Come parli, così è il tuo cuore.
Paracelso

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I SENTIERI DELL' ESSERE
Le mille Vie della Spiritualità
I SENTIERI DELL' ESSERE
LA PRATICA DA SEGUIRE
Un monaco chiese a Dong-Shan:
C'è una pratica che le persone debbano seguire?
Dong Shan rispose:
quando diventi una vera persona c'è una tale pratica.
Sai essere freccia, arco, bersaglio?
<b>Sai essere freccia, arco, bersaglio?

Sai essere freccia, arco, bersaglio?
Conosci la sequenza delle costellazioni?
La fusione dell'idrogeno in elio?
Sai misurare la tua integrità?
Se rispondi
Avrai l'immortalità.

Laura Scottini

MEDITAZIONE TAOISTA
<b>MEDITAZIONE TAOISTA </b>





 

Chiudi gli occhi e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare e sentirai la verità.
Resta in silenzio e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto e troverai l'unione.
Sii quieto e ti muoverai sull'onda dello spirito.
Sii delicato e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente e compirai ogni cosa.
Sii umile e manterrai la tua integrità.

 

IL VUOTO CHE DANZA
IL VUOTO CHE DANZA










di H.W.L. Poonja


Rimani ciò che sei ovunque tu sei.
Se fai così, saprai immediatamente
di essere Quello che hai cercato
per milioni di anni.

Non c'è ricerca,
perchè si cerca solo qualcosa che si è perso.
ma quando niente è andato perduto
non ha senso
cercare qualcosa.

Qui semplicemente Stai Quieto.
Non formare nemmeno un pensiero nella mente.
Allara saprai
Chi sei realmente.

per tre motici la ricerca e la pratica
sono follie fuorvianti
sono l'inganno della mente
per posporre la libertà.
Continua...

PAROLE SU DIO
PAROLE SU DIO

di Simone Weil

Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio. … Così pure, la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni.

Il bello è ciò che si desidera senza volerlo mangiare. Desideriamo che sia. Restare immobili e unirsi a quel che si desidera senza avvicinarsi. Ci si unisce a Dio così: non potendosene avvicinare. La distanza è l’anima del bello.

Nella prima leggenda del Graal è detto che il Graal, pietra miracolosa che in virtù dell’ostia consacrata sazia ogni fame, apparterrà a chi per primo dirà al custode della pietra, il re quasi paralizzato dalla più dolorosa ferita: “Qual è il tuo tormento?”. La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nell’essere capace di domandargli: “Qual è il tuo tormento?”, nel sapere che lo sventurato esiste, non come uno fra i tanti, non come esemplare della categoria sociale ben definita degli “sventurati”, ma in quanto uomo, in tutto simile a noi, che un giorno fu colpito e segnato dalla sventura con un marchio inconfondibile. Per questo è sufficiente, ma anche indispensabile, saper posare su di lui un certo sguardo. Continua...
I BAMBINI
DAGLI OCCHI DI SOLE

I BAMBINI<br> DAGLI OCCHI DI SOLE










Vidi i pionieri ardenti dell’Onnipotente
superando la soglia celeste che è volta alla vita
discendere in frotta i gradini d’ambra della nascita;
precursori d’una moltitudine divina,
essi lasciavano le rotte della stella del mattino
per l’esigua stanza della vita mortale.

Li vidi traversare il crepuscolo di un’era,
i figli dagli occhi di sole di un’alba meravigliosa,
i grandi creatori dall’ampia fronte di calma,
i distruttori possenti delle barriere del mondo
che lottano contro il destino nelle arene della Sua volontà,
operai nelle miniere degli dei,
messaggeri dell’Incomunicabile,
architetti dell’Immortalità.

Nella sfera umana caduta essi entravano,
i volti ancora soffusi della gloria dell’Immortale,
le voci ancora in comunione coi pensieri di Dio,
i corpi magnificati dalla luce dello spirito,
portando la parola magica, il fuoco mistico,
portando la coppa dionisiaca della gioia,
Continua...
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI

di Maurizio Di Gregorio

Tutti cerchiamo qualcosa. Se lo cerchiamo nel mondo materiale pensiamo di trovarlo all’esterno di noi stessi. Se lo cerchiamo nel mondo spirituale siamo portati a credere di poterlo trovare all’interno di noi. Una massima dice: la risposta è dentro di te. Una battuta invece dice: la risposta è dentro di te, ma è sbagliata. Ambedue le affermazioni sono vere perché si riferiscono a due esseri diversi. Uno vero e l’altro falso. Come si fa a sapere quale é l’Io interiore che contiene tutte le risposte della vita? Dalla felicità. Nel primo caso si sa solo che si è felici, sia pure per un attimo, si è completamente, immensamente e interamente felici e più correttamente si dovrebbe chiamarla beatitudine. Nel secondo caso sappiamo solo, che a dispetto di ogni altra cosa, momentanea soddisfazione o eccitazione, non si è veramente felici. 
Aivanhov, definendo la natura umana, parla della coesistenza di una natura inferiore e di una natura superiore. All’interno di ognuno è una continua lotta tra due esseri (o stati di essere) in competizione che Aivanhov chiama Personalità e Individualità. “Persona “ è la maschera e in ogni incarnazione la maschera è diversa, “Individualità” è l’abitante della maschera, colui che non cambia, il vero Sé divino. La personalità è in parte ancora inesistente nel bambino ma già tracciata, si sviluppa con l’età come la trama di un tessuto e si consuma nella vecchiaia. Il risveglio dell’anima consiste nel riconoscimento del Sé interiore e nell’abbandono momentaneo della maschera della personalità. Ora anche se possiamo capire qualcosa del nostro essere maschera, né la mente, né il cuore né la volontà sono risolutivi.
E questo perché mente cuore e volontà sono una triade che esiste tanto nella natura delle Individualità quanto nella natura della Personalità.
“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” Quale è, in ogni dato momento, il cuore che chiede, la mente che cerca, la volontà che agisce? La strada dell’evoluzione spirituale, cioè della evoluzione dell’essere allo Spirito, è insidiosa perché ad ogni sviluppo della Individualità segue uno sviluppo della Personalità. Differentemente il discernimento è possibile solo dal punto di vista della Coscienza Superiore che è esattamente ciò che si illumina.
Fuori da questa esperienza si persiste sempre in un tipo di coscienza media, anche se ampliata o sofisticata, una coscienza media perché media in un equilibrio precario le necessità delle due nature....Continua...
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA

di Ervin Laszlo

Il grande compito, la grande sfida del nostro tempo è cambiare se stessi.
Questo elenco delle principali caratteristiche della nuova visione, della nuova coscienza, è scritto per stimolare la trasformazione, perché è possibile acquisire una nuova consapevolezza, perché tutti possono evolvere, tante persone l'hanno già fatto ed è diventata una conditio sine qua non della nostra sopravvivenza sulla Terra.
La prima caratteristica è l'olismo, la visione olistica, per contrastare la visione frammentaria, disciplinaria, atomistica, che separa tutto: la mente dalla natura, l'uomo e la società dalla biosfera, e tutti i campi della realtà l'uno dall'altro. La visione olistica è proprio quella comprensione Continua...
I FIGLI DELLA LUCE
I FIGLI DELLA LUCE




 


I Figli della Luce si nutrono di Pace, Libertà, Amore, Giustizia, Grazia, Benevolenza, Comprensione, Compassione, Generosità, Bontà, Luce, Verità, Positività, trasmettendo tutto questo intorno a loro. Le creature che vengono in contatto con i Figli della Luce percepiscono la Positività dell’operato della “Luce Amore” e uno stato di benessere entra in loro. Non sono consapevoli della fonte di questa Positività, ma stanno volentieri in compagnia dei Figli Luce dispensatori d’Amore.
Continua...
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA

