IL GENERE E IL SESSO: UNA CRITICA STORICA ALL'UGUAGLIANZA
di Greennotgreed
Saggio prezioso, questo di Ivan Illich, ormai introvabile da tempo in libreria ma rintracciabile in biblioteca, scomparso dai cataloghi, è mia personale opinione, perché politicamente troppo scorretto.
Tesi centrale è che il sessismo delle società moderne è altra cosa dalla codificazione culturale della differenza sessuale. Non è da essa che è generato ma, all’opposto, dal suo misconoscimento.
Il genere, che l’autore chiama vernacolare, delimita gli spazi culturali e concreti degli uomini e delle donne, non identici in tutti i luoghi, ma chiaramente identificabili. Uomini e donne, rispettando quelli altrui, sono sovrani entri i propri “domini”, che peraltro sono complementari, nel senso dell’apporto di ciascuno all’economia di sussistenza della comunità e della complessiva dipendenza dell’uno dall’altro. Allo stesso modo, indipendentemente dal maggior “potere” e dalla maggiore “dignità loro attribuite, la mano destra e la sinistra sono entrambe necessarie per la sopravvivenza di una persona, ed agiscono insieme secondo due programmi che “non sono mai immagini speculari l’uno dell’altro”.
“Essere ben inserito significa sapere cosa si addice alle nostre donne e cosa ai nostri uomini”, scrive.
Nelle società preindustriali, seppure con diversi passaggi storici di cambiamento, questa diversità ed insieme complementarietà dei generi maschile e femminile si esprimeva in linguaggi diversi, nell’uso di utensili diversi adatti al genere che li usava, in tempi e ritmi di vita e di lavoro diversi ma sincronizzati, e perfino in luoghi fisici che delimitavano gli spazi maschili, quelli femminili e quelli comuni. Il sapere di genere era qualcosa che veniva insegnato a bambini e bambine dagli uomini e dalle donne adulti.
“Quando fin dall’infanzia, uomini e donne cominciano a comprendere il mondo secondo due modi complementari, essi elaborano due modelli differenti di concettualizzazione dell’universo. Un modo di percezione legato al genere corrisponde all’insieme degli utensili e dei compiti propri di ogni genere. Non solo si vedono le cose con differenti sfumature, ma si impara sin dall’inizio che ogni cosa ha sempre un altro aspetto. E ci sono cose che sono sempre alla portata di un ragazzo, ma-quasi sempre- non di una ragazza”.
In questo contesto non c’era spazio per l’invidia e la concorrenza fra uomini e donne, ed anche l’attraversamento dei confini, la trasgressione, quando non obbligata da circostanze contingenti, era ritualizzata dalla comunità con il preciso scopo di schernire, e quindi frenare, il predominio relativo di uno dei due generi. Così accadeva quando, ogni tanto, le donne erano pubblicamente e festosamente poste al vertice. Un modo di ridicolizzare gli uomini senza insidiare realmente la loro egemonia. O all’opposto quando, in un villaggio messicano ossessionato dalla paura delle streghe, erano gli uomini, vestiti da megere per esorgizzarne la potenza, ad inseguire i ragazzi preadolescenti truccati da coyote.
Per Illich la scomparsa del “genere vernacolare” è “la condizione decisiva dell’ascesa del capitalismo e di un modo di vivere che dipende da merci prodotte industrialmente.”
“Una società industriale non può esistere se non impone certi presupposti unisex: il presupposto che entrambi i sessi siano fatti per lo stesso lavoro, percepiscano la stessa realtà e abbiano, a parte qualche trascurabile variante esteriore, gli stessi bisogni. Ed anche il presupposto della scarsità, fondamentale in economia, è logicamente basato su questo postulato unisex. Sarebbe impossibile una concorrenza per il lavoro fra uomini e donne, se del lavoro non fosse stata data la nuova definizione di attività che si confà a tutti gli umani, indipendentemente dal loro sesso. Il soggetto su cui si basa la teoria economica è proprio questo essere umano neutro.”
Il “neutrum oeconomicum” è dunque il nuovo soggetto umano (maschile o femminile) costretto, senza differenze, a produrre e a consumare merci neutre, istituzionalmente scarse, egualmente desiderabili o necessarie per esseri neutri in competizione appartenenti a due sessi biologici.
Scuola, famiglia, sindacato, tribunale incorporano il postulato unisex che è diventato l’elemento costitutivo della società.
