BEVIAMO E MANGIAMO PLASTICA, CAMBIAMO DIETA!
di Redazione AsSIS
Si sente parlare sempre più spesso di microplastiche. Il nostro pianeta ne è invaso, i nostri mari disseminati, i pesci che peschiamo ne hanno all’interno in grandi quantità, così come i nostri alimenti, primi tra tutti il sale, che portiamo sulle nostre tavole tutti i giorni.
Tante sono le ricerche che ci spingono a riflettere sulla gravità della situazione in cui il nostro pianeta, e la nostra salute di conseguenza, si trovano. È arrivato dunque il momento di cambiare. Sì, ma come? Partiamo dalle nostre abitudini, informandoci su quali sono le possibili alternative.
Ecco l’ennesimo articolo che parla di plastica e diffonde allarmismo sui danni che sta creando, penserete voi. Esatto, proprio così! Perchè nonostante siano sempre di più gli studi che ci confermano, con dati alla mano, quanto preoccupante sia la situazione odierna legata alle microplastiche le nostre buste della spesa sono ancora piene di involucri e contenitori di plastica di ogni forma e colore. Alziamo gli occhi, guardiamoci intorno: siamo circondati! La plastica ha sostituito molti dei tanti altri materiali che in passato venivano utilizzati. Che fare dunque?
La perdita di controllo
L’uso, e di conseguenza la produzione, di plastica – nel giro di pochi decenni – ha raggiunto la cifra incredibile di 8,3 miliardi di tonnellate. Prodotti monouso – che dunque per loro natura si trasformano molto rapidamente in rifiuti – la fanno da padroni in questo “settore”.
“Production, use, and fate of all plastics ever made”1, pubblicato su Science Advances, è stato il primo studio dedicato alla plastica prodotta a livello globale e al suo relativo “smaltimento”. Da questo studio risulta che degli 8,3 miliardi di tonnellate prodotti, 6,3 sono diventati rifiuti; tra questi solo il 9% è stato riciclato, mentre il 79% si sta accumulando nelle discariche o viene disperso nell’ambiente, finendo prima o poi in gran parte nei nostri mari. A questo proposito Roland Geyer, leader dello studio, ha affermato: “Non puoi gestire ciò che non misuri. Non si tratta solo del fatto che produciamo tanta plastica, ma che continuiamo a produrne altra, anno dopo anno”.2 Secondo Greenpeace, infatti, finiscono negli oceani ogni anno dai 4,7 ai 12,7 milioni di tonnellate di plastica: una media di 8 milioni di tonnellate che sta trasformando i nostri mari nella più grande discarica del mondo.3
La situazione in Italia?
Il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi (Corepla)4 evidenzia che, dai dati raccolti nel 2017, solo il 43,5% della plastica utilizzata viene realmente trasformata in nuovi oggetti, mentre il 40% finisce nei termovalorizzatori per la produzione di energia e il 16,5% in discarica.
Negli ultimi anni, però, in Italia sono stati fatti molti passi in avanti sul fronte della raccolta differenziata: la percentuale di riciclo supera il 50%, che a livello europeo è al di sotto solo della Germania, con il 66%.5
Un dato positivo, ma che non deve farci dimenticare che l’unica politica veramente sensata per quanto riguarda l’utilizzo della plastica è quella che mette al centro il riuso prima del riciclo. Questo, infatti, anche quando viene eseguito in modo corretto, comporta uno spreco di risorse e richiede una notevole quantità di energia e di “combustibile”.
Fatichiamo dunque a trovare soluzioni per riutilizzare questa grande quantità di materiale prodotto che, purtroppo per noi e per l’ambiente che ci circonda, finisce in gran parte in mare sotto forma di plastica e successivamente di microplastica.
Ma cos’è la microplastica?
Con microplastiche si definiscono piccole particelle di materiale plastico, con un diametro di grandezza solitamente compreso tra i 330 micrometri e i 5 millimetri, pertanto non visibili a occhio nudo. Queste particelle si formano quando materiali in plastica, finendo in acqua, iniziano a sciogliersi in micro-frammenti, via via sempre più piccoli. Questo processo avviene per diverse cause: alte temperature, effetto dei raggi ultravioletti, vento, onde. A prolungarne la frammentazione, inoltre, vi è anche l’utilizzo in fase di produzione di alcuni additivi chimici che rendono la plastica più resistente ai raggi ultravioletti. La contaminazione delle microplastiche nell’ambiente che ci circonda è stata dimostrata da diversi studi scientifici. Ve ne presentiamo qui di seguito alcuni.
Peschiamo e nuotiamo in un mare di plastica e microplastica
Lo studio “Microplastic ingestion by Atlantic chub mackerel (Scomber colias) in the Canary Islands coast”6, pubblicato sul Marine Pollution Bulletin da un team di ricercatori delle università spagnole, ha confermato l’ingestione di microplastiche da parte di alcuni dei pesci nelle acque delle isole Canarie. Analizzando i dati emersi, i ricercatori hanno scoperto che «94 dei 120 sgombro cavallo in vendita nelle cofradías di Lanzarote e Gran Canaria, vale a dire quasi l’80%, contenevano microplastiche nello stomaco. In totale sono state trovate 260 microplastiche: la maggior parte di esse erano fibre tessili (74%), ma sono stati trovati anche frammenti di plastica (12%), resti di vernice (12%) e pezzi di reti da pesca e film (2%)».
