FELICITA' E INFELICITA'
di Maurizio Di Gregorio
Conoscete quegli inserti illustrati che accompagnano in alcuni giorni alcuni quotidiani nazionali? Un chilo di carta per centinaia di pagine zeppe di pubblicità, intercalate da articoli brevi che vogliono ricordarci che si tratta di una rivista e decorati con mille notiziole per illudere di informarci. Per stampare ognuno di questi pesanti inserti pubblicitari occorre abbattere, ad ogni uscita, un piccolo bosco. Un senso comune di responsabilità ecologica ci dice che rappresentano uno spreco inaudito eppure anche gli sprechi possono talvolta essere utili.
Kirkegaard era solito ricordare che tutta la verità può essere scritta su una scatola di fiammiferi e l’uomo moderno che possiede una verità ancora più piccola di quella che Kirkegaard scriveva, stampa montagne di carta con montagne di informazioni che il più delle volte sono solo deformazioni e malformazioni, eppure qualche volta, miracolosamente nel cuore della pubblicità stampata potete leggere parole che portano trasformazioni. Ecco cosa c’era scritto nell’ultima pagina in un articolo dal titolo “L’universo e il diverso”.
Uno sciamano guarani diceva alla sua gente che vagabondava infelice nella foresta alla ricerca della “Terra senza il male dove mai sarà ospitato un dio che sia solamente un dio, né un uomo che sia solamente un uomo, perché nulla di di ciò che esiste può essere detto secondo l’Uno”:
“le cose nella loro totalità sono una, e per noi che non abbiamo desiderato questo, sono cattive.”
“Noi che sappiamo ingannevole il nostro linguaggio, che non abbiamo risparmiato sforzi per raggiungere la patria del vero linguaggio, la dimora degli dei, la terra senza il male, dove nulla di ciò che esiste può essere detto secondo l’Uno”.
“Io Tupan, signore della grandine, della pioggia e dei venti vi do questi consigli. Se una di queste sentenze rimane nelle vostre orecchie conoscerete le mie tracce. Soltanto così raggiungerete la meta che vi fu indicata. Coloro che noi mandiamo sulla terra imperfetta li facciamo prosperare: troveranno le loro future spose e avranno dei figli affinchè possano conquistare le parole che sorgono da noi. Se non le conquisteranno non avranno alcun bene. Io me ne vado lontano, non mi vedrete mai più. Ma non perdete i molti nomi.”
“Per loro il male era l’applicazione rigorosa del principio di identità, poiché nominare l’identità delle cose, onde poterle raccogliere nell’unità del genere, e i generi nell’universo dell’Uno, significa designare il mondo determinandone gli esseri: questo è quello e non un'altra cosa. Significa irridere la vera potenza segreta che silenziosa circola tra le cose per cui: questo è nello stesso tempo quello, gli uomini sono nello stesso tempo dei.”(1).
Quanto ora ne segue è un atto di riciclaggio spirituale.
Uno dei grandi valori declamati ma non realizzati pienamente dell’Occidente è la Tolleranza. Le regole delle democrazie liberali sono improntate al riconoscimento ed allo sviluppo della Tolleranza. Essa segna, nel vivere comune, la fine delle nostre identità e certezze e l’inizio del riconoscimento delle altrui.
Ciò provoca comunque facilmente un senso di disagio che permane sia nell’esercizio della tolleranza che nella difficoltà di praticarla. La Tolleranza è una virtù sempre insidiata, il suo motore segreto è l’amore in un mondo dove l’intolleranza si rivela come incapacità e impossibilità di amare.
L’identità – che si sente minacciata – di un individuo, di una idea o di una intera cultura sperimenta nella negazione dell’altro la riaffermazione di se stesso, delle propria identità e valori.
Il fondamento dell’atto è lo stesso nell’europeo che vuole cacciare l’extracomunitario e nell’integralista che vuole cacciare l’europeo. Così è possibile vedere come i diversi siano simili ma occorrerebbe vedere anche per quale malefica trappola i diversi vengano trasformati in avversi e non colgano ciò che li unisce e li rende simili e universali.
