BRAHMASUTRA IL COMMENTO DI SANKARA
Il Brahmasutra con il Commento di Sankara (brahmasutrasankarabhasyam)
Capitolo Primo
«Concordanza [dei Testi attraverso la giusta interpretazione]» (samanvayah)
Introduzione di Sankara
Poiché è una perfetta evidenza che nessuna reciproca identità può logicamente essere stabilita tra l’oggetto e il soggetto [della conoscenza], i quali sono espressi dai concetti di “tu” e “io” rispettivamente e sono per natura antitetici come l’oscurità e la luce, segue che tantomeno una tale reciproca identità può essere posta, secondo logica, tra le loro rispettive proprietà. Di conseguenza, sia la sovrapposizione dell’oggetto con le sue proprietà, il quale [è non-consapevole ed] è espresso dal concetto “tu”, al soggetto che, viceversa, la sovrapposizione del soggetto con le sue proprietà, il quale è di per sé consapevole ed è espresso dal concetto “io”, all’oggetto, entrambe risultano essere affatto erronee.
Ciò nonostante, a causa dell’assenza di reciproca discriminazione e avendo altresì mutuamente sovrapposto la loro intrinseca natura e le loro rispettive proprietà, avendo cioè scambiato colui al quale gli attributi appartengono [in quanto oggetto] con gli attributi stessi [e viceversa], i quali ne sono assolutamente differenti, quindi avendo confuso il reale con il non-reale, persiste come naturale l’ordinario atteggiamento empirico esprimentesi nelle forme: “io sono questo”, oppure: “questo è mio”, il quale è dovuto a una erronea conoscenza.
Se si domanda: che cosa s’intende definire con il termine “sovrapposizione” (adhyasa)? La risposta è: essa consiste in un’apparenza, avente natura di rappresentazione mentale, la quale si manifesta, come effetto di esperienza precedente, ponendosi sopra un sostrato di differente natura. Riguardo a ciò alcuni affermano che essa consiste nell’applicazione a un dato oggetto delle proprietà appartenenti a un altro oggetto; altri, invece, asseriscono che, dovunque si verifica la sovrapposizione [di qualche attributo] su qualcosa, là si commette l’errore [conoscitivo] derivante dalla mancata comprensione della distinzione tra questi [oggetti, attributi, ecc.]; altri ancora sostengono che la sovrapposizione su qualcosa consiste nell’applicazione [a un medesimo oggetto] di attributi di opposta natura.
Tuttavia, comunque si consideri, non c’è differenza [per quanto concerne la sovrapposizione, sia che essa riguardi gli oggetti di conoscenza, i loro attributi, le loro proprietà, ecc.], in quanto essa consiste essenzialmente nel far apparire un dato oggetto come qualcosa d’altro o dotato di differenti proprietà; e questo [processo della sovrapposizione] è così naturale che, normalmente, anche [un fenomeno come] l’impressione della madreperla che assume la parvenza di argento o la percezione dell’immagine della luna che, pur singola, appare doppia, è comune esperienza.
Obiezione: Come può verificarsi la sovrapposizione di qualche oggetto e delle sue proprietà [dei suoi attributi, ecc.] sull’intimo Sé, se Esso non costituisce un oggetto di conoscenza? Da tale [definizione della sovrapposizione come è stata appena esposta] si conclude che ognuno sovrappone un oggetto [o attributo, ecc.] su un altro oggetto [o attributo, ecc.], diverso [per natura, proprietà, qualità, ecc.], a condizione, però, che quest’ultimo sia direttamente percepito [in quanto oggetto]; invece, Voi qui affermate che l’intimo Sé non possiede natura og¬gettiva, per cui [non essendo percepito] non può neanche es¬sere assimilato al contenuto del concetto espresso dal termine “tu”. Risposta: Si dice: Esso [il Sé] non è affatto un ente sconosciuto o al di là della conoscenza perché, pur non essendo un oggetto di conoscenza, l’intimo Sé è perfettamente appreso come il contenuto coscienziale del concetto “Io” ed è quindi comunemente riconosciuto come un’entità conoscibile in maniera immediata [essendo la natura del soggetto].
