IL LINGUAGGIO DELL'ANIMA
di John Lane
Su una delle pareti dipinte della caverna di Lascaux, attorniata da quegli animali colorati, vividi e splendidamente sagomati, c'è una figura quasi infantile di un uomo, un cacciatore che avendo scagliato la sua lancia contro le budella di un bisonte, è ora disarmato e vulnerabile, fragile, attaccabile ed incompleto. Un moderno poeta americano W. Berry ha commentato che il messaggio sembra essenzialmente quello della voce del turbinio nel Libro della Creazione: la creazione è al tempo stesso, benefica e misteriosa e l'umanità è solo una parte di essa,non il suo eguale e molto meno che il suo padrone.
15.000 o 20.000 anni dopo che queste caverne furono dipinte, un altro poeta, Goethe, visitando la cappella Sistina, osservò che nessuno che non abbia visto gli affreschi di Michelangelo, può avere una chiara idea di quello che un essere umano può raggiungere. Se avesse visto Lascaux, forse il più affascinante reperto della collezione del nostro passato, ho pochi dubbi che egli avrebbe espresso la sua ammirazione in termini non dissimili. Da lì, sino alla cosiddetta alba della coscienza umana, si era già capaci di una tale sofisticatezza estetica che, io penso, sia tra le più raffinate della nostra intera storia.
Forse l'arte, pensava Whistler, l'arte che inizia dall'infinito non può progredire.
Quali sono queste necessità ed emozioni artistiche di cui fecero esperienza i nostri antenati cacciatori e quali noi, ancora, riconosciamo quando le percepiamo? Qual è la bellezza e la sua antitesi, la bruttezza? Quale è la dimensione estetica, la visione interiore e cosa succede quando essa c'è, come è, nella nostra propria era, condotta o eseguita?
Noi non conosciamo come gli artigiani senza nome -carpentieri, carrettieri, vasai e stuccatori, fossero capaci una volta di produrre bellezza, né come, prima che il mondo venisse privato di quasi ogni santità, ogni cosa la gente facesse per il proprio uso, ciotole, vestiti o case, fosse dotato di una armonia così candida e così squisitamente elaborata che solo i nostri migliori artisti possono emulare oggi quei livelli.
Ancora sembra che, con tutte le sue mancanze, la cultura del passato, la cultura delle società tradizionali e preindustriali fosse armoniosa, qualcosa non solo intero a sé ma di una integrità o equilibrio che includeva insieme ciò che era conosciuto e ciò che non lo era.
Una cultura sana ha un carattere integro, un ordine comune di memoria, saggezza, valori e reverenza. E ci permette, o ci incoraggia, ad incarnare aspetti della vita che altrimenti non potremmo conoscere. Essa rivela le necessità ed i limiti umani. Chiarisce i nostri legami con la Terra e con ogni altro essere. Questo, in tutte quelle culture antecedenti alla metafora delle macchina e prima che fosse permesso usurpare e togliere dalla considerazione, non semplicemente alcuni valori, ma la vera essenza del valore, è ciò che erano i nostri laboriosi antenati, quasi tutti loro, come avrebbe detto Coomaraswamy, non lavoranti ma artisti, uno speciale tipo di artista.
Non vi era, a quei tempi, alcuna parole per "arte" almeno nel senso che intendiamo adesso, arte era tutto quello che veniva fatto bene ed in verità. Ma per coloro in cui l'estetica e la pratica di vita non sono state divise dal lavoro di quegli uomini e donne, vi era anche, come la sua bellezza ancora testimonia, una attitudine responsabile e qualitativa, la comprensione pratica del valore, la promulgazione, il riconoscimento e la sottoscrizione di responsabilità ad un mistero che ascoltato a Lascaux può essere udito ancora oggi.
Di fatto tutte le tradizionali culture preindustriali avevano (o hanno) una complessa dottrina metafisica che presiedeva alle loro varie arti ed attività, includendo la più basilare di tutti, l'agricoltura - il vero agricoltore dipende molto dal carattere, dalla devozione, dall'immaginazione e da un senso di struttura esattamente come il dipinto di un quadro.
Ognuno era visto non solamente come un centro di produzione per le necessità materiali ma come il paradigma di un'arte cosmogonica, un sentiero meditativo, un supporto alla contemplazione. In alcune società l'attitudine a cuocere il pane o rifinire le assi di una sedia era una vocazione nel vero senso della parola: una parte inseparabile all'uomo che agisce, una parte inseparabile di una vita in cui espressione e bellezza erano caratteri integrati della vita come un tutto. Noi troviamo ciò riconfermato in molti oggetti, storie folk e miti: nei canti dei Navajos:
Io cammino nella bellezza
Verso la bellezza davanti a me io procedo
Alla bellezza sopra me io ascendo
Così si arriva (di nuovo) alla bellezza
Tutto finisce in bellezza.
E' tipico della mentalità della nostra epoca che non riusciamo a concepire bellezza eccetto che in termini di passato, denaro,o del lavoro di qualcuno. Non riusciamo a concepirla come l'apparente e visibile segno di una grazia intima e spirituale, non vediamo le gemme ed i fiori di un albero come carattere o ciclo, processo ordinato o reverenza.
Nella nostra cultura il generale diniego dello spirito, la morte dell'anima, nome col quale vogliamo fuggire dalla visione interiore di un mondo oltre, è andato così lontano che anche la materia è stata vista come grossolana, assunta a base, e lontano dall'esaltarla, essa è ora abusata e trattata con disprezzo.
Dai suburbi di Dagenham alle periferie di New York, Mexico City o Hannover, un crescente numero di persone adesso vive in un ambiente meno personale e meno interessante di quello realizzato da qualsiasi altra civilizzazione del passato. Un numero crescente di persone ora lavora per organizzazioni che ne negano la responsabilità non solo per ciò che loro fanno, ma anche per il tipo o la qualità di ciò che essi fanno.(come disse Ruskin le cosidette unità di produzione producono ogni cosa eccetto persone).
Bruttura e disordine,si potrebbe dire, sono divenuti uno stile di vita e come scriveva D.H. Lawrence negli anni trenta prima che gli effetti disumanizzanti della filosofia meccanicistica cartesiana raggiungessero il loro climax: "E' come se una malinconia lugubre avesse impregnato ogni cosa".
Anche se la nostra cultura è disordinata e divisa la conoscenza sacra della mente intuitiva o creativa, la risposta all'armonia,ordine,integrità, ritmo, finanche reverenza non è stata completamente estirpata.
Nei momenti eterni e senza tempo noi rispondiamo individualmente alla chiamata del bello, là dove