Il silenzio è l'eloquenza della sapienza
Samael Aun Weor

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ECONOMIA CONSAPEVOLE
Etica e spiritualità per una nuova
economia consapevole e sostenibile
ECONOMIA CONSAPEVOLE
DI FRONTE AL FETICISMO DEL DENARO
L'ETICA E' INSUFFICIENTE

DI FRONTE AL FETICISMO DEL DENARO<BR>L'ETICA  E' INSUFFICIENTE
Raoul Vaneigem
Di fronte al feticismo del denaro, l'etica, necessaria quanto si vuole, è insufficiente. Sperare di moralizzare gli affari é vano quanto incitare ad una maggior igiene chi vive su un cumulo di spazzatura. Niente, in compenso, é più apprezzabile della libertà di parola concessa a tutti affinché una fioritura di idee nuove presieda alla ricostruzione dell'esistenza individuale e della società in un momento in cui un sistema fondato sulla ricerca esclusiva del denaro che rovina i
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LA SERENITA' INTERIORE
Plutarco

Gli insensati disprezzano e trascurano
perfino i beni di cui dispongono
perché con il pensiero
sono perennemente protesi verso il futuro
UN'ALTRA ECONOMIA: CARTA DEI PRINCIPI
UN'ALTRA ECONOMIA: CARTA DEI PRINCIPI
1. Sono comprese nella definizione di altra economia, intesa come diversa e alternativa a quella oggi dominante, tutte le attività economiche che non perseguono le finalità del sistema economico di natura capitalistica e di ispirazione liberista o neo liberista. In particolare sono da essa rifiutati gli obiettivi di crescita, di sviluppo e di espansione illimitati, il perseguimento del profitto ad ogni costo, l’utilizzazione delle persone da parte dei meccanismi economici e nel solo interesse di altre persone, il mancato rispetto dei diritti umani, della natura e delle sue esigenze di riproduzione delle risorse.
2. Le attività di altra economia perseguono il soddisfacimento delle necessità fondamentali e il maggior benessere possibile per il maggior numero di persone, sono dirette all’affermazione di principi di solidarietà e di giustizia, hanno come finalità primaria la valorizzazione delle capacità di tutti. Sono comprese in questa definizione anche le attività che prevedono la parziale o graduale uscita dal sistema economico dominante e le sperimentazioni di stili e modelli completamente nuovi di vita sociale, di
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IN CHE MODO IL LAVORO E' IN RAPPORTO CON LE FINALITA' E GLI SCOPI DELL'ESSERE UMANO?
IN CHE MODO IL LAVORO E' IN RAPPORTO CON LE FINALITA' E GLI SCOPI DELL'ESSERE UMANO?

di Maurizio Di Gregorio

Tutti gli insegnamenti spirituali hanno sempre riconosciuto che qualsiasi uomo non deve lavorare solo per tenersi in vita ma anche per tendere verso la perfezione. Per i bisogni materiali sono necessari vari beni e servizi che non potrebbero esistere senza il lavoro dell’uomo, per perfezionarsi però l’uomo ha bisogno di una attività dotata di senso che magari anche attraverso l’affronto e la soluzione delle difficoltà gli permetta di esprimersi, di”trovarsi”, di realizzare un opera con cui si senta in armonia e che gli permetta anche un rapporto armonico con la società e con tutto l’universo. Per Schumacher i fini del lavoro umano sono: 1) provvedere a fornire i beni necessari ed utili; 2) permettere a ciascuno di utilizzare e di perfezionare i propri doni e talenti, come buoni amministratori di se stessi; 3) Agire al servizio degli altri per liberarci del nostro egocentrismo ...Continua...
MESSAGGIO DALL'UNIVERSO
MESSAGGIO DALL'UNIVERSO


