SCIENZA E GUARIGIONE
di Larry Dossey
La scienza non può permettersi di escludere dalla medicina il significato, la mente e l’anima.
Uno dei miei eroi è Mahatma Gandhi. Quando gli fu chiesto: “Signor Gandhi, cosa pensa della civiltà occidentale?” senza esitare egli rispose: “Credo che sarebbe un’idea eccellente!” Se qualcuno mi chiedesse: “Dossey, cosa pensa della medicina scientifica occidentale?” risponderei in maniera simile: “Credo che sarebbe un’idea eccellente”. Sfortunatamente non l’abbiamo ancora avuta, e il motivo per cui non abbiamo raggiunto ancora una medicina veramente scientifica è che non abbiamo ancora avuto né l’integrità né il coraggio di seguire la scienza ovunque ci porti. Abbiamo scremato la superficie, per così dire, e ci siamo focalizzati su risultati di ricerche che siano in accordo e armonia con le nostre propensioni e con le visioni del mondo preesistenti, e abbiamo lasciato inesplorata una parte molto più vasta di conoscenza.
Pertanto il Dott. David Grimes ha potuto dire nel Journal of the American Medical Association che: “Gran parte, se non tutta la pratica medica contemporanea, è priva ancora di basi scientifiche”.
Questo ha avuto alcune conseguenze disastrose; dato che abbiamo trascurato una buona parte delle prove scientifiche, abbiamo drasticamente amputato certi concetti dalle nostre nozioni di salute e malattia, tra i quali troviamo gli effetti della coscienza, dei pensieri, atteggiamenti, emozioni, percezione dei significati, dell’anima, dello spirito e del cuore.
Non è difficile capire perché la maggior parte dei dottori finisce il proprio tirocinio pensando che niente sia “più elevato” del tessuto e delle cellule che costituiscono il corpo. Si potrebbero sezionare cadaveri all’infinito senza mai trovare traccia di mente o coscienza, per non parlare dell’anima o dello spirito. Dopo quattro, otto o dodici anni di orientamento verso il fisico, non è un caso che i medici siano arrivati a pensare, come ha detto un famoso neuro-fisiologo “il cervello è dove si svolge tutta l’azione” e, come ha detto un tempo Lord Bertrand Russell: “Quando morirò marcirò e niente del mio ego rimarrà”. Non si potrebbe trovare una sintesi migliore di questo triste punto di vista di quella data dall’astronomo Carl Sagan nel suo libro I draghi dell’Eden, per il quale le funzioni del cervello, ciò che talvolta chiamiamo mente, sono una conseguenza della sua anatomia, fisiologia e niente più. Questo punto di vista domina la bio-scienza occidentale. Viene espresso in modi che sembrano talvolta quasi umoristici, come nell’affermazione di Marvin Minsky esperto di intelligenza artificiale al MIT: “Che cos’è il cervello se non un computer fatto di carne?”
Sento spesso dire alla gente che questo punto di vista non li tocca. Si trovano sul proprio “percorso spirituale” e sono relativamente immuni da questo punto di vista. Tuttavia credo che la maggior parte delle persone non sia così fortunata. La scienza è così imperiosa e monolitica, in effetti è la più potente metafora della nostra società, che, in una qualche misura, i suoi disperati proclami sulla natura della coscienza infastidiscono tutti. Dentro di noi, nel profondo, forse a livello inconscio, c’è il sospetto: “E se gli scienziati avessero ragione? E se tutto finisse con la morte del cervello?”
Questi messaggi dilagano: a febbraio la rivista Time ha dedicato la copertina del numero del giorno di san Valentino alla natura dell’amore, la didascalia diceva: “Gli scienziati stanno scoprendo che l’idillio è una questione biologica”. Si mostrava un cuore versato da una provetta. L’articolo sottolineava gli “elementi chimici dell’amore” nel cervello, serotonina, dopamina, norepinefrina, fenetilamina. Quest’ ultimo è particolarmente interessante perché si trova in alta percentuale nella cioccolata. Probabilmente per questo ci regaliamo i cioccolatini per san Valentino: è una questione “chimica”.
