di Manuel Olivares
È stato recentemente pubblicato un ottimo articolo sul sito della Fondazione Oasis (oasiscenter.com):
Occidente e Islam, l’incontro che cambia gli interlocutori dove si cita l’ultimo rapporto del Pew Research Center in cui si stima che, entro la metà di questo secolo, Cristianesimo ed Islam avranno all’incirca lo stesso numero di seguaci e che le due religioni, insieme, raduneranno il 63% della popolazione mondiale.
Navigando liberamente in rete si trovano anche altre stime, pur meno rigorose, secondo le quali in meno di vent’anni i musulmani potrebbero giungere a costituire la maggioranza della popolazione in Belgio e imporsi, numericamente, anche in altri paesi europei, ad esempio in Olanda (come riportato in un
video di Messaggerotv: ).
A fronte di questo e di tutto quel che si apprende dai notiziari, viene spontaneo chiedersi: con quale Islam si può meglio confrontare un Occidente oramai, in buona misura, secolarizzato? Non manca chi ritiene quella islamica una religione geneticamente bellicosa e che dunque debba essere, nel suo complesso, motivo di scrupolosissima attenzione. È il caso, ad esempio, del noto giornalista e scrittore egiziano Magdi Cristiano Allam. Esistono, tuttavia, posizioni più sfumate mentre stanno acquisendo, progressivamente, maggiore visibilità ambienti islamici che prendono pubblicamente le distanze dai gruppi jihadisti, affermando che la propria religione sia inequivocabilmente orientata alla pace ed alla solidarietà.
Una realtà islamica che sta destando un crescente interesse, a livello internazionale, è la
Comunità Islamica Ahmadiyya .
Una breve introduzione storica
La Comunità Islamica Ahmadiyya nasce nel 1889 per iniziativa di Mirza Ghulam Ahmad (1835-1908), un aristocratico musulmano di Qadian (oggi una cittadina di circa 40000 abitanti in Punjab, India) che si rivela presto un personaggio del tutto inusuale.
Poco interessato alla carriera e alla cura degli affari di famiglia, dedica la maggior parte del suo tempo allo studio di testi religiosi (ha la fortuna di disporre della biblioteca avìta, considerata, a quel tempo, tra le più ricche del Punjab) ed alla preghiera.
Giunge il momento, nel suo percorso mistico, che Mirza Ghulam Ahmad afferma di essere, per rivelazione divina, il Messia Promesso (ruolo che, nell’escatologia islamica, è generalmente attribuito a Gesù, maggiormente conosciuto con il nome arabo: Issa) ed il Mahdi, atteso, sempre in una prospettiva escatologica — ovvero dei tempi ultimi, precedenti il Giudizio Universale — per restaurare la fede.
Mirza Ghulam Ahmad si assume dunque l’onere dell’impresa messianica — volta a ricondurre gli uomini a Dio, in uno spirito di autentica fratellanza — reinterpretando la stessa figura di Gesù/ Issa che, nel Cristianesimo come nell’Islam, dovrebbe tornare, fisicamente, sulla terra per esserne protagonista.
Nella prospettiva di Mirza Ghulam Ahmad, Gesù non può ritornare sulla terra, per il fatto stesso che non è morto sulla croce e poi risorto (come si afferma in ambito cristiano), né perché non è stato crocifisso e — unico uomo nella storia del genere umano — non è morto ma è stato assunto direttamente in cielo (come si afferma, generalmente, in ambito islamico).
Piuttosto, Gesù sarebbe stato crocifisso ma non sarebbe morto sulla croce.
Non sono difatti mancati casi, come testimonia lo storico Flavio Giuseppe, di persone sopravvissute al supplizio della crocifissione.
Nella prospettiva di Mirza Ghulam Ahmad, Gesù sarebbe stato uno di questi, come ben argomenta nel suo testo, al momento disponibile solo in inglese: Jesus in India (per approfondire, segnalo il mio testo Gesù in India? in cui si riportano in dettaglio anche le tesi in esame).
Calato dalla croce in uno stato di morte apparente, sarebbe stato curato con un unguento che verrà poi menzionato, in diversi testi medici dei secoli successivi, con un nome evocativo: Marham-i-Issa (l’unguento di Gesù) e, una volta ristabilito, avrebbe preso la via dell’India per morire di morte naturale, in tarda età, in Kashmir.
Nella capitale kashmira, Srinagar, esiste ancora un mausoleo che viene da molti considerato la tomba di Gesù.
A seguito di una rilettura così radicale — tanto per il mondo cristiano, quanto per quello generalmente islamico — della figura di Gesù, Mirza Ghulam Ahmad, sin dalla fondazione della Comunità Islamica Ahmadiyya, viene da molti considerato una figura eretica.
stesso tempo, tuttavia, raduna un numero crescente di seguaci e alla sua morte, avvenuta a Lahore (nell’attuale Pakistan) nel 1908, la Comunità Islamica Ahmadiyya è oramai una realtà consolidata, alla guida della quale viene eletto un successore (Khalifa): Hakeem Noor-ud-Din.
Questi rimane in carica fino al 1914. Da allora, si sono succeduti altri 4 Khalifa (la carica è a vita) e, dal 22 aprile 2003, la comunità è guidata da Mirza Masroor Ahmad.
Nel 1948 la Comunità Islamica Ahmadiyya trasferisce il suo quartier generale, dalla cittadina indiana di Qadian a Rabwa, nel nuovo stato musulmano del Pakistan dove inizia presto ad avere problemi di una certa rilevanza.
Nel 1974 le settantadue sette di matrice islamica presenti nel paese dichiarano all’unanimità che i membri della comunità — conosciuti anche come ahmadi — non possono essere considerati musulmani e tale dichiarazione viene, nello stesso anno, corroborata da un emendamento alla Costituzione.