di Matthew Fox

L’ecologia e la spiritualità sono le due facce della stessa medaglia. La religione deve lasciar andare i dogmi in modo da poter riscoprire la saggezza del mondo.
Come dovrebbe essere una religione ecologica? Negli ultimi 300 anni l’umanità è stata coinvolta in una grande desacralizzazione del pianeta, dell’universo e della propria anima, e questo ha dato origine all’oltraggio ecologico. Saremo capaci di recuperare il senso del sacro?La religione del futuro non sarà una religione in senso stretto del termine, dovrà imparare a lasciare andare la religione. Il Maestro Eckhart, nel quattordicesimo secolo disse, “Prego Dio di liberarmi da Dio”. Per riscoprire la spiritualità, che è il cuore autentico di ogni religione vera e fiorente, dobbiamo liberarci dalla religione. Sembra un paradosso. La spiritualità significa usare il cuore, vivere nel mondo, dialogare con il nostro sé interiore e non semplicemente vivere a un livello organizzativo esterno.
E. F. Schumacher, nel suo profetico modo di scrivere, disse, nell’epilogo di Piccolo è bello, “Dappertutto la gente chiede, ‘Cosa posso fare praticamente?’ La risposta è tanto semplice quanto sconcertante, possiamo, ciascuno di noi, mettere in ordine la nostra casa intima, interiore. Per far questo non troviamo una guida nella scienza o nella tecnologia, poiché i valori sui quali esse si poggiano dipendono sommamente dal fine per il quale sono destinate. Tale guida la si può invece ancora trovare nella tradizionale saggezza dell’umanità”.
Tommaso d’Aquino, nel tredicesimo secolo disse, “Le rivelazioni si trovano in due volumi – la Bibbia e la natura”. Ma la teologia, a partire dal sedicesimo secolo, ha messo troppa enfasi nelle parole della Bibbia, o del Vaticano o dei professori, ha messo tutte le uova nel paniere delle parole, parole umane, e ha dimenticato la seconda fonte della rivelazione, la natura!
Il Maestro Eckhart disse, “Ogni creatura è la parola di Dio e un libro su Dio”. In altre parole, ogni creatura è una Bibbia. Ma come ci avviciniamo alla saggezza biblica, alla saggezza sacra delle creature? Col silenzio. C’è bisogno di un cuore silente per ascoltare la saggezza del vento, degli alberi, dell’acqua e della terra. Nella nostra ossessiva cultura verbale, abbiamo perso il senso del silenzio. Schumacher disse, “Siamo ormai troppo intelligenti per sopravvivere senza saggezza”. Continua... 
SULL'ANARCHIA BUDDISTA
SULL'ANARCHIA BUDDISTA di Gary Snyder

Da un punto di vista buddista, l'ignoranza che si proietta nella paura e nel vano appetito impediscono la manifestazione naturale. Storicamente, i filosofi buddisti non hanno saputo analizzare fino a che punto l'ignoranza e la sofferenza erano dovuti o favoriti da fattori sociali, considerando il timore e il desiderio come fatti intrinseci alla condizione umana. Così, la filosofia buddista si interessò principalmente alla teoria della conoscenza e la psicologia fu svantaggiata, per dare più spazio allo studio dei problemi storici e sociologici. Anche il buddismo Mahayana possiede un'ampia visione della salvezza universale, la sua realizzazione effettiva si è concretizzata nello sviluppo di sistemi pratici di meditazione per liberare a una minoranza di individui da blocchi psicologici e condizionamenti culturali. Il buddismo istituzionale è stato chiaramente disposto ad accettare o a ignorare le disuguaglianze e le tirannie sotto il sistema politico che vigeva. È stata come la morte del buddismo, posto che è comunque la morte che riesce a far comprendere il significato della compassione. La saggezza senza compassione non sente dolore.
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IL MITO UNA STORIA RACCONTATA DIVERSAMENTE



di Paolo Quircio

Il rapporto che hanno gli uomini con coloro che li hanno preceduti, con i propri antenati, è spesso ambiguo. Per chi considera la storia come qualcosa di lineare, una strada che, seppur irta di difficoltà, conduce nella direzione del progresso, è quasi impossibile non considerarsi, se non il punto di arrivo, almeno uno stadio molto avanzato di un processo di evoluzione iniziato dalle caverne e che, passando per i grattacieli e le navicelle spaziali, ha portato l’umanità a un livello di sviluppo scientifico e tecnologico senza precedenti. In questa visione della storia gli antichi sono di solito considerati dei semi-selvaggi, ignoranti e superstiziosi, sanguinari e crudeli. Salvo poi rimanere attoniti davanti ai mille ‘misteri’ del passato più o meno remoto. Come e perché sono state costruite le piramidi? Come facevano gli Indiani a sapere che la materia è solo una forma più grossolana di energia? E i Dogon come conoscevano l’esistenza di Sirio? Grandi architetti che ammettono che forse oggi nessuno sarebbe in grado di costruire una cattedrale gotica. Per rispondere a questi interrogativi a volte si ricorre anche a soluzioni originali, se non bizzarre, interventi di extraterrestri inclusi.

Nella cultura indiana la questione si pone in termini sostanzialmente differenti. La storia non viene considerata lineare, ma ciclica. Nel Surya Siddantha e nella Legge di Manu, il Manusmriti, vengono descritti i quattro Yuga, i cicli cosmici, a cui fa riferimento anche la Bhagavad Gita: “Coloro che conoscono il giorno di Brahma, che è della durata di mille Yuga, e la notte, che è anche della durata di mille Yuga, conoscono il giorno e la notte” B.G. VIII, 17.  

E nel verso precedente Krishna dice ad Arjuna che “Tutti i mondi, compreso il mondo di Brahma, sono soggetti a ritornare di nuovo”. Quindi se persino il mondo di Brahma, il Brahmaloka, l’Empireo indiano, è soggetto a continui e ciclici ritorni, come potrebbero non esserlo le cose del mondo terreno, e tra queste noi umani?