Allo stesso modo tutti i pensieri e sentimenti umani possono essere ridotti presumibilmente a spiegazioni chimiche. Questo ha un effetto di raffreddamento dei concetti di responsabilità individuale e auto-aiuto, come viene esemplificato nel cosiddetto metodo di cura olistico o complementare. I sentimenti di auto-potenziamento non sono importanti in “sé e per sé” perché in realtà non esiste un “auto” in “auto-aiuto”, solamente le manifestazioni delle nostre basi chimiche.
Un’implicazione di questo punto di vista è che salute e malattia sono completamente privi di significato. Sono semplicemente una funzione di ciò che fa un nostro atomo, e seguono le “cieche” leggi della natura. Queste leggi sono intrinsecamente senza significato, quindi se troviamo un significato nella salute e nella malattia, soffriamo di una forma di allucinazione. “Significato” è un concetto spurio, proviene da noi e non dalla natura.
Benché continuamente sentiamo affermazioni arroganti e presuntuose da parte degli “esperti” che il rapporto tra cervello, corpo, emozioni, pensieri e sentimenti è stato risolto, che è “tutto cervello”, non si dovrebbe credere che il dibattito su questa questione sia chiuso. C’è un altro aspetto di questa discussione che viene sempre trascurato: ci sono stati scienziati geniali, di classe mondiale, da Nobel, che hanno fatto scienza ai livelli più alti, che non sono stati d’accordo con questa visione riduttiva. Niels Bohr, il cui nome è praticamente sinonimo di fisica moderna, ha detto una volta: “Non possiamo trovare niente nella fisica e nella chimica che abbia a che vedere lontanamente con la coscienza”.
E il suo collega, Wener Heisenberg notò: “Non vi è dubbio che la coscienza non ha luogo nella fisica e nella chimica, e non vedo come potrebbe essere il risultato della meccanica quantistica”. In altre parole, la fisica sembra muta sulla questione dell’origine della coscienza e della sua connessione ultima con il mondo materiale. La “Coscienza” e la “fisica” sembrano occupare aree diverse; e non si può ragionevolmente “andare all’indietro”, cominciando con la conoscenza del mondo fisico e “confutare” la coscienza. Come ha affermato il grande fisico Indiano D. S. Kothari nel suo documento “L’atomo e l’io”, la coscienza è “oltre la fisica”.
ERA 1, Medicina Meccanica: Vi chiedo di andare indietro nella storia occidentale fino all’epoca in cui la medicina ha cominciato a diventare scientifica per la prima volta. Erano gli anni 1860, il decennio della guerra civile americana. In quell’epoca i medici svilupparono una forte invidia per la fisica, poiché desideravano manifestare nella propria professione la precisione dimostrata nella fisica classica newtoniana. Così cominciò la prima era moderna della medicina che possiamo chiamare Era 1, l’era della medicina meccanica. Io personalmente desidero prendere le distanze da coloro che disprezzano questa forma di medicina e vogliono smantellarla e abbandonarla. Farlo sarebbe sciocco, disumano e completamente stupido. Il nostro compito non è distruggerla ma trasformarla, imparare a usarla con affetto, compassione e amore, qualità che sono mancate in maniera evidente in questo approccio.
Era 2, la Medicina Mente-Corpo: A cominciare da cinquanta anni fa, cominciò a emergere un nuovo concetto. Abbiamo cominciato a riconoscere che la mente potrebbe interagire con il corpo in maniera significativa dal punto di vista medico. Ma se lo faceva, gli effetti erano generalmente considerati negativi, da qui la definizione “malattia psicosomatica”. Oggigiorno questa seconda era della medicina scientifica viene chiamata comunemente medicina “mente corpo”.
