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UN'ALTRA ECONOMIA: CARTA DEI PRINCIPI
1. Sono comprese nella definizione di altra economia, intesa come diversa e alternativa a quella oggi dominante, tutte le attività economiche che non perseguono le finalità del sistema economico di natura capitalistica e di ispirazione liberista o neo liberista. In particolare sono da essa rifiutati gli obiettivi di crescita, di sviluppo e di espansione illimitati, il perseguimento del profitto ad ogni costo, l’utilizzazione delle persone da parte dei meccanismi economici e nel solo interesse di altre persone, il mancato rispetto dei diritti umani, della natura e delle sue esigenze di riproduzione delle risorse.
2. Le attività di altra economia perseguono il soddisfacimento delle necessità fondamentali e il maggior benessere possibile per il maggior numero di persone, sono dirette all’affermazione di principi di solidarietà e di giustizia, hanno come finalità primaria la valorizzazione delle capacità di tutti. Sono comprese in questa definizione anche le attività che prevedono la parziale o graduale uscita dal sistema economico dominante e le sperimentazioni di stili e modelli completamente nuovi di vita sociale, di
Continua...
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MESSAGGIO DALL'UNIVERSO
di E.F. Schumacher
Il nostro "ambiente", si potrebbe dire, è l'Universo meno noi stessi. Se oggi sentiamo che non tutto è in ordine con l'ambiente, al punto che richiede la protezione del suo Segretario di Stato, il problema non riguarda l'Universo come tale, ma il nostro impatto su di esso. Questo impatto sembra produrre, troppo spesso, due effetti deleteri: la distruzione della bellezza naturale, che è sufficiente già di per sé, e la distruzione di ciò che viene chiamato "equilibrio ecologico", o la salute e il potere di sostenere la vita della biosfera, che è anche peggio. Qui farò riferimento solo al secondo punto, e cioè ciò che stiamo facendo al pianeta. Chi è "noi" in questo contesto? E' la "gente-in-generale"? E' la popolazione mondiale? Sono tutti e nessuno? No, non sono tutti e nessuno. La grande maggioranza delle persone, anche oggi, vive in un modo che non danneggia seriamente la biosfera o esaurisce il dono delle risorse naturali.
Queste sono le persone che vivono in culture tradizionali. In genere ci riferiamo a loro come ai poveri del mondo, perché conosciamo di più la loro povertà piuttosto che la loro cultura. Molti diventano anche più poveri nel senso che perdono il loro capitale più prezioso, cioè la loro tradizione culturale, in rapida disintegrazione. In alcuni casi uno potrebbe a ben diritto affermare che diventano più poveri mentre diventano un po' più ricchi. Mentre abbandonano i loro stili di vita tradizionali e adottano quelli del moderno occidente, possono anche avere un crescente impatto dannoso sull'ambiente.
Resta il fatto, tuttavia, che non è la gran parte della popolazione povera a mettere a rischio la Navicella Spaziale Pianeta ma il relativamente esiguo numero di ricchi. La minaccia all'ambiente, e in particolare alle risorse e alla biosfera, deriva dallo stile di vita delle società ricche e non da quello dei poveri. Anche nelle società povere troviamo alcuni ricchi e finché questi aderiranno alla loro tradizione culturale fanno poco danno, o non lo arrecano affatto. È solo quando vengono "occidentalizzati" che scaturisce il danno all'ambiente. Ciò dimostra che il problema è alquanto complicato. Non è semplicemente questione di ricchi o poveri – i ricchi fanno danni e i poveri no. È una questione di stili di vita. Un americano povero può fare molti più danni ecologici di un asiatico ricco. Continua...
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ECONOMIA BUDDISTA E IL PICCOLO E’ BELLO
di Maurizio Di Gregorio
Il soggetto principale della scienza economica sono i beni considerati come oggetti di vendita, quale che sia la loro effettiva realtà.(sono opera dell’uomo, sono dati da Dio, dalla natura, sono riproducibili o no ?). Questo approccio la riduce ad una metodologia del procacciamento di affari. Forse questa visione riduttiva è deriva funzionale di un atteggiamento culturale formatosi su una cronica situazione di carenza e della effettiva necessità di reagirvi con maggiore efficacia pratica. Però questo non spiega come culture diverse e popoli antichissimi non abbiano assegnato un posto tanto importante al puro raggiungimento di obiettivi materiali pur dovendo affrontare e risolvere i bisogni fondamentali del sostentamento umano.
Di fatto l’economia accetta istruzioni da una metaeconomia che si forma nel complesso culturale.Cambiando le istruzioni cambia il contenuto dell’economia.
Confrontiamo la visione di un economista occidentale con quella di un economista buddista. Il lavoro è per tutti una fonte fondamentale di ricchezza, però cambia la percezione del suo valore.
