COME NUTRIRE IL MONDO QUANDO FARA' PIU' CALDO
di Edward Goldsmith
Va detto innanzitutto che il cambiamento climatico è in assoluto il problema più preoccupante che l'umanità abbia mai dovuto affrontare. Il Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (Intergovernmental Panel on Climate Change - IPCC), nella sua ultima relazione dichiara che in questo secolo si potrebbe verificare un aumento della temperatura media del pianeta fino a 5,8 gradi. Questa cifra non tiene conto di una serie di fattori critici quali la distruzione delle foreste tropicali e di altre aree ricoperte di vegetazione.
Tali aree contengono quasi la stessa quantità di carbonio oggi presente nell'atmosfera: seicento miliardi di tonnellate. La maggior parte di queste, molto probabilmente, verranno rilasciate in atmosfera nei prossimi decenni a causa delle crescenti attività, incontrollate, di gigantesche multinazionali del legno. Il direttore generale del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (United Nations Environment Programme) ha recentemente dichiarato che solo un miracolo può salvare le rimanenti foreste tropicali del mondo.
Le previsioni dell'IPCC non tengono nemmeno conto dei terribili danni arrecati ai terreni coltivabili dalla moderna agricoltura industriale, con i suoi enormi macchinari e arsenali di sostanze chimiche e tossiche. I suoli del globo contengono 1600 miliardi di tonnellate di carbonio, più del doppio di quanto ce n'è in atmosfera. Gran parte di questo sarà rilasciato nei prossimi decenni, a meno che non ci sia un rapido passaggio a pratiche agricole sostenibili - largamente senza chimica.
L'Hadley Centre, della British Meteorological Organisation (l'organizzazione meteorologica britannica), invece, ha considerato questi ed altri fattori nei suoi più recenti modelli ed è giunto alla conclusione che la temperatura media aumenterà fino a un massimo di 8,8° invece che fino a 5,8° gradi nel corso di questo secolo. [1] Altri climatologi che tengono conto di altri fattori largamente trascurati, fanno previsioni ancora più drammatiche. [2]
Se avessero ragione, quali sarebbero le conseguenze?
L'IPCC dice che possiamo aspettarci un considerevole aumento di ondate di caldo estremo, tempeste, alluvioni e, naturalmente, la diffusione di malattie tropicali nelle aree temperate, che non colpiranno solo la nostra salute ma anche quella delle nostre coltivazioni. Dice anche di aspettarci, in questo secolo, un innalzamento di 88 centimetri nel livello dei mari, che colpirà (con l'infiltrazione dell'acqua di mare nelle falde dei terreni coltivati e con allagamenti temporanei o permanenti) circa il 30% delle terre agricole del mondo. [3]
Naturalmente, se le previsioni dell'Hadley Centre sono giuste, le conseguenze saranno ancora più disastrose. Un altro fattore preoccupante è lo scioglimento dei ghiacci secondari dell'Antartico, dell'Artico e in particolare dello scudo di ghiaccio della Groenlandia che sta avvenendo molto più presto di quanto previsto dall'IPCC. Tra le altre cose, ciò porterà alla riduzione della salinità negli oceani, che indebolirà o modificherà il percorso delle correnti oceaniche come la corrente del Golfo. [4] Se questo processo continuerà, potrebbe portare il clima di zone come il Nord Europa, oggi temperate, a diventare simile a quello del Labrador che si trova alla stessa latitudine.
Quello che possiamo fare è prendere provvedimenti adeguati - e dovranno essere drastici - a rallentare il processo di riscaldamento, cosi che, quando il nostro clima finalmente si stabilizzerà, il pianeta rimarrà, almeno in parte, abitabile.
Sfortunatamente, il cambiamento climatico sta avanzando più presto del previsto. Ciò è reso evidente, tra le altre cose, dai lunghi periodi di siccità in molte parti del mondo. Quattro anni di siccità in Africa hanno portato 30-40 milioni di persone sul punto di morire di fame. Allo stesso tempo le siccità nei maggiori granai del mondo, la cintura americana del grano, le pianure canadesi e la cintura granaria australiana, ridurranno molto le esportazioni, il che non è incoraggiante per grandi masse di persone in Africa ed altrove, che oggi rischiano la fame.
Anche in Europa il clima è stato brutto negli ultimi tempi. Alluvioni in Germania nel 2002 hanno fatto danni per circa 13 miliardi di dollari. Nello stesso anno, tremendi temporali nel nord Italia, con chicchi di grandine grandi come una palla da tennis, hanno distrutto aree coltivate molto vaste. La siccità ha ridotto i raccolti nel Sud Europa. Ho visto con i miei occhi immensi oliveti nella provincia di Foggia senza un solo frutto. La Sicilia meridionale sembra che si stia desertificando.
Dobbiamo ricordare che tutto questo è (almeno in parte) dovuto ad un innalzamento delle temperature medie del globo di non più di 0,7 gradi. Cosa succederà quando dovremo coltivare il nostro cibo in un mondo la cui temperature medie saranno aumentate di 2 o 3 gradi, o peggio di 5 o 8 gradi, come previsto da molti nella seconda parte del secolo?
Emissioni di ossidi di azoto e metano
II cambiamento climatico, nelle sue diverse manifestazioni elencate sopra, costituirà il limite più grave per la nostra capacità di nutrirci nei prossimi decenni. Chiaramente non possiamo starcene semplicemente seduti ad aspettare che le cose peggiorino. Dobbiamo fare quello che possiamo per assicurare la trasformazione del nostro sistema di produzione alimentare in modo che ci aiuti a combattere il riscaldamento del pianeta e, allo stesso tempo, ci dia da mangiare, in condizioni che in futuro saranno quasi certamente meno favorevoli.
II termine "trasformazione" è molto appropriato, dato che la moderna agricoltura industriale per sua natura ha e non può che avere alte emissioni di gas serra. Oggi essa è responsabile del 25% delle emissioni di anidride carbonica nel mondo, del 60% delle emissioni di metano e del 80% delle emissioni di ossido di azoto, tutti importanti gas serra. [5]
Il monossido di azoto è prodotto dall'azione denitrificante dei batteri quando il terreno viene arato e trasformato in suolo coltivato. Quando le foreste tropicali vengono trasformate in pascoli, le emissioni di ossido di azoto si moltiplicano per tre. Nel complesso, la riconversione dei terreni porta oggi all'emissione di circa mezzo milione di tonnellate di azoto all'anno sotto forma di ossido di azoto.
L'ossido di azoto è un gas serra 200 volte più potente dell'anidride carbonica, sebbene fortunatamente le concentrazioni atmosferiche di questo gas al momento siano più di 1000 volte inferiori rispetto all'anidride carbonica. I fertilizzanti azotati sono un'altra fonte importante di ossido di azoto. Oggi vengono usati nelle coltivazioni circa 70 milioni di tonnellate di azoto all'anno, che contribuiscono al 10% di tutte le emissioni annuali di ossido di azoto nel mondo (che sono 22 milioni di tonnellate).
Con il continuo aumento dei fertilizzanti chimici, specialmente nei paesi in via di sviluppo, le emissioni agricole di ossido di azoto potrebbero raddoppiare nei prossimi 30 anni. [6] In Olanda, il paese al mondo con l'agricoltura industriale più intensiva, 580 kg di azoto all'ettaro sotto forma di nitrati di ammonio sono usati ogni anno come fertilizzanti e almeno il 10% di questo azoto torna direttamente nell'atmosfera, come ammoniaca o ossido di azoto. [7] L'aumento delle superfici dedicate all'agricoltura industriale sta anche portando a nuove consistenti emissioni di metano. Negli ultimi decenni c'è stato un notevole incremento nel numero dei capi di bestiame - in particolare bovini - reso possibile per lo più dalla trasformazione di foreste tropicali in pascoli.
