L'ITALIA CHE MUORE SOPRAFFATTA DALL'AMIANTO
di Marco Imarisio
"Complessivamente, considerando oltre al gettito di casi di mesotelioma anche i tumori del polmone e della laringe indotti da esposizione ad amianto e i decessi per asbestosi, è possibile dimensionare il fenomeno delle morti per malattie asbesto-correlate intorno ai 3.000 casi all'anno nel nostro Paese". Dimenticare per un attimo la prosa burocratica, da iniziati. Concentrarsi su quel numero. Tremila. Ogni anno in Italia muoiono 3.000 persone a causa dell'amianto. Trent'anni di ferocissima guerra civile nel Nord Irlanda hanno prodotto meno vittime di quante a casa nostra ne faccia l'amianto, il killer silenzioso, in soli dodici mesi. E nello stesso arco di tempo i casi di malattia asbesto-correlate ammontano a novemila. Questi i dati, questo lo stato delle cose. Ma il rapporto biennale del Registro nazionale dei mesoteliomi (Renam), che verrà dato alle stampe la prossima settimana, va un passo oltre.
Nell'assemblare le informazioni provenienti dai Renam regionali — le sole porzioni di territorio nazionale dove non esiste una sede sono il Molise e la Provincia autonoma di Bolzano, benché vi sia una legge che ne prevede l'istituzione —, viene anche disegnata una mappa per il futuro. Leggerla è doloroso ma necessario. Quando si parla di amianto, tutti siamo portati a scansare, ad andare oltre. Troppo devastante assistere impotenti ad una strage continua, perpetuata attraverso uno dei tumori più dolorosi (il mesotelioma), senza possibilità di intervento, limitandosi soltanto ad aspettare lo svolgersi di una storia luttuosa che avrà il suo picco di vittime tra il 2010 e il 2015. Ormai è andata, quel che è stato è stato, sembra essere la reazione generalizzata. Il rapporto del Renam dice che non è così. Che è possibile studiare, catalogare il male. E nel farlo, trovare accorgimenti per arginarlo. Ad esempio, fare le bonifiche, ma soprattutto farle bene. Lo studio dei casi rivela che il 69,8% delle persone colpite da malattia amianto-correlata presenta una esposizione professionale, il 4,5% familiare, il 4,7% ambientale, l'1,4% è dovuto a un'attività extralavorativa. Per il 19,5% dei casi, uno su cinque quindi, l'esposizione è da definirsi ignota.
Una casella in crescita esponenziale: le persone che non sanno dire perché si sono ammalate, ignorano qual è l'arma che li sta per uccidere. Non hanno mai lavorato l'amianto, non hanno mai avuto parenti stretti che l'hanno fatto. Semplicemente, detta in modo brutale, respiravano l'aria senza sapere cosa c'era dentro. Almeno, l'esposizione ambientale ha un colpevole, l'industria del cemento amianto. Le storie di Casale Monferrato, Broni e Bari si prendono quasi tutta questa casistica, più del 75% delle malattie ambientali al momento della diagnosi era residente in Piemonte, Lombardia o Puglia. Anche l'esposizione attribuita ad attività di svago o hobby ha una natura subdola, viene attribuito all'uso inconsapevole di attrezzi domestici o manufatti contenenti amianto nella propria abitazione. Ma gli altri? Quelli che non sanno trovare un perché?
«C'è da preoccuparsi per il futuro — dice Alessandro Marinaccio, responsabile del Renam —. Il numero di casi provenienti dai settori tradizionali tende a ridursi sempre più. Le malattie dell'amianto si sono frammentate in settori meno noti. Anche i tumori contratti da chi lavora nel campo dell'edilizia devono farci pensare. L'amianto è stato messo al bando nel 1992, eppure ci sono muratori e operai che muoiono di malattie asbesto-correlate. Davvero c'è da chiedersi: come mai?». La risposta sta in una parola non compresa nel campo di indagine del Renam: bonifiche. Non è un caso che le piccole aziende specializzate nella rimozione dell'amianto siano in crescita, un piccolo business forse cresciuto all'ombra dell'assenza di un piano di bonifica ambientale condiviso su scala nazionale. La Lombardia, ad esempio, ha visto negli ultimi cinque anni un significativo aumento del 7% di aziende registrate alla voce smaltimento, scoibentazione, incapsulamento Eternit. Non si tratta di intraprendenza imprenditoriale, è piuttosto uno stato di necessità. La classifica generale dei casi segnalati al Renam infatti vede la Lombardia al terzo posto posto (1.025) dopo Piemonte (1.963) e Liguria (1.246).
