SULLA RIUSCITA DI MASCHI E FEMMINE
di Claudio Risé
Maschi e femmine ridotti a macchine possono soltanto farsi la guerra. I due sessi sono destinati ad essere indissolubilmente legati e generare la vita. Ma li abbiamo derubati della loro vera natura, proprio come voleva il marchese de Sade. Ecco da dove nasce l'attuale conflitto. Per quanto tempo ancora le donne e gli uomini dovranno recitare la parte dei nemici, di implacabili antagonisti che non si sopportano, si usano violenza; che anche quando si desiderano si fanno del male, si scambiano abbracci che producono rotture, lussazioni, ferite del corpo e dell'anima?
Per quanto tempo ancora rimarremo dunque prigionieri di questa narrazione stupida e crudele, vittime forse inconsapevoli della ipnotizzante noia distruttiva che emana da ogni pagina del suo primo creatore, il Marchese di Sade, insopportabile da leggere e inconsapevole ispiratore della violenza diffusa a piene mani da tutti i seguaci, vittime e carnefici, della cerimonia mortifera della guerra tra i sessi? Il veleno base è (già per Sade) l'odio e l'avversione alla natura, su cui il sadismo e la modernità che ad esso si ispira sono fondati.
"La natura è cattiva", sosteneva il marchese accecato dai Lumi, già moralisticamente inorridito dai corpi e dai sensi: lui, che ora il mainstream ignorante scambia per il Grande Immoralista. E concludeva: "dunque noi dobbiamo essere più cattivi di lei, e sopprimerla". Dunque smettere di amare le donne, e casomai vittimizzarle e farle soffrire. E' appunto ciò che stiamo facendo, con viscerale e insozzata passione, come piaceva fare a lui, e desiderava che tutti facessero.
La natura prevede, infatti, che maschile e femminile si desiderino, si cerchino, si amino, si riproducano, continuando la vita del mondo umano e animale. Mentre noi (che come richiesto ci siamo allontanati dalla natura) ci stiamo odiando, ferendo, e soprattutto, riducendo a oggetti, cose: reificando. Senza quindi più riprodurci, come povere cose. Come voleva Sade, che ci ha fornito i primi esempi e strumenti per l'operazione, nella sua ripetitiva narrazione. In essa i corpi diventano macchine da piacere/sofferenza: le donne prostitute che stanno al gioco, gli uomini strumenti meccanici fornitori di denaro, immagine, lavoro, notorietà.
Così uccidiamo la natura e la sua semplice profondità, e riduciamo donne e uomini a cose: gli istinti diventano automatismi pulsionali, le relazioni programmi prestabiliti, sceneggiature fisse ripetute in serie dal nostro corpo-macchina sulla cosa senz'anima cui viene ridotto l'altro; l'uomo ormai bancomat e l'altra una bambola. Ma sofferente, come esige l'autore del soggetto, Donatien de Sade. (La psichiatria fenomenologica che si ispira a Husserl: Gabel, Minkowski, fino a Eugenio Borgna, ha visto e spiegato bene cosa sia la reificazione).
L'ultima vicenda, tuttora in corso, che ha ispirato il plot narrativo di innumerevoli altre storie, è quella che riguarda il produttore Henry Weinstein e le attrici e collaboratrici che gli capitavano per le mani, continuata per decenni, coinvolgendo una grande quantità di persone tra vittime, testimoni consenzienti e comparse. Un teatro ripetitivo e alienante, a quanto pare notissimo all'interno del mondo dello spettacolo, ma che adesso sta vivendo una seconda vita come narrazione dell'orrore che tutti sono costretti ripetutamente a riascoltare.
Sia nella "sceneggiatura Weinstein" originale, sia in quella delle sue innumerevoli clonazioni ad opera di altri uomini su altre donne, che hanno subìto controvoglia in cambio di diversi profitti (soldi, notorietà, lavoro etc.) ed oggi, spesso decenni dopo, denunciano e reclamano riparazioni finanziarie, ma non solo. A tutto ciò si unisce un coro femminile che chiede imperiosamente agli "altri uomini" di prendere posizione. Ecco la mia, intuibile forse da quanto detto sopra. Donne e uomini sono inseparabili dalla loro relazione; sono i due diversissimi aspetti il cui incontro produce la vita umana e la continua. Parlare dell'uno come fosse al di fuori del rapporto con l'altro non ha senso.
Non si tratta di metafisica: è la concreta e quotidiana esperienza di ogni persona. Se togliamo uomini e donne, maschile e femminile, dalla loro natura profonda, quella di essere le due diverse forze il cui incontro genera la vita, il loro incontro esce dall'umano, dove sono portatori del reciproco e diverso desiderio che comunque genera vita e amore. Fuori dalla natura umana donna e uomo entrano nel mondo delle cose. L'altro non è più una persona e quindi non ne ha più la dignità, la bellezza, la delicatezza.
Al di fuori dell'umano il loro incontro esce dal mondo del desiderio ed entra in quello della soddisfazione dei bisogni. Che appunto non è umano perché l'uomo, come ripete il filosofo e scienziato Gaston Bachelard, non è creatura del bisogno, ma del desiderio. Ciò non vuol dire che maschi e femmine devono desiderarsi per forza, e in continuazione, devono però conoscere la superiore dignità data dalla differenza sessuale.
L'"amor cortese" per la Dama era già questo, ma altrettanto raccontano la poesia, l'epica e la narrativa tradizionale di ogni popolo. In ciò è la specifica dignità della donna, che la sottrae alla lotta in cui sono immersi gli uomini e questa è anche la superiore dignità del padre, che lo colloca al di sopra delle beghe di potere. Era già così quando ancora (a lungo) non era nota la relazione tra paternità e atto sessuale. Era già questa la qualità paterna, inerente al suo assicurare la vita alla donna e al bambino.
Ciò non significa (non ha mai significato) che allora la donna non fa nulla al di fuori del suo essere madre, e che ogni sostentamento dipende dal padre, o tanto meno che la donna sia estranea alla produzione culturale e simbolica della comunità. Il filosofo e sociologo Ivan Illich l'ha perfettamente spiegato in particolare in Il genere e il sesso. Per una critica storica dell'uguaglianza (in italiano ha una bella introduzione di Giorgio Agamben), e non a caso è uno dei libri più boicottati del mondo. La storia, (compreso quella dell'arte e quella dell'anima) non avrebbe potuto produrre nulla di buono se non avesse saputo e potuto costantemente ispirarsi e godere delle qualità del femminile e delle donne, ricambiandole con amore e devozione.
La storia degli uomini e delle donne è anche questo. Se ce ne dimentichiamo e leghiamo soprattutto al lavoro anche l'identità femminile, come fa la peraltro acuta Lucrezia Reichlin, la sleghiamo dalla sua complessiva identità umana e quindi finiamo con non capirne più neppure i comportamenti. Che invece, in modo più o meno conscio, mostrano di subdorare la trappola in cui la donna è stata cacciata, da una visione del mondo e della vita in effetti (ancora una volta) creata soprattutto dell'uomo.
Quella che mette il consumo e il guadagno al centro della vita, e subordina ad esso l'intera vita. Una visione che buona parte del mondo femminile ha finora fatto propria, rinunciando così a dare un proprio specifico contributo alla vita e al modello culturale del proprio tempo. Uomo e donna sono diversi, fingere che siano uguali, oltre a renderli entrambi infelici, li trasforma in funzioni di produzione/consumo, al servizio del potere di turno. Un'operazione violenta, che genera altra, e insopportabile violenza.
Claudio Risé
da La Verità, 18 marzo 2018
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