I bovini emettono grandi quantità di metano e la distruzione della foresta per fare spazio ad allevamenti sta provocando un aumento delle emissioni di due dei più importanti gas serra. Le emissioni mondiali di metano ammontano a circa 70 milioni di tonnellate con i moderni metodi di produzione, i bovini vengono sempre più nutriti con una dieta ad altissimo contenuto di proteine - in special modo quando vengono fatti ingrassare negli allevamenti intensivi. Questi bovini emettono quantità notevolmente più alte di metano dei bovini nutriti a erba. Anche la concimazione dei prati con fertilizzanti azotati può da una parte ridurre l'assorbimento di metano e dall'altra incrementare la produzione di ossido di azoto, e quindi aumentare la concentrazione di entrambi questi gas. [8]
L'aumento delle risaie ha fatto crescere notevolmente le emissioni di metano. Il riso irrigato esclusivamente dalla pioggia produce molto meno metano dei campi di riso inondati artificialmente e concimati con fertilizzanti azotati. Ancora una volta, la modernizzazione dell'agricoltura aumenta le emissioni sia di metano che di azoto.
Intensità di consumo energetico
I fattori più energivori dell'agricoltura industriale sono i fertilizzanti azotati, i macchinari agricoli e l'irrigazione tramite pompaggio dell'acqua. Queste tre componenti da sole assorbono più del 90% dell'energia totale, diretta e indiretta, utilizzata in agricoltura industriale e sono tutti essenziali ad essa. Le emissioni di anidride carbonica prodotte bruciando combustibili fossili per l'agricoltura meccanizzata in Inghilterra e Germania equivalgono a qualcosa fra 46 e 53 chilogrammi per ettaro, mentre sono soltanto 7 chilogrammi, circa sette volte più bassi, nei sistemi agricoli non meccanizzati. [9]
Questi dati concordano con quelli di Pretty e Ball, [10] i quali stimano che produrre una tonnellata di cereali o verdure con i metodi dell'agricoltura moderna richiede da 6 a 10 volte più energia che produrli con i metodi dell'agricoltura sostenibile. Si potrebbe ipotizzare che la sostituzione delle fonti di energia attuali con quelle rinnovabili quali l'energia eolica, solare, delle onde e delle celle a combustibile (fuel cells) potrebbe farci evitare di ridurre il consumo energetico per proteggere il clima, ma ci vorranno decenni, secondo alcuni almeno 50 anni, per realizzare questo necessario cambiamento.
Una radicale riduzione delle emissioni di gas è necessaria immediatamente, se dobbiamo credere alle tesi dell'Hadley Centre secondo il quale nei prossimi 30 anni la temperatura si sarà alzata al punto da trasformare i nostri maggiori assorbitori di anidride carbonica e metano (le foreste, gli oceani e il suolo) in emettitori di gas serra. Se questo succederà verremo intrappolati in un processo incontrollabile, cioè una reazione a catena inarrestabile verso il rialzo delle temperature e l'instabilità climatica. Dobbiamo perciò sviluppare un sistema agricolo che non determini queste terribili conseguenze, e al contrario aiuti a rivitalizzare ed accrescere le nostre risorse di suolo fertile.
Un simile sistema, sorprendentemente per chi è imbevuto dall'ideologia del progresso, ha molto in comune con i tipi di agricoltura praticati un tempo dai nostri antenati e ancor oggi dalle comunità più remote del terzo mondo, quelle che sono riuscite a rimanere, almeno in parte, al di fuori dell'orbita del sistema industriale. Tali sistemi potranno anche essere definiti "antieconomici" nel contesto di una società industriale aberrante e necessariamente dalla vita corta, ma sono gli unici davvero progettati per nutrire la gente a livello locale in modo sostenibile.
Un dato di fatto importante è che le voci più autorevoli dell'agricoltura sostenibile, tra le quali quelle di Jules Pretty e Miguel Altieri - ma ci sono molti altri - utilizzano sempre più spesso il termine "agricoltura sostenibile" come sinonimo di "agricoltura tradizionale". Se l'agricoltura tradizionale è la soluzione, ci si potrebbe chiedere come mai i governi e le organizzazioni internazionali sono cosi impegnati a evitare che i popoli tradizionali continuino a praticarli e li sostituiscano con le tecniche dell'agricoltura industriale. La risposta è che l'agricoltura tradizionale non è compatibile con il processo di sviluppo che stiamo imponendo al Terzo Mondo e ancor meno con la globalizzazione dei mercati e meno ancora con gli interessi immediati delle multinazionali che lo controllano completamente.
Che le cose stanno cosi emerge chiaramente dalle seguenti citazioni di due relazioni della Banca Mondiale. Nella prima, sul tema dello sviluppo in Papua Nuova Guinea, la Banca Mondiale ammette che "una caratteristica dell'agricoltura di sussistenza della Papua Nuova Guinea è la sua relativa ricchezza". Infatti "nella maggior parte del paese la generosità della natura produce abbastanza senza troppi sforzi".(10) Allora perché cambiarla? La risposta è chiara: "Finché lo stile di vita di un numero abbastanza elevato di agricoltori di sussistenza non cambierà con l'aumento della domanda di nuovi beni di consumo, saràs difficile introdurre nuove colture" [11] - naturalmente quelle adatte alla produzione su larga scala per l'esportazione.
Anche nell'iniquo rapporto Berg della Banca Mondiale si ammette "che i piccoli proprietari sono degli eccezionali amministratori delle proprie risorse - la loro terra e capitale, fertilizzanti e acqua". [12] Ma nello stesso rapporto si mette in evidenza che la predominanza di questo tipo di agricoltura o "produzione di sussistenza" costituisce un ostacolo allo sviluppo agricolo. "Gli agricoltori devono essere spinti a produrre per il mercato, utilizzare nuove colture e assumersi nuovi rischi," [13]
Che ci piaccia o no, la moderna agricoltura industriale sta per uscire di scena. Si dimostra sempre meno efficace. Per esempio i fertilizzanti chimici sono sempre meno efficienti. La FAO (Food and Agriculture Organisation delle Nazioni Unite) ha ammesso nel 1997 che le produzioni di grano sia in Messico che negli Stati Uniti non hanno avuto aumenti negli ultimi 13 anni. Nel 1999, la produzione globale di grano è scesa per il secondo anno consecutivo a circa 589 milioni di tonnellate, con una diminuzione del 2% rispetto al 1998.
I fertilizzanti sono troppo costosi e, come dice McKenney, "la salute biologica dei suoli è stata cosi impoverita per preferire una fertilità facile e veloce, che la produttività è adesso compressa e i fertilizzanti sono sempre meno efficaci". [14] Anche gli insetticidi sono sempre meno efficaci. Erbe infestanti, funghi, insetti, altre crittogame potenziali sono straordinariamente adattabili. 500 specie di insetti hanno già sviluppato una resistenza genetica agli insetticidi e cosi hanno fatto 150 malattie delle piante, 133 tipi di erbe infestanti e 70 specie di funghi. La reazione oggi è quella di utilizzare veleni sempre più potenti e cari, cosa che negli Stati Uniti costa ben 8 miliardi di dollari l'anno, senza contare il costo dello spargimento sui campi. [15]
Gli agricoltori stanno perdendo la battaglia, gli organismi dannosi sopravvivono all'assalto chimico, gli agricoltori no. Un numero sempre crescente di loro abbandona la terra e la situazione in futuro peggiorerà molto. Oggi assistiamo all'introduzione forzata di colture geneticamente modificate da parte delle organizzazioni internazionali colluse con i governi nazionali, resa possibile dall'influenza sempre più forte delle multinazionali biotecnologiche.