di E.F. Schumacher

Il nostro "ambiente", si potrebbe dire, è l'Universo meno noi stessi. Se oggi sentiamo che non tutto è in ordine con l'ambiente, al punto che richiede la protezione del suo Segretario di Stato, il problema non riguarda l'Universo come tale, ma il nostro impatto su di esso. Questo impatto sembra produrre, troppo spesso, due effetti deleteri: la distruzione della bellezza naturale, che è sufficiente già di per sé, e la distruzione di ciò che viene chiamato "equilibrio ecologico", o la salute e il potere di sostenere la vita della biosfera, che è anche peggio. Qui farò riferimento solo al secondo punto, e cioè ciò che stiamo facendo al pianeta. Chi è "noi" in questo contesto? E' la "gente-in-generale"? E' la popolazione mondiale? Sono tutti e nessuno? No, non sono tutti e nessuno. La grande maggioranza delle persone, anche oggi, vive in un modo che non danneggia seriamente la biosfera o esaurisce il dono delle risorse naturali.
Queste sono le persone che vivono in culture tradizionali. In genere ci riferiamo a loro come ai poveri del mondo, perché conosciamo di più la loro povertà piuttosto che la loro cultura. Molti diventano anche più poveri nel senso che perdono il loro capitale più prezioso, cioè la loro tradizione culturale, in rapida disintegrazione. In alcuni casi uno potrebbe a ben diritto affermare che diventano più poveri mentre diventano un po' più ricchi. Mentre abbandonano i loro stili di vita tradizionali e adottano quelli del moderno occidente, possono anche avere un crescente impatto dannoso sull'ambiente.
Resta il fatto, tuttavia, che non è la gran parte della popolazione povera a mettere a rischio la Navicella Spaziale Pianeta ma il relativamente esiguo numero di ricchi. La minaccia all'ambiente, e in particolare alle risorse e alla biosfera, deriva dallo stile di vita delle società ricche e non da quello dei poveri. Anche nelle società povere troviamo alcuni ricchi e finché questi aderiranno alla loro tradizione culturale fanno poco danno, o non lo arrecano affatto. È solo quando vengono "occidentalizzati" che scaturisce il danno all'ambiente. Ciò dimostra che il problema è alquanto complicato. Non è semplicemente questione di ricchi o poveri – i ricchi fanno danni e i poveri no. È una questione di stili di vita. Un americano povero può fare molti più danni ecologici di un asiatico ricco. Continua...

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VENTI TESI CONTRO L’ECO-CAPITALISMO


di Tadzio Mueller and Alexis Passadakis

(Alexis Passadakis è membro del consiglio di coordinamento di ATTAC Germania, Tadzio Mueller fa parte del gruppo redazionale di Turbulence. Entrambi sono attivi nell’emergente movimento di climate justice againstgreencapitalism (at) googlemail.com)

