CRISTALLOTERAPIA
Ancora una volta sono gli egizi a scoprire le virtù di una terapia naturale, come quella che si basa sull’utilizzo dei cristalli. Ma ci sono prove che fanno pensare che alcune popolazioni esistite più anticamente siano venute a conoscenza delle proprietà benefiche dei cristalli. Dalle Ande all’Australia molte sono le civiltà che ricorrevano a questa forma di medicina. Venivano utilizzati gioielli e monili con vari tipi di pietre e cristalli. Il filosofo greco Teofrasto, vissuto 400 anni prima di Cristo approfondì particolarmente questo argomento. Individuò quali sono le pietre femminili e quali quelle maschili basandosi sul colore, aspetto fondamentale se si pensa che ancora oggi per curare si distingue quali delle due specie sia più utile per l’aspetto che si deve curare, legato alla parte yin (femminile) e yang (maschile).
A fine Ottocento un traduttore inglese di Teofrasto, John Hill, ipotizzò che le proprietà terapeutiche derivassero dalle sostanze minerali contenute nelle pietre. Le ricerche scientifiche come quelle storiche non ci assicurano che anticamente si conoscesse la relazione fra i cristalli e l’essere umano nella sua visione olistica, tuttavia le proprietà mistiche erano più indagate con buoni risultati sulla connessione tra le pietre e i chackra che ad esse corrispondono.
La cristalloterapia era sotto il controllo soprattutto di sciamani e di uomini di medicina che raramente sbagliavano la pietra necessario per il problema che gli veniva posto. Essendo uno strumento che canalizza l’energia della terra e dell’Universo per offrirla all’individuo insieme all’energia peculiare della pietra. Innanzitutto si può dire che tutti i cristalli utilizzati livello ornamentale e per fini terapeutici, fanno parte della famiglia delle gemme e delle gemme preziose le quali, a loro volta, rientrano nella grandissima categoria dei minerali.
Come caratteristiche hanno la lucentezza, il colore e la trasparenza. Malgrado alcuni elementi utilizzati non abbiano queste particolarità, vengono chiamate gemme ma non lo sono, come la perla, il corallo, l’avorio e altre che sono nate grazie a dei processi comunque naturali. Anche se adesso sono in corso forti polemiche, trattandosi di materiali a rischio di estinzione. La bellezza di una gemma può dipendere non soltanto dal suo colore naturale o dalla trasparenza ma anche da alcune altre proprietà meno usuali sotto l’aspetto visivo.
Tecnicamente, le gemme più importanti vengono chiamate allocromatiche, dove, con parole più semplici, il colore di una singola gemma è direttamente in funzione delle piccolissime differenze di composizione che la contraddistinguono. Tutte quelle i cui colori non dipendono da impurità sono invece definite idrocromatiche.
Per la loro natura fisica o chimica alcune gemme sono sempre opache, ad esempio il turchese; altre gemme completamente trasparenti trasmettono invece facilmente la luce. Ma la bellezza e l’importanza delle gemme trasparenti possono diminuire drasticamente quando presentano difetti interni o integrazioni con materiali ad esse estranei per cui, proprio a causa della loro trasparenza, sono chiaramente visibili. Rarissime invece le gemme di alta qualità e totalmente trasparenti (hanno oltretutto un costo proibitivo) per cui, comunemente, si hanno integrazioni con altri minerali quali il rutilo, lo spinello, il carbonio, l’actinolite e numerosi altri. La semplice riflessione della luce a opera di difetti interni e di integrazioni con altri minerali può inoltre innescare nelle gemme effetti belli e notevoli. Gli zaffiri e i rubini stellati, ad esempio, contengono migliaia di inclusioni a forma d’ago che si orientano uniformemente in tre direzioni, chiamare cristallografiche.
La luce intensa di queste tre serie di aghetti dà luogo al cosiddetto asterismo, un riflesso lucente generalmente a sei raggi molto simile a una stella. Se le integrazioni con gli aghetti si orientano in una sola direzione, come accade invece in un’altra pietra molto nota come il crisoberillo, il riflesso è costituito da un raggio singolo che dà l’effetto di un occhio di gatto. Lo stesso effetto avviene per altre pietre molto note quali l’occhio di tigre o l’occhio di falco.