Le colture geneticamente modificate, diversamente da quanto ci viene detto, non aumentano i raccolti. Per di più hanno bisogno di maggiori investimenti, compresi più acqua e più diserbanti, il cui consumo avrebbero dovuto ridurre notevolmente. Inoltre, la scienza sulla quale si basano è gravemente inesatta. Nessuno conosce con certezza le conseguenze impreviste dell'introduzione, con tecniche molto rudimentali, di un dato gene nel genoma di un organismo molto diverso.
Ci sono molte sorprese in serbo ed alcune potrebbero causare gravi problemi di ogni genere. [16] Un altro motivo per cui la moderna agricoltura industriale ha fatto il suo tempo, anche senza il problema del cambiamento climatico, è la sua eccessiva vulnerabilità e dipendenza dall'aumento dei prezzi del petrolio, e ancor più dai periodi di carenza di questo combustibile. Se tre milioni di persone sono morte di fame nella Corea del Nord negli ultimi anni, è stato in parte dovuto al crollo del mercato russo, che assorbiva una grossa fetta delle esportazioni coreane, perciò la Corea non ha più potuto permettersi di importare le grandi quantità di petrolio dal quale dipendeva il suo sistema agricolo altamente meccanizzato, di ispirazione sovietica. I "contadini" coreani avevano semplicemente dimenticato come usare una zappa o spingere una carriola.
La Gran Bretagna avrebbe potuto trovarsi in una situazione altrettanto drammatica se lo sciopero dei trasporti nel 2000 fosse durato ancora qualche settimana. In una società industriale, il petrolio è necessario per trasportare i prodotti alimentari di prima necessità importati, per costruire e fare funzionare i trattori, per produrre e utilizzare fertilizzanti ed insetticidi e per trasformare, confezionare e trasportare gli alimenti ai supermercati - una situazione più vulnerabile è difficile da immaginare anche in epoche di vacche grasse - ma oggi è a dir poco suicida.
Non siamo solo destinati ad affrontare carenze improvvise di petrolio, legate a impreviste impennate del prezzo, ma la continua diminuzione della disponibilità di questa materia prima. Mentre ciò avviene, il prezzo del petrolio continuerà a crescere fino a che solo un piccolo numero di aziende - molto probabilmente statunitensi - potrà permetterselo, dato che l'industria del petrolio USA sta cercando di prendere il controllo delle scorte mondiali che si stanno velocemente esaurendo.
La verità e che la produzione globale di petrolio raggiungerà il suo massimo entro i prossimi 4 o 10 anni. Le nuove scoperte di giacimenti sono state molto deludenti e la maggior parte del petrolio che usiamo ora è stato scoperto almeno una quarantina di anni fa. L'area del mar Caspio che molti esperti si aspettavano contenesse fino a 200 miliardi di barili, secondo Colin Campbell, [17] una delle massime autorità dell'industria petrolifera mondiale, probabilmente ne contiene 25 miliardi e sicuramente non più di 40 o 50 miliardi. Non è molto in un mondo che consuma 20 miliardi di barili l'anno, e il cui consumo continua a crescere a un ritmo allarmante. Anche se gli Stati Uniti hanno cercato disperatamente di ridurre la loro dipendenza dal Medio Oriente, le fonti alternative di approvvigionamento del petrolio si stanno esaurendo più presto del previsto.
L'Iran, per esempio, fra dieci o quindici anni probabilmente non sarà più in grado di produrre petrolio per l'esportazione e potrà solo coprire le sue necessità interne - per l'appunto nei prossimi 20 anni gli Stati Uniti, con l'esaurirsi dei giacimenti in paesi quali l'Angola, la Nigeria, il Venezuela e il Messico, cominceranno a dipendere dal Medio Oriente in misura ancora maggiore rispetto ad oggi. Questo spiega naturalmente perché l'industria del petrolio statunitense, che oggi coincide con 1 governo USA, è così fanaticamente determinata a conquistare l'Iraq che possiede 1'll% delle riserve conosciute di petrolio al mondo, delle quali solo una frazione è utilizzata al momento, e la cui estrazione è la meno cara del mondo. Non è possibile sopravvalutare le conseguenze economiche della futura crisi petrolifera mondiale.
Il maggior contributo dell'agricoltura industriale alle emissioni di anidride carbonica è dovuto alla perdita di carbonio dal suolo all'atmosfera. [18]
Questa perdita è dovuta all'agricoltura industriale intensiva e soprattutto a pratiche quali:
il tagilo delle foreste ed il prosciugamento di torbiere e zone paludose per fare ancora più spazio all'agricoltura e all'allevamento;
l'aratura in profondità che espone il suolo all'azione degli elementi e che se praticata nei pendii causa gravi problemi di erosione;
l'utilizzo di macchine pesanti che compattano il terreno riducendo od eliminando gli spazi porosi che costituiscono canali per l'aria, l'acqua, le radici delle piante e i microrganismi;
l'uso, al posto dei fertilizzanti naturali, di quelli chimici che distruggono la struttura del terreno e i suoi microrganismi;
l'uso di diserbanti e insetticidi, alcuni dei quali, come Rachel Carson [19] fece vedere già nel 1962, hanno esattamente lo stesso effetto distruttivo;
l' eccesso di pascolamento che ha portato ovunque alla degradazione dei terreni e alla desertificazione;
le grandi monoculture di grano, mais ecc. ripetute anno dopo anno che alla fine trasformano il suolo fertile in un substrato di polvere senza vita per raccolti che possono arrivare a maturazione soltanto con sempre maggiori quantità di fertilizzanti e altre sostanze chimiche.
II metodo più ovvio per prevenire la perdita di suolo e aumentarne il contenuto di materia organica è usare letame, composte, pacciamature con materiali naturali di copertura quali cortecce di alberi, paglia o altre sostanze organiche che possono essere riassorbite dal terreno. Queste pratiche servono a proteggere il suolo dall'erosione, dalla siccità, dal calore eccessivo e aiutano la decomposizione e mineralizzazione delta materia organica. [20] Ciò ha anche altri vantaggi, aumenta la produttività oltre a ridurre le malattie che nascono nel suolo. Come fa notare Jules Pretty, nella repubblica del Niger la pacciamatura con arboscelli e rami permette la coltivazione di terreni altrimenti abbandonati, [21]
"producendo circa 450 Kg di cereali per ettaro. Nella calda savana del nord del Ghana, terreni sui quali è stata effettuata una pacciamatura di paglia combinata con letame producono il doppio dei raccolti di mais e sorgo rispetto a terreni trattati con fertilizzanti azotati inorganici". [22] Pretty cita altri straordinari esempi del genere, in Guatemala, nello stato brasiliano di Santa Katarina e altrove. E importante che il suolo sia lasciato scoperto per il minor tempo possibile. Una coltura intercalare sottostante, preferibilmente di leguminose come erba medica, può essere seminata assieme al cereale così che quando questo viene raccolto, il terreno rimane coperto e allo stesso tempo arricchito. Una lavorazione attenta del terreno, ma ancor meglio nessuna lavorazione, sembra l'ideale dato che evita completamente l'aratura. Comunque, liberarsi delle erbe infestanti richiede l'uso di molti diserbanti, indesiderabili per diversi aspetti. La miglior cosa è non fare nessuna lavorazione del terreno e non usare diserbanti chimici. Se l'area coltivata è piccola, si potrebbe forse utilizzare la pacciamatura.
Un po' di fantasia ci farebbe, sono sicuro, trovare modi alternativi per tenere a bada le infestanti. L'azienda neozelandese "Waipuna" libera i lati delle strade dalle erbacce spruzzandoci sopra acqua calda. Il calore viene trattenuto da una specie di schiuma biologica formata in parte di latte di cocco. A quanto pare è molto efficace.