Nella tradizione i quattro Yuga sono: Krita o Satya Yuga, l’era della verità, detto anche l’età dell’oro; Treta Yuga, l’età dell’argento; Dwapara Yuga, l’età del bronzo, e infine il Kali Yuga, l’età del ferro, l’era nera. Riguardo alla durata degli Yuga la maggior parte dei commentatori concorda sulla seguente suddivisione: 1.728.000 anni il Satya Yuga, 1.296.000 anni il Treta Yuga, 864.000 anni il Dwapara Yuga e 432.000 anni il Kali Yuga. Quattro Yuga fanno un Mahayuga, 71 Mahayuga un Manvantara e 14 Manvantara costituiscono un Kalpa, un giorno di Brahma. La notte di Brahma è costituita da un altro Kalpa, cosicché un giorno e una notte di Brahma durano circa 8.640.000.000 dei nostri anni. Solo Yukteshwar Giri, il Guru di Paramahansa Yogananda, nel suo ‘La scienza sacra’ fornisce una durata decisamente più breve dei cicli cosmici, asserendo che siano stati fatti degli errori di calcolo dagli astronomi di corte i quali, vivendo nel Kali Yuga, con la mente ottenebrata da questa era nera, non erano stati in grado di capire l’errore, né tantomeno di correggerlo.
 
Seguendo questa concezione ciclica della storia dell’umanità, secondo cui un’epoca di violenza e di scarso sviluppo spirituale è stata preceduta da epoche in cui gli uomini avevano ben altro livello sia di spiritualità che di conoscenze scientifiche e pratiche, forse si riescono a capire meglio i tanti ‘misteri’ del passato. Quelle che oggi per noi sono delle scoperte ottenute con millenni di ricerca, forse per gli Antichi, o almeno i più illuminati fra loro, erano eredità di un’epoca precedente. Eredità che consisteva di conoscenze che gli uomini del Dwapara Yuga avevano accuratamente occultato, ben sapendo l’uso perverso che ne avrebbero fatto gli uomini dell’era successiva. Né dovrebbe stupire, pensando al timore che avevano gli antichi di come avrebbero potuto essere usate certe conoscenze, che nella narrazione delle cose del passato si ricorresse a una gran quantità di simboli, dai significati più o meno occulti. Tutte le scienze spirituali hanno sempre avuto una parte aperta alle masse, di semplice comprensione, e una riservata agli iniziati, a coloro che avevano già compiuto una buona parte del percorso spirituale, rendendosi così pronti a recepire conoscenze profonde, quelle conoscenze che nelle mani dei profani avrebbero potuto essere inutili o addirittura molto dannose.

Nell’insegnamento filosofico e spirituale della tradizione indiana si fa un grande uso di racconti, di esempi e di analogie. Si pensi allo ‘Yoga Vasishta’, uno dei testi più importanti dello Jnana Yoga, in cui il grande Rishi Vasishta, incaricato di dare al giovane Rama, XVIII Avatar di Vishnu, un’educazione spirituale, gliela impartisce narrandogli una serie di aneddoti e di storie dai profondi significati spirituali. Molte di queste storie, così come numerosi episodi sia del Ramayana, il poeta epico basato sulla lotta tra l’eroe divino Rama e il re degli Asura Ravana, sia del Mahabharata, il poema che narra della guerra di Kurukshetra tra i gruppi di cugini rivali fra loro Pandava e Kaurava, sono parte integrante del patrimonio culturale indiano. Non c’è Indiano, per quanto di scarsa cultura o addirittura analfabeta, che non conosca i personaggi principali dei poemi epici o alcune storie dello Yoga Vasishta.

 A seconda del livello di sviluppo culturale e spirituale dell’ascoltatore, la stessa storia assumerà significati via via più profondi. Tanto per fare un esempio: Ravana, il re degli Asura, creature di natura demoniaca dotate di immensi poteri, ha dieci teste e vive a Lanka, la città dalle nove porte. Per le masse la bizzarria delle dieci teste non fa che aggiungere ulteriore mostruosità ad un personaggio totalmente negativo, perfido e cattivo, che ogni anno, durante la festa di Dusserha, viene bruciato, anzi fatto esplodere in effige per commemorare la sua sconfitta da parte di Rama, la vittoria del Bene sul Male. Una più attenta lettura ci dirà che le dieci teste rappresentano i cinque Jnanaindriya, i sensi di conoscenza, e i cinque Karmaindriya, i sensi di azione (mani, piedi, bocca, ano e genitali) e le nove porte simboleggiano i nove orifizi del corpo umano: orecchie, occhi, narici, bocca, ano e genitali.