E’ solo nella società industriale moderna, in cui appare per la prima volta la figura dell’ homo aeconomicus che agisce in funzione della produzione universale di merci in regime di scarsità, che può strutturarsi la discriminazione sessuale, che, sostiene Illich, colpisce invariabilmente le donne.
In questo senso il moderno sessismo è un fenomeno del tutto diverso dal Patriarcato vigente nel mondo del genere vernacolare e definito da Illich come “uno squilibrio dei poteri in una situazione di complementarietà asimmetrica dei generi”. Il potere femminile reale, che si esercitava per lo più all’ombra delle mura domestiche, era in realtà maggiore di quanto non appaia nella storia ufficiale, che guarda di preferenza agli accadimenti pubblici in cui erano indubbiamente sovrani i maschi.
Al contrario, per Illich le donne sarebbero sempre destinate a soccombere nella competizione fra i sessi, destinate ad essere sottopagate o a accollarsi il peso del “lavoro ombra” (quello domestico) non pagato e non riconosciuto socialmente, eppure fondamentale per trasformare le merci in beni utilizzabili, ossia per aggiungere valore ad esse senza retribuzione.
“ Il sistema industriale si basa sulla premessa che per una crescente maggioranza dei membri della società i bisogni fondamentali devono essere soddisfatti mediante il consumo di una serie di beni. Di conseguenza la fatica legata al consumo di queste merci è antropologicamente più importante di quella legata alla loro produzione”.
Per Illich ogni sforzo che abbia come obbiettivo un’economia non sessista è destinato ad essere sconfitto e vani si rivelano tutti i tentativi in questo senso, promossi dai movimenti progressisti o dai gruppi femministi, che, al massimo hanno ottenuto l’eguaglianza per alcune limitate elites. Su questa parte si possono fare alcune osservazioni critiche.
La prima è che, rinunciando per sua stessa esplicita ammissione, prima ad a indagare sui motivi per i quali la società del genere vernacolare distribuisce i poteri asimmetricamente, e poi a spiegare il perché l’attuale società pone al vertice gli uomini, si priva della possibilità di comprendere , e non solo di descrivere, alcuni importanti aspetti della realtà. Cosa assai importante in prospettiva, anche perché se alla base delle società industriali c’è un soggetto neutro, indifferentemente maschio o femmina, la discriminazione sessuale è teoricamente possibile in tutte le direzioni. Saranno allora alcune condizioni storiche a determinare il tipo di sessismo in atto. Nulla esclude che mutando esse, possa mutare anche il segno del sessismo.
Se ad esempio il progresso tecnologico rende progressivamente certi lavori più adatti alle qualità femminili, o se il mutare del modo di vivere aumenta l’importanza di professioni a cui le donne si dedicano più volentieri dei maschi, o ancora se il mutato clima culturale tende ad enfatizzare maggiormente le caratteristiche femminili rispetto a quelle maschili, si può pensare ad un sessismo rovesciato. E’ quello che secondo noi sta accadendo in Occidente. Illich scriveva oltre vent’anni fa, all’apice degli studi femministi, ma in qualche modo era consapevole di questa possibilità, come dimostrano alcuni accenni, quando parla del sessismo rovesciato di alcuni settori del femminismo Usa.
“ Recentemente le ricercatrici donne hanno fornito una descrizione sessista complementare, uno specchio femmino-sessista. . . . . .Il loro interesse si è soprattutto rivolto al modo in cui le donne maneggiano i simboli e le leve del potere.. . . . . In fin dei conti dominazione e dipendenza sono conseguenze del passaggio dei poteri; comportano una competizione per valori o posizioni neutre. E quando si ritengono questi valori scarsi e parimente desiderabili per gli uomini e per le donne, è inevitabile studiare la lotta per conquistarli in una prospettiva sessista”.
Ci sembra anche, che, nella sua analisi della discriminazione sessuale e del potere ad essa connesso, abbia trascurato un fattore importante. Se è vero che nella società moderna la funzione del consumo ha assunto sempre maggiore importanza fino a superare quella della produzione, ne discende che le decisioni in merito ai consumi incorporano un grande potere. Ora, a tanta distanza dall’epoca in cui Illich scriveva, siamo dotati di statistiche che dimostrano come il potere decisionale femminile in fatto di consumi è superiore a quello maschile.
