Di ciò di cui non si può parlare si tace. - Ludwig Wittgenstein

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ECONOMIA CONSAPEVOLE
Etica e spiritualità per una nuova
economia consapevole e sostenibile
ECONOMIA CONSAPEVOLE
DI FRONTE AL FETICISMO DEL DENARO
L'ETICA E' INSUFFICIENTE

DI FRONTE AL FETICISMO DEL DENARO<BR>L'ETICA  E' INSUFFICIENTE
Raoul Vaneigem
Di fronte al feticismo del denaro, l'etica, necessaria quanto si vuole, è insufficiente. Sperare di moralizzare gli affari é vano quanto incitare ad una maggior igiene chi vive su un cumulo di spazzatura. Niente, in compenso, é più apprezzabile della libertà di parola concessa a tutti affinché una fioritura di idee nuove presieda alla ricostruzione dell'esistenza individuale e della società in un momento in cui un sistema fondato sulla ricerca esclusiva del denaro che rovina i
Continua...
LA SERENITA' INTERIORE
Plutarco

Gli insensati disprezzano e trascurano
perfino i beni di cui dispongono
perché con il pensiero
sono perennemente protesi verso il futuro
UN'ALTRA ECONOMIA: CARTA DEI PRINCIPI
UN'ALTRA ECONOMIA: CARTA DEI PRINCIPI
1. Sono comprese nella definizione di altra economia, intesa come diversa e alternativa a quella oggi dominante, tutte le attività economiche che non perseguono le finalità del sistema economico di natura capitalistica e di ispirazione liberista o neo liberista. In particolare sono da essa rifiutati gli obiettivi di crescita, di sviluppo e di espansione illimitati, il perseguimento del profitto ad ogni costo, l’utilizzazione delle persone da parte dei meccanismi economici e nel solo interesse di altre persone, il mancato rispetto dei diritti umani, della natura e delle sue esigenze di riproduzione delle risorse.
2. Le attività di altra economia perseguono il soddisfacimento delle necessità fondamentali e il maggior benessere possibile per il maggior numero di persone, sono dirette all’affermazione di principi di solidarietà e di giustizia, hanno come finalità primaria la valorizzazione delle capacità di tutti. Sono comprese in questa definizione anche le attività che prevedono la parziale o graduale uscita dal sistema economico dominante e le sperimentazioni di stili e modelli completamente nuovi di vita sociale, di
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IN CHE MODO IL LAVORO E' IN RAPPORTO CON LE FINALITA' E GLI SCOPI DELL'ESSERE UMANO?
IN CHE MODO IL LAVORO E' IN RAPPORTO CON LE FINALITA' E GLI SCOPI DELL'ESSERE UMANO?

di Maurizio Di Gregorio

Tutti gli insegnamenti spirituali hanno sempre riconosciuto che qualsiasi uomo non deve lavorare solo per tenersi in vita ma anche per tendere verso la perfezione. Per i bisogni materiali sono necessari vari beni e servizi che non potrebbero esistere senza il lavoro dell’uomo, per perfezionarsi però l’uomo ha bisogno di una attività dotata di senso che magari anche attraverso l’affronto e la soluzione delle difficoltà gli permetta di esprimersi, di”trovarsi”, di realizzare un opera con cui si senta in armonia e che gli permetta anche un rapporto armonico con la società e con tutto l’universo. Per Schumacher i fini del lavoro umano sono: 1) provvedere a fornire i beni necessari ed utili; 2) permettere a ciascuno di utilizzare e di perfezionare i propri doni e talenti, come buoni amministratori di se stessi; 3) Agire al servizio degli altri per liberarci del nostro egocentrismo ...Continua...
MESSAGGIO DALL'UNIVERSO
MESSAGGIO DALL'UNIVERSO