Che vuol dire tutto questo? Che il demone da combattere e sconfiggere non è chissà dove; è dentro di noi, è la nostra stessa natura inferiore. Il corpo fisico è Lanka e quello astrale è Ravana. Rappresentano quel corpo e quella mente con cui erroneamente tendiamo ad identificarci, dimenticando che la nostra vera, profonda essenza è quella divina di Rama. L’intera letteratura sacra indiana ha molte chiavi di lettura, una dentro l’altra, ed è veramente sorprendente come molte menti eccelse occidentali non abbiano saputo o voluto leggere aldilà dell’apparenza bizzarra o ingenua di queste narrazioni. 

La stessa chiave di lettura a più livelli può essere applicata a tutta o quasi le mitologie delle civiltà del passato. Bisogna fare un certo sforzo per credere che un popolo che ci ha dato le meraviglie eterne dell’architettura e dell’arte statuaria, della filosofia e della letteratura, della tragedia e della storiografia, il concetto di scala musicale, l’orientamento e le proporzioni degli edifici religiosi, i fondamenti profondi e purtroppo oggi trascurati della cultura occidentale tutta, il popolo della Grecia classica, fosse composto da bambinoni ingenui che credevano alle favolette degli dei che si facevano i dispetti, che amoreggiavano follemente e a volte si accanivano contro gli umani, approfittando dei loro poteri straordinari. È fin troppo ovvio, per chi vuol vedere, che il panteon greco, che peraltro ha una notevole serie di punti in comune con quello indiano, non fosse altro che l’adattamento dell’immagine e del concetto dell’unico Dio alla gamma infinita dei tipi psichici umani. E questo perché tutti, ma davvero tutti potessero avere la possibilità di familiarizzare col Divino, la possibilità di trovare una chiave di lettura del Divino.  

Nel suo ‘Bliss Divine – Il Libro della Beatitudine Divina’, Swami Sivananda, a proposito della moltitudine di forme in cui si manifesta il Divino, spiega: “Dio Si rivela ai Suoi devoti in vari modi. Egli assume esattamente la forma che il devoto ha scelto per il suo culto. Se Lo adorate come Signore Hari con quattro mani, vi Si presenterà come Hari. Se Lo adorate come Siva, vi darà Darshan  come Siva. Se Lo adorate come Madre Durga o Kali, verrà a voi come Durga o Kali. Se Lo adorate come Rama, Krishna o Dattatreya, verrà a voi come Rama, Krishna o Dattatreya. Se Lo adorate come Cristo o Allah, verrà a voi come Cristo o Allah.”

In India si usano molti termini per indicare Dio: Bhagavan, Ishvara, Brahman, Devi per l’aspetto femminile, ed altri. Nel Vedanta il Dio supremo, indescrivibile, mai nato, eternamente esistente, nirguna, totalmente privo di attributi, è il Brahman, l’Assoluto. Concetto simile a quello aristotelico del motore immobile, il primum movens. Ishvara sono invece le varie divinità distinguibili l’una dall’altra, ognuna con le sue caratteristiche peculiari: Shiva, in meditazione vicino alle pire funebri, con il corpo cosparso di cenere, con i serpenti intorno al collo e alle braccia; Brahma, il creatore dell’universo, l’unico dio a cui sono dedicati pochissimi templi; Vishnu, sdraiato mentre dorme sulle spire di un enorme serpente, con un loto che gli spunta dall’ombelico. E poi Lakshmi, Saraswati, Ganesha, Kali, Durga e così via, l’elenco è lunghissimo, anche se molte sono forme diverse degli stessi dei. Swami Vivekananda diceva che Ishvara, il saguna Brahma, il Brahma a cui sono stati sovrapposti i guna, le qualità, molto simili a quelle degli uomini, è il concetto divino più elevato a cui la mente umana possa arrivare. D’altronde finché l’uomo usa la mente, che è finita, per i suoi processi di apprendimento, come potrà mai capire, o persino concepire, qualcosa di talmente infinito, illimitato come il Brahma Assoluto?