Perché una seconda era richiede la nostra attenzione? Perché non possiamo rimanere stabilmente nell’Era 1? C’è una valanga di prove che dimostrano quanto l’interazione tra mente e corpo siano importanti per la salute umana. Gli esempi vengono da tutte le culture. Prendiamo certi riti religiosi come quelli fatti dalle tribù curde. Dopo una notte di digiuno, meditazione e preghiera, si trovano in uno stato alterato di coscienza. In tale stato si auto infliggono dolore per onorare Dio. Questo avviene in diversi modi, ad esempio trapassandosi la lingua da parte a parte con oggetti metallici. Non sanguinano nonostante che la lingua sia una delle parti delle corpo più vascolarizzate. Questi eventi sfidano le leggi conosciute della fisiologia e tuttavia sono molto frequenti.
Straordinari eventi mente-corpo avvengono non solo nelle culture esotiche ma anche nella nostra. Lasciate che vi illustri quanto sono diffuse facendo riferimento a una delle cause più comuni di morte nella nostra cultura, le malattie delle arterie coronarie. Questa malattia fa più vittime in un anno, di tutte le altre cause messe insieme. Diciamo di sviluppare questo problema perché abbiamo uno o più dei maggiori fattori di rischio: diabete mellito, elevato colesterolo nel sangue, il fumare sigarette o ipertensione. È vero che la presenza di questi fattori aumenta il rischio di avere problemi cardiaci, se sono presenti quindi, dovremmo pensare a eliminarli. Tuttavia dati epidemiologici risalenti ai primi anni settanta, documentano che la maggior parte delle persone sotto i cinquant’anni che hanno il loro primo attacco di cuore, non presentano nessun fattore di rischio principale.
A ulteriore conferma della “stranezza” che circonda le malattie cardiache, il Dott. James Muller, dell’Istituto Nazionale della Salute, ha riscontrato che la maggior parte delle crisi cardiache avviene fra le otto e le nove del mattino. E ricerche successive hanno dimostrato che avvengono di lunedì più che altri giorni, la cosiddetta “Sindrome del Lunedì Nero”. Questa è una tra le scoperte più bizzarre non solo in medicina ma nell’intero mondo della biologia. Per quanto ne sappiamo, gli esseri umani sono l’unica specie sulla faccia della terra che riesce a morire più frequentemente in un giorno particolare della settimana.
Che cos’ha di particolare il lunedì di mattina, tra le otto e le nove? Credo che non sarebbe irrazionale supporre che potrebbe avere qualcosa a che fare con l’inizio della settimana di lavoro. A conferma di questo, un sondaggio fatto nei primi anni settanta nello Stato del Massachusetts, mostrò che il miglior elemento per predire un attacco di cuore non erano i maggiori fattori di rischio bensì il livello di soddisfazione professionale nella vita di una persona.
Quindi è lecito chiedersi: che significato ha per una persona il lunedì mattina fra le otto e le nove? Che cosa simboleggia questo momento del tempo? Se il significato è negativo dovremmo considerare questo fatto come un fattore di rischio per la causa di decesso più frequente nella nostra società.
Ricercatori in questo campo, come Dr. Robert Karasek e i suoi colleghi, hanno proposto l’esistenza di una “reazione Sisifo” per spiegare questi eventi legati al lavoro. Sisifo era la figura della mitologia greca condannata a spingere un masso su per una collina, per farla poi rirotolare verso il basso in modo che l’azione dovesse essere ripetuta all’infinito. Questa “sindrome di lotta senza gioia” si trova in molte occupazioni moderne.
Se i significati negativi possono danneggiare la nostra salute, questo aumenta la possibilità che, se in qualche modo li trasformiamo da negativi in positivi, potrebbero migliorare la nostra salute e persino salvarci la vita. Quindi è stata sviluppato un nuovo tipo di terapia “la terapia del significato” sostenuta da molte prove cliniche.
