P.I.L. (Prodotto Interno Lordo) VERDE DALLA CINA
Luigi Lazzarini
Mentre l'Europa in crisi si dibatte per rincorrere i numeri del prodotto interno lordo i cinesi pensano ad un PIL verde. Impronta ecologica e altri modi di vedere l'economia...
Lo Shaanxi è la prima provincia cinese a calcolare il suo "prodotto interno lordo verde", riferisce il Financial Times del 19 agosto 04. La notizia è sorprendente e riflette un dato di fatto incontrovertibile: la Cina è, per molti aspetti, sull'orlo del collasso ambientale ed i dirigenti di Pechino ne sono ormai consapevoli. Le cause sono diverse: l'uso prevalente del carbone, come combustibile urbano e per le centrali elettriche, il boom di consumi di prodotti difficilmente riciclabili. Alla periferia di Shanghai si sono accumulate discariche di 100 mila tonnellate di computer e frigoriferi, condizionatori d´aria e telefonini, i rifiuti del nuovo benessere cinese. E poi, naturalmente, la causa prevalente dell´inquinamento urbano, su tutto il globo: l´automobile.
La motorizzazione di massa procede inesorabile, in un paese dove le dimensioni del fenomeno fanno impallidire qualunque paragone. Un dato sintetico per chiarire l'idea: la Cina ha 16 tra le 20 città più inquinate del pianeta (fonte Banca Mondiale).
La notizia rimbalza su Repubblica e, a fine settembre, Federico Rampini ci racconta che, con il via libera del governo centrale, sei tra regioni e province che includono grandi aree metropolitane (Pechino, Shanghai, il Guangdong, Jilin, Shaanxi) cominciano a raccogliere le statistiche del loro reddito sottraendo il costo delle distruzioni ambientali. E' il "PIL verde", difeso dal ministro dell´Ambiente Pan Yue. L´esperimento è assistito dagli economisti dell´Accademia delle scienze sociali di Pechino, che hanno già svalutato di un terzo il PIL dello Shanxi, a causa dei danni provocati alle risorse naturali.
L'uso di questo parametro permetterebbe di difendere l'ambiente, ma si potrebbe rivelare un toccasana anche per le tasche dei cinesi, si calcola infatti che l´insieme delle devastazioni ambientali ammontano al 12% del PIL cinese, 170 miliardi di dollari all´anno. Il "PIL verde" dovrebbe servire a cambiare la cultura della crescita economica, incorporando finalmente anche la qualità dello sviluppo.
Ma facciamo un passo indietro, utile a capire meglio di cosa stiamo parlando. Il PIL è nato per fornire un indicatore delle prestazioni di un'economia nel corso del tempo. Pur essendo sempre stato chiaro che si trattava di un indicatore grossolano, esso è a poco a poco diventato il metro di misura unico con cui i Paesi si confrontano fra di loro ed in base a cui giudicano i risultati, anno dopo anno, delle proprie economie.
Ogni mattina, con crescente apprensione, leggiamo bollettini di guerra come: "Il PIL quest'anno crescerà solo dello 0,8%", "Se il PIL non cresce almeno del 2,5%, si perderanno migliaia di posti di lavoro". Insomma leggendo i giornali ci sembra proprio che il nostro benessere dipenda essenzialmente dal fatto che il PIL cresca il più possibile (in Cina il PIL cresce di circa il 10% l'anno...).
Ma quali sono i limiti del PIL?
Consultiamo un manuale di economia che tiene conto delle problematiche ambientali: "Per un'economia ecologica" di Mercedes Bresso. Il primo difetto del PIL è che misura tutte le attività economiche che implicano una transazione monetaria, trascura cioè tutte le attività che non hanno un riscontro monetario, come la produzione di beni e servizi all'interno delle famiglie, la cura dei malati, la custodia dei bambini. Da questo deriva il paradosso che, quando uno ha un cancro il PIL cresce, ma solo se va in ospedale; così per la cura dei bambini, "vale" solo se vanno all'asilo e si paga per loro il servizio. E' ovvio che questo metodo premia tutto quello che va verso un economia di mercato, dove ogni azione umana viene monetizzata e fa sembrare più "arretrati" i paesi dove questa è poco sviluppata.
Il secondo grande difetto del PIL è quello di non contabilizzare i servizi forniti dall'ambiente, ma soltanto le riparazioni dei danni, perchè queste generano attività economica. Per cui, inquinare e depurare sembrano produrre maggiore ricchezza di un comportamento rispettoso che non produca danni all'ambiente. Va considerata infine la questione del capitale: dal prodotto lordo vanno sottratti gli ammortamenti dei beni capitali che servono ad assicurare la loro ricostituzione. Nell'uso del capitale naturale, come l'estrazione di minerale da una miniera oppure il taglio di una foresta centenaria, tutto fa brodo. E' prodotto netto, che va ad aumentare il PIL, ma non si tiene in nessun conto la diminuzione del valore dei beni della natura e dei danni provocati.