L’aspetto estetico o la forma dei cristalli vengono determinati dalla disposizione interna degli atomi e possono essere classificati secondo le caratteristiche di simmetria in uno dei sette sistemi descritti di seguito: a ciascuno di essi corrispondono i cristalli più noti e diffusi. Cubico o isometrico (diamante, granato)
Le forme più comuni sono il cubo e l’ottaedro. Si tratta di un sistema che presenta la massima simmetria cristallina: tre assi di uguale lunghezza che si intersecano fra loro ad angolo retto. Esagonale (smeraldo, acquamarina)
Le forme più comuni sono il prisma e la doppia piramide. Si tratta di un sistema che presenta quattro assi: un asse verticale principale più lungo o più corto degli altri tre che sono invece uguali e si intersecano fra loro a 60°. Tetragonale (zircone, rutilo)
Le forme più comuni sono il prisma a quattro facce e la doppia piramide tetragonale. Si tratta di un sistema che ha tre assi tutti perpendicolari fra loro: due di essi sono di lunghezza uguale, mentre il terzo è più lungo o più corro degli altri. Trigonale (quarzo, zaffiro)
Le forme più comuni sono il prisma e il romboedro. I cristalli che appartengono a questo sistema talvolta vengono considerati come cristalli del sistema esagonale, in quanto comprende anche cristalli a sei facce. Triclino (turchese, pietra del sole)
L’unica forma comune è il pinacoide, cioè una struttura a due facce parallele. Si tratta di un sistema che ha tre assi di lunghezza diversa i quali si intersecano con angoli che non sono mai retti. Ortorombico (peridoto olivina, topazio)
Le forme più comuni sono il prisma rombico e la piramide con le estremità arrotondate. Si tratta di un sistema che ha tre assi i quali si intersecano tutti perpendicolarmente fra loro, di lunghezza differente. Monoclini (giadeite, pietra di luna)
Le forme più comuni sono il prisma e il pinacoide. Si tratta di un sistema che ha tre assi di lunghezze differenti, due dei quali si intersecano con angoli obliqui e il terzo è perpendicolare agli altri. In commercio è possibile trovare cristalli tagliati in diversi modi.
Per quanto riguarda la cristalloterapia, meno sono stati modificati e meglio è; dunque il cristallo grezzo, come se fosse appena stato estratto dalla roccia è il migliore, anche se più difficile da reperire sul mercato, in quanto normalmente viene pulito da eventuali escrescenze o integrazioni con altri minerali.
Nella versione grezza può essere a una o due punte, quindi con una forma quasi casuale. Generalmente sono i più potenti e i più costosi e, a volte, i più rari. Sono però indispensabili in questa versione per alcuni specifici trattamenti e, in alcuni casi, ad uso del terapista stesso: è infatti indispensabile, ad esempio, un pezzo piuttosto grosso di quarzo di rocca o cristallo bianco – più o meno 15 centimetri di lunghezza e tra i 5 e i 7 di base – che funzioni come una sorta di telecomando o di antenna, cioè da segnalatore degli eventuali disturbi di chi si sottopone al trattamento.
Lo si tiene infatti in mano e lo si dirige verso la persona in modo da percepire meglio i suoi punti meno equilibrati: questo tipo di cristallo fornirà al terapista utili indicazioni sul trattamento da eseguire. Un altro tipo di taglio del cristallo o della pietra è quello detto “burattato”. In alcuni casi è più gradevole esteticamente rispetto al precedente poiché più simile a quanto si è abituati ad indossare o a tenere come soprammobile: si presenta arrotondato, senza spigoli vivi e vi si percepisce ovviamente in modo più forte l’intervento umano.
Si tratta di un cristallo certamente più economico – e ciò è indubbiamente un elemento abbastanza importante soprattutto se confrontato con quelli di costo maggiore – anche se leggermente meno potente rispetto a quello grezzo. Comunque il valore terapeutico del burattato rimane sostanzialmente invariato: eventualmente si tratterà di insistere un po’ più a lungo con questo tipo di pietra sul chakra che si ritiene più disarmonico, senza troppi dubbi riguardo la sua efficacia.