Questo avviene per una concatenazione di atti come la strumentalizzazione politica od economica dell’insicurezza ma ha le radici in una dimensione psicologica primaria e più esattamente nell’atto razionale di fissazione della nostra identità: io sono questo e questo sono io. E’ l’autodefinizione dell’Ego a rappresentare se stesso: a chiamarsi , a definirsi, e in ciò facendo a separarsi da ciò che non è se stesso, gli altri e il mondo: un complesso di pensieri che si pensano un Io, per giunta ogni giorno un Io diverso. E’ l’ateo interiore: non riconoscerai altro io fuori di te. E’ il potere dell’essere di riflettere se stesso, anzi il potere in se stesso di permanere in quanto tale: la dispiegata stasi dell’essere che può. E’ un potere dimentico di ciò che lo ha reso tale, la capacità fondamentale del divenire,l’infinita estasi dell’essere che diviene: il processo per cui si diventa ciò che si è, l’amore che si contiene in quanto tali.
Per lo stesso tipo di causa si fa così fatica a riconoscere il potere dell’amore e si vive in una riflessione identitaria che si tradisce e si traduce come amore per il potere, un potere che poi non basterà mai a se stesso e che ne richiederà infinito altro a conferma di sé, una fame di amore figlia della negazione d’amare che mai potrà essere soddisfatta.
Simmetricamente invece il potere dell’amore basterà sempre a se stesso e per tutti gli altri. Solo il potere dell’amore guarisce l’amore del potere.
Il capitalista sfrenato, il religioso dogmatico, il rivoluzionario fanatico, il ricercatore ambizioso e l’uomo moderno in genere condividono inconsapevoli la stessa segreta occupazione: la incessante ricerca di poter essere qualcosa -un essere come un avere - come se dietro la cosa si nascondesse un vuoto, una insicurezza di fondo, un dubbio fondamentale: la quasi certezza del contrario, di non essere.
La transitoria certezza dell’essere si erge contro l’assoluta incertezza del non essere, una forza vitale che infine è smentita dal suo opposto: la forza della trasformazione e della morte.
Oltre a ciò che siamo in qualsiasi momento e in qualsiasi modo vi è quello che ci ha reso tali e ciò che saremo al di là dei nostri piani e volontà. Noi veniamo da altro, saremo altro e questo perché siamo anche Altro.
Siamo insieme noi stessi e continuamente altro da noi stessi. Il potere dell’amore è la trasformazione che sviluppa le nostre vite e la perversione è nel non riconoscere la camera di stelle in cui esistiamo. Se il nostro ego si alimenta di una razionalità dimentica del cuore, nasce il principio dell’infelicità, smarriamo la direzione e perdiamo il senso di ciò che siamo e possiamo essere, il verso, il luogo dove siamo diretti.
La reale tolleranza risponde alle necessità del cuore, è la convivenza dei diversi, non si arresta alla formale accettazione, si concretizza in riconoscimento e si risolve in integrazione.
L’identità naturale nasce in noi e si sviluppa nell’altro, così come nel processo conoscitivo di sé e del mondo si passa dall’ateo interiore al teista all’agnostico e alla gnosi.
Ateo: non riconoscerai altro io al di fuori di me
Teista: non riconoscerai altro Dio che fuori di te
Agnostico: non riconoscerai che ciò che ti si rivela
Gnostico: non avrai altro che Dio
Il rapporto con gli altri è simultaneamente il rapporto con l’Altro. Rivela l’articolazione del nostro essere: dell’io che rifugge,dell’io che si trattiene, dell’io che sperimenta e dell’io che si abbandona.
Se è così la vita è l’incontro con il diverso e la conoscenza è il processo amoroso col quale la nostra anima accetta il divino e col quale esso ci seduce.
La saggezza orientale lo spiega bene So Hum, Tu sei quindi Io sono. Namastè, Io riconosco il Dio che è in te, sino a Tat Twam Asi, Quello sei Tu.
Universo Diverso Avverso e Perverso, sono le quattro prove delle nostre vite di cui al massimo possiamo conoscere le relazioni ma non le destinazioni.
Ogni identità è arbitraria ed anche ogni definizione di verità è una appropriazione indebita di potere. Non vi è alcuna verità in alcun nome che possa appartenere esclusivamente a qualsiasi uomo. Le parole, le identità e le visioni vengono date come veicoli per raggiungere gli dei, sono doni, occasioni di vita e strumenti di verità. C’è un mondo per ogni nome e per tutti i nomi ci sono tutti i mondi.
Superare la perversione della separazione e l’illusione dell’avversità ci permetterà di riconoscerci nell’altro e di vivere pienamente la vita in tutte le sue diverse età, la sua diversità, poiché tutti i diversi che esistono per essere tali, dentro e fuori di noi, nuotano ugualmente e seguono la medesima corrente nell’ uni-verso.
Vivere pienamente ciò che si è ed insieme aprirsi al cambiamento, essere reverenti al mistero della vita senza capirlo sono la vera saggezza.
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