La FAO, in un rapporto a cui è si è già fatto riferimento, indica che l'uso di sistemi di agricoltura forestale ottimizza l'assorbimento del carbonio nel suolo. Da 2 a 9 tonnellate all'ettaro possono essere assorbite ogni anno grazie a questi sistemi. [23] Se venisse praticata in tutto il mondo l'agricoltura forestale, potrebbe assorbire grandi quantità di anidride carbonica. [24] L'IPCC, nel suo terzo Assessment Report (pubblicato nel 2000) concorda nel fatto che le tecniche di agricoltura forestale danno i risultati migliori non solo per quanto riguarda l'aumento di materia organica nei terreni, ma anche di biomassa legnosa.
Lo USDA - National Agroforestry Centre (2000) statunitense conferma che l'agricoltura forestale permette livelli particolarmente elevati di assorbimento del carbonio nel suolo.
L'Agroforestry Centre suggerisce che macinando le potature o usando trucioli in copertura si può aumentare l'assorbimento del carbonio di 6,6 tonnellate per ettaro e anno con una rotazione di 15 anni e una produzione di legna di 12,22 tonnellate ad ettaro per anno nella stessa rotazione. [25]
Combinare l'agricoltura con la selvicoltura "moltiplica le soluzioni" e riduce la velocità del vento. D'estate, la temperatura sotto gli alberi è molto più bassa di quella delle aree scoperte, mentre d'inverno è più calda. II solo piantare alberi isolati nei campi offre l'ombra necessaria alle piante e agli animali. Sotto gli alberi l'umidità che si crea è maggiore rispetto all'umidità degli spazi aperti perché il suolo ha una struttura migliore che riduce l'evaporazione e trattiene più facilmente l'acqua. Le foglie cadute dagli alberi sono un eccellente fertilizzante specialmente se compostate. Le zone forestali hanno un ruolo molto importante nel prevenire le alluvioni dato, che l'acqua, assorbita e trattenuta nel terreno, reso poroso dalle radici sotto gli alberi, viene riceduta lentamente alle zone aperte e ai fiumi invece che tutta insieme, come avviene nei terreni compatti e privi di manto forestale.
Le aree coperte di alberi sono anche una fonte di cibo e foraggio, come pure di tinture vegetali, erbe medicinali, paline per palizzate e per sostenere le viti ecc. I frutti degli alberi sono anche una preziosa aggiunta o possono sostituire i raccolti annuali. Per esempio, i castagno dolce è molto prezioso dal punto di vista nutrizionale, ed era molto coltivato ad altezze abbastanza elevate net sud Europa per fare farina per la pasta e il pane. Ai tropici, i raccolti di alberi perenni come l'albero del pane, la piantaggine, il carrubo sono ancora importanti e vengono sfruttati at massimo negli orti forestalo di Java e dello Sri Lanka.
Nel complesso, i metodi agricoli necessari a proteggere le nostre inestimabili risorse di suolo, essenziali per affrontare il cambiamento climatico, offrono numerosi benefici aggiuntivi. Creano una maggiore biodiversità di micro-organismi e micro-fauna nel suolo. Sono più efficaci dal punto di vista energetico grazie alla loro bassissima o nulla dipendenza dai sistemi ad alto consumo energetico. Aggiungendo così tanta biomassa at suolo, aumentano la produttività e riducono i costi, rendendo in questo modo le aziende agricole meno vulnerabili alla discontinuità nelle produzioni. E non ultimo, forniscono cibi molto più sani.
Irrigazione
Un altro cambiamento essenziale del nostro sistema agricolo attuale consiste nell'eliminazione graduale dei metodi industriali di irrigazione continua. L'irrigazione è una delle componenti a più alto consumo energetico dell'agricoltura industriale.
Pimentel considera che quando per l'irrigazione si usa acqua estratta da una profondità di più di 30 metri, pomparla richiede più di tre volte energia da fonti fossili che coltivare lo stesso mais con l'acqua piovana. [27] Inoltre, le coltivazioni di riso, the nutrono gran parte degli abitanti delle zone tropicali producono come già detto molto più metano quando vengono allagate e trattate con fertilizzanti artificiali di quando sono irrigate con acqua piovana naturale e coltivate con metodi biologici. Il motivo è che allagare artificialmente taglia la fornitura di ossigeno al suolo, provocando la decomposizione e trasformazione in metano della materia organica che contiene. [28]
Si dà per scontato che le tecniche industriali di irrigazione continua siano altamente produttive e permettano tre raccolti l'anno. Infatti, circa 1'11% delle terre coltivabili del mondo (250 milioni di ettari nel 1994) vengono costantemente irrigate e forniscono circa il 40% delle produzioni alimentari. [29] La nostra dipendenza da campi perennemente irrigati è in gran pane dovuta alla coltivazione di specie come gli ibridi delle colture industriali e ora agli 0GM che necessitano di molta più acqua, oltre che molti più fertilizzanti e diserbanti. Questo non succede con le varietà tradizionali, alcune delle quali sono così produttive che, in alcune parti dell'India i coltivatori stanno ritornando ad usarle.
Ma la nostra dipendenza da colture irrigue è anche dovuta all'odierna enfasi sulle colture da esportazione che richiedono un elevato impiego di acqua, come la canna da zucchero, l'eucalipto e ancora peggio "la carne bovina". Reisner fa notare che produrre un chilo di mais richiede da 750 a 1500 litri di acqua. Ma produrre un chilo di carne di manzo può richiedere da 20 a 40 voile più acqua cioè oltre 26.000 litri. [30]
In ogni caso, non c'è nulla di meno sostenibile dell'agricoltura industriale irrigua. La quantità d'acqua usata per l'irrigazione raddoppia ogni 20 anni e attualmente assorbe quasi il 70% di tutta l'acqua utilizzata nel mondo, una situazione che non può andare avanti ancora molto, che ci sia o meno il cambiamento climatico. Quasi senza eccezione, l'agricoltura industriale, specialmente nelle aree tropicali provoca subsidenza e salinizzazione dei terreni.
Sembra che ogni anno sia più la terra che smette di produrre per questi motivi che le nuove terre sottoposte a colture irrigue. Nei soli Stati Uniti, più di 25 milioni di ettari, il 10% di tutte le terre coltivabili, sono già stati degradati dalla salinizzazione e migliaia di ettari ormai sono stati eliminate dalle aree coltivabili. L'impoverimento delle falde idriche è stato altrettanto drammatico. L'enorme falda acquifera Oglala, che un tempo veniva considerata praticamente inesauribile, è stata prosciugata a un ritmo di 12 miliardi di metri cubi l'anno. Negli anni la falda ha perso 325 miliardi di metri cubi d'acqua mentre nel mondo intero la perdita annua di risorse idriche corrisponde a circa 163,6 miliardi di metri cubi. [31]
La terra, dopo che è stata sottoposta a colture irrigue, diventa terra da pasco1o di seconda categoria, in grado di sostenere solo una piccola parte della precedente popolazione umana della zona. Se la moderna agricoltura irrigua ha fatto il suo tempo è anche perché più di un miliardo di persone nel mondo soffrono oggi per carenza d'acqua e il numero crescerà drammaticamente nei prossimi decenni, soprattutto a causa del riscaldamento del pianeta.
Bisogna ricordare che la maggior parte dell'acqua che scorre in molti dei principali fiumi proviene dallo scioglimento dei ghiacciai nelle montagne dove stanno le loro sorgenti. Ma i ghiacciai di tutto il mondo si stanno ritirando per il riscaldamento del globo, ciò significa che la portata di molti fiumi verrà molto ridotta - in alcuni casi, secondo Cynthia Rosenzweig, anche del 25%. Inoltre, come fa notare Bunyard [32] la quantità di acqua necessaria per l'irrigazione con l'innalzamento delle temperature di superficie salirà necessariamente, in parte per l'aumento dell'evaporazione dal suolo, dai bacini e dai canali di irrigazione, ma anche per l'aumento dell'evapotraspirazione della vegetazione e delle foreste.