Una tra le pietre miliari degli studi clinici di questo secolo fu un esempio della terapia del significato messa in pratica. Fu fatta dal dott. Dean Ornish in California e pubblicata nella prestigiosa rivista inglese The Lancet. Ornish trattò un gruppo di uomini che presentavano una grave malattia dell’arteria coronaria. Molti di loro avevano già subito operazioni di bypass dell’arteria coronaria. Molti avevano un’angina a riposo, dolori al petto non facendo niente, che era un pessimo segnale di prognosi. Ornish li mise su un programma in tre parti: una dieta con pochi grassi, un regime di yoga e passeggiate a piedi e terapia di gruppo. I pazienti e le loro mogli si riunivano una volta la settimana e facevano essenzialmente “terapia del significato”.
Discutevano il “significato” della malattia cardiaca, ciò che significa rendersi conto di avere già ricevuto cure estreme, inclusa la chirurgia; che non sarebbero mai più tornati al lavoro; che se facevano l’amore con le proprie mogli potevano non sopravvivere, che stavano semplicemente aspettando “il colpo finale”. Ornish scoprì che il dolore al petto spariva nel giro di pochi giorni o settimane. Dopo un anno, studiò di nuovo questi uomini con tecniche sofisticate e dimostrò che era successo qualcosa che la medicina moderna considerava impossibile: la malattia cardiaca aveva cominciato a regredire. Le occlusioni nelle arterie coronarie avevano cominciato a diminuire e sparire. Non si trattava di un miglioramento temporaneo, quattro anni dopo dimostrò che questo processo continuava.
Questo approccio elegante, a basso costo e bassa tecnologia nei confronti del nostro killer più comune, viene attualmente preso in considerazione come alternativa alla chirurgia con bypass all’arteria coronaria. E per ottimi motivi.
Nel 1992, furono eseguite 300.00 operazioni di bypass negli Stati Uniti per un costo di 8 miliardi di dollari, nessuno di questi interventi è servito a modificare il processo di malattia che ne era alla base, e che continuava a progredire. Il programma di Ornish di terapia del significato, dieta ed esercizio fisico effettivamente inverte questo processo di malattia.
Gli effetti positivi della terapia del significato non si limitano alle malattie cardiache. Il Dott. David Spiegel, uno psichiatra della Scuola di Medicina di Stanford, eseguì uno studio controllato nel quale riunì un gruppo di donne che avevano una metastasi al seno e le fece seguire un programma essenzialmente simile a quello descritto sopra, quello di esaminare i significati che percepivano riguardo alla propria malattia. Le donne avevano già affrontato terapie convenzionali incluso la chemioterapia, l’irraggiamento e la chirurgia. (Spiegel che era scettico sul ruolo rivestito dalla mente nel processo del cancro, fece questo studio per mettere a tacere l’idea della “controcultura” che la mente influenzasse l’insorgere del tumore).
Queste donne si incontrarono una volta la settimana per solo un anno. Dopo dieci anni, Spiegel analizzò i dati e trovò che il gruppo di terapia del significato sopravviveva alla diagnosi in media il doppio di coloro che venivano curate solo convenzionalmente. Inoltre c’erano tre persone del programma di studio che sopravvissero più di dieci anni e che presumibilmente erano state curate del tutto, tutte e tre appartenevano al gruppo di terapia del significato.
È quasi certo che se gli studi di Ornish e Spiegel fossero stati una nuova medicina o tecnica chirurgica, sarebbero stati salutati come un “miracolo della medicina” o una “scoperta epocale”.
ERA 3, Medicina non–locale: Molti di coloro che credono nella medicina olistica, alternativa e complementare pensano che la medicina mente-corpo sia quanto di più “esotico” ed estremo la medicina possa raggiungere. Dopo tutto, cosa potrebbe esserci di più drammatico che usare la coscienza per invertire una malattia dell’arteria coronaria e far raddoppiare le percentuali di sopravvivenza in certi tumori? Tuttavia esistono motivi importanti per postulare un’altra era nel cammino scientifico della medicina: l’era 3 della medicina “non-locale”.