Continua Swami Sivananda: “Sono tutti aspetti di un unico Ishvara o Signore. Sotto qualsivoglia nome o forma, è sempre Ishvara ad essere adorato. L’adorazione va a Colui che è dentro, il Signore nella forma. Pensare che una forma sia superiore ad un’altra è pura ignoranza. Tutte le forme sono esattamente la stessa cosa. Adoriamo tutti lo stesso Dio, le differenze sono solo differenze di nome dovute alle differenze in coloro che adorano, ma non nell’oggetto dell’adorazione.
Il vero Gesù o il vero Krishna sono nel vostro cuore. Egli vive lì eternamente, dimora dentro di voi. È sempre il vostro compagno, non c’è un amico migliore di Colui che dimora dentro di voi.”

E come esistono numerosissimi aspetti del Divino, così esistono numerose storie, meglio, raccolte di storie, che li hanno per protagonisti. Coprotagonisti di tutte queste storie, insieme ai Deva, che letteralmente vuol dire ‘illuminati’ anche se il termine normalmente viene inteso come ‘dei’, sono ovviamente gli Asura, i demoni. Fin dai primordi, narrati in molte Scritture, lo scontro tra l’energia pura, buona, Sattvica incarnata dai Deva e quella impura, lussuriosa, violenta, Tamasica e priva di qualsiasi remora di carattere etico, rappresentata dagli Asura, è assolutamente centrale. Lo scontro tra bene e male, tra natura divina e natura demoniaca si ripete in continuazione.

Uno dei primi, importanti episodi narrati in più di un poema epico, è quello della zangolatura dell’oceano del latte. In questo oceano primordiale si celavano moltissime ricchezze, tra cui l’Amrita, l’ambrosia divina che conferisce vita eterna a chi la beve. Ovviamente sia i Deva che gli Asura erano intenzionati a impossessarsene, quindi, per una volta, decidono di collaborare. Usando il monte Mandara come zangola, poggiato su Kurma, l’incarnazione di Vishnu in forma di tartaruga, e il serpente Vasuki come fune per girare la zangola, finalmente fanno venire a galla vari preziosi tesori. Per ultimo appare Danwantari, il fondatore dell’Ayurveda, che ha con sé l’ampolla contenente l’Amrita. In quel momento la collaborazione finisce, entrambi i gruppi di contendenti cercano di arraffare l’ampolla e gli Asura hanno la meglio. I Deva disperati si rivolgono di nuovo a Vishnu per essere aiutati e lui si trasforma in Mohini, donna bellissima e affascinante oltre misura. Gli Asura si fanno sopraffare dalla lussuria, cattiva consigliera, e i Deva soffiano loro l’Amrita, ottenendo così, solo loro, l’immortalità. Uno degli Asura, Rahuketu, mischiandosi nel gruppo dei Deva, riesce a bere alcune gocce di nettare, ma Mohini se ne accorge in tempo e lo decapita, impedendo all’ambrosia di entrare nel suo corpo.  

Questo remotissimo episodio dell’eterna guerra tra Bene e Male ci mostra diverse cose. Una è che persino i Deva non vanno troppo per il sottile quando si tratta di combattere l’energia negativa rappresentata dagli Asura, usando anche trucchi di bassa lega che sfruttano le debolezze degli antagonisti; la seconda è che le pulsioni basse, sensuali, quelle più vicine alla componente animale come la lussuria, inevitabilmente portano alla perdita dell’immortalità, costringendo chi ne è succube a rimanere nel ciclo del Samsara. Ma la più importante, a mio avviso, è che il male non è eterno, che il nettare dell’immortalità lo possiedono solo le forme benevole, Sattviche del Divino, che il male può anche prendere il sopravvento in alcuni periodi, ma è inevitabilmente destinato a soccombere davanti all’immortale, eterno bene.      

Come dicevamo, molte raccolte di storie raccontano all’umanità le gesta dei Deva nella loro interminabile guerra al male. Lo Srimad Bhagavatan narra le gesta di Krishna, dalla nascita all’adolescenza. Il Devi Bhagavatam comprende una serie di narrazioni su come Devi ha salvato, in più occasioni, l’universo dalla tirannia degli Asura, i demoni. Devi è l’aspetto femminile di Ishvara.  Le storie sono tante, ma un po’ si somigliano e hanno dei punti importanti in comune. C’è un Asura, un demone, che aspira a raggiungere l’immortalità, decide quindi di iniziare una rigidissima Tapasyam, un’austerità. Qualcosa di incredibile, come restare su un piede solo per mille anni, senza dormire né mangiare, in costante meditazione, con la mente rivolta esclusivamente a Brahma. Dopo questa lunghissima Tapasyam, il dio Brahma, assai soddisfatto di tanta devozione, chiede all’Asura di esprimere un desiderio. Ovviamente il vero fine di tutto questo sforzo ė quello di ottenere l’immortalità, ma sa bene che è impossibile, allora chiede di poter morire solo in modi particolarissimi, quasi impossibili da realizzarsi. Brahma accondiscende alle sue richieste e l’Asura diventa praticamente invincibile. Subito si scatena il suo attacco, a capo di folte schiere di suoi simili, un vero, numeroso esercito di demoni, contro gli uomini. Conquistato il mondo terreno, porta il suo attacco alle sfere celesti e, dopo averli sconfitti, costringe i Deva, gli splendenti, alla fuga e all’esilio.