Inoltre non vi è alcuna regola per la quale un oggetto di conoscenza di una data natura debba essere sovrapposto soltanto a un altro oggetto di conoscenza di diversa natura il quale sia direttamente percepito: infatti i bambini sovrappongono l’idea di una superficie, o dell’impurità, ecc. al cielo il quale non è oggetto di percezione sensoriale.
Pertanto anche la [definizione della] sovrapposizione di ciò che non è il Sé all’intimo Sé non presenta alcuna contraddittorietà. I dotti conoscono la sovrapposizione, che è stata così definita, come “ignoranza” (avidya), mentre l’affermazione dell’autentica natura della Realtà, la quale segue alla discriminazione da quella, essi la chiamano “conoscenza” (vidya). In tal caso, quando si verifica la sovrapposizione di una cosa sull’altra, il Sé non viene in alcun modo affetto dalle qualità positive o negative di ciò che gli è stato sovrapposto.
Tutti i mezzi e gli oggetti di conoscenza di ordine relativo, le modalità di condotta sacre e profane e, altresì, tutte le Scritture che trattano delle prescrizioni e delle proibizioni e della stessa liberazione debbono la loro ragion d’essere a questa reciproca sovrapposizione del Sé e del non-Sé la quale è conosciuta come ignoranza.
Obiezione: Come possono, ancora, mezzi di conoscenza ritenuti validi, come la percezione sensoriale o le stesse Scritture, fondarsi su colui che è soggetto all’ignoranza?
Risposta: Si dice: chiunque sia perfettamente libero da ogni identificazione con i contenuti dei concetti di “io” e di “mio”, ad esempio in relazione al corpo, ai sensi, ecc. [come accade nel sonno profondo], ebbene costui non può assumere la condizione di conoscitore poiché non può verificarsi in lui la funzione degli strumenti di conoscenza. Infatti la funzione svolta dalla percezione sensoriale e dagli altri mezzi di conoscenza non può manifestarsi a prescindere dai sensi; né, d’altra parte, può aversi una qualunque attività per i sensi in assenza di un supporto: nessuno s’impegna in qualche attività con il proprio corpo senza prima aver sovrapposto ad esso la nozione di sé.
Dunque, il Sé assoluto non può divenire conoscitore [duale e relativo] se non a condizione che siano verificate tutte queste [sovrapposizioni reciproche del Sé, del corpo e dei loro attributi gli uni sugli altri]; né, ancora, i mezzi di conoscenza potrebbero svolgere [autonomamente] alcun ruolo in mancanza della facoltà di conoscere [prescindendo cioè dalla coscienza, la quale appartiene al Sé].
Perciò tutti i mezzi di conoscenza ritenuti validi, a cominciare dalla percezione sensoriale per finire con le stesse Scritture, debbono necessariamente avere come loro sostrato colui che è soggetto all’ignoranza, dal momento che non c’è differenza [nella condotta empirica, con riguardo all’uomo] o agli altri esseri come gli animali, ecc.
Perciò, come gli animali, ecc. fuggono determinati suoni o altro, dopo che il loro udito è venuto in contatto con tali o altri oggetti, quando questi si rivelano sfavorevoli, mentre si avvicinano quando sono ritenuti favorevoli, e proprio come, allorché vedono un uomo avvicinarsi loro impugnando un bastone, essi fuggono pensando: “costui vuole farci del male”, mentre si avvicinano a un’altra persona che porge loro le mani piene di erba fresca, similmente anche gli uomini vengono respinti dalla presenza di individui dal temperamento irrequieto e violento che brandiscono armi mentre sono attratti da coloro che mostrano un’indole opposta.
Pertanto la condotta degli esseri umani relativamente agli strumenti e agli oggetti di conoscenza è del tutto analoga a quella degli animali; inoltre è comune constatazione che gli animali impiegano i loro strumenti di conoscenza, come la percezione sensoriale e gli altri, senza operare alcuna discriminazione [tra il corpo e il Sé]. Così, dall’evidenza di questa similitudine deve trarsi la conclusione che, per quanto riguarda la condotta empirica, l’attività in rapporto ai mezzi di percezione, ecc. an¬che da parte degli esseri umani profondamente istruiti è identica [a quella degli animali, derivando entrambe dalla sovrapposizione].