“Non locale”, dato che desidero usare questo termine, si riferisce al rapporto tra la mente, il cervello e la sequenza temporale. Un concetto “locale” di questi rapporti dovrebbe affermare che la mente è localizzata o confinata al cervello, il cervello è localizzato nel corpo e il corpo, la mente e il cervello sono localizzati nel momento presente. Questo quadro è praticamente indubitabile per la scienza ed è accettato dalla maggior parte dei laici. Si tratta di buon senso.
Per contro, una visione non-locale affermerebbe che la mente potrebbe non essere localizzata o confinata al cervello né al momento presente. La mente in altre parole, sarebbe svincolata dallo spazio e dal tempo. Quindi se si suppone che l’interazione della mente e del corpo sia reale, e questo è il fulcro della medicina dell’Era 2, e che le menti siano non-locali, riscontriamo la possibilità che la tua mente possa influire sul mio corpo e che la mia mente possa influire sul tuo.
Oltraggioso? Forse, ma prove empiriche suggeriscono che tali eventi non sono solo possibili ma frequenti.
Alla Fondazione della Scienza della Mente a San Antonio, Texas, il Dott. William G.Braud, il dott. Marilyn Schlitz e i loro colleghi hanno esaminato l’impatto delle immagini mentali di un individuo sulla fisiologia di una persona distante che non è consapevole che tali immagini siano dirette a lui/lei. Questi studi seguono i criteri di scienza eccellente e sono state fatte centinaia di prove. I risultati dimostrano che le immagini mentali di una persona sembrano essere capaci di “estendersi” nello spazio e “causare” nei processi fisiologici di un individuo distante, dei “forti” cambiamenti paragonabili all’effetto delle proprie immagini mentali sul proprio corpo.
Sono stati fatti diversi esperimenti nei quali due persone distanti sono “collegate” per un encefalogramma o la registrazioni di EEG. Nello stato di base, non ci sono correlazioni tra i grafici. Poi gli sperimentatori dicono ai soggetti di tentare un avvicinamento emotivo, di sviluppare un’empatia reciproca, benché siano separati. Quando dicono di averlo fatto, spesso gli EEG cominciano ad avere gli stessi cicli e appaiono talvolta uguali. In una variazione dell’esperimento, uno dei pazienti è stato inserito in una sorta di gabbia di Faraday, che elimina per scopi pratici, qualsiasi irraggiamento magnetico.
Questo potrebbe essere una prova indiretta delle affermazioni dei “guaritori psichici” nel corso della storia sulla capacità dell’amore, dell’empatia e della compassione di “estendersi” e produrre cambiamenti nella salute di una persona lontana?
Mi rendo conto perfettamente della natura eretica di tali affermazioni. Secondo la scienza dominante questi eventi non possono succedere e quindi non succedono. Qualsiasi prova del contrario deve essere dovuta a un’osservazione errata, ingenuità o frode esplicita.
La preghiera. C’è un gran numero di esperimenti controllati di laboratorio che mostrano che le preghiere di intercessione hanno un effetto significativo sull’ospite di organismi biologici. Daniel J. Benor, uno psichiatra americano, ha condotto il sondaggio più recente sugli studi concernenti la guarigione attraverso la preghiera mai pubblicata in inglese. Ha trovato 131 studi in tutto. 56 hanno dimostrato un valore di probabilità (p) < .01, altri 21 avevano un p tra.02 e .05. Il libro di Benor, Ricerche di Guarigione, sarà pubblicato in Europa nel 1993 e si focalizzerà su questi esperimenti. Il mio libro Parole di Guarigione: Il potere della Preghiera e la Pratica della Medicina, sarà pubblicato anch’esso negli Stati Uniti dalla Harper San Francisco e discuterà le implicazioni di questi risultati per la salute e la malattia.
