di Alberto Olivucci
Alberto Olivucci, titolare di un’ azienda agricola biologica nelle vicinanze di Pesaro, coltiva nel proprio orto, con lo scopo di salvaguardarle dall’estinzione, antiche varietà di ortaggi, italiane e non, resistenti a malattie e dotate di valide proprietà nutritive. Un’idea che Vita in Campagna propone ai propri lettori affinché contribuiscano alla sopravvivenza di vecchie varietà locali di ortaggi che, per motivi tecnici e commerciali, non si trovano più sui mercati.
«Un pomodoro con quattro volte più vitamina C degli altri, una zucca capace di conservarsi a temperatura ambiente per oltre due anni, un cocomero di grandi dimensioni immune da tutte le più comuni malattie della sua specie. Questo elenco di sorprendenti ortaggi potrebbe sembrare essere frutto di ricerche di miglioramento ottenuto grazie a tecniche di ibridazione e di manipolazione genetica. Invece, niente di tutto questo. Le piante che vi ho appena elencato sono alcuni dei meravigliosi ortaggi di varietà antiche coltivate nel mio orto. Sono certamente varietà rare e di nessuna di queste si trovano in commercio i semi e, in molte casi, sono in via di estinzione».
A parlare così è Alberto Olivucci, giovane titolare di un’azienda agricola biologica di San Leo, nella provincia di Pesaro, e grande appassionato di antiche varietà di ortaggi.
Come è nata questa sua passione per le vecchie varietà di ortaggi? Era il ge
nnaio del 1996 e, mentre fuori nevicava, sfogliavo annoiato uno dopo l’altro i cataloghi delle ditte sementiere che ero riuscito a reperire. Ero deciso a ordinare dei semi per la primavera, ma trovavo questi cataloghi tutti molto simili fra di loro, con le stesse varietà di ortaggi, gli stessi tipi di pomodori, di carote, di peperoni, di melanzane; cambiavano i nomi ma le forme e i colori erano sempre gli stessi.
Ma io ero venuto in campagna a cercare qualcosa di diverso. Da due anni, cioè da quando abbandonata la città e la precedente attività di erborista avevo preso la decisione di vivere e lavorare a tempo pieno come agricoltore biologico, cercavo di realizzare il progetto di un orto famigliare che mi assicurasse una buona autosufficienza alimentare. Sono vegetariano e desidero avere sulla mia tavola non solo ortaggi e frutti ottenuti senza l’impiego di antiparassitari, ma anche i sapori, gli aromi e i profumi che, secondo me, non abitano più nei moderni prodotti dei campi.
Decisi quindi dì allargare le mie ricerche e cominciai a inviare lettere per cercare sementi adatte all’agricoltura biologica. Ero infatti convinto che le piante che avrei ottenuto da sementi prodotte con metodi biologici sarebbero state più forti e resistenti di fronte alle malattie. Non trovando nulla in Italia indirizzai le mie ricerche in Francia e in Germania. Ricevetti infine il catalogo di un collezionista che offriva ben 1.500 varietà di semi diversi di cui 250 tipi di pomodori, altrettanti peperoni e centinaia fra lattughe, zucche e fagioli, tutti da coltivazione biologica.
A sinistra. Alcune delle varietà di pomodoro coltivate nell’orto di Alberto Olivucci. Sotto a destra. Una vecchia varietà di patata chiamata asparago, già citata in un libro del 1885
Da quel giorno la biodiversità entrò nel mio orto, e cominciai a coltivare pomodori rossi, rosa, gialli, arancioni, violetti, bianchi, neri e zebrati, peperoni di tutte le forme e colori e gli ortaggi antichi, quasi del tutto dimenticati, ma che hanno una storia da raccontare, spesso lunga più di un secolo. Questo collezionista, pressato dalle mie richieste, mi fornì indirizzi di altri collezionisti che si occupavano di salvare i semi di un tempo e la biodiversità minacciata dall’erosione genetica.
Grazie a questi contatti ho scoperto l’esistenza di un piccolo mondo di «salvatori di semi» che cercano gli ortaggi antichi, li rimettono in coltivazione e ne moltiplicano in isolamento i semi su piccola scala per poi ridistribuirli ad altri conservatori. Si tratta per lo più di semi di ortaggi fuori ormai da tempo dai circuiti commerciali e dati per estinti.
Ho allora iniziato a seminare ortaggi in maniera diversa, non più solo per mangiarli ma anche per conservare i semi di queste specie antiche che hanno nutrito l’umanità nel passato e che ora rischiano l’estinzione. Così ogni anno ho cominciato a raccogliere i semi di ogni pianta che coltivavo e a cercare anche negli orti degli anziani che vivono nella mia zona per trovare quelle varietà di ortaggi famigliari che sono state tramandate di generazione in generazione.
Ci illustra le varietà più pregiate che coltiva e che ha scoperto che sono più resistenti a malattie?