In ambito moderno il lavoro è un puro elemento di costo per il datore di lavoro (che si può ridurre, ad esempio con l’automazione) ed un sacrificio per il salariato. Ne consegue che l’ideale per il primo è riuscire a produrre senza impiegare nessuno e per i secondo è avere un reddito senza essere impiegato ( in un certo senso entrambi vi stanno riuscendo con somma infelicità egualmente condivisa); così la fonte fondamentale della ricchezza si trasforma in una terribile seccatura.
Dal punto di vista buddista il lavoro permette all’uomo di utilizzare e sviluppare le sue facoltà, gli permette di superare il suo egocentrismo unendolo ad altri in una impresa comune, infine naturalmente produce i beni ed i servizi necessari ad una esistenza adeguata.
Ne segue che ogni tentativo di rendere il lavoro come una appendice necessaria solo alla produzione di beni è visto come una mancanza di pietà ed un tale attaccamento alla materia da uccidere l’anima.
Per il buddista è diverso l’obiettivo: invece della moltiplicazione dei beni e dei bisogni si mira alla purificazione del carattere dell’uomo, carattere che si forma attraverso il lavoro. Il lavoro condotto propriamente in condizioni di dignità e libertà dà gioia a chi lo fa ed anche ai suoi prodotti
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Il filosofo ed economista indiano Kumarappa riassume così il problema:
“ Se si valuta e si impiega giustamente la natura del lavoro esso starà con le facoltà più elevate dell’uomo, come il cibo con il corpo fisico.
Esso nutre e ravviva l’uomo più elevato e lo spinge a produrre il meglio di cui è capace.
Esso dirige la sua libera volontà lungo il giusto cammino e disciplina l’animale che è in lui entro canali di progresso.
Esso fornisce una base eccellente perché l’uomo esterni la sua scala di valori e sviluppi la propria personalità.”
Pertanto la mancanza di un lavoro è disperante per l’uomo non solo perché gli manca un redito, ma perché si perde il fattore nutriente della disciplina e dell’impegno.
Un economista occidentale come Galbraith (in La Società Opulenta) può dire invece:
“se possiamo permetterci un po’ di disoccupazione nell’interesse della stabilità dei salari (che evita l’inflazione) allora possiamo anche dare a chi è disoccupato quei beni che gli permettano di sostenere il livello di vita cui è abituato.”
Per un buddista questa pianificazione economica asserve il lavoratore al prodotto del lavoro.
Al contrario egli privilegia la piena occupazione per tutti coloro che hanno effettivamente bisogno di lavorare, senza massimizzare né l’occupazione, né la produzione.
La differenza consiste nel fatto che il materialista si interessa principalmente ai beni, mentre il buddista si interessa principalmente alla produzione come processo. Non che per il buddista il benessere fisico non sia importante: non è la ricchezza ad impedirlo ma l’attaccamento ad essa, non il godimento delle cose piacevoli ma la brama di esse.
Questo diverso atteggiamento conduce lontano, per esempio ad una scienza economica della “liberazione” basata su semplicità e non violenza che permette di raggiungere risultati straordinari con mezzi limitati.
Per il punto di vista buddista, se il consumo è semplicemente uno strumento per il benessere dell’uomo, il fine economico dovrebbe essere di ottenere il massimo di benessere con il minor consumo.
Ad esempio l’approccio buddista si coniuga facilmente alla critica ecologica dell’economia moderna che conduce uno sfruttamento di risorse non rinnovabili come la vita di un parassita che vive sul capitale anziché sulla rendita di esso.
La “Via di Mezzo” buddista fornisce così le linee guida di una economia del giusto sostentamento in grado di superare la frammentarietà delle visioni basate sul contrasto carenza/abbondanza.
Ernst Schumacher partendo da queste considerazioni fu uno dei primi economisti occidentali a sviluppare trenta anni fa una critica della concezione occidentale di sviluppo economico ed a proporre un approccio più moderato e rispettoso (amoroso) per l’uomo e l’ambiente basato sullo sviluppo delle comunità locali e condotto a livello intermedio con piccole economie di scala. Attraverso una tecnologia dolce e l’autogestione dei processi economici cercò di individuare i principi di una economia ed i requisiti di un lavoro volto alla realizzazione dell’essere umano e dei suoi bisogni più profondi, oltre che materiali. Una economia in grado di sviluppare oltre alla quantità dei beni anche la qualità del bene collettivo.
Già Gandhi aveva detto che i poveri del mondo non possono essere aiutati con la produzione di massa ma solo con la produzione da parte delle masse.
Il più famoso libro di Schumacher Il piccolo è bello (Mondadori) può ancora oggi essere considerato un caposaldo nel moderno approccio alle politiche di sviluppo del Terzo Mondo (molte delle sue critiche e proposte sono state , variamente, accettate e verificate) ed al contempo fornisce una base profonda e ragionata per una visione del lavoro come realizzazione dell’uomo nella sua totalità .
(a cura di Maurizio Di Gregorio)
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