Essendo governato dai demoni e non più dagli dei, il mondo diventa un luogo sempre più tetro, sporco e degradato, in cui vive un’umanità impoverita, cupa e materialista. Gli uomini non hanno più né i mezzi né il desiderio di fare offerte agli dei, che di queste offerte si nutrono. Indra, il re dei Deva, al culmine della disperazione davanti a tanto sfacelo, convoca gli altri dei e li porta da Shiva o da Vishnu a seconda della storia. Lì raccolti, tutti tristi e disperati alla vista di come l’intero universo sia stato ridotto dagli Asura, decidono di unire le rispettive Shakti, l’energia divina sotto forma di divinità femminile. Iniziano a proiettarla dall’Ajna Chakra, il terzo occhio. Tutte le Shakti dei vari Deva riunite formano una bellissima, affascinante Devi. Immediatamente la dea manda a dire al re degli Asura che è venuta per porre termine al suo regno di strapotere e di prepotenza. L’Asura nella sua arroganza non se ne dà per inteso, anzi, affascinato dalla bellezza della dea, le propone ripetutamente di diventare sua moglie e quindi la regina dell’universo. Le fa delle profferte sessuali esplicite e volgari, vantando le sue capacità amatorie e, nella cecità della sua presunzione, non riesce a capire come Devi possa rifiutare tutto questo. Infine, dopo che tutti i suoi ambasciatori sono stati uccisi uno dopo l’altro da Devi, lo stesso Asura, al culmine della rabbia, decide di conquistare in un modo o nell’altro quella bellezza di cui si è invaghito follemente. Ne risulta un rapido duello in cui la Devi, utilizzando l’unica arma che l’Asura aveva dimenticato di menzionare nella sua richiesta, lo uccide e libera l’umanità dal suo giogo. 

Di storie di questo genere ce ne sono molte nella tradizione indiana e tutte hanno un’infinità di significati simbolici con funzione di insegnamento spirituale. Forse il più importante è quello che potrebbe essere definito con una semplice formula: ‘Odia il peccato, non il peccatore’. Odia l’energia negativa, demoniaca che si appropria di un essere, non l’essere stesso, che in fondo è la prima vittima di quell’energia nera. Le prime gesta di Krishna ancora bambino narrate nello Srimad Bhagavatan sono l’uccisione di numerosi Asura che attentano alla sua vita. Asura, energie orrende intrappolate in corpi mostruosi e che solo grazie alla misericordia di Krishna trovano finalmente Moksha, la liberazione.

Ma se volessimo, così, quasi per gioco, provare a leggere queste storie in modo un po’ più realistico, ‘storico’ e non ‘mitologico’ o pedagogico, forse non andremmo troppo lontani dal vero. 
Ritorniamo ai grandi cicli cosmici, i quattro Yuga. Dalla notte dei tempi ad oggi sulla Terra si sono avvicendati chissà quanti Mahayuga.  Quindi è molto probabile che sul nostro pianeta si siano già visti tanti, tantissimi Kali Yuga, ere in cui il potere era in qualche modo stato strappato dalle mani degli dei e si era concentrato in quelle ben meno nobili dei demoni, con gli effetti che abbiamo descritto poco sopra. Tutte le Scritture concordano nel definire il passaggio da uno Yuga all’altro segnato da eventi catastrofici, apocalittici. 