di E.F. Schumacher

Il nostro "ambiente", si potrebbe dire, è l'Universo meno noi stessi. Se oggi sentiamo che non tutto è in ordine con l'ambiente, al punto che richiede la protezione del suo Segretario di Stato, il problema non riguarda l'Universo come tale, ma il nostro impatto su di esso. Questo impatto sembra produrre, troppo spesso, due effetti deleteri: la distruzione della bellezza naturale, che è sufficiente già di per sé, e la distruzione di ciò che viene chiamato "equilibrio ecologico", o la salute e il potere di sostenere la vita della biosfera, che è anche peggio. Qui farò riferimento solo al secondo punto, e cioè ciò che stiamo facendo al pianeta. Chi è "noi" in questo contesto? E' la "gente-in-generale"? E' la popolazione mondiale? Sono tutti e nessuno? No, non sono tutti e nessuno. La grande maggioranza delle persone, anche oggi, vive in un modo che non danneggia seriamente la biosfera o esaurisce il dono delle risorse naturali.
Queste sono le persone che vivono in culture tradizionali. In genere ci riferiamo a loro come ai poveri del mondo, perché conosciamo di più la loro povertà piuttosto che la loro cultura. Molti diventano anche più poveri nel senso che perdono il loro capitale più prezioso, cioè la loro tradizione culturale, in rapida disintegrazione. In alcuni casi uno potrebbe a ben diritto affermare che diventano più poveri mentre diventano un po' più ricchi. Mentre abbandonano i loro stili di vita tradizionali e adottano quelli del moderno occidente, possono anche avere un crescente impatto dannoso sull'ambiente.
Resta il fatto, tuttavia, che non è la gran parte della popolazione povera a mettere a rischio la Navicella Spaziale Pianeta ma il relativamente esiguo numero di ricchi. La minaccia all'ambiente, e in particolare alle risorse e alla biosfera, deriva dallo stile di vita delle società ricche e non da quello dei poveri. Anche nelle società povere troviamo alcuni ricchi e finché questi aderiranno alla loro tradizione culturale fanno poco danno, o non lo arrecano affatto. È solo quando vengono "occidentalizzati" che scaturisce il danno all'ambiente. Ciò dimostra che il problema è alquanto complicato. Non è semplicemente questione di ricchi o poveri – i ricchi fanno danni e i poveri no. È una questione di stili di vita. Un americano povero può fare molti più danni ecologici di un asiatico ricco. Continua...

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VERSO UNA DEFINIZIONE DI ALTRA ECONOMIA


Esiste un'economia ufficiale, che sta nel senso comune, che si insegna nelle università. E' quella dell'utilitarismo, della massimizzazione del profitto, del capitale come ragione di tutto. E ne esiste un'altra, molto meno diffusa, decisamente ignota ai più. E' fatta di piccole ma solida pratiche, di reti prima che di capitali. Tutto nasce, probabilmente, dallo schiacciante dominio della prima e dall'abilità dei suoi profeti di raccontare che di economia ce ne possa essere una sola, quella appunto egemone, addirittura assunta al titolo di scienza in sé - separata dalla sociologia, dall'antropologia, dall'urbanistica, da tutto ciò che studia le relazioni tra le persone e tra queste e l'ambiente . Così ci si è illusi - e molti, troppi, continuano a farlo - che l'economia sia riconducibile ad un approccio meccanicistico, abbia le sue regole, possa essere studiata, interpretata e applicata a prescindere dal contesto sociale e ambientale. I danni sono sotto gli occhi di chi li vuol vedere: nonostante uno sviluppo tecnologico senza precedenti, l'ultimo secolo ha portato con sé, insieme all'aumento del benessere degli abitanti dei paesi più ricchi, un devastante incremento delle diseguaglianze tra nord e sud del mondo, che ora - complice una crisi irreversibile dell'attuale modello di sviluppo - si va estendendo anche all'interno dei paesi più ricchi. E ha implicato la maggiore dissipazione di risorse naturali mai osservata. Il problema - è evidente - sta tutto nella concezione di un'economia, di uno sviluppo, intesi soltanto in modo quantitativo e misurati attraverso i valori monetari di scambio, che inevitabilmente prendono in considerazione esclusivamente i costi interni al processo produttivo (lavoro e capitale) ed escludono da ogni calcolo quelli esterni (risorse naturali, tessuto sociale, relazioni tra territori ecc.) . Il tutto si traduce in una totale assenza di strategie di lungo periodo per questo tipo di economia, abituata a bruciare oggi ciò che potrebbe essere ricchezza domani. E così la necessità di mettere in crisi questo modello esce dalle ristrette discussioni di pochi intellettuali ed entra nell'agenda dei governi, dei politici, dei cittadini coinvolti in prima persona da processi che sembravano infallibili (basti pensare al black-out che ha paralizzato l'Italia nel settembre scorso). E' qui che l'altra economia può trovare i suoi spazi. Ma che cos'è un'altra economia?