La reazione dei governi e della World Trade Organisation (Organizzazione Mondiale del Commercio) è, come sempre, trasformare i problemi in occasioni di affari. Il General Agreement on Trade in Services (accordo commerciale generale sui servizi del WTO), stabilisce che l'acqua deve essere privatizzata e ovunque questo accade il prezzo dell'acqua raddoppia o triplica. Nello stato indiano di Orissa, secondo Vandana Shiva, [33] il prezzo dell'acqua è di dieci volte più alto da quando è stata privatizzata e adesso i piccoli agricoltori non se la possono più permettere.
L'unica risposta è abbandonare le colture irrigue e l'allevamento di animali da carne per l'esportazione e ritornare alle tradizionali varietà di piante dell'agricoltura di sussistenza, per la maggior parte delle quali basta l'acqua piovana. I metodi tradizionali di irrigazione, che sono stagionali invece che continui, non provocano salinizzazione, subsidenza o gli altri gravi problemi causati dai sistemi industriali. [34]
E significativo che i contadini del Malwa Plateau nello stato del Madhya Pradesh nell'India centrale oggi tornino alle varietà di grano che non hanno bisogno di irrigazione e che avevano abbandonato circa 30 anni fa su pressione del governo e delle multinazionali. Alcuni di loro fanno una coltura di leguminose di ciclo breve o di una varietà di cereali precoce, alla quale prima dei monsoni viene dato il letame, che viene accuratamente interrato. Non è necessario alcun drenaggio del terreno, perché in questo modo viene assorbita la massima quantità possibile di pioggia, sotto forma di umidità dal suolo. Nessuna di queste colture interferisce con il grano tradizionale, dato che la varietà coltivata ha radici molto profonde che vanno alla ricerca di umidità e sostanze nutritive e ciò libera il grano dalla competizione con le erbe infestanti, soprattutto leguminose.
Quando le acque del monsone si ritirano, il campo viene lavorato e il grano seminato, e grazie alla rugiada invernale maturerà alla fine di febbraio. Allo stesso tempo c'è un grande risparmio negli altri investimenti tipici dell'agricoltura industriale, che era costretta a diserbare: infatti le varietà industriali ad alta resa con le loro corte radici non sono in grado di utilizzare l'umidità profonda. Altri benefici sono naturalmente il miglioramento della qualità dei terreni e il minore fabbisogno d'acqua. [35]
L'irrigazione tradizionale è stata praticata in tutto il subcontinente indiano, nello Sri Lanka, a Giava e altrove per secoli. E basata sulla raccolta dell'acqua ed è gestita dalle comunità locali in modo equo e, non importa ricordarlo, totalmente sostenibile. Anil Agarwal e Sunita Narain ci raccontano che, durante la siccità in India nel 1987, i villaggi più lontani presso it confine col Pakistan, che non avevano ancora "beneficiato" della politica governativa dell'acqua, sono stati in grado di fornire acqua da bere ai loro abitanti per la semplice ragione che i loro sistemi tradizionali di raccolta erano rimasti intatti.
Nei "villaggi sviluppati", invece, la gente soffriva la sete, i pozzi o non avevano acqua o non avevano elettricità per mettere in azione le pompe e gli abitanti erano costretti a dipendere completamente dalle irregolari autobotti fornite dal governo. Agarwal e Narain ci raccontano anche come Jodpur, la famosa città nel deserto, un tempo aveva un sistema di raccolta d'acqua stupefacente con quasi 200 sorgenti di captazione - circa 50 serbatoi e 120 pozzi. In ogni casa, la gente raccoglieva l'acqua piovana dai tetti con sistemi di captazione, filtraggio e cistern. [36]
Inoltre, le zone di captazione attorno alla città un tempo erano ricoperte da una fitta foresta ricca di animali selvatici. Oggi, naturalmente, la foresta è sparita e le cisterne - un tempo strutture bellissime - sono per lo più usate come discariche. Agarwal e Narain fanno notare che quando la modernizzazione cominciò a portare l'acqua con l'acquedotto, "gli abitanti di Jodpur abbandonarono i loro sistemi tradizionali e cominciarono a dipendere dal governo" [37] - un'altra politica da rivedere. Le cisterne devono adesso essere restaurate ed anzi ne devono essere costruite altre con urgenza. Allo stesso tempo, le comunità devono organizzarsi per reimparare ad usarle e gestirle come si faceva un tempo. Non c'è alternativa.
Cibo locale
Quali caratteristiche deve avere un sistema agricolo che risponda ai nostri bisogni? Innanzitutto, deve essere altamente locale. II cibo, invece di essere prodotto per l'esportazione, come i contadini sono costretti a fare dal Fondo Monetario Internazionale e ora dalla World Trade Organisation (Organizzazione Mondiate del Commercio), deve innanzitutto rispondere ai bisogni locali.
Un primo motivo è che i trasporti in generate assorbono un ottavo dei consumi mondiali di petrolio [38] e gran parte di questi è costituito dal trasporto di alimenti. Le distanze coperte per le importazioni alimentari e di mangimi animali in Gran Bretagna per via di terra, mare ed aria, equivalgono a più di 83 miliardi di chilometri, il che richiede 1,6 miliardi di litri di combustibile, causando annualmente emissioni pari a 4,1 milioni di tonnellate di anidride carbonica [39] Fra tutte le forme di trasporto quello aereo è it più dispendioso in termini di risorse energetiche.
Per dare un'idea, 127 calorie di energia sono necessarie per trasportare via aerea 1 calonia di lattuga da una costa all'altra dell'Atlantico. [40] Purtroppo quantitativi sempre maggiori di alimenti sono trasportati oggi per via aerea invece che per nave: dal 1980 ad oggi le importazioni per via area di frutta verdura net Regno Unito sono quadruplicate. La Royal Commission on Envoronmental Pollution stima che, proseguendo col trend attuale, il contributo del trasorto aereo al cambiamento climatico causato dall'uomo aumenterà di almeno 5 volte tra il 1992 e il 2050. [41]
Per quanto possa sembrare scandaloso, il governo britannico incoraggia questo trend fornendoesenzioni alle compagnie aeree, sia attraverso le tasse sul carburante che con la tassa sul valore aggiunto. Infatti, le compagnie aeree pagano il litro di gasolio fino a 4 volte meno di tutti gli altri. [42] La sola risposta è la localizzazione della produzione e distribuzione alimentare.
Secondo uno studio del 2001 le emissioni di gas serra dovute al trasporto di cibo dal produttore locale al mercato più vicino sono 650 volte inferiori rispetto alle emissioni causate in media dal trasporto del cibo in vendita nei supermercati. Inoltre, produrre cibo a livello locale, spronerebbe la rigene-razione delle campagne perché "porterebbe ad un notevole aumento degli utili per gli agricoltori". Infine, si creerebbe anche molta più collaborazione fra i produttori locali e ciò rivitalizzerebbe le comunità. [43]
La localizzazione del cibo è necessaria anche senza il problema del cambiamento climatico perché è soltanto producendo cibo localmente che i poveri in particolare nel terzo mondo, possono avervi accesso. Infatti, una delle maggiori cause di malnutrizione e di fame nei paesi poveri è la mancanza di terra per la produzione di cibo per uso locale. Tra il 50 e l'80% di terreno agricolo nei paesi del Terzo Mondo produce per l'esportazione. La gente affamata del posto è costretta a coltivare terreni rocciosi o in forte pendenza che in poco tempo si erodono e perdono ogni fertilità.