C’è una frattura tra il fatto di essere l’unico percettore di salario in famiglia, o comunque di godere di maggior reddito, ed il potere di spenderlo. La pubblicità, sempre più indirizzata verso le donne anche in campi ritenuti tradizionalmente maschili come ad esempio l’acquisto dell’auto, ne è prova. Anche la legislazione può contribuire ad indirizzare il fenomeno verso una sponda voluta . Statistiche Usa coeve a quelle cui si riferisce l’autore dimostrano ad esempio che se il reddito lordo dei capofamiglia maschi è sempre superiore a quello delle donne, le cose si rovesciano quando si considera il reddito al netto degli oneri di mantenimento che la legge impone al maschio. Le donne capofamiglia dispongono allora di un reddito assai più alto, e tanto sono depositarie del potere decisionale sui consumi che nei grandi magazzini Usa lo spazio riservato ai prodotti per donne è sei volte quello dei prodotti per gli uomini.
Non solo, anche per la questione dei minori salari femminili, è da osservare che tutte le professioni più pericolose, quindi più pagate perché meno appetibili, sono appannaggio maschile. L’inverso in quelle più tranquille. In realtà fra due ingegneri all’inizio di carriera, la donna percepirebbe un salario leggermente superiore a quello dell’uomo. [dati statistici tratti dal volume di Farrel- Il mito del potere maschile]. La questione del sessismo andrebbe quindi riletta con un’ottica più ampia di quella dell’autore.
Detto ciò rimane valida secondo noi la intuizione fondamentale di Illich. Le società tradizionali assicurando la certezza dell’identità di genere ed i rispettivi luoghi psichici e fisici, favorivano il rispetto fra uomini e donne e la non ingerenza reciproca. In definitiva favorivano l’incontro non conflittuale fra i generi. Illich porta un esempio illuminante delle conseguenze del passaggio da una economia di sussistenza fondata sul genere, a quella industriale fondata sul lavoro neutro.
Tra il 1800 e il 1850, nel Wurttemberg si registrò un numero molto alto di richieste di divorzio. Era accaduto che, a causa della costruzione di una ferrovia, i contratti di locazione delle terre dovettero essere modificati e le famiglie furono costrette a passare da una gestione dell’agricoltura per usi familiari alla produzione su larga scala di colture fruttifere vendibili. Ciò che prima era assicurato con la produzione dell’orto domestico doveva essere ora acquistato e le donne dovettero unirsi agli uomini in un “lavoro da uomini”. Il risultato fu che le donne iniziarono a lamentarsi perché gli uomini le comandavano sul lavoro, cosa fino ad allora inconcepibile pur in una situazione in cui il lavoro femminile definito dal genere poteva sembrare subordinato a quello maschile. Semplicemente, avevano perduto il loro dominio.
Inoltre apparve l’invidia per gli orari ed i ritmi di lavoro dell’altro genere, in quanto le donne lamentavano che mentre gli uomini potevano rilassarsi in osteria, loro facevano la spola fra la zappa e la cucina. Da parte loro gli uomini accusavano le donne di non essere all’altezza delle generazioni precedenti e di non assicurare loro la dieta ricca e varia di cui avevano finora goduto.
Risulta dunque evidente l’assurdità della pretesa di ricostruire l’intera storia del genere umano basandosi su un fenomeno, la lotta fra i sessi, apparso solo negli ultimi secoli, almeno nelle forme attuali. Altrettanto sbagliata è anche la storia dei rapporti fra i generi come storia dell’oppressione e dello sfruttamento maschili contro le donne. Illich non offre, né poteva farlo, soluzioni di ingegneria sociale per cambiare l’attuale stato di cose.
Dice tuttavia una cosa interessante:
“Anziché restare aggrappati al sogno di uno sviluppo non discriminante,sembra più ragionevole orientarsi verso una contrazione dell’economia. . . . . La riduzione del nesso monetario, cioè della produzione di merci e insieme della dipendenza da queste merci, non appartiene al regno della fantasia. Richiede però di abbandonare le attese e le abitudini quotidiane che si considerano oggi naturali. . . . . . . . .Senza uno sviluppo negativo è impossibile mantenere un equilibrio ecologico, pervenire ad un giusto rapporto fra i vari paesi o arrivare alla pace fra i popoli.”
Meno merci neutre uguale meno sessismo (di qualunque segno), uguale più maschile e più femminile, uguale, aggiungiamo noi, meno archetipo della Grande Madre signora del bisogno. Utopia? Può essere, ma vale la pena tentare.
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