Verso una definizione di altra economia
Ovviamente non basta definire l'oggetto di questo lavoro per negativo. Una definizione di altra economia va costruita a partire dalle specificità positive, originali, che caratterizzano le pratiche e i valori di partenza di agenti economici attivi nei campi più diversi. Negli ultimi anni è cresciuta a dismisura - insieme allo stesso fenomeno di cui tratta - la letteratura dedicata alle organizzazioni nonprofit, senza scopo di lucro. Ciò è dovuto principalmente ai processi di riassetto dei sistemi di welfare, che hanno via via utilizzato queste organizzazioni per ridurre i costi sostenuti dalla pubblica amministrazione e migliorare (nei casi più fortunati) la qualità dei servizi. Ma in parte ciò è accaduto anche per la diffusione di pratiche e sperimentazioni che partono dalla messa in crisi del modello di impresa capitalistica e ne cercano un'altra: solidale, sociale, equa. Si parla così di economia sociale, economia solidale, terzo settore. Il termine "economia sociale" è utilizzato a partire dal XIX secolo in Francia per indicare le esperienze cooperative e mutualistiche che intervengono tra stato e mercato per soddisfare "bisogni" primari (gli stessi che poi, dal secondo dopoguerra, diventeranno finalmente "diritti") dei cittadini. Secondo molti studiosi si tratta di una formula niente affatto alternativa al modello capitalistico ma che, anzi, in esso trova la sua ragione di essere e i suoi stessi principi di funzionamento . E' tuttora utilizzata in Francia per identificare il vasto movimento cooperativo e delle banche popolari. L'economia "solidale" è invece un concetto assai più recente, proposto in modo strutturato all'inizio degli anni '90, quando sono ormai molti gli studi che propongono il "terzo settore" come una delle possibili soluzioni alla crisi dei sistemi di welfare e al problema della crescita senza occupazione . Secondo il suo massimo teorico, Jean Louis Laville, l'economia solidale può nascere da un nuovo equilibrio tra intervento pubblico, reti informali e domestiche e imprese cooperative e nonprofit. Quella che Laville definisce l'ibridazione del sistema può permettere la rigenerazione del tessuto sociale e il reinserimento, come indicato da Polanyi, della politica e della società all'interno dell'economia . Ma senza dubbio il termine che più si è affermato è quello di terzo settore (o nonprofit). Utilizzato per distinguere tutto ciò che sta tra stato e mercato, dalla filantropia al centro sociale, questa (non)definizione si limita a proporre un gran contenitore di soggetti che - tecnicamente - non devono fare altro che inibire la distribuzione degli utili ai propri soci. E' evidente che dietro questo unico punto in comune ci saranno organizzazioni molto differenti per finalità, metodologie di intervento, settore di attività. E i tentativi fatti nel tempo di dargli una connotazione positiva (terzo settore ristretto, solidale, democratico, produttore di utilità sociale ecc.) non hanno influito più di tanto sul dibattito e sulla percezione comune .

Ma è comunque all'interno di questi spazi che cresce e si può identificare un'altra economia. Certamente dentro l'ambito di intervento del terzo settore, ma anche a cavallo tra economia sociale e solidale, senza dimenticare il ruolo cruciale di quella informale. In particolare può essere utile immaginare quest'altra economia come una rete, o meglio un insieme di reti, di operatori economici (ma anche politici e culturali) il cui comportamento sia basato su principi originali di funzionamento, solidali, etici, che mettono al centro dell'azione il bene comune e collettivo. E, proprio concentrandosi sulle reti di economia solidale, Euclides Mance ha scritto: "la rivoluzione delle reti darà il via all'organizzazione di una società post-capitalista che non si confonde con nessun cooperativismo capitalista, né con qualche variante anarchica, né con il socialismo statale, ma assorbe elementi delle più diverse proposte emancipatrici elaborate nella storia degli oppressi e gran parte delle risorse tecnologiche sviluppate dall'attuale società capitalistica […], superando così tutti questi modelli e ampliando le libertà pubbliche e private in maniera inedita per la storia dell'umanità" . Oggi sono già molte le pratiche che si ispirano a questa filosofia. Volendone tracciare un quadro generale e generalizzante si può partire dai valori di fondo che le accomunano :