L’ultimo tipo di taglio del cristallo viene definito à cabochon (in italiano: a capocchione o a capocchia di spillo). Questo tipo di taglio, adottato praticamente su quasi tutte le pietre, è soltanto ornamentale: per anelli, pendenti o collane. Il cristallo viene infatti tagliato da un lato in modo che sia possibile esaltare le sue caratteristiche estetiche e quelle di luminosità.
L'altro lato si presenta come il precedente: tondo e levigato. Non è particolarmente consigliato nel trattamento terapeutico, ma può comunque risultare utile come accessorio qualora non si disponesse di un particolare tipo di cristallo o si volesse aumentare la potenza dell’originale. Dopo aver frequentato il corso e acquistato i cristalli, dopo averli puliti attentamente e trovato loro la collocazione fisica si può cominciare ad adoperarli. Già durante il corso, il terapista dovrebbe aver offerto la possibilità di utilizzarne alcuni a livello personale; in genere egli avrà già proposto un cristallo che opera su un chakra ben preciso che, per qualche ragione, non è perfettamente equilibrato con gli altri, o un cristallo che combatte la disarmonia a livello fisico e spirituale ma, soprattutto, emozionale.
Un consiglio: si utilizzi il cristallo che viene proposto soprattutto durante la notte poiché, oltre a dare modo sperimentarne gli effetti terapeutici, offrirà una migliore e più profonda conoscenza di se stessi. In alcuni casi potrà risultare un po’ scomodo, ma si tratta di un fastidio fisico che certamente è possibile sopportare.
È altrettanto importante che i cristalli acquistati vengano utilizzati per prima cosa su se stessi. Si può portarne uno in tasca quando si va al lavoro. Una volta a casa, invece, si cerchi di usarli spesso, magari tenendone uno sul comodino durante la notte o in mano nei momenti di relax: se, ad esempio, si sta leggendo un libro o, più semplicemente, guardando la televisione.
Anche in questo caso si sia il più possibile consapevoli della loro presenza. La cosa migliore, ovviamente, è che esista la possibilità concreta di ritirarsi in uno spazio appartato della casa – distesi sul letto va benissimo, piuttosto che su un materassino – dove i cristalli verranno applicati, di volta in volta, sul corpo, in corrispondenza dei diversi chakra. All’inizio si consiglia di operare con una o due pietre, in modo da poter intervenire sui punti che sembra richiedano maggior attenzione: fisici, emozionali, mentali o spirituali che siano. È indispensabile e importante compiere un proprio percorso con le pietre prima di utilizzarle sugli altri. Non solo ciò consentirà una maggior dimestichezza con le stesse, ma anche di riconoscerle più facilmente.
Una volta fatto questo si può cominciare a rendere nota questa personale attitudine terapeutica evidenziando che è stato frequentato un corso per questo tipo di terapia e confermando che la conoscenza dei cristalli è veramente profonda. Si parla di conoscenza in termini di esperienza personale, ovviamente, non limitatamente al riconoscimento fisico dei cristalli.
Non si cerci di influenzare o, peggio, di insistere troppo con qualcuno che ha solo la vaga idea di sottoporsi ad una sessione di cristalloterapia: non accade nulla di controproducente alla persona che si sottoporrà al trattamento, ma ne trarrà ben poco beneficio. La cristalloterapia, il reiki, i fiori di Bach e tutte le altre terapie naturali (o dolci) non vanno mai imposte o, comunque, non si deve insistere troppo: è infatti importante che sia la persona – al di là del fatto di venirne informata – a decidere quale strada scegliere. La sessione di cristalloterapia ha una durata minima di un’ora e va eseguita per quattro volte di seguito, possibilmente in modo continuativo, giorno dopo giorno. È la durata minima di un ciclo terapeutico che, a seconda dei casi, potrebbe essere ripetuta più avanti, un po’ come accade in una sessione di reiki.
Quando si percepisce che è il momento – dopo circa una decina di minuti dall’arrivo della persona – si può invitarla a sottoporsi alla sessione di cristalloterapia. La si faccia distendere sul tappetino o sul lettino, parlandole dolcemente, lasciando che la musica entri in lei in modo dolce e suadente; l’ambiente dove si svolge l’incontro è determinante per i buoni risultati del trattamento: è già stato detto prima ma è importante sottolinearlo.
