di Benedetta La Foresta
Tempo fa un film ambientato nel mondo della moda si intitolata “Sotto il vestito, niente”. Nel mondo del biologico potremmo parafrasare questa frase e dire “Sotto la buccia, niente”.
Sappiamo tutti che la quantità è sempre a scapito della qualità e anche nel mondo del biologico questa regola viene confermata, nonostante gli sforzi delle aziende, quelle “storiche”, quelle che hanno “fatto” il biologico in Italia, che si sono viste man mano circondare da avventurieri ed ecofurbi che cavalcando alla grande la tigre biologica si sono buttati all’arrembaggio del mercato e degli sprovveduti consumatori.
All’inizio, più di 20 anni fa, il biologico non era soltanto un modo di coltivare la terra, ma uno stile di vita che comprendeva, ad esempio, l’utilizzo delle medicine non convenzionali, il rifiuto delle vaccinazioni, dello spreco, l’uso di tecnologie pulite, una ricerca interiore profonda che si trasmutava in relazioni umane improntate davvero all’aiuto reciproco, alla sincerità, alla fiducia.
Nei mercatini biecologici l’atmosfera era gioiosa, la fratellanza palpabile, gli agricoltori e gli artigiani erano desiderosi di far partecipi il pubblico di come vivevano e producevano in armonia con il creato, di essere testimoni di un altro mondo possibile. La vendita dei prodotti era soltanto una conseguenza, certo desiderabile, ma non primaria. La festa vera era ritrovarsi, anno dopo anno, mese dopo mese, con gli altri, crescere insieme come una grande famiglia.
Tutto ciò si è perso, perso per sempre.
Ho avuto la fortuna di esserci, di vivere quegli anni in una full immersion e forse per questo è ancora più grande e profonda la mia delusione quando vedo oggi che sì, i prodotti possono anche essere certificati, etichettati, analizzati, controllati dagli organismi di controllo (ormai hanno superato una dozzina, per la gioia dei consumatori più che mai confusi), dagli uffici regionali, dal ministero, dall’Unione Europea,
ma la spinta etica di base, i valori profondi che sottostavano alla produzione e distribuzione sono stati fatti a pezzi, banalizzati, ridicolizzati e dissacrati, anzi peggio, utilizzati ai fini dello logiche di mercato per incantare gli acquirenti che magari pensano davvero che dietro a tutti i prodotti biologici ed ecologici ci sia ancora eticità e solidarietà vera.
Come fa un povero cristo di consumatore a orientarsi in questo marasma di nomi, sigle, marchi, certificazioni. Ho già difficoltà io che sono e vivo in questi settori da una vita. Cerco di mettermi nei panni di chi si avvicina per la prima volta a questi mondi e mi chiedo: che suggerimenti posso dare per destreggiarsi al meglio e non prendersi fregature.
1. Non sempre chi fa più pubblicità, ed è quindi più noto, è anche il più corretto. A parole sono bravi tutti a dichiarazioni di principio, di proclamare valori ecc. E’ quindi bene verificare di persona (magari questo compito sarebbe meglio farlo fare a delle associazioni dei consumatori indipendenti), ricercando chi lavora o collabora con aziende produttrici, trasformatrici e distributrici. E’ dall’interno che si scoprono le magagne.
2. Anche le associazioni ecologiste devono sopravvivere e per farlo, a volte, spesso, scendono a compromessi e sponsorizzano prodotti e produttori non del tutto in linea.
3. Parlare con altri, amiche, amici, conoscenti, farsi raccontare le esperienze altrui, fare il passa parola sia per promuovere un prodotto, un’azienda, sia per boicottarli.
4. Guardare negli occhi le persone e sviluppare al massimo il proprio intuito e sensibilità.
5. Un’associazione che da anni si occupa di questo problema pubblica ed aggiorna periodicamente il libro
“Guida al consumo critico”, costa all’incirca 13 Euro. Consiglio di comperarlo, leggerlo e portarsi sempre in borsa l’elenco dei prodotti consigliati.
Benedetta La Foresta