Urban Jonsson, rappresentante dell'UNICEF in Tanzania, dice che
"quando l'economia mondiale e l'economia dello stato della Tanzania vanno bene, gli abitanti dei villaggi vendono la maggior parte del loro granturco e degli altri prodotti alimentari. Ma quando l'economia del paese va male... i prezzi degli alimenti scendono e i contadini sono meno incentivati a vendere, così i contadini adottano l'unica strategia possibile: tengono il cibo per sé e se lo mangiano". Usano il terreno, che prima dedicavano alle colture da esportazione, per produzioni per il proprio consumo. In altre parole, mangiano bene solo quando non possono esportare i loro prodotti. [44]
Autosufficienza relativa
Produrre alimenti locali vuol dire, in effetti, aumentare l'autosufficienza sia a livello del villaggio che a livello regionale e statale. Significa anche creare scorte di cibo a tutti questi livelli in modo da poter affrontare possibili emergenze alimentari, cosa che, scandalosamente, è oggi una cosa illegale dato che il WTO (l'Organizzazione Mondiale del Commercio) ritiene che è meglio vendere i prodotti e spendere i soldi degli alimenti strategici per ripagare i debiti alle banche occidentali.
Naturalmente, il modo con cui le Organizzazioni Internazionali definiscono l"autosufficienza" non ha nulla a che vedere con il modo con cui questo termine viene usato normalmente, dato che un paese che non produce alimenti può ancora essere considerato "autosufficiente" fintanto che è in grado di pagare le importazioni. Quello che noi chiamiamo autosufficienza la chiamano "autarchia alimentare" e per loro si tratta del peggior crimine che un paese possa commettere, perché se venisse adottata su scala globale non esisterebbero né commercio internazionale, né un'economia globale, né compagnie multinazionali, e l'economia dei paesi che sono stati resi dipendenti dal commercio mondiale sarebbe drasticamente trasformata.
Questa è forse la ragione più importante per cui il passaggio verso qualcosa che assomiglia all'autarchia alimentare o, piuttosto, all'autosufficienza nel vero senso della parola, è essenziale - anche se non nel significato estremo del termine dato che un certo livello di commercio è sempre positivo. L'importante è che si tratti in gran parte di commerciare il surplus.
I piccoli produttori agricoli
Le aziende agricole che distribuiscono i loro prodotti localmente e sono per lo più autosufficienti devono necessariamente essene piccole. Le grandi aziende, per sopravvivere, devono poter esportare nel mercato mondiale, come fanno oggi sempre di più. Inoltre, per essere più efficienti, sono costrette a usare macchinari pesanti, fertilizzanti, insetticidi, acqua per l'irrigazione, devono eliminare le siepi e gli alberi e coltivare un'unica coltura da esportazione su grandi distese di terreno, sempre la stessa ogni anno - proprio quello che dobbiamo evitare, anche senza il cambiamento climatico.
Abbiamo bisogno di piccoli poderi anche perché sono molto più produttivi delle grandi aziende. Persino la Food and Agricultural Organisation delle Nazioni Unite (FAO) che ha fatto di tutto per promuovere l'agricoltura industriale nel mondo, [45] adesso lo ammette. Una relazione della FAO dimostra chiaramente come sia stato provato che la aziende più produttive sono piccole, per esempio, in Siria hanno un'estensione media di 0,5 ettari, in Messico di 3 ettari, in Perù di 6 ettari, in India meno di 1 ettaro e nel Nepal poco meno di 2 ettari. In ognuno di questi casi è stato dimostrato che la produzione diminuisce immediatamente quando le dimensioni dell'azienda superano questi livelli. [46] La forma più efficiente di produzione alimentare è senza dubbio l'orticultura. In Gran Bretagna, secondo Kenneth Mellanby [47] un orto inglese può produrre fino a 20 tonnellate per ettaro.
Durante l'ultima guerra mondiale, il 40% della verdura degli alimenti britannici venivano forniti da poco più di 100.000 ettari di orti e minuscoli appezzamenti di terreno. Sfortunatamente la maggior parte di questi lotti si trovavano vicino ai centri urbani e da allora sono stati coperti di case e ce- mento. Ovviamente devono urgentemente essere sostituiti. Una ragione per cui la produttività in una piccola azienda o in un orto è così alta è che l'investimento più importante, come diceva sempre Schumacher, è il fattore TLC ("tender loving care"), cura, passione e tenerezza, ed è più probabile che sia questo l'atteggiamento dei piccoli coltivatori che dipendono completamente dalla terra per la propria sopravvivenza. Con II cambiamento climatico, naturalmente, sarà necessaria ancora più TLC.
Diversità e varietà delle colture
In un sistema agricolo locale, in gran parte autosufficiente, costituito soprattutto di piccole aziende agricole, vengono usate molte colture diverse e molte varietà di piante in ciascuna coltura come hanno sempre fatto gli agricoltori tradizionali. In più, alcuni contadini, come nota Peter Rossett, utilizzano gli spazi vuoti tra i filari, nei quali altrimenti crescerebbero erbe infestanti, piantando colture intercalari, e combinano o fanno ruotare le colture e il bestiame al pascolo. [48]
Jose Lutzenberger, ex ministro brasiliano dell'ambiente, [49] racconta che i contadini italiani e tedeschi che si stabilirono nel sud del Brasile coltivavano patate dolci, patate irlandesi, canna da zucchero, cereali, verdure, uva, tutti i tipi di frutta, ed anche mangime per i loro bovini, mentre allevavano polli, maiali e mucche. La produzione totale di ogni piccola azienda ammontava ad almeno 15 tonnellate di cibo per ettaro, incomparabilmente più di quanto viene prodotto da un terreno delle stesse dimensioni nelle stesse zone con monoculture di soia, le quali usano ingenti quantitativi di sostanze chimiche.
Per di più, esiste una forte relazione sinergica tra i diversi tipi di colture utilizzate da questi agricoltori tradizionali. Dunque con un sistema ben equilibrato di colture intercalari le piante che crescono prima tendono a ridurre la temperatura del suolo e a produrre l'appropriato microclima per le altre. Le piante, inoltre, si completano a vicenda per quanto riguarda il ciclo delle sostanze nutritive: così quelle con radici profonde possono agire come "pompe di sostanze nutritive" che portano alla superficie i minerali dal sottosuolo. I minerali rilasciati dalla decomposizione delle piante annuali vengono assorbiti dalle piante perenni.
L'alto fabbisogno di sostanze nutritive di alcune piante viene compensato dall'aggiunta nel suolo di materiale organico da parte di altre. Così i cereali beneficiano dall'essere coltivati insieme alle leguminose, le quali hanno radici più profonde, permettendo un migliore utilizzo delle sostanze nutritive e dell'umidità del suolo. Inoltre i legumi hanno nelle radici dei noduli che contengono batteri specializzati nella fissazione dell'azoto.
La diversità delle culture riveste un ruolo importante nel metabolismo di un tradizionale ecosistema agricolo e dunque contribuisce alla sua produttività. Tuttavia, se i piccoli agricoltori tradizionali piantano una così ampia varietà di colture, la motivazione principale non è massimizzare i raccolti, ma ridurre la vulnerabilità agli imprevisti come siccità, inondazioni e malattie delle piante.
Come scrive James Scott, un'autorità nel campo dell'agricoltura contadina,
"la tradizione locale di usare un'ampia varietà di sementi, tecniche e periodi di semina è stata formata in secoli di tentativi per arrivare a produrre i raccolti più stabili e affidabili possibile in date circostanze". Di solito, un coltivatore cerca di evitare l'errore "che lo potrebbe rovinare, piuttosto che tentare una caccia grossa ma rischiosa," [50] e questo in gran parte lo ottiene coltivando molte colture diverse e varietà di piante scelte con cura, la cui composizione esatta egli è in grado di adattare, quando necessario, ad eventuali modifiche ambientali. [51]
Dato che, col cambiamento climatico, nessuno sa prima quali colture e varietà saranno in grado di sopravvivere alle ondate di calore, alle inondazioni, ai periodi di siccità e all'invasione di insetti esotici, è più importante che mai che gli agricoltori siano in grado di coltivare un'ampia e ben scelta varietà di colture tradizionali.
