di Alessandra Moretti
Genericamente si pensa all’educazione come ad un qualcosa da collegare ad un ambito di età ben preciso e delimitato che è quello dell’infanzia e della prima adolescenza, cioè la prima parte della vita dell’uomo.
Si pensa all’educazione come ad un qualcosa che va insegnato, inculcato. Molto più raramente l’educazione assume la dimensione di un processo globale, unitario, che coinvolge dinamicamente tutta la vita dell’essere umano, e che nell’ambito di questo processo non è tanto importante imperare, quanto scoprire, valorizzare, tirare fuori da se stessi, attivare, sintetizzare e sviluppare tutte quelle potenzialità, quelle qualità che l’essere umano ha dentro di sé e che tutta l’Umanità possiede. Queste potenzialità, queste qualità sovente sono incastrate dentro complessi, subpersonalità, parti di noi che non accettiamo. L’autoeducazione permanente, l’impegno a tirare fuori da noi stessi queste parti da sviluppare comporta farsi carico responsabilmente della propria crescita, del proprio sviluppo.
Questo comporta un duro e talvolta doloroso lavoro su di sé che ha come riscontro l’integrazione progressiva della personalità, la trasformazione del caos interno in un’energia equilibrata ed incanalata verso un fine, una motivazione, un senso della vita che va così a diventare sempre più ampio ed assoluto. Il "FARE COSCIENZA", la centratura dell’io che agendo attraverso la volontà guida e coordina questo processo di integrazione, ci permette non solamente di "ESSERE", ma di "ESSERE IN POTENZA" e, non certo senza timori scoprirci particolari ed unici, architetti e creatori del nostro presente e del nostro futuro. Questo significa che ci si può aprire di più alle esperienze, ci si può permettere di vivere e valorizzare tutte le possibilità.
Possiamo con totale accettazione, vivere consapevolmente pensieri e sentimenti, sensazioni ed intuizioni, dare spazio dentro e fuori noi stessi, nelle relazioni interpersonali, nel collettivo, nello spirituale, alla capacità che ha ogni uomo di creare, e quindi, di crescere.
Riguardo alla creatività, uno dei grandi errori nel quale si incorre, è quello di pensare che solo chi dipinge, o suona un pianoforte, o modella una statua sia creativo, oppure che si possa essere creativi solo intraprendendo particolari attività e non altre. Questa concezione rischia di delimitare la creatività entro particolari categorie di persone, mentre tutti possiamo essere creativi, tutti possiamo arrivare ad esprimerci attraverso un atto creativo, dato che la creatività fa parte dell’essenza più profonda dell’uomo. Dare vita dentro di noi al processo creativo e di crescita, riuscire ad esprimerlo all’esterno con un modo nuovo, ma soprattutto nostro, originale, fa si che non ci si accontenti più del soddisfacimento passivo dei bisogni, ma si reimposti tutta la propria vita in una tensione nuova che consenta di autorealizzarsi nel mondo con energia ed efficacia, riuscendo così ad apportare all’Umanità e all’Intelligenza Universale il proprio contributo personale. Una persona creativa è una persona che ha il coraggio di prendersi in mano fino in fondo edi rigenerarsi completamente, che ha il coraggio di dire cose nuove, che ha fiducia in se stessa e nella vita.
Questa è una persona capace di lasciarsi andare, di accettare le esperienze infrangendo a volte gli schemi rigidi e precostituiti che imbrigliano il flusso spontaneo dell’esistenza, che con onestà accede alle parti più inquietanti ed inaccettate di se stessa, le trasforma e le integra creando così una personalità completa e in divenire. Reprimere la creatività, e quindi tutto quello che l’essere umano è in potenza, significa negarsi una completezza un’unicità, significa negare il proprio apporto all’umanità, conoscere frustrazione e rabbia, insoddisfazione ed altri disturbi psichici. Il lavoro educativo consiste anche in questo:
Attivare nell’uomo le risorse creative, scoprire dove e come esse si bloccano o non vengono accettate ed aiutare l’individuo a lasciare che si esprimono. Con l’attivazione delle risorse creative che emergono della messa in opera dell’unità della nostra personalità, tutto il nostro essere ne trarrà beneficio. L’educazione si colloca così al di sopra dell’acquisizione di conoscenze tecniche, ma diviene comprensione sensibile, attenta, completa, dell’intero ciclo della vita, dell’esistenza umana intera.
L’educazione non viene più ad essere così ristretta ad un campo specifico: essa segue l’uomo per tutto lo stupefacente processo dell’esistenza moderna. Essa lo accompagna innanzitutto nel mettere in luce la propria conflittualità e nell’affrontare le proprie crisi: crisi di maturazione, di trasformazione, di crescita. Il termine "crisi" di origine greca significa anche conflitto, separazione, giudizio, decisione, scelta e l’ideogramma cinese per è lo stesso che indica . Il meraviglioso processo della vita umana, fin dalla prenatalità è costellato di momenti "critici", di crescita, di sviluppo.