Senza obbligarla, le si chieda di chiudere gli occhi, facendo in modo che possa rilassassi ed entrare in se stessa. Anche in questo caso, se si conosce qualche tecnica di pulizia dell’aura, è consigliabile utilizzarla in quanto, oltre ai suoi problemi personali, potrebbe aver raccolto qualche energia negativa dall’esterno: una discussione in ufficio, un piccolo diverbio in famiglia, lo stress della guida. In caso contrario le si lasci comunque il tempo di rilassassi a fondo.
Si possono usare alcune tecniche come quella della numerazione al contrario (da 21 a 1 a scalare) e della visualizzazione dei colori dell’arcobaleno, entrambe importanti per indurre la persona dallo stato Beta (quello della veglia) allo stato Alfa (quello della cosiddetta trance vigile, equivalente ai momento di addormentarsi). Ciò consentirà alla persona di rilassarsi completamente e al terapista di operare nel miglior modo possibile, favorendo il buon esito della sessione. Si ricordi sempre la musica di sottofondo, anche se non è assolutamente indispensabile.
Una volta fatto questo, si cerchi di individuare i chakra che hanno maggior bisogno dell’intervento della cristalloterapia: è una cosa che accadrà in modo molto naturale. Non si cerchi di capire con la logica quali sono le pietre più adatte a quella persona:
vanno scelte seguendo l’intuito o, meglio ancora, restando nello spazio del cuore. Non si deve mai lavorare con il manuale a fianco. Si segua solo ed esclusivamente l’istinto, il cuore. Con voce molto bassa si avvisi la persona che si stanno per posizionare le pietre, enumerando i chakra. Questo non soltanto per il fatto che – come si diceva poc’anzi – alcune di esse non vanno poste a contatto del corpo, ma proprio perché la persona deve essere consapevole di ciò che sta accadendo attorno a lei. Si inizi dal primo chakra – quello di base, corrispondente alla zona genitale – per poi salire, lentamente, verso il settimo, quello della testa.
E mentre si posizionano le pietre si parli alla persona enumerando ogni chakra. Se al terapista sembra necessario dover posizionare delle pietre anche in fondo alle mani e ai piedi, lo faccia: in questo caso non è obbligatorio informare la persona. Non ha alcuna importanza per lei in termini concreti, ma è importante per creare un alone di protezione intorno al suo corpo. Il posizionamento delle pietre non ha un tempo preciso: bisogna seguire il proprio ritmo senza mai avere fretta.
Se, durante la sistemazione delle pietre si dovesse percepire che una determinata parte del corpo – ad esempio la spalla, il gomito, la caviglia o altro ancora – necessita di un intervento più approfondito, lo si può fare, posizionando la pietra che si considera più adatta accanto al punto di corrispondenza.
Una volta poste tutte le pietre è meglio allontanarsi dalla persona, facendo il minor rumore possibile. È consigliabile sedersi accanto a lei, ma senza parlare, badando che la musica sia sempre in sottofondo e che le pietre siano sempre correttamente posizionate: che non rischino cioè di scivolare da qualche punto del corpo come, ad esempio, dal VI chakra – cioè quello della fronte, dove la stabilità è relativa – oppure sul petto, qualora si usasse un burattato e non una pietra grezza.
Passato il tempo necessario affinché i cristalli abbiano avuto il loro effetto -. fra i trenta e i quaranta minuti a seconda della propria intuizione, ma senza guardare continuamente (e inutilmente) l’orologio che, comunque, si troverà sempre accanto al terapista – uno a uno si può cominciare a toglierli, partendo da quelli posizionati non a contatto con il corpo, passando poi dal settimo chakra, giù fino al primo.
Non è necessario parlare: la persona sentirà che vengono tolti, a meno che non si sia addormentata. Una volta tolte le pietre la si lasci centrata un po’ in se stessa e, dopo qualche minuto, la si tocchi leggermente su una spalla, chiamandola dolcemente per nome.