1. L’attuale crisi economica mondiale segna la fine della fase neoliberista del capitalismo. Business as usual (finanziarizzazione, deregulation privatizzazione) non è più una scelta possibile: i governi e le corporation dovranno trovare nuovi spazi di accumulazione e nuovi tipo di regolazione politica per far sopravvivere il capitalismo.
2 Insieme alla crisi economica politica ed energetica c’è un’altra crisi che sta attraversando il mondo: la biocrisi, risultato della contraddizione tra sistema di sostegno all’ecologia che garantisce la sopravvivenza umana e bisogno capitalista di una crescita costante.
3. Questa biocrisi è un pericolo immenso per la sopravvivenza collettiva, ma come ogni crisi presenta anche un’opportunità storica per i movimenti sociali: l’opportunità di colpire la vena giugulare del capitalismo, il suo bisogno di una crescita incessante distruttiva e folle.
4. L’unica proposta emergente dalle elites globali che promette di rispondere a queste crisi è il “Green New Deal”. Non l’amichevole capitalismo verde 1.0 dell’agricoltura dinamica e dei mulini a vento, ma la proposta di una fase verde del capitalismo che cerca di generare profitti da una modernizzazione ecologica di certe aree chiave della produzione: auto, energia eccetera.
5: Il capitalismo verde 2.0 non può risolvere la biocrisi (cambiamento climatico e altri problemi ecologici come quelli della pericolosa riduzione di biodiversità) ma piuttosto cerca di trarne profitto. Pertanto esso non modifica la rotta di collisione di umanità e biosfera provocata dall’economia di mercato.
6. Non siamo negli anni 30. Allora, sotto la pressione di potenti movimenti sociali il vecchio New Deal redistribuì potere e ricchezza verso il basso. Il Nuovo e verde New Deal proposto da Obama, e dai partiti verdi di tutto il mondo, e anche da alcune multinazionali pensa molto più all’interesse delle corporation che a quello della gente.
7. Il capitalismo verde non colpisce il potere di coloro che attualmente producono la maggior parte dei gas serra, compagnie energetiche, linee aeree, produttori di auto, e agricoltura industriale, ma farà piovere capitali su tutti costoro per aiutarli a mantenere il tasso di profitto producendo piccoli cambiamenti ecologici che saranno troppo poco e troppo tardi.
8. Dato che globalmente I lavoratori hanno perduto il loro potere di acquisto e di ottenere diritti e salari decenti, nella prospettiva del capitalismo verde i salari continueranno a stagnare o anche declinare per affrontare I costi crescenti della modernizzazione ecologica.
9. Lo stato eco-capitalista sarà uno stato autoritario. Giustificato dalla minaccia di una crisi ecologica vorrà gestire il conflitto sociale destinato a sorgere necessariamente a causa dell’impoverimento che deriva all’aumento del costo della vita e il declino dei salari.
10 Nell’eco capitalismo i poveri dovranno essere esclusi dal consumo, spinti ai margini, mentre I ricchi manterranno il loro comportamento eco-distruttivo, cercando di consumare molto e salvare il pianeta al tempo stesso.
11. Uno stato autoritario, diseguaglianze sociali massicce, la spesa pubblica destinata alle corporation: dal punto di vista dell’emancipazione sociale e ecologica, l’eco-capitalismo sarà un disastro dal quale non ci riprenderemo. Oggi abbiamo una possibilità di superare la follia suicidaria della crescita costante. Quando saremo stati sottomessi al nuovo eco-regime quella possibilità potrebbe essere perduta.
12. Nell’eco-capitalismo c’è il pericolo che gruppi ambientalisti di potere giochino il ruolo che i sindacati svolsero nell’epoca fordista: agire come valvole di controllo per garantire che la domanda di cambiamento sociale proveniente dalla rabbia collettiva rimanesse entro i limiti stabiliti dal capitale.
13 Albert Einstein definisce la follia con queste parole: “ripetere molte volte di seguito la stessa azione aspettandosi che possa produrre dei risultati differenti.” Nel passato decennio, nonostante Kyoto, non solo la concentrazione di gas-serra nell’atmosfera è aumentata, ma è anche aumentato di tasso di incremento. Vogliamo semplicemente ripetere la stessa cosa? Non sarebbe questo folle?
14. “Gli accordi internazionali sul clima promuovono false soluzioni che spesso riguardano piuttosto la sicurezza energetica che il cambiamento climatico. Lungi dal risolvere la crisi, accordi come quello relativo allo scambio di crediti in cambio di emissioni, funzionano come copertura per una continuazione impunita delle emissioni.
15. Per molte comunità del Sud globale, queste false soluzioni sono ormai una minaccia peggiore dello stesso cambiamento climatico. 16. vere soluzioni per il cambiamento climatico non verranno fuori dai governi o dalle multinazionali. Potranno emergere solo dal basso, da movimenti sociali collegati globalmente.
17. Queste soluzioni sono fra l’altro: limitazioni agli scambi commerciali, blocco delle privatizzazioni, e dei meccanismi flessibili. Sì alla sovranità alimentare, sì alla decrescita, sì alla democrazia radicale che lascia le risorse nel terreno.
18. In quanto movimento emergente del cambio climatico dobbiamo combattere contro due nemici: da una parte il cambio climatico e il capitalismo fossile che lo produce, dall’altro un emergente capitalismo verde che non fermerà il mutamento climatico, ma che limiterà la nostra capacità di andare in quella direzione.
19. Naturalmente il mutamento climatico e la libertà di mercato non sono la stessa cosa, ma il protocollo Copenhagen sarà un’istanza di regolazione centrale del capitalismo verde come il WTO era l’organismo centrale del capitalismo neoliberale. Il gruppo danese Klimax sostiene: un buon accordo è meglio che nessun accordo, ma nessun accordo è meglio che un accordo cattivo.
20. La possibilità che I governi escano con un buon accordo a Copenhagen è prossima allo zero. Il nostro scopo è ottenere accordi su soluzioni reali. Altrimenti dovremo dimenticare Kyoto e chiudere Copenhagen. (quale che sia la tattica)


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