Un decennio più tardi l’Ordinanza XX di Zia ul-Haq — autore del colpo di stato militare, nel 1977 — proibisce agli ahmadi di mostrare qualunque genere di affiliazione all’Islam, di chiamare i loro centri di preghiera ‘moschee’, fare il richiamo alla preghiera (Adhan), citare il Corano o gli Hadith ed altro, stabilendo una punizione fino a un massimo di tre anni di carcere per i trasgressori.
Le molte persecuzioni che seguono (clamoroso l’attacco terroristico di Lahore, nel 2010, durante le preghiere del venerdì, con 94 morti e 120 feriti), inducono una nuova migrazione del quartier generale della comunità, questa volta a Londra, dove si trova attualmente.
Negli anni, molti ahmadi si sono visti costretti a chiedere asilo politico in paesi occidentali (in particolare in Germania, dove la Comunità Islamica Ahmadiyya, nel 2013, è diventata ― prima realtà musulmana nel paese ― ‘ente di diritto pubblico’).
Il loro essere considerati eretici, oltre a divergenze di ordine escatologico è da ascriversi all’accusa rivolta al loro fondatore di aver riaperto, con la sua figura, il ciclo profetico che invece, per l’Islam sunnita e sciita, si esaurisce con la figura di Muhammad.
Amore per tutti, odio per nessuno
Oggi la Comunità Islamica Ahmadiyya è presente in 210 paesi nel mondo (inclusa l’Italia, dove ha circa 600 membri; per maggiori informazioni segnaliamo il sito alislam.it) e si stima conti, complessivamente, tra i 10 ed i 20 milioni di membri.
Sin dalla sua fondazione è stata una decisa vessillifera della pace, attivandosi per un’espansione dell’Islam attraverso la conoscenza, la persuasione (enfatizzando l’ingiunzione coranica per cui “non può esserci alcuna costrizione in materia di fede”), la solidarietà e l’impegno nel sociale.
Stando ad alcuni studi sulla comunità, ad esempio quelli del Professor Gualtieri (autore di: Conscience and coercion; Ahmadi Muslims and Orthodoxy in Pakistan, Guernica, Montreal, 1989), il tasso di alfabetizzazione, presso gli ahmadi, sarebbe prossimo al 100%.
Inoltre, stando a quanto si legge sul sito internazionale alislam.org, la Comunità Islamica Ahmadiyya ha promosso, nel tempo, la costruzione di circa quindicimila moschee, cinquecento scuole ed oltre trenta ospedali in diversi paesi del mondo. Ha tradotto Il Corano in oltre settanta lingue, diffonde gli insegnamenti dell’Islam e messaggi di pace e tolleranza attraverso il proprio canale televisivo MTA, il proprio sito internet ed una casa editrice (Islam International Publications).
Si distingue anche, da anni, in ambito umanitario con l’organizzazione Humanity First, particolarmente attiva in Africa nella costruzione di pozzi per approvvigionamento di acqua potabile in remoti villaggi.
Dal 2004, Mirza Masroor Ahmad, quinto Khalifa della Comunità Islamica Ahmadiyya, tiene il National Peace Symposium a Londra — presso la moschea Baitul Futuh, nel quartiere di Morden — in cui vengono regolarmente coinvolti importanti personaggi politici, inglesi e non, oltre a leaders di ONG e attivisti per la pace ed i diritti umani a livello internazionale.
Meritano menzione anche gli annuali raduni della Comunità Islamica Ahmadiyya, in molti paesi del mondo (inclusa l’Italia): i Jalsa Salana, aperti anche a non ahmadi e a personalità di rilievo di provenienza disparata.
Il primo Jalsa Salana si tenne a Qadian, nel 1891 e, oggi, i più importanti Jalsa Salana europei hanno luogo a Londra (quello di quest’anno, tenuto alla fine di luglio, è stato definito, dal settimanale inglese The Economist: il più importante raduno musulmano, annuale, dell’Europa occidentale: https://www.economist.com/news/britain/21725792-some-37000-people-gathered-farm-worldwide-convention-ahmadiyya) e a Karls Ruhe, in Germania, con una partecipazione che può raggiungere le 40000 persone.
Nei Jalsa Salana come nei National Peace Symposium ed in ogni altro evento della Comunità Islamica Ahmadiyya ci si ritrova immancabilmente sotto lo slogan: Amore per tutti, odio per nessuno!
Non manca chi sostiene gli ahmadi possano essere, senza dubbio, una realtà islamica con cui intraprendere un cammino di dialogo. In Italia, per fare solo un esempio, un buon dialogo interreligioso ha luogo, da anni, tra membri della comunità (in particolare il teologo Ataul Wasih Tariq che ne è l’imam ufficiale, nel nostro paese) ed il movimento dei Focolari e non manca un gruppo del Parlamento europeo di “Amici della Comunità Islamica Ahmadiyya”.
Negli ultimi anni, Mirza Masroor Ahmad, il quinto Khalifa della comunità, si è speso in una diffusa attività diplomatica, tenendo discorsi presso le più importanti istituzioni del mondo, da Capitol Hill (Washington, D.C.), al Parlamento europeo, dal Parlamento inglese a quello tedesco a quello neo-zelandese, per fare solo alcuni esempi.
I suoi discorsi sono raccolti nel testo La crisi mondiale e la via della pace (traduzione dell’originale, inglese, World crisis and the pathway to peace), di cui sta per essere pubblicata una seconda edizione rivista ed aggiornata.
Manuel Olivares
(www.viverealtrimenti.com)