Basti pensare alla nascita, al primo contatto del neonato con il mondo esterno. A questa prima crisi di adattamento ne seguono altre che segnano la sua progressiva e costante autonomia ed indipendenza.
Ed è in questa prima fase di vita che l’educazione è molto importante perché è qui che viene impostata: i corretti rapporti tra genitore e bambino vanno infatti a formare la base dell’educazione e quindi delle future relazioni che avrà con se stesso, gli altri e il mondo. Ma cosa significa "RAPPORTO CORRETTO"?
Molto spesso scarichiamo sui bambini i nostri complessi, la nostra irritazione, la nostra ostilità. Oppure li sottomettiamo, togliendo loro la possibilità di esprimersi in modo spontaneo.
A volte proiettiamo su di loro le nostre esigenze di perfezione, mete che noi stessi non siamo mai stati capaci di raggiungere, ma che vorremmo che i nostri figli attuassero. Noi li investiamo con le nostre aspettative, le nostre esigenze, sordi a quello che ci trasmettono con la loro unicità, sordi a quelle che sono le loro reali esigenze e i loro veri bisogni.
Stravolgiamo i loro tempi naturali di crescita, i loro ritmi, pretendendo in vari campi, incluso in quello scolastico, prestazioni assurde. avvocati o ingegneri, che fossero più intelligenti di altri, o più prestanti in uno sport. Ci aspettiamo che siano sempre graziosi, accomodanti, gentili quando li portiamo in giro, che non si sporchino, che non dicano quello che pensano, sopprimendo così la loro naturale curiosità e la limpidezza di rapporto che hanno col mondo. Subordiniamo la nostra accettazione e il nostro amore a queste aspettative riuscendo così a stravolgere quella che è l’essenza dell’amore, amore che per essere tale deve essere senza condizioni.
"Un aspettativa impedisce ad un bambino di svilupparsi secondo le leggi interne del suo essere, imponendogli invece di seguire una norma arbitraria imposta dal di fuori. E’ come se noi ci installassimo al centro dei nostri bambini... vivendo la nostra vita attraverso di loro, esauterandoli.
Come ci si sente con un esercito di occupazione dentro di sé? Un bambino che avverte il peso di aspettative altrui deve negare o mascherare i propri impulsi, interessi, valori e pensieri. Non li giudica giusti o belli abbastanza. Vuole piacere, si adopera per essere all’altezza delle aspettative. Non si fida dei propri giudizi. E non sa bene neppure chi è. Quando spingo mio figlio a essere come lo voglio io, gli impedisco di essere ciò che è. Ma lo impedisco anche a me stesso. Perché non vivo più in me, vivo dentro di lui. Ho perduto me stesso. Aspettarmi che lui sia in certo modo produce uno sforzo. Installarmi dentro di lui per dirigere la sua vita mi fa emigrare da me stesso. Così mi alieno dalla mia vita..." (Ferrucci)
Rapporto corretto vuol dire innanzitutto ascolto, ascolto dell’altro, della sua realtà di bimbo, mettendoci in una posizione di ricettività, di apertura, di vero contatto con un mondo così diverso dal nostro ma così spontaneo, limpido e affascinante. L’ascolto crea la vera comprensione e la vera comprensione genera il rispetto e il rispetto passa attraverso il riconoscimento: ti riconosco diverso da me, riconosco la tua realtà di bimbo che è solo tua, originale, riconosco la tua autonomia, le tue qualità, il tuo ritmo e tu non sei riducibile a me, adulto, genitore, educatore.
<"Ti riconosco"> è la condizione perché esistano io, tu e noi...
<"Ti riconosco"> significa che sei differente da me, che non posso identificarti, identificarmi a te, ne controllare il tuo divenire. Io non sarò mai il tuo padrone... <"Ti riconosco"> suppone che io non possa vederti totalmente.
Tu non mi sarai mai completamente visibile, ma, grazie a questo, ti rispetto come differente a me.> (Irigaray)
Ri-conoscerti vuol dire essere disponibile a conoscerti ogni volta nuovamente, libera dall’idea/schema/opinione che ho di te che paralizza e che cristallizza lo scambio tra di noi. Ci vuole molta attenzione, attenzione pura, non inquinata da emozioni forti, che non sia soffocante, che non opprima il bimbo con manifestazioni d’affetto non richieste, che non critichi e non giudichi. Non è neppure attenzione ansiosa che tende a suscitare nel bimbo sentimenti di incapacità ed inadeguatezza.
Quante volte interveniamo nei processi cognitivi e di scoperta del mondo dei bambini interrompendoli, dando spiegazioni anticipate rispetto ai loro tempi, facendo "premurosamente" noi qualcosa che loro stanno imparando a fare. L’attenzione vera, pura non invade: c’è e basta.