1. assenza di scopo di lucro: le imprese dell'altra economia sono tendenzialmente nonprofit, poco importa se nella forma giuridica o nella prassi. Questo perché, pur garantendo capacità di creazione di nuovi posti di lavoro e qualità produttiva, sono consapevoli della necessità di limitare la distorsione dei comportamenti economici indotta dalla logica del profitto. Tutto il surplus creato viene perciò reinvestito all'interno dell'impresa, per migliorare il ciclo produttivo, le condizioni di lavoro, la qualità dei servizi, ridurre l'impatto ambientale;

2. efficienza: non si tratta di proporre un'economia più buona e di cadere così nella beneficenza. Bensì di costruire un'attività economicamente vitale che intende essere socialmente utile;

3. trasparenza: ogni operatore dell'altra economia conta di produrre valore sulla base della sua attività reale e non grazie all'occultamento di informazioni, dunque si assume anche l'onere di garantire una massima trasparenza e di adottare tutti gli strumenti utili per consentire ai terzi (consumatori, risparmiatori, fornitori, istituzioni pubbliche ecc.) una valutazione corretta dei beni e servizi offerti;

4. partecipazione: l'operatore dell'altra economia si sente parte di un sistema complesso a cui vuole apportare valore e di cui riconosce il valore. Per questo nella sua attività prevede il coinvolgimento e la partecipazione di tutti coloro che possono averne interesse: lavoratori, cittadini, finanziatori, pubblica amministrazione ecc.;

5. responsabilità sociale ed ambientale: in ogni ambito di attività si privilegia la promozione dello sviluppo umano, attraverso un'attenzione costante alla responsabilità sociale ed ambientale - che devono integrare quella economica, legale, produttiva - dell'impresa. Simmetricamente, si escludono per principio i rapporti di ogni tipo - economici, finanziari, produttivi - con quelle attività che ostacolano lo sviluppo umano e contribuiscono a violare i diritti fondamentali della persona, come la produzione e il commercio di armi, le produzioni gravemente lesive della salute e dell'ambiente, le attività che si fondano sullo sfruttamento dei minori o sulla repressione delle libertà civili;

6. un'adesione globale e coerente dell'attività: ciò significa applicare in ogni ambito di azione economica (interna ed esterna) questi principi, che quindi devono impattare anche sull'organizzazione interna, sulle gerarchie aziendali, sulla forbice dei redditi tra i lavoratori e i dirigenti, su tutti i rapporti che l'impresa costruisce nel tempo. Dal punto di vista delle pratiche e delle sperimentazioni ormai consolidate, questi principi trovano riscontro in alcuni filoni di attività che si possono ormai identificare chiaramente. A partire dall'esperienza del movimento cooperativo e del mutualismo operaio degli inizi del Novecento, infatti, almeno parte dei principi proposti hanno trovato concretezza nelle esperienze di migliaia di imprese, cooperative, forme auto-organizzate di protezione sociale, consumo, risparmio. Nel corso dei decenni e in particolare negli ultimi 20-30 anni tali iniziative hanno subito profondi e radicali cambiamenti, tra cui forse il più rilevante è l'adozione di cause rappresentative di interessi esterni ai soggetti che le animano. E' scomparso cioè l'elemento mutualistico e corporativo (nel senso migliore del termine) e si sono introdotte nell'azione forme di advocacy e di tutela dei diritti di categorie deboli non in grado di far sentire la propria voce. Così, ad esempio, i consumatori occidentali si impegnano per i coltivatori del sud del mondo con le pratiche del commercio equo e solidale e gli ambientalisti - attraverso la tutela delle risorse naturali - per i diritti delle generazioni future. Citando ancora Mance: "il consumo solidale si basa sulla consapevolezza che il consumo è l'obiettivo finale di tutto il processo produttivo e che, nel consumare, contribuiamo a preservare o a distruggere gli ecosistemi, a salvaguardare posti di lavoro o a determinare i livelli di disoccupazione nel nostro paese o nella nostra città; contribuiamo a mantenere lo sfruttamento dei lavoratori in una società capitalista ingiusta o collaboriamo ad eliminarlo in ogni sua forma e a costruire una nuova società collaborativa e solidale ". Le forme organizzative scelte da chi promuove l'altra economia sono le più varie, anche se è forte la prevalenza dello strumento associativo e cooperativo. Allo stesso modo, per quanto riguarda le attività, ve ne sono alcune che esemplificano al meglio il percorso di costruzione di un'altra economia. Si tratta delle seguenti: il commercio equo e solidale, la finanza etica, l'agricoltura biologica, il turismo responsabile, il consumo critico e il software libero.