Di conseguenza, anche qualora si agisca sotto il dominio dell’intelligenza, non per questo si acquisisce la conoscenza delle Scritture, a meno che non si possegga la chiara cognizione del legame esistente tra la propria anima e la condizione di esistenza che si sperimenterà in avvenire. Oltre a questo, nessuna conoscenza delle Scritture è richiesta per [acquisire] una specifica competenza riguardo a questo scopo, cioè al fine di svelare la Realtà che è il Sé – il quale è al di là delle condizioni contingenti come la fame e la sete, ecc., è affatto differente dalle distinzioni come quelle tra le caste dei brahmana, degli ksatriya e degli altri ordini e non è soggetto al divenire trasmigratorio – dal momento che [nelle Scritture] non viene menzionato alcun vantaggio, né viene espressa alcuna indicazione contraria, in merito a tale qualificazione.
Così, da parte loro, anche le Scritture, le quali svolgono un’effettiva funzione operativa prima dell’insorgere della conoscenza del Sé, non possono oltrepassare i propri limiti per quelle persone che ancora brancolano nell’ignoranza. Per meglio illustrare questo fatto, si può dire quanto segue. Talune ingiunzioni scritturali come: “Un brahmana dovrebbe celebrare il sacrificio” divengono pienamente effettive soltanto presupponendo varie specie di sovrapposizione – vale a dire le nozioni di casta, stadio di vita, età, condizione contingente e così via – al Sé, mentre noi, nello stesso tempo, affermiamo che la sovrapposizione comporta la conoscenza di qualcosa come qualcosa d’altro.
Conformemente a ciò, come, con riguardo alla propria moglie o ai propri figli, quando avviene che essi godano ottima salute oppure soffrano per un danno subìto dal loro corpo, si pensa rispettivamente: “sto bene [per loro]”, oppure: “sto soffrendo [per loro]”, vengono in questo modo sovrapposte al Sé qualità esteriori [pertinenti al corpo]; nello stesso modo [vengono sovrapposte al Sé] caratteristiche appartenenti al corpo quando si afferma: “sono grasso”, “sono bello”, “sono pallido”, oppure: “ora sto qui”, “sto andando” o “sto salendo”; similmente [si sovrappongono al Sé] gli attributi dei sensi e degli organi quando si pensa: “ho perduto un orecchio”, “sono un eunuco”, “sono sordo” o “sono cieco”.
Ancora, in questo stesso modo, [si sovrappongono al Sé] qualità proprie della mente quali il desi-derio, la ferma convinzione, il dubbio, la concentrazione su un dato oggetto e così via [quando si dice: “voglio questo”, “sono convinto di ciò”, “ho dei dubbi”, “medito su quello”, ecc.]. Così, avendo sovrapposto la nozione dell’io all’intimo Sé, il quale è il testimone di tutte le possibilità di movimento proiettivo mentale, si sovrappone, attraverso un processo opposto, l’intimo Sé, che è il testimone di tutto, alla mente e agli altri enti. È dunque in questo modo che avviene la sovrapposizione, la quale non possiede né un inizio né una fine e appare del tutto spontanea e naturale; essa ha la natura di un’immagine mentale illusoria, è la causa del manifestarsi delle funzioni di agente e di fruitore ed è sperimentata da tutti gli esseri indistintamente come la stessa percezione dell’intero universo. Allo scopo di rimuovere questa [sovrapposizione], la quale è causa di sofferenza, tutte le Upanishad concordano nell’indirizzarci verso la realizzazione della conoscenza dell’unità assoluta del Sé [e quindi dell’inesistenza di enti quali l’io, il corpo, le sue qualità, ecc.].
Noi mostreremo, in questa investigazione condotta sulla natura del Sé incarnato, che tale è lo scopo di tutte le Upanisad.
estratto da Brahamasutra Il commento di Sankara edizioni Ashram Vidya vai al libro
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