Considero queste informazioni collettivamente come uno dei segreti meglio conservati dalla scienza medica. I dottori, in linea di massima, non ne hanno mai sentito parlare. Se prese sul serio, queste informazioni potrebbero rivoluzionare la nostra comprensione della coscienza, il rapporto tra la mente e il cervello e l’effettiva dinamica della guarigione.
Diagnosi a Distanza. Molte prove suggeriscono che la gente può fare diagnosi a grande distanza. Negli Stati Uniti questo lavoro è descritto nella maniera più lampante nel libro La Creazione della Salute del dott. Norman Shealy e Carolyn Myss. Il Dott Shealy é il neurochirurgo formatosi ad Harvard che ha fondato l’Associazione americana di Medicina Olistica. Ha cominciato a lavorare con Carolyn Myss alcuni anni fa. In breve il dott. Shealy aveva un paziente nel suo ufficio nel Missouri e telefonava a Myss, nel New Hampshire (a una distanza pari a metà degli Stati Uniti). Le dava il nome di battesimo e la data di nascita del paziente e lei gli forniva la diagnosi. Nei primi cento casi aveva ragione al novantatre per cento. Questo è piuttosto sorprendente, non conosco internisti che abbiamo ragione al novantatre per cento con così pochi dati. Shealy potrebbe aver “trasmesso telepaticamente” la diagnosi a Myss? Non possiamo dirlo con sicurezza. Anche se l’avesse fatto, la cosa non è meno notevole!
Eventi telesomatici “Telesomatico” deriva dal greco e significa “corpo lontano”. Sono stati descritti centinaia di casi in cui le persone lontane condividono sintomi e talvolta cambiamenti fisici senza sapere cosa sta accadendo allo stesso tempo all’altra persona lontana.
Ad esempio nel 1899 John Ruskin ha riportato un evento telesomatico che coinvolgeva Arthern Severn, un paesaggista. Non riuscendo a dormire, il signor Severn si alzò presto una mattina per andare in barca a vela nel lago. La signora Severn che era rimasta a letto si svegliò all’improvviso con la sensazione di aver ricevuto un colpo sulla bocca. Più tardi il signor Severn tornò tenendo sulla bocca un fazzoletto insanguinato. Il vento si era alzato forzando la barra del timone fino a colpirlo in bocca facendolo quasi cadere giù dalla barca.
Gli scettici non vedranno niente di insolito in questo, semplicemente una di quelle “curiose coincidenze”. Certamente questi casi non sono “scienza” ma solo “storie”. Ci sono due modi in cui i medici rispondono alle storie. Se le si guarda in modo peggiorativo sono chiamati “aneddoti”; se le si guarda in modo positivo diventano “casi” È vero che questi eventi non possono essere riprodotti in laboratorio per poterli studiare convenientemente. Ma nonostante la loro imprevedibilità ci sono due aspetti degli eventi telesomatici che attirano la nostra attenzione.
Il primo aspetto è che sono straordinariamente comuni. Il secondo che mostrano una coerenza interna semplicemente sorprendente. A un certo punto cominciano a sembrare simili. Coinvolgono sempre persone distanti e che sono in empatia reciproca, la qualità sentita che abbiamo riscontrato in precedenza negli studi sulle correlazioni degli EEG nei quali, tratti fisiologici di persone molto lontane, entravano in sintonia gli uni con gli altri. Gli eventi telesomatici avvengono solitamente tra genitori e figli, la mamma che si sente soffocare e “sa” che suo figlio sta affogando e arriva a casa giusto in tempo per tirar fuori il figlio dalla piscina e salvargli la vita. Avvengono anche tra sposi, fratelli (in particolare gemelli) e amanti.
Queste scoperte hanno acceso un furore all’interno della scienza e scettici e cinici hanno impegnato molta energia per screditare queste informazioni. Non è difficile capire perché questi studi abbiano generato una tale indigestione intellettuale. Invocano quelle parole perennemente in conflitto: azione a distanza.