Ma l'esame disaggregato dei dati proietta la Lombardia in cima alla graduatoria delle morti da esposizione indiretta. I soliti sospetti sono l'edilizia (esposizione pari al 22%, sette punti percentuali in più della media nazionale), la metalmeccanica (11%, più 6), il tessile (8%, più 2). Tutta gente che non dovrebbe vivere e lavorare a contatto con l'amianto, e invece si ammala. Appena il caso di ricordare che il mesotelioma è un indizio a senso unico, la causa di questo male è soltanto una, la solita. A questa sfilza di dati va aggiunto un altro primato lombardo, quello della classifica più inquietante, le morti e le malattie da esposizione «improbabile o ignota». È questa la statistica più importante, perché identifica eventuali altri fattori di rischio e segnala situazioni di contaminazione inattesa, «quindi in potenza ancora attuale». Un numero molto rilevante di «esposizioni inconsapevoli», questa la definizione ufficiale, riguarda il settore della produzione, riparazione e manutenzione di autoveicoli, dovuti soprattutto alla presenza di amianto nei freni delle macchine fabbricate prima del bando. I
Il rapporto giudica di «particolare interesse» i casi di persone che si sono ammalate in luoghi di lavoro spesso aperti al pubblico. Pubblica amministrazione (1%), sanità (1,4%), banche, poste e assicurazioni (0,4%), scuole (0,4%), alberghi, bar e ristoranti (0,3%). «Desta grande preoccupazione l'aumento e la parcellizzazione dei settori per i quali non esistono evidenze di attività svolte "a rischio"». Spesso, il confine tra l'esposizione inconsapevole e quella poi catalogata come ambientale va ascritto alla consapevolezza della persona intervistata. Molti non hanno idea di come si siano ammalati. L'amianto è come la famosa pubblicità, «tutto intorno a te». Alessandro Marinaccio è giustamente orgoglioso del Renam, la struttura da lui coordinata. Indipendente, su basi scientifiche riconosciute. Ma non può fare a meno di notare come il decreto legge che ne sanciva la nascita risalga al 1991, ma abbia avuto attuazione solo nel 2002. Anni buttati, tra rassegnazione e fatalismo davanti ad un evento che i più considerano come ineluttabile. I dati raccolti dal Renam hanno dettagli raggelanti.
Nonostante tutte le ricerche sul mesotelioma, la sopravvivenza continua ad essere breve, 9-12 mesi dalla diagnosi. Mentre la latenza della malattia è molto lunga (circa 40 anni) e sono assai rari i casi per i quali risulta più breve di 10 anni. «La diagnosi precoce serve a poco. Non ci sono cure, questa è la verità. Ma pensiamo ai risarcimenti per queste morti ingiuste: in Italia c'è uno scarto netto tra quello che sostiene l'epidemiologia e quello che pubblica l'Inail come numero di casi indennizzati. Non che quest'ultima sia un orco cattivo, per carità. Semplicemente, molte persone non denunciano. Due volte vittime». Anche per questo, sostiene Marinaccio, è utile censire i casi. «Aiuta a capire quali sono le aree dove c'è ancora bisogno di intervenire. Professionali, primo tra tutti il settore dell'edilizia, che rivela come molti manufatti in amianto non siano ancora stati eliminati dagli edifici costruiti prima della messa al bando di questo materiale. E geografiche, come ad esempio la Lombardia, che peraltro risulta essere in buona compagnia, purtroppo».
Fonte: www.corriere.it
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