Da queste considerazioni parte la critica al tradizionale metodo di calcolo del PIL, tenendo conto anche del fatto che, nell'agenda ONU, fin dall'Earth Summit di Rio del 1992, c'è il concetto di sviluppo sostenibile: "lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le loro necessità" (Rapporto Brutland 1987).
Ecco quindi la necessità di nuovi metodi, meno rozzi del PIL. Uno di questi è appunto il PIL verde, l'uso del quale incontra però numerose difficoltà, nel calcolare con precisione i costi ambientali.
Ci sono, tuttavia altri indicatori, che si pongono sempre nell'ottica di superare il PIL a partire dal PIL stesso e cercano di fornire informazioni, oltre che sulla sfera economica, anche su quella sociale e ambientale.
In ambito UNDP (United Nations Development Program) ad esempio troviamo l'indice di sviluppo umano (Human Development Index) che aggrega con peso identico, dopo opportuna elaborazione, tre variabili principali: il reddito pro-capite, la speranza di vita alla nascita e il tasso combinato di alfabetismo e scolarizzazione. Ispirato dal Nobel Amartya Sen, l'HDI ridimensiona il peso del PIL dando spazio ad altri elementi che influiscono sul benessere dell'uomo e che tentano di catturare, seppure sinteticamente, il ruolo svolto dalla libertà, così cara all'economista indiano.
Ma probabilmente, la formulazione più avanzata dello sforzo di superamento del PIL è il Genuine Progress Indicator (GPI). Proposto da Redefining Progress, è un indice ottenuto attraverso alcune correzioni del PIL.
In particolare, il GPI sottrae i costi sociali legati alla criminalità, ai divorzi, all'inquinamento e al deterioramento delle risorse naturali e aggiunge al prodotto interno lordo il valore del lavoro svolto all'interno della famiglia e del volontariato. Inoltre, il GPI prende in considerazione altri fattori, quali la distribuzione del reddito (maggiore l'equità più alto è il GPI), i servizi e i costi dei beni durevoli e delle infrastrutture, il capitale preso in prestito dall'estero, la disponibilità di tempo libero (maggiore il tempo libero più alto è il GPI). Con tale procedimento, il GPI si svincola dall'assunzione che a ogni transazione monetaria corrisponda un aumento del benessere.
Ribaltando il punto di vista e partendo dall'ecosistema invece che dalle attività umane, possiamo rappresentare qual'è il nostro impatto sul pianeta, con l'impronta ecologica, che è la quantità di natura che ci serve a soddisfare le nostre necessità. Questo indice si costruisce calcolando l'area territoriale appropriata necessaria pro capite per la produzione di ognuno dei principali elementi di consumo, quindi il cibo, l'abitazione, la mobilità, i beni che acquistiamo. Si mette poi in rapporto con la superficie di territorio che ognuno di noi ha a disposizione. Ne viene fuori che la quasi totalità dei paesi cosiddetti "sviluppati", hanno un deficit ecologico.
Tanto per fare un esempio: l'impronta ecologica di un abitante medio degli Stati Uniti è di 10,3 ettari, mentre il territorio pro capite disponibile è di 6,7 ettari, il che significa che la pressione sul territorio è eccessiva (+3.6). Anche prendendo in considerazione paesi che hanno standard di vita molto alti ed una bilancia dei pagamento positiva, come la Svizzera (+3,2) e il Giappone (+3,4), il discorso non cambia. L'Italia non fa eccezione (+2,9).
È certamente auspicabile un superamento del PIL attraverso l'uso di un indicatore non esclusivamente incentrato sulle transazioni economiche, più democratico, che tenga conto di altri aspetti rilevanti nelle nostre vite. Al di là dei notevoli problemi da superare, a cominciare dalla monetizzazione dei danni ambientali, rappresenterebbe una sorta di rivoluzione. La crescita del PIL sarebbe solo uno degli obiettivi a cui tendere e, nel farlo, occorrerebbe prestare attenzione anche all'ambito sociale e ambientale ed agli effetti che la crescita del PIL avrebbe sui di essi.
Il popolo cinese, erede di una grande civiltà, ci può forse insegnare qualcosa, sulla strada dello sviluppo sostenibile? Sicuramente chi inquina molto e ha grossi danni ambientali è spinto a risolvere i problemi prima degli altri. E il loro buon esempio forse può essere utile anche a noi.
Forse la ricetta migliore la proponeva qualche anno fa Ernst F.Schumacher che scrisse nel 1975 "Piccolo è bello", un libro oggi purtroppo dimenticato, da cui è tratta la frase che segue:
"Il nostro compito è guardare il mondo e vederlo intero. Occorre vivere più semplicemente per permettere agli altri semplicemente di vivere"
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Da Tra Terra e Cielo
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