di Claudio Risé
Quale è l'obiettivo dell'educazione? Aiutare il bambino a stare bene, ad esprimere se stesso incontrando gli altri, o affermare le idee e convinzioni di chi fa i programmi, degli educatori? Come sta accadendo per esempio nel progetto di un asilo nido per i figli dei dipendenti dell'Università di Torino di cui si è parlato nei giorni scorsi, gestito dagli studenti di scienze della formazione con il programma di "decostruire gli stereotipi". Cosa è dunque necessario a un bambino piccolo? Venire consolato con affetto per il suo non poter stare con la mamma, che molto spesso vorrebbe soprattutto rimanere con lui (e lui lo sente dall'inconscio), o insegnargli a "decostruire gli stereotipi"? E, nel caso, quali sarebbero questi stereotipi? Domande non da poco, che tuttavia bisogna porsi, anche perché non riguardano solo l'asilo detto "gender free" di Torino.
Riguardano i giovani di domani, tema pressante visto il loro malessere già oggi, documentato da tutti dati che li riguardano, dalla disoccupazione alla fatica a concludere gli studi, uscire di casa, programmare la propria vita, e da tutti gli altri evidenziatori di insoddisfazione, fragilità, sterilità.
Già la freddezza con cui in una fase della vita come quella dell'asilo, dominata da un bisogno primario come appunto quello per la madre, si piazza un tema "culturale" come quello dello stereotipo, mostra come il progetto sia ispirato da preoccupazioni assai più ideologiche che psicologiche. Altrimenti si saprebbe che in quella fase non si può andare molto al di là della lettera A: accoglienza, attenzione, amore. Ma, appunto, da quelle parti rimarremmo dalle parti del dono: quello di sé al bambino.
Una posizione di umiltà, e anche di sacrificio, pur se compiuto con gioia. Quando si parla di censura e lotta agli stereotipi (che sono sempre quelli degli altri, mai i propri), siamo invece già sul piano dell'affermazione di noi stessi e delle nostre ideologie, della smania di affermarci e magari prepararci la carriera. Zone dove il nostro interesse viene messo prima di quello del bambino. Così al dono verso l'altro viene sostituita l'attenzione alle proprie posizioni ideologiche, per solito verniciate da neutralità di genere e accoglienza universale. Continua...