In sintesi gli eventi del tipo non-locale Era 3 che abbiamo esaminato rivelano due qualità della mente che richiedono la nostra attenzione. Studi sulle immagini transpersonali, le correlazioni a distanza degli EEG, studi sulle diagnosi a distanza ed eventi telesomatici, suggeriscono che qualche aspetto della psiche non è localizzato nello spazio e nel tempo e non può essere confinato in punti specifici dello spazio come si fa col cervello o il corpo. Né può essere confinato in punti specifici nel tempo come il presente.
Se dovessimo fare un modello della mente che accogliesse queste osservazioni, come sarebbe? In contrasto con il quadro locale ora in voga, il nostro modello sarebbe necessariamente non-locale, riconoscerebbe che qualche aspetto della coscienza non può essere localizzato nello spazio e nel tempo, se è veramente non-locale le implicazioni sono profonde. La non-localizzazione nello spazio e nel tempo non significa un “tempo molto lungo” o “molto ampio”. La non localizzazione implica infinità nello spazio e nel tempo, perché una non-localizzazione limitata è una contraddizione di termini.
In Occidente abbiamo tradizionalmente definito l’“anima” come qualcosa che non è nata, che non muore, che è infinita nello spazio e nel tempo, qualcosa che è pertanto onnipresente, eterna, immortale. È per questo che creare un modello non-locale della mente è essenzialmente un atto di recupero dell’anima.
Forse questi sviluppi sono un segno speranzoso che possa diminuire l’annosa divisione tra scienza e spiritualità e che la scienza e il pensiero religioso possano imparare a stare fianco a fianco senza che l’uno cerchi di usurpare l’altro.
Quali sono le conseguenze mediche pratiche ed immediate di tali considerazioni? Quasi tutti i medici sono addestrati per tenere indietro l’orologio, per estendere la vita. Una vita lunga, diciamo, è migliore di una vita breve. Questo riflette il nostro credo che ogni persona sia essenzialmente una creatura locale, confinata al proprio corpo/cervello nello spazio, che si muove lungo il fiume della vita. A un certo punto tragico nel futuro la nostra esistenza finirà per sempre, la tipica visione locale. I pazienti partecipano a questo punto di vista: non solo vogliono che il proprio medico combatta valorosamente per estendere il loro tempo, potrebbero anche tentare di rimanere attaccati al tempo. Questo crea un problema insolubile che potrebbe essere espresso in questo modo: “Dopo i miracoli, cosa?” Per quanto possa diventare potente la medicina moderna, prima o poi i miracoli si esauriranno. È per questo che l’ipotesi iniziale della medicina è tragedia: sappiamo anzi tempo che la medicina fallirà.
Una concezione non-locale della mente umana rende possibile una visione alternativa. Invece della medicina temporale dalla quale siamo attualmente attaccati, potremmo concepire una medicina dell’eternità. La medicina dell’eternità si basa sulla consapevolezza che la parte più essenziale di chi siamo è infinita nello spazio e nel tempo, è pertanto eterna e immortale, non è nata ed è incapace di morire.
Riconoscere questo renderebbe anche possibile una concezione diversa del nostro rapporto con l’Assoluto (Dio, Dee, Allah, Brahma, il Tao, l’Universo, il Cosmo, ecc). Definiamo l’Assoluto come onnipresente, infinito nello spazio e nel tempo, eterno, immortale, le stesse qualità che si manifestano nella nostra natura non-locale. Quindi condividiamo qualità con l’Assoluto, il concetto del divino “dentro di noi” esemplificato in molte grandi tradizioni di saggezza. La frase Hindu “Tat tvam asi” o “ Tu sei quello” è un esempio tipico di questo riconoscimento.
