viene identificato come il Messia in tutto l’Islam, nel cui vasto e variegato ambito è considerato un venerabile profeta, secondo solo a Muhammad e, come si accennava, non va certo trascurato quanto in diversi contesti eterodossi islamici (ad esempio presso la Comunità Islamica Ahmadiyya) la tesi degli anni indiani di Gesù goda di una cruciale centralità.
Ipotesi interessanti sugli anni indiani di Gesù le ritroviamo anche in ambito new age. Non ne mancano, ad esempio, resoconti nel celebre Vangelo Acquariano di Levi H. Dowling, per quanto discutibile possa essere l’impianto stesso dell’opera.
Le ricerche, dunque, a fronte della suggestione del tema e della ricchezza del materiale che in un modo o nell’altro lo riguarda, debbono continuare, con il chiaro obiettivo di avanzare sul sentiero di un Gesù transculturale − dunque non più sola prerogativa dell’Occidente cristiano − che possa essere di grande beneficio all’uomo nuovo/globalizzato.
Citando dalla quarta di copertina di Gesù in India?:
«Un Gesù transculturale può aiutare a ridurre le distanze tra mondi che si considerano, forse erroneamente, ancora molto diversi e, allo stesso tempo, infondere nuova energia a una cristianità inesorabilmente in crisi». Eludendo pretese esclusiviste, speriamo dunque di continuare lungamente e pluralisticamente a confrontarci con la somma figura del Gesù storico, i cui valori universali – di non violenza e fratellanza – sono, oggi, di drammatica attualità. Nei migliori auspici, l’esito potrebbe essere un movimento, trasversale, di opinione che identifichi in Gesù una pietra angolare di un fraterno villaggio globale.
Manuel Olivares
www.viverealtrimenti.com
presentazione su you tube
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