COME IL COHOUSING PUO' CAMBIARE LE METROPOLI
di Giacomo Biraghi, Urban Consultant
Le città hanno sempre giocato il ruolo di luoghi taumaturgici, riuscendo ad attirare e a far trasferire tra le proprie mura gli ospiti più inaspettati: placidi filosofi delle isole greche (nell’Atene classica), rozzi mercanti dei più lontani porti asiatici (la Roma imperiale), semplici contadini convertiti in zelanti operai (nella Londra vittoriana), disperati migranti in fuga dai loro paesi (in ogni grande metropoli europea del dopoguerra).
Tutto questo grazie a un cocktail magico di opportunità, dinamismo, densità di scambi e garanzia di protezione; lo spazio urbano, proprio perché territorio sottratto dall’intelligenza dell’uomo alla precarietà ed imprevedibilità della natura, diveniva uno spazio garantito e rassicurante, perfetto per coltivare al meglio i propri desideri e le proprie aspirazioni sociali ed individuali.
Le città contemporanee sono diventate invece territori ibridi, metropoli effimere e liquide nelle quali il temporaneo, la soggettività, la molteplicità e il frammento prevalgono sulla progettualità e sull’illusione di chi ancora pensa di poterle plasmare secondo un disegno prestabilito, univoco e perfetto. Si può dire che la città ha vinto sull’uomo, o per dirla con P. Virilio assistiamo all’affermarsi della Città Panico, dall’identità mobile e liquida, porosa rispetto al proprio passato e alle diverse popolazioni che la abitano, legata al ritmo dei flussi che la attraversano ogni giorno, ridisegnata incessantemente nei propri confini esterni ed interni.
Questo zapping incontrollato di forme urbane, che si diffondono in aree sempre più grandi a formare le cosiddette meta-città, si associa oggi all’approccio da città à la carte, alla quale ciascuno degli abitanti chiede di realizzare diversi e mutevoli esigenze e desideri; la mobilità e il traffico non sono solo prodotti delle nostre metropoli, ma ne sono in qualche modo l’essenza, espressione del “nomadismo organico di ciascuno di noi” (G.Amendola).
E’ chiaro che in questa realtà urbana esplosa, sfuggevole e per nulla rasserenante da una parte l’individuo si trova in una condizione di assoluto bisogno di senso e di comunità, dall’altra le istituzioni cercano di stimolare nuove forme di welfare (maggiormente capaci di venire incontro ad esigenze sempre più diversificate, con risorse decrescenti) e risposte più efficaci ai temi della sicurezza, dello spaesamento, della congestione e dell’abitare.
E’ allora viva la necessità di trovare nuovi catalizzatori di energie, idee forti che aggreghino i frammenti della città contemporanea in sintesi certo parziali, ma almeno in grado di interpretarne le profonde trasformazioni. Il cohousing a mio avviso rappresenta un bel esempio di tali progetti, perché capace di rispondere alle nuove esigenze di abitare relazionandosi con un contesto ricco di risorse scarse: lo spazio, il tempo, il denaro pubblico, le relazioni e un destino comune.
Il modello di coresidenza è infatti ricco di soluzioni per recuperare spazi e tempi, si fonda su una sorta di destino comune delle community e propugna la creazione di una rete di welfare attivo basato sul coinvolgimento diretto delle persone.
Vi sono altri fattori igienici che propendono per la bontà del cohousing nel far mutare rotta alla metropoli contemporanee: garantisce una maggiore sicurezza (perché stimola il controllo sociale e il presidio dei quartieri), allevia la domanda di mobilità accentrando intorno agli utenti una serie di servizi (es. l’asilo nido) che erano decentrati sul territorio, garantisce una maggiore varietà all’ offerta immobiliare (tendendo così a riequilibrare domanda e offerta e a calmierare i prezzi).
Niente panico allora! Le nostre città hanno ancora speranza di un futuro scelto dalla nostra sensibilità e intelligenza di uomini.
Fonte: cohousing.it
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