Non dobbiamo abbandonare gli approcci meccanici dell’Era 1 semplicemente perché abbracciamo la “medicina dell’eternità”. Alcune persone credono che il riconoscimento della loro natura intrinseca non-locale costituisca un mandato per invadere tutti gli ospedali, staccare tutti i ventilatori e disconnettere tutte le TV. Tuttavia non è scritto da nessuna parte che dobbiamo seguire un unico approccio. Possiamo ancora optare per approcci del tipo Era 1. ma se decidiamo di usarli dopo un risveglio dell’Era 3, li usiamo con una differenza, con un luccichio negli occhi, in modo ironico sapendo che se gli approcci Era 1 fallissero, non c’è tragedia perché la parte più essenziale di noi, per principio, non può morire.
Quando penetriamo a fondo nella consapevolezza della nostra natura non–locale, si tende a credere che lasceremo alle spalle malattia e malessere, che la salute fisica sia una sorta di garanzia una volta che abbiamo svolto i nostri “compiti spirituali”. I fatti ci dicono il contrario, anche la persona più devota, realizzata in Dio, spiritualmente evoluta, spesso muore a causa dei fastidiosi problemi che affliggono noi comuni mortali. Tre delle persone più pie del ventesimo secolo sono morte di cancro, Krishnamurti, cancro al pancreas; Ramana Maharashi, cancro allo stomaco; Suzuki Roshi, cancro al fegato. Bernadette, che ha visto la Vergine a Lourdes, è morta di cancro alle ossa o tubercolosi diffusa all’età di trentatre anni. Gesù è morto di trauma all’età di trentatre anni. Buddha morì avvelenato, avendo mangiato carne avariata durante quello che poi si rivelò il suo ultimo pasto. Queste morti contengono una lezione: si può essere molto evoluti spiritualmente e ammalarsi molto seriamente.
Non bisogna quindi fare formule semplicistiche secondo le quali la comprensione spirituale e la salute fisica sono messe sullo stesso piano, questo sarebbe un abuso delle informazioni che abbiamo esaminato. Focalizziamoci piuttosto sulle realizzazioni che emergono dalla prospettiva non-locale: 1) che le nostre qualità più essenziali sono non-locali e quindi immortali ed eterne; 2) che la malattia e la morte sono problematiche solo da un punto di vista locale; 3) che la tragedia appartiene alla temporalità e al contingente, non all’eternità; 4) che il “Divino all’interno di noi” non è una metafora poetica ma un complemento della nostra natura non-locale.
Einstein ha detto una volta che la domanda più importante che si può fare è: “L’universo ci è amico?” Sono state date molte risposte a questa domanda. Abbiamo in precedenza menzionato la risposta di Bertrand Russell: ”Quando morirò, marcirò e non rimarrà niente del mio ego”. Poi c’è la risposta del Buddismo: “Se muori prima di morire, allora quando morirai non morirai”. Credo che queste due risposte siano compatibili. Lord Russell aveva sicuramente ragione: quando moriremo niente del nostro ego, il nostro piccolo sé, rimarrà. Ma questo non è tutto come ci suggerisce l’aforisma buddista. Poiché se siamo disposti a passare da una definizione di noi stessi egocentrica e locale a un tipo di consapevolezza non-locale, sappiamo che non c’è morte. Questo cambiamento di prospettiva giustifica un’ulteriore osservazione di Einstein: “ La bellezza di questo sta nel fatto che ci dobbiamo accontentare del riconoscimento del miracolo oltre il quale non c’è nessuna legittima via d’uscita”.
tratto da "Terra, Anima, Società", vol. 1 FioriGialli Edizioni
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Bellissimo articolo ma nel finale citare che Gesù è morto di trauma è bizarro. Il significato della Crocifissione di Gesù Cristo e il suo legarsi all'anima del mondo ( e della cui forza cui oggi stesso tutti beneficiano, Cristiani e Buddisti e Islamici, ecc...) non è un evento karmico, sennò non avrebbe alcun senso, ma un sacrificio volontario di chi viene dal di fuori dell'universo, da un mondo mai decaduto; oltre la ruota cosmica rivelata dal Buddha, c'è altro, molto di più. Consiglio vivamente il Libro Cristiano dei morti di Tommaso Palamidessi. Cordiali saluti
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