Un mondo deindustrializzato, in cui le persone vivono in piccole città o villaggi e producono localmente gran parte del proprio cibo e prodotti d'uso, non verrebbe messo a rischio dai problemi legati alla mancanza di petrolio. Sarebbe anche un mondo incomparabilmente più sano e sostenibile, con molta meno povertà, molta meno fame e molte meno guerre, dato che la maggior parte delle guerre che sono state combattute negli ultimi 50 anni sono state soprattutto guerre per ottenere l'accesso ai mercati e alle risorse necessarie ad una società globalizzata e consumista. E, naturalmente, le attività economiche di un mondo di questo genere non sarebbero in grado di trasformare la composizione chimica dell'atmosfera, fenomeno dal quale dipende la destabilizzazione del clima del globo.
Eliminare i fertilizzanti chimici moltiplica le soluzioni Ogni scelta che aiuta a rendere i nostri metodi agricoli più simili a quelli naturali usati dagli agricoltori tradizionali è un moltiplicatore di soluzioni. Potrebbe valer la pena considerare tutta la serie di problemi nati con l'uso dei fertilizzanti artificiali. Sostituendoli, come suggerito prima, con quelli naturali, potremmo risolvere un gran numero di problemi importanti, ben oltre il fatto di ridurre drasticamente il contributo delle attività agricole alla destabilizzazione del clima mondiale.
Vediamo alcuni di questi problemi:
I fertilizzanti artificiali possono ridurre la capacità del suolo di assorbire anidride carbonica perché sconvolgono il suo ecosistema e secondo P.A. Steudler questo è vero anche per l'assorbimento del metano. [52]
I fertilizzanti artificiali vengono dilavati e finiscono nei fiumi ed estuari dove spesso stimolano un'enorme crescita di alghe le quali, decomponendo-si, consumano l'ossigeno nell'acqua, soffocando i pesci ed altra fauna fluviale e marina (fenomeno chiamato eutrofizzazione).
Le alghe spesso formano enormi masse che emettono dimetil-solfato, una sostanza chimica che ossida a contatto con l'aria formando il diossido di zolfo, fonte principale delle piogge acide. [54]
I fertilizzanti chimici sono la maggior fonte di inquinamento delle nostre falde e perciò dell'acqua potabile, che è uno dei più gravi problemi in tutto il mondo.
I fertilizzanti di sintesi che vengono dati ai terreni aumentano i livelli di azoto nelle verdure e nelle piante, e quando superano certi valori possono causare seri problemi alla salute. [55]
I nitrati vengono trasformati dai batteri in nitriti che si legano all'emoglobina e riducono la capacità del sangue di trasportare ossigeno, spesso causando metaemoglobinemia, una malattia del sangue nei bambini piccoli. [56]
I nitrati quando si combinano con le amine nello stomaco possono ulteriormente trasformarsi in nitrosamine cancerogene. [57]
Gli studi a disposizione rivelano che il cibo prodotto con fertilizzanti artificiali ha una qualità inferiore per tutta una serie di fattori. Oltre a ridurre l'esposizione a residui di pesticidi potenzialmente dannosi, nitrati, 0GM ed additivi artificiali utilizzati nella lavorazione degli alimenti, il cibo prodotto senza fertilizzanti chimici contiene vitamina C, ed alcuni studi mostrano che ha un contenuto più alto di minerali. I prodotti coltivati senza chimica industriale contengono anche una varietà ed un volume più elevato di metaboliti o fitonutrienti che aumentano la capacità delle piante di resistere agli attacchi di insetti e malattie. Per di più, esperimenti alimentari hanno dimostrato, negli animali nutriti con mangimi biologici, notevoli miglioramenti nella crescita, nella capacità riproduttiva e nella guarigione dalle malattie.(58)
Gli studi effettuati dall'Obervil Institute in Svizzera hanno dimostrato che il raccolto di uva da vino può essere incrementato se viene aumentato l'apporto di azoto chimico, il che tuttavia riduce il contenuto di zucchero e impedisce una buona maturazione. Studi effettuati alla Biodynamic Research Station in Svezia hanno appurato che lo stesso vale per le patate. In questo caso l'utilizzo del fertilizzante può aumentare il raccolto del 15%, ma aumenta anche drasticamente le perdite di prodotto nella fase del successivo magazzinaggio.
Nello Sri Lanka un agricoltore tradizionale (Mudiyense Tennakoon) mi ha detto che gli agricoltori del posto non avevano mai problemi a conservare in magazzino le loro varietà tradizionali di riso per 3-4 anni, ma le varietà ibride che usano fertilizzanti chimici ammuffiscono in 3 mesi.(59) Sembra che applicazioni più elevate di nitrati creano problemi alle piante di riso aumentando la pressione osmotica sulle cellule e per controbilanciare questa pressione, la pianta ha bisogno di assorbine più acqua.
Perciò non sorprende il fatto che il raccolto di una pianta coltivata col compost risulta inferiore del 24%, ma la sua materia secca è più pesante del 23%. In altre parole, il fertilizzante non aumenta il peso a secco, ma semplicemente aggiunge più acqua al raccolto. Di conseguenza, l'uso di fertilizzanti artificiali rende le piante molto più vulnerabili a infestazioni di funghi e ne incrementa le perdite dopo il raccolto. Per evitare questo, vengono regolarmente utilizzati pesticidi ancor più velenosi durante l'immagazzinamento.
Questi studi indicano che i tanto esaltati benefici offerti dall'uso dei fertilizzanti chimici e diserbanti sono in gran parte illusori. Il che non sorprende visto che queste sostanze chimiche non sono state diffuse per fornire alla gente cibo a basso costo, abbondante e sano. Furono inizialmente ideate come esplosivi (TNT) e 1'IRA, nell'Irlanda del Nord, ha sempre usato bombe a base di diserbanti.
La rivoluzione agricola industriale imposta dall'America al terzo mondo ha fatto parte di un programma teso a vendere più sostanze chimiche e tenere a galla l'industria degli armamenti dopo la Seconda Guerra Mondiale nonostante la ridotta domanda dei suoi prodotti letali. Le varietà altamente produttive dell'agricoltura industriale si dovrebbero chiamare "varietà ad alta risposta" (HRVs) ovvero formate per essere particolarmente sensibili alle sostanze chimiche. E importante notare che molte varietà tradizionali riescono a produrre raccolti egualmente elevati senza uso della chimica.
Allo stesso modo, la "rivoluzione genetica" è innanzitutto uno strumento per vendere più diserbanti. Circa il 60% delle varietà geneticamente modificate messe finora sul mercato sono state prodotte per resistere a diserbanti come il Round-Up (il best-seller della Monsanto) invece che alle malattie stesse, e hanno drasticamente aumentato il mercato di queste sostanze velenose che possono adesso essere usate su colture (come la soia, la barbabietola ecc.) che prima non le avrebbero tollerate. Si può dire però che lo scopo vero delle multinazionali biotecnologiche è controllare tutta la produzione alimentare a livello mondiale. Quale modo migliore per farlo se non controllare i semi, dai quali dipende l'intero ciclo di produzione?
I fertilizzanti non vengono usati da soli ma come parte di un pacchetto contrattuale che comprende i semi ibridi, un numero crescente di sementi geneticamente modificate e brevettate, i pesticidi, i macchinari pesanti e l'acqua dei sistemi industriali di irrigazione continua, tutti anelli di una catena ciascuno dei quali provoca sen problemi.
In ogni caso, come già evidenziato, i fertilizzanti danno sempre meno benefici quasi ovunque: il che significa che sono sempre meno efficaci ed economici. Con l'arrivo della scarsità d'acqua e petrolio, l'uso di fertilizzanti come quello di tutti gli altri investimenti industriali dell'agricoltura moderna, diventerà sempre meno vantaggioso ed il loro uso verrà seriamente a ridursi.