Una volta che avrà aperto gli occhi – come detto, potrebbe essersi anche addormentata durante la sessione, ma non è un problema ai fini del risultato del trattamento - è consigliabile non farla alzare subito: meglio se rimane sdraiata ancora per qualche minuto.
Anche quando scenderà dal lettino o si alzerà dal tappetino la si accompagni dolcemente con un leggero tocco della mano. L’uso delle pietre richiede in genere l’ingestione di molta acqua. Alla fine della sessione, si faccia in modo che ne beva almeno un paio di bicchieri. Lo stesso è consigliabile al terapista, anche se dovrebbe già saperlo.
L’unica cosa che è forse utile ricordare è quella di prendere i prossimi appuntamenti evitando, come si diceva prima, ogni tipo di forzatura, lasciando così al proprio compagno di viaggio l’assoluta libertà di scelta.
Innanzitutto è necessario sapersi riservare un po’ di tempo, quindi procedere nel rilassamento preventivo, cercando di eliminare ogni possibile fonte di disturbo: ad esempio avvisando i propri famigliari, staccando il telefono, ritirandosi nel proprio spazio meditativo, uno spazio che ogni terapista dovrebbe avere a disposizione.
Prima di stendersi a terra, sul materassino, è importante tenere a portata di mano le pietre che verranno utilizzate per l’autotrattamento, in modo da non essere costretti a inutili spostamenti quando si dovranno posizionare le pietre su se stessi. Il terapista già dovrebbe sapere su quale dei suoi chakra intervenire, qual è quello più bisognoso di attenzioni; si può quindi operare su un solo chakra – utilizzando quindi un’unica pietra – piuttosto che su tutti e sette. O, eventualmente, su quelli cosiddetti minori.
Durante il rilassamento iniziale e l’azione di centratura, è importante utilizzare della musica che funga da sottofondo durante tutto l’autotrattamento e che consentirà al terapista di raggiungere più facilmente lo stadio Alfa, equiparabile a quello stato più vicino alla veglia (l’attimo prima di addormentarsi), detto anche trance vigile.
Si procederà quindi a posizionare il o i cristalli in corrispondenza dei chakra partendo dal primo per arrivare al settimo. Questa operazione deve essere finta molto lentamente, in modo da rendersi conto della “presenza” di ciascuna pietra: l’unico vero movimento richiesto è quello che riguarda il posizionamento del cristallo in corrispondenza del primo chakra, mentre l’intervento sugli altri avviene quando il terapista è già sdraiato e, quindi, mano a mano che si sale verso l’alto. Più in dettaglio, mentre il posizionamento sul I chakra (vicino ai genitali) richiede lo spostamento del corpo, sugli altri è sufficiente il movimento del braccio sinistro, in quanto i cristalli verranno posti proprio da questa parte, in modo che sia “la mano del cuore” a prenderli.
Poiché l’autotrattamento può durare da venti minuti a un’ora circa può accadere che, durante la sessione, il terapista si addormenti: ciò è normale. Ma, poiché è piuttosto importante porre un limite al tempo dell’autotrattamento, è consigliabile utilizzare una musica che proponga, alla fine del brano, il suono di un piccolo campanello o di un gong, suoni delicati che non causino un risveglio brusco dallo stato Alfa (o eventualmente dal sonno) in cui si trova il terapista. Nella registrazione della musica che viene utilizzata per il trattamento con il reiki o la meditazione sono già previsti questi suoni. Mai utilizzare una sveglia, dunque, poiché si rischierebbe il ritorno troppo brusco alla realtà quotidiana.
Terminato l’autotrattamento, le pietre vanno tolte una per una, procedendo esattamente nel senso contrario, partendo cioè dal settimo chakra – quello della testa – per concludere con il primo. È utile questa sequenza in quanto il cristallo che viene tolto per ultimo – rimanendo più a lungo a contatto con la persona rispetto agli altri – è quello che meglio consente di collegarsi nuovamente con il momento e il luogo attuali. Una volta tolti tutti i cristalli, è importante che il terapista si conceda qualche minuto prima di alzarsi, non soltanto per evitare un ritorno troppo brusco alla realtà, ma anche un eventuale capogiro: né più né meno come quando ci si alza dal letto dopo una buona notte di sonno ristoratore.
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