E se tutto questo non fosse solo frutto di fantasia, ma un modo diverso, colorito e pittoresco di raccontare eventi del passato? Molti scienziati concordano nel dire che oggi la Terra si stia avviando verso la catastrofe ambientale. Le cause? Disboscamento feroce e sconsiderato; eccessivo uso di alimenti di origine animale e creazione di una popolazione di bestie di allevamento smisurata, una pratica non solo inumana e crudele, ma ecologicamente insostenibile; diffusione dissennata di prodotti industriali inutili e dannosi, il cui bisogno è stato indotto nella popolazione con campagne pubblicitarie martellanti e la cui produzione e, peggio ancora, il cui smaltimento, ha conseguenze disastrose per l’ambiente; la medicalizzazione di qualsiasi aspetto della vita, dalla nascita alla morte, con guadagni enormi da parte di un sempre più esiguo numero di società farmaceutiche; la produzione di semi geneticamente modificati che danno piante sterili, costringendo i contadini a dipendere dalle multinazionali dei semi che impongono il loro monopolio; un numero sempre minore di super ricchi, padroni di banche planetarie che decidono il bello e il cattivo tempo per il resto dell’umanità; inquinamento ormai ben oltre il punto di non ritorno di aria, acque e terra. Il tutto per le politiche economiche e sociali dissennate di un piccolo pugno di uomini potentissimi che decidono tutto, sempre e soltanto per il loro tornaconto, in totale dispregio degli interessi di Madre Natura e delle moltitudini di uomini, animali e piante che in essa vivono e che da essa dipendono. 

Siamo così lontani dalle storie del Devi Bhagavatam? Chissà se la fase storica che stiamo oggi vivendo non sia in realtà niente di nuovo, ma un semplice riproporsi di avvenimenti che si sono ripetuti in forma simile innumerevoli volte, e che gli antichi Rishi indiani già conoscevano e raccontavano? Che gli Asura che noi immaginiamo fisicamente mostruosi non si siano in realtà insediati in corpi dall’aspetto normalissimo, in giacca e cravatta? Come, probabilmente, erano gli stessi Asura della mitologia, esseri dall’aspetto umano, ‘normale’, ma mossi da un’energia nera, Tamasica, nefasta. Capaci di devozione al Divino, capaci di fare austerità spaventose per chiunque, ma con l’occhio sempre rivolto al proprio tornaconto. Esattamente quello che ci insegna la Bhagavad Gita quando Krishna spiega i principi del Karma Yoga: agire è inevitabile e l’azione ci lega al Samsara, ma se rinunciamo ai frutti dell’azione stessa e soprattutto rinunciamo all’idea di essere noi gli esecutori di quella azione, il noi in corpo e mente, l’azione diventa un’offerta a Dio, diventa un agente di liberazione. Portato agli estremi, l’Asura è in ognuno di noi, è quell’energia Tamasica che ci rende schiavi dell’egoismo, dell’avidità e della lussuria, che ci tiene legati ai Chakra bassi, quelli della Prakriti inferiore e ci costringe a rimanere incatenati al Samsara, il ciclo di nascite e morti.

 Non dovremmo mai pensare che le condizioni in cui si vive siano destinate a durare in eterno e che, semmai, possano solo migliorare. La storia ci ha insegnato che molte delle conquiste sociali e civili non sono mai definitive. Si fa presto a tornare indietro. Basti pensare a come è stata resuscitata dopo secoli la schiavitù in Nord e Sud America! Ma soprattutto bisogna pensare che le nefandezze che soffocano l’umanità non sono esclusivamente opera di uomini malvagi e che basta liberarsi di quegli uomini malvagi per liberarsi della loro malvagità. La malvagità è un’energia presente nel mondo, si insedia in vari corpi a seconda del loro Karma individuale e del Karma dell’umanità. Quindi, bisogna replicare all’essenza del Male con l’essenza del Bene, non con forme diverse di male.  

Certo, l’impegno sociale, la lotta alle ingiustizie, alla crudeltà e alla sopraffazione in ogni loro forma, la solidarietà sociale verso chi ne ha bisogno, sono cose altamente meritorie, specialmente se messe in atto con un profondo spirito di altruismo, di devozione e di non attaccamento ai risultati dell’azione stessa, nello spirito del Karma Yoga. Però è importante imparare a non replicare al male usando i suoi stessi strumenti, replicare all'aggressività con l’aggressività, alla forza con la forza, anche perché ci si scontra con chi nell’uso di questi strumenti è maestro.

Ramana Maharshi a un discepolo che gli chiedeva come si può aiutare l'umanità, rispose che il miglior modo per farlo è di realizzare Dio. Perché le anime realizzate emanano una vibrazione di pace e di spiritualità talmente intensa da contrastare l'energia negativa che ci circonda. Impariamo a cambiare noi stessi prima di pensare di poter cambiare il mondo. Gli strumenti ci sono e sono liberamente accessibili a tutti. Le pratiche spirituali, i testi sacri, le discipline dello Yoga e della meditazione. Usarle significa purificarsi ed elevarsi; purificarsi ed elevarsi significa contribuire alla purificazione e all'elevazione di tutta l’umanità, anche in un’epoca nera come il Kali Yuga, anzi, soprattutto in Kali Yuga!

Paolo Quircio
Roma,  30-07-2017
 

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