Il commercio equo e solidale
L'obiettivo di queste iniziative è importare nei paesi ricchi dell'occidente merci prodotte con dignità e pagate a un prezzo stabile e più alto rispetto a quello delle borse delle materie prime (o di quanto non paghino gli importatori di artigianato dal sud del mondo). In Europa le botteghe del commercio equo sono quasi 3000, i volontari sono 96.000 e il giro di affari di quasi 8.000 miliardi di lire. In Italia, con una storia più breve di queste esperienze, le botteghe sono 350, dieci le organizzazioni importatrici, 10.000 i volontari e circa 150 i lavoratori. Se si paragonano altri ambiti del terzo settore a questo, occorre sottolineare che il quadro romano è più debole di quello nazionale. Mentre per la maggior parte delle organizzazioni nazionali, e per quelle di secondo e terzo livello, la sede centrale è a Roma, nel caso del commercio equo, tutte le organizzazioni importatrici hanno la loro sede nel centro nord. Proprio perché diffusosi altrove in Italia prima che a Roma, il commercio equo arriva nella Capitale con qualche anno di ritardo rispetto ad altre città del paese. Oggi vi sono 15 Botteghe del Mondo nel territorio di Roma e dei comuni limitrofi.

La finanza etica
Così come il commercio equo e solidale mette al centro della propria azione una visione alternativa del commercio - solidale e cooperativo - allo stesso modo il movimento della finanza etica nasce per proporre un modo differente di usare il denaro. L'attività finanziaria, che implica lo spostamento delle risorse da chi ne ha in eccesso a chi ne ha in difetto, è al centro della critica e della proposta di questi operatori. Gli ultimi anni si sono caratterizzati a Roma per la forte crescita dell'attività di Banca Popolare Etica . La risposta della città, sia in termini di raccolta che di impieghi, è stata di notevole interesse, mostrando delle potenzialità tuttora inesplorate per lo sviluppo della finanza solidale nella Capitale. Banca Etica ha erogato finanziamenti su Roma per circa 20 milioni di euro complessivi, più o meno quanto raccoglie dai risparmiatori della città. Ciò fa di Roma il primo centro di Banca Etica per rilevanza economica, in cui si concentra circa il 30% del totale delle operazioni di impiego effettuate sul territorio nazionale. Va sottolineato però come questi dati siano affetti da una distorsione che rischia di alterarne sensibilmente la lettura. Il 37% di questi finanziamenti, infatti, va a organizzazioni non governative (con sede nazionale a Roma) che realizzano progetti di cooperazione internazionale, i cui benefici quindi sono fuori dal territorio romano, e il 34% a organizzazioni di livello nazionale (sedi centrali di grandi associazioni come ARCI, ACLI ecc.) e dunque si può presumere anche in questo caso che gli effetti positivi ricadranno marginalmente sulla città. Resta un 29% di finanziamenti che coprono in senso proprio il territorio della città di Roma, sono cioè destinati a progetti di sviluppo locale. Nonostante la presenza di Banca Etica, comunque, più volte in sedi associative si è discusso della possibilità di creare uno strumento di finanza etica locale per la città di Roma. L'idea è quella di progettare una MAG (Mutua Auto Gestione) . Una tale iniziativa sarebbe tutt'altro che in contrapposizione con l'esperienza della Banca Etica e, anzi, le due realtà potrebbero rafforzare i rispettivi ruoli, distinti per raggio d'azione (locale e nazionale) e operatività (rapida, diretta e più selettiva la banca, dedicata di più al territorio, al dialogo, all'empowerment dei soggetti deboli, con attività di formazione e tutoraggio la MAG).