Consapevolmente presenti, attenti a cosa vogliono veramente i nostri bambini che con il loro modo di essere, le loro richieste ci richiamano continuamente al presente al qui ed ora, all’unico posto dove dovremmo totalmente essere. Rapporti corretti vuol dire lasciare a loro lo spazio necessario perché possano sviluppare il loro progetto originario, quel disegno intrinseco che ognuno porta dentro di sé. Lasciare e proteggere questo spazio, terreno sul quale il bimbo potrà crescere è compito di ognuno di noi.
Lasciare inviolato questo spazio richiede fiducia nel potenziale del bambino, nelle sue capacità e qualità che vanno stimolate positivamente, nella piena visione della sua integrità fisica, psichica, ma soprattutto spirituale. Per fare questo ci vuole intuizione e plasticità.
L’educazione, scriveva Assagioli, è un arte che non ha metodi e schemi fissi e rigidi: i vari metodi ed atteggiamenti vanno variati e dosati tenendo conto della diversità dei caratteri, delle tipologie dei bambini e delle situazioni che possono presentarsi. Questo ci lascia liberi, liberi come genitori, educatori, di cogliere nell’interezza del processo di crescita dei nostri bambini, tutte le novità, i cambiamenti, che rendono unico questo processo, liberi di adattarci ad esso, facilitarlo e coglierne con apertura totale tutte le straordinarie sfaccettature.
E liberi saranno pure i nostri bambini.
Liberi innanzitutto di scegliere facendo esperienze direttamente nel mondo circostante.
Quando sono liberi dall’intervento e dalle restrizioni che impongono loro adulti pieni di buone intenzioni, anziché manifestare l’anarchia che tutti si aspetterebbero, essi danno prova di un comportamento che sembra uniformarsi a una legge e si potrebbe definire divina.
Ogni avidità, ogni insistenza di possesso scompaiono allorchè si favorisce la libera scelta... Un comportamento del genere non potrebbe essere insegnato a bambini così piccoli. D’altra parte, se non si manifesta, ciò significa che queste qualità, comunque inerenti alla natura umana, non hanno potuto svilupparsi proprio a causa della mancanza di libertà.>
(Montessori)
L’opportunità di scegliere conduce alla dignità dell’essere umano. La libertà non può essere concessa o donata: fa parte della natura umana e deve essere coltivata come un elemento fondamentale del carattere.
processo evolutivo e del nostro processo di crescita, vuol dire, confrontando con la realtà del bambino, disattivare ogni resistenza, uscire dall’isolamento che ci costringe in schemi preordinati, dove i nostri bisogni, i nostri desideri prevalgono e condizionano tutto il nostro agire cristallizzandolo, invece di favorire la nostra immissione nel flusso dinamico, creativo, trasformatore dell’esistenza.
Rapporti corretti, vuol dire limpidezza e coerenza.
I bimbi avvertono le nostre emozioni e i nostri stati d’animo in modo diretto e sensibile. Non hanno i meccanismi di difesa e i filtri che abbiamo noi adulti e noi, attraverso gesti e stati d’animo comunichiamo le nostre istanze intime più segrete.
Quello che proviamo intimamente viene captato dal bambino in modo diretto, mentre quello che spesso gli comunichiamo verbalmente contrasta con i nostri reali sentimenti. Il bambino coglie questa incoerenza e deve farci i conti:
"perché mi viene detta una cosa ed io ne sento un’altra? Devo fidarmi di quello che mi viene detto o di quello che io sento? Se mi fido di quello che mi viene detto non posso più fidarmi del mio sentire, e se credo nel mio sentire devo diffidare dell’adulto..." Questo nostro duplice atteggiamento crea nel bimbo una spaccatura interna già nella prima infanzia. Esigiamo da loro qualità e comportamenti che noi stessi non abbiamo e che non attiviamo davanti a loro.
Dobbiamo quindi esigere molto più da noi che da loro. Autoeducarci prima di educare. E qui torniamo al punto di partenza. A quella creazione attiva e partecipe di noi stessi che passa attraverso la sintesi dei nostri conflitti interni e va verso l’armonia. Risolvere i nostri conflitti interni vuol dire creare una coerenza, un’integrazione personale che rifletteremo in ogni rapporto, in ogni situazione, generando così un clima di cooperazione e armonia nei rapporti famigliari, interindividuali, sociali e collettivi.
Una corretta educazione nell’infanzia favorisce lo sviluppo armonico della propria personalità eliminando il duro e faticoso lavoro di integrazione che spesso da adulti si deve affrontare per supplire alle carenze di una scorretta educazione o di un’educazione che non si è mai ricevuta
Atti del convegno di Psicosintesi educativa 1997
Libri di Roberto Assagioli e sulla Psicosintesi