Sebbene gli autori dello studio facciano notare che nel caso delle cavalle le interiora non vengono consumate e che quindi non c’è un rischio di ingestione diretta attraverso il consumo di pesce, la scoperta aumenta però la preoccupazione perché le microplastiche contengono contaminanti i cui effetti sugli organismi sono ancora sconosciuti. Questa ricerca ha destato maggiore preoccupazione rispetto ad altri studi precedenti, in quanto «le quantità trovate sono simili a quelle che presentano pesci di zone altamente contaminate come il Mediterraneo, i porti e le zone costiere dell’Asia o gli estuari in prossimità di aree urbane». La percentuale delle specie marine che finiscono sulle nostre tavole contenenti microplastiche è intorno al 15 – 20% secondo l’Ispra7. Dunque più che mai il problema delle microplastiche ci colpisce da vicino.
La plastica che mangiamo e beviamo
La contaminazione da microplastiche si è accertata negli ultimi anni in diversi prodotti alimentari, come il sale da cucina e in acque in bottiglia.
Uno studio condotto da Orb Media, ha preso in esame 259 bottiglie di 11 marche comprate in diversi Paesi8, tra cui l’Italia, evidenziando come le microplastiche siano presenti nel 93% dell’acqua imbottigliata. La ricerca ha sollevato molti dubbi sulla convinzione comune che l’acqua in bottiglia sia migliore rispetto a quella del rubinetto, che sembrerebbe contenerne quasi la metà9.
Un’altra ricerca, che vede sempre l’Italia coinvolta, pubblicata da Environmental Science & Technology10, ha analizzato 39 campioni di sale da cucina, provenienti da 16 diversi stati. I risultati sono stati a dir poco allarmanti: il 90% dei campioni esaminati, tra cui sale marino, di miniera e di lago, è risultato contaminato da microplastiche. Per fornire dati comprensibili dell’entità del problema, lo studio riporta che un adulto che introduce in media giornalmente 10 grammi di sale, potrebbe assumere inconsapevolmente in un anno circa 2 mila microplastiche.
Sembra impossibile sfuggire alla contaminazione e, seppur sempre maggiori ricerche volgano ad interrogarsi su quali possano essere le conseguenze per l’organismo umano di queste microsostanze, non vi sono ancora risposte certe, ma solo presumibili.
La strada da percorrere
L’Europa ha dichiarato guerra alla plastica con l’annuncio della strategia che vede come scadenza il 2030, data in cui tutti gli imballaggi dovranno poter essere riutilizzati o riciclati e l’utilizzo delle microplastiche, come quelle nel settore della cosmesi, dovrà essere drasticamente ridotto. Inoltre ha previsto un’etichettatura più chiara per distinguere imballaggi compostabili, biodegradabili, oltre a regole per la raccolta differenziata e per il trattamento dei rifiuti. Ma non basta.
È possibile vivere senza plastica?
Il cambiamento sistemico avverrà solo quando ognuno di noi si assumerà la propria fetta di responsabilità. La questione infatti non potrà essere risolta solo da normative che regolino in modo migliore lo smaltimento dei nostri rifiuti. L’unico vero cambiamento avrà inizio quando verrà veramente ridotto in modo considerevole l’uso di plastica monouso. Per raggiungere questo obiettivo, ognuno di noi può fare la differenza acquistando, ad esempio, prodotti senza imballaggi, o con imballaggi riutilizzabili. In Italia, come nel resto dell’Europa, si stanno diffondendo sempre più negozi che puntano a ridurre al minimo l’utilizzo di imballi, ritornando al vuoto a rendere, o ad altri materiali più facilmente riutilizzabili e meno deteriorabili.
In Olanda è addirittura nata Ekoplaza11, il primo supermercato senza imballaggi di plastica, che fa parte di quella che sarà la prima rete di negozi plastic-free al mondo. Insomma, sta a noi porre attenzione su cosa compriamo e dove, e scegliere se vogliamo continuare a mangiare plastica o meno.
Redazione AsSIS
16-03-2019
Come possiamo tutti i giorni ridurre lo spreco di plastica? Il documento intero su “ Cicli produttivi e rifiuti” pubblicato su Italiachecambia.org
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Informarsi il più possibile, non limitandosi alle fonti ufficiali di informazione.
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Impegnarsi nel produrre meno rifiuti possibile: alla fine sono i consumatori che fanno decidere alle aziende cosa produrre, quindi se le persone comprano prodotti che producono meno rifiuti e inquinamento i cicli produttivi, per non fallire, devono adeguarsi.
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Eseguire la raccolta differenziata dei rifiuti che non posso fare a meno di produrre, cercando di riciclare io stesso alcune cose
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Partecipare ad iniziative ambientaliste
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Valutare la riparazione dei dispositivi non funzionanti piuttosto che comprarli nuovi, anche se il prezzo del nuovo potrebbe sembrare allettante e il costo della riparazione alto, per il pianeta non è mai così.
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Essere molto critico negli acquisti, valutando se qualcosa mi serve o meno: talvolta andiamo in giro e perdiamo giorni a cercare il prezzo migliore per qualcosa che passerà il resto dei suoi giorni in un cassetto. Solitamente se qualcosa ti serve realmente la compri, se “costa troppo” e puoi farne a meno significa che realmente non ti serve.
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Imparare a leggere le etichette e preferisci alimenti prodotti in loco piuttosto che di importazione, prediligi la frutta di stagione, generi meno inquinamento.
Fonti:
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