Riferimenti
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2. Peter Bunyard, "Misreading the Models: Danger of Underestimating Climate Change", Numero speciale de The Ecologist vol. 29 n. 2, mar-apr. 1999, p. 75.
3. Vedi IPCC. Third Assessment Report. Cambridge University Press, 1995.
4. Peter Bunyard, "How Global Warming Could Cause Northern Europe to Freeze", pp. 79-80, The Ecologist, cit.
5. Peter Bunyard, "Industrial Agriculture - Driving Climate Change", The Ecologist vol. 26 n. 6, nov.-dic. 1996, pp. 290-8.
6. Peter Bunyard, ibid., pp.290-8.
7. Moser, A. et al. "Methane and nitrous oxide fluxes in native fertilised and cultivated grassland", Nature vol. 350 mar. 1991.
8. Tebruegge, F 2000 "No-tillage visions - protection of soil, water and climate", Institute for Agricultural Engineering", Justus-Liebig University, Giessen, Germany. P. Smith, D. S. Powlson, A. J. Glendenning e J. U. Smith 1998 "Preliminary estimates of potential carbon migration in European soils through no-till farming", Global Change Biology 4, pp. 679-85, citato da Corinne Smith in L'Ecologiste n. 7, vol. 3, giu. 2002.
9. Jules Pretty and Andrew Ball, "Agricultural Influences on Carbon Emissions and Sequestration". A Review of Evidence and the Emerging Trading Option, mar 2001.
10. C. Payer, The World Bank, A Critical Analysis, Monthly Review Press, New York, 1982. 11. C. Payer, ibid.
12. World Bank, Accelerated Development in Sub-Saharan Agriculture. Washington, 1981.
13. World Bank, ibid.
14. Jason McKenney, "Artificial Fertilising", in Kimbrell, cit., p. 128.
15. Ibid.
16. Vedi Cj. Campbell. Oil and Troubled Waters, "Final Energy Crisis" by Andy McKillop by Pluto Press, London, Gerald Leach, "The Coming decline of Oil". The Pacific Ecologist Summer 2002/3, Wellington, New Zealand, pp.34-6. 17. C.J. Campbell, "The Caspian Chimera", in pubblicazione in A. McKillop, ibid.
18. FAO, Sequestration de carbone terrestre pour une meilleure gestion du sol. Rapport de la FAO 2001, citato da Corinne Smith, L'Ecologiste n. 7 vol. 3, giu. 2002.
19. Rachel Carson, Silent Spring, Hamish Hamilton, London 1963, p. 48.
20. Jules Pretty, Regenerating Agriculture Policies and Practice for sustainability and self-reliance. Earthscan, London, 1995, p. 121.
21. Jules Pretty, ibid. 22. M. Bonsu, "Organic residues for less erosion and more grain in Ghana", in M. el Swaify et alia eds., Soil Erosion and Conservation. Soil Conservation Service, Ankery - Iowa, citato da Jules Pretty, ibid.
23. FAO, cit. 2001.
24. IPCC, cit., 2000.
25. Pretty and Ball, cit.
26. John C. Farrell, "Agroforestry Systems", in Miguel M. Altieri, Agro Ecology, The Scientific Basis of Alternative Agriculture. University of California, Berkeley, 1985.
27. David Pimental. Global Climate Change and Agriculture. College of Agriculture and Life Sciences. Cornell University, 1998.
28. Cynthia Rosenweig and David Hillel, Climate Change and the Global Harvest: Potential impacts of the Greenhouse Effect on Agriculture. Oxford University Press, 1998, p. 29, citato da Peter Bunyard in "A Hungrier World", The Ecologist Special Issue - "Climate Crisis", vol. 29 n. 2, 1998, p. 87.
29. Martin Briscoe, "Water the Overtapped Resource" in Andrew Kimbrell's The Fatal Harvest Reader. Island Press, Washington DC, 2002, p. 182.
30. Marc Reisner, Cadillac Desert. Penguin Books, 1986 citato da Briscoe, ibid., p. 190.
31. Briscoe, ibid., p. 184.
32. Peter Bunyard, "A Hungrier World". The Ecologist Special Issue, "Climate Crisis". vol. 29 n. 2, 1998, p. 89.
33. Vandana Shiva, Water Wars. India Research Press, New Delhi, 2002.
34. Vedi Edward Goldsmith and Nicholas Hildyard. The Social and Environmental Effects of Large Dams. Sierra Club Books, San Francisco, 1984.
35. Rahul and Jacob Nellithanam, "Return to the Native Seeds", The Ecologist vol. 28 n. 1, gen. - feb. 1998. pp. 29-33.
36. Anil Agarwal and Sunita Narain, "Traditional Systems of Water-Harvesting and Agroforesty" in Geeti Sen, Indigenous Vision - People of India Attitudes to the Environment. India International Centre, Sage Pubication, New Delhi, 1992.
37. Agarwal & Narain, ibid.
38. Tim Lang e Colin Hines. The New Protectionism. Protecting the future against Free Trade. Earthscan 1993, citato da Andy Jones, p. 20, Eating Oil. Food Supply in a Changing Climate. Sustain and Elm Farm Research Centre, 2001.
39. Andrew Sims, et alia. Collision Course: Free Trade's free ride on the global economy. New Economics Foundation, 2000, citato da Andy Jones, cit.
40. Jones, ibid., p. 10.
41. Chris Hewett, "Clean Air. Green Futures". Maggio/Giugno 2001 citato da Andy Jones, p. 29, Forum for the Future.
42. Brendon Sewill. Tax Free Australia. Aviation Environment Federation. Dic. 2000, citato da Jones, p. 30.
43. Andy Jones, Shortened version - "Eating Oil", p. 43, 2001.
44. John Madeley, "Does Economic Development Feed People?", The Ecologist vol. 15 n. 1/2, 1985.
45. Cfr. The Ecologist, Special Issue on the FAO, vol. 21, n. 2 mar-apr. 1991.
46. FAO Report on the 1980 World Census of Agriculture, Census Bulletins citato da Vandana Shiva, "Yoked to Death,
Globalization and Corporate Control of Agriculture", p. 13.
47. Kenneth Mellanby, "How to Feed Britain".
48. Peter Rossett, "What's so Beautiful about Small?" Food for Life Summer 2000. www.futurenet.org/article.asp?id=353
49. Jose Lutzenberger, comunicazione personale.
50. James Scott, "The Subsistence Ethic". The New Ecologist n. 3, mag.-giu. 1978.
51. Per esaminare la straordinaria capacità dei contadini africani tradizionali di improvvisare e adattare a nuove condizioni le loro colture vedi gli scritti di Paul Richards - per esempio - "Cultivation, knowledge and performance". 1986, London.
52. P. A. Steudler, R. D. Bowden et alia, "Influence of Nitrogen fertilisation on methane uptake in temperate forest soils", Nature, set. 1989, vol. 341, pp. 314-5.
53. John Ashton & Ron Laura, The Perils of Progress, Zed Books, London 1999.
54. Fred Pearce, "Sea Life Sickened by Urban Pollution", New Scientist, 17 giugno 1995, p. 4, citato da Ashton & Laura, ibid., p. 38.
55. Ashton & Laura, ibid.
56. H. D. Junge & S. Handke, "Nitrate in Vegetables - Unavoidable Risk?", Industrielle Obst- end Gemusewerwerrung 1987, vol. 71 n. 8, pp. 346-8.
57. "Fertiliser Risks in the Developing Countries", Nature, 21 luglio 1988, pp. 207-8.
58. Soil Association. Organic Farming Food quality and human health: A review of evidence, 2001.
59. Comunicazione personale. Mudiyense Tennakoon.
Scritto per L'Ecologist Italiano n. 1 Settembre 2004.
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