Molte varietà che coltivo sono curiose e rare manifestazioni della biodiversità, come le patate «Congo Blu», una antica varietà coltivata, interamente blu intenso in tutte le sue parti. Oppure come il fagiolo «Jacob’s Cattle Gasless» che non procura sgradevoli gonfiori intestinali. Infine mi dedico a mantenere in vita vecchie varietà locali come quel mais che ho coltivato quest’anno che proveniva da un anziano coltivatore della mia valle il quale non ha mai comprato la semente e che lo continua a coltivare da decine di anni. Non ha un nome, non si sa quale sia la sua origine, ma il gusto di quella polenta è squisito. E questo mi basta.
Poi ci sono gli ortaggi dotati di particolari proprietà nutritive come il pomodoro «Double Rich», che contiene una quantità di vitamina C quattro volte superiore a quella di un normale pomodoro, equivalente a quella contenuta nel frutto dell’arancia. Un’altra varietà di pomodoro interessante è «Brandywine», il cui sapore è un accostamen!o di dolce, di acidulo e di profumato. E un pomodoro che può vantare una storia avvincente.
Dopo che era stato dato per estinto, un «salvatore di semi» riuscì a ritrovarne qualche esemplare nell’orto di un anziano che morì dopo qualche anno. Purtroppo è così che perdiamo le risorse genetiche di tanti ortaggi: quando se ne vanno gli anziani che li riseminavano di anno in anno. Di quel pomodoro non c’era traccia nemmeno nella banca-semi statunitense, che tuttavia è una delle più fornite del mondo. Oggi il «Brandywine» è molto considerato, coltivato e nuovamente offerto nei listini di alcune ditte sementiere specializzate. In questa varietà ho notato una buona resistenza alle tipiche malattie del pomodoro, come la peronospora.
Ho anche altre varietà antiche che sono state riconosciute forti e resistenti ad alcuni parassiti, come il cocomero «Luna e Stelle», resistente all’antracnosi, una muffa molto pericolosa.
Le vecchie varietà sono state tutte sottoposte alla prova implacabile del tempo. Se avessero avuto dei difetti, se fossero state deboli di fronte alle avversità, se il loro gusto o le loro qualità nutritive fossero stati carenti sarebbero già state abbandonate e ormai dimenticate.
Il problema principale è che non si sono adattate alle esigenze della commercializzazione. Il pomodoro della varietà «Brandywine», ad esempio, non sopporta lunghi viaggi a causa della sua buccia sottile. Un carattere distintivo così pregiato come la buccia morbida, è invece oggi considerato un difetto perché tutte le verdure consegnate in città devono viaggiare per molte ore. Ecco che allora si commercializzano e si coltivano pomodori dalla buccia dura e spessa, senza preoccuparsi se c’è anche il sapore.
In Italia vi è la necessità di salvare le varietà antiche di ortaggi?
L’Italia è sicuramente un Paese dove la biodiversità è stata fortemente compromessa, data anche l’assenza di un intervento pubblico mirato. Le faccio un esempio: delle 27 varietà locali di cocomero riportate nei cataloghi delle ditte sementiere italiane prima degli anni ‘50 a tutt’oggi non ne rimane una sola in circolazione. Ora, grazie a un programma di ricerca finanziato dalla Regione Toscana, è stato possibile localizzare uno di questi cocomeri nell’orto di un anziano coltivatore: si tratta del «Moscatello a pasta arancione». Due agricoltori si sono presi, ora, l’onere, o l’onore, di ospitarlo nel loro orto per mantenerlo in vita.
Spero di ottenere anch’io qualche seme per vederlo crescere nel mio orto.
Se qualche nostro lettore volesse provare a coltivare delle vecchie varietà di ortaggi a chi si potrebbe rivolgere?
E mia profonda aspirazione che anche in Italia sorga, come già è successo in altre nazioni, una rete di «seed savers» capaci di gestire degli orti conservativi come il mio. Non è un impegno semplice, perché è necessario conoscere le tecniche di isolamento per evitare che piante della stessa specie si impollinino fra di loro dando origine a incroci incontrollati che distruggerebbero la purezza varietale. A tutti i lettori di Vita in Campagna, che sono sicuramente degli appassionati di orticoltura e giardinaggio, voglio raccomandare, se fossero in possesso di sementi tramandate dai loro genitori o da altri anziani, di conservarle con la più alta considerazione e cura e di mantenerle vitali riseminandole ogni anno.
Esse sono una testimonianza che viene da un passato remoto, sono il frutto delle fatiche e dell’esperienza di tante generazioni di agricoltori, sono passate per infinite mani che le hanno coltivate, selezionate e conservate. Perderle equi- varrebbe ad annientare un’ eredità, senza possibilità di recupero.
Vi chiedo anche di inviarmene un piccolo quantitativo, soprattutto se vi accorgete che vi manca la possibilità di mantenerle in coltivazione, affinché possa studiarle, conservarle e moltiplicarle per altri orti conservativi. Questo è il mio indirizzo:
Alberto Olivucci
Via Varco Biforca 7,
61010 Pietracuta di San Leo (Pesaro)
tel e fax 0541924036 oppure potete contattarmi tra
mite E- mail:
[email protected]
Fonte: Stampa Libera