L'agricoltura biologica
Definita dal punto di vista legislativo a livello comunitario dal Regolamento Ce 2092/91 e successive integrazioni e modifiche e a livello nazionale dal D.M. 220/95 e relative integrazioni, è l'unica forma di agricoltura controllata da leggi europee e nazionali basate su un sistema di controllo uniforme in tutta la C.E. così come stabilito dagli articoli 8, 9 e dall'allegato III, del Regolamento. In Italia tale opera di controllo è esercitata da 10 organismi, riconosciuti dal Ministero delle politiche agricole. Nel nostro paese il mercato del biologico è in notevole espansione. Occupiamo il primo posto nel mondo come aziende produttrici e di trasformazione (63.156) e il primo posto in Europa e il terzo nel mondo come superfici coltivate (1.182.403 ha.). Le superfici a coltivazione biologica, rappresentano in Italia il 7.88% della Superficie Agricola Utile (Sau); la maggior parte di questa superficie (65,9%) e delle aziende di produzione e trasformazione (65%), è situata nel centro-sud con particolare riferimento alle due isole maggiori. Nel Lazio esistono 2.679 aziende biologiche, con una S.a.u. occupata pari al 5,98% della superficie totale. Per quanto riguarda i consumi di prodotti biologici, questi si attestano intorno al 2% dei consumi alimentari totali, con un fatturato superiore ai 2 miliardi di Euro. In Europa siamo al terzo posto come consumi, dietro Germania e Francia, anche se nettamente staccati dai primi. A Roma esistono più di 70 punti vendita di prodotti bio, a cui vanno aggiunti i punti della grande distribuzione e altri 15 in provincia. Tale quadro se da un lato dimostra i limiti del mercato del biologico nel nostro paese dall'altro ne evidenzia le enormi potenzialità di crescita.

Il turismo responsabile
Il turismo responsabile nasce, a livello europeo, come movimento di critica dell'industria turistica e solo in un secondo momento si sono sviluppate, in Italia, iniziative alternative in questo settore. Per questo, le pratiche in questo ambito sono quasi sempre promosse da associazioni culturali o da organizzazioni non governative, attive in campi affini alla cooperazione allo sviluppo. Di tutte le componenti di AITR (l'associazione-coordinamento che riunisce tutti o quasi i soggetti del turismo responsabile sul piano nazionale), soltanto una, la milanese "Pindorama", ha di recente acquisito lo status di tour operator. In termini di presenza imprenditoriale, la realtà del turismo responsabile a Roma e nel Lazio (ma lo stesso si potrebbe dire a proposito di tutta l'Italia centro-meridionale) è di gran lunga più arretrata rispetto a quella del commercio equo e solidale. Non risultano operanti in tale settore imprese, cooperative o altri soggetti di natura para-imprenditoriale, ma soltanto alcune "esperienze condotte da gruppi informali di cittadini". Il tema del turismo responsabile è associabile a quello degli scambi giovanili e del volontariato internazionale, che forniscono a giovani (e meno giovani) l'opportunità di visitare un altro paese con poca spesa e di fare un'esperienza educativa ed interculturale. Nel comune di Roma le organizzazioni nonprofit attive in questo settore sono sei (Servizio Civile Internazionale, Lunaria, YAP, Legambiente, WWF, Oikos), quasi tutte sedi nazionali che muovono volontari anche da e per zone esterne al territorio comunale. In totale inviano ogni anno circa 500 ragazzi romani all'estero.

Il consumo critico
Il consumo critico è un modo di consumare, ovvero di acquistare ed utilizzare beni e servizi, secondo criteri di salvaguardia dell'ambiente naturale e di solidarietà internazionale. Muove i suoi passi dalla consapevolezza della insostenibilità - ambientale e sociale - degli attuali livelli di consumo del nord del mondo. In tal senso consumo critico vuol dire innanzitutto riduzione dei livelli di consumo; vuol dire recupero e riuso dei materiali e riciclaggio dei rifiuti; vuol dire scegliere di acquistare ciò che è stato prodotto con tecnologie a minor impatto ambientale e con materiali riciclati o materie prime non scarse o in via di esaurimento; vuol dire non scegliere di acquistare ciò che è stato prodotto con lo sfruttamento del lavoro di adulti e ancor peggio bambini. Ma soprattutto vuol dire ripensare il proprio stile di vita dando centralità alla socialità e ai ritmi naturali del vivere, facendo dell'atto del consumo un momento di soddisfazione di reali bisogni. Dietro al consumo critico vi è dunque, non solo il cambiamento dei propri consumi individuali, ma anche il contributo alla formulazione e realizzazione di un nuovo concetto di sviluppo che sia una reale occasione di diffusione del benessere e della qualità della vita senza distinzione tra gli emisferi del pianeta. La pratica del consumo critico implica quindi la partecipazione attiva alle molteplici esperienze di "altra economia", dal commercio equo e solidale ai gruppi d'acquisto biologici e solidali, dal turismo responsabile alla finanza etica. In particolare i gruppi d'acquisto solidale sono gruppi di persone che si riuniscono per acquistare insieme non solo in base alla qualità e al prezzo dei prodotti, ma in base a criteri etici, e rappresentano una delle realtà più concrete nell'ambito del più generale consumo critico. Questi gruppi si stanno sviluppando in varie direzioni: in particolare alcuni di questi sono diventati delle vere e proprie cooperative di consumo, che aprono punti vendita e quindi devono rispettare una serie di normative che fanno lievitare i costi, inserendo un elemento di mediazione - il punto vendita - che rischia di allentare la consapevolezza dei consumatori nei confronti dei produttori. In direzione opposta, ci sono i gruppi di acquisto solidale informali. Genericamente gruppi di amici, conoscenti o colleghi che fanno l'acquisto insieme (secondo i criteri suddetti) e poi si dividono la spesa. I problemi di questi gruppi sono l'assenza di luoghi dove conservare adeguatamente i prodotti alimentari nel tempo che intercorre tra la consegna e il ritiro da parte dei componenti e, dati i tempi imprecisi di consegna e di ritiro, la presenza di una persona che possa "aprire e chiudere" il magazzino.

Il software libero
La crescente importanza dell'informatica nella società ha imposto l'affermarsi anche di alcune forme specifiche di consumo critico. Fra queste merita certamente considerazione e il movimento del Software Libero, che rappresenta - appunto - una scelta di consumo responsabile in ambito informatico. Il software si dice libero quando si può liberamente eseguire, copiare, distribuire, studiare, modificare, e le cui istruzioni sono quindi accessibili a tutti (open source). L'open source (istruzioni accessibili) ha obiettivi e mezzi comuni al software libero, pone l'accento su motivazioni pratiche e non ideali. Rappresenta una scelta di consumo critico informatico e si inserisce nei più vasti movimenti per la condivisione dei saperi e per la pluralità dell'informazione. Viene spesso sviluppato in maniera condivisa, cooperativa invece che competitiva, includendo sviluppatori (produttori) e utilizzatori (consumatori), in vere e proprie reti di economia solidale. Secondo i suoi promotori, favorisce occupazione locale perché gli investimenti necessari all'acquisto di copie di software proprietario, vengono dirottati sui servizi di installazione, personalizzazione e formazione forniti sul territorio.

E' poi evidente che un'altra economia si può e si deve costruire anche in attività ordinarie (dalla tipografia alla comunicazione, dai trasporti all'assistenza sociale), connotate in modo solidale non tanto nell'oggetto quanto nelle modalità di lavoro. In questo senso vi rientrano pienamente le esperienze della cooperazione (sociale e non) più sana, delle imprese anche in forma di società di capitali che abbiano però adottato determinati parametri di riferimento, dei singoli professionisti o ditte individuali che siano al centro di reti come quelle descritte più sopra.

estratto da www.altraeconomiaroma.org



ciapa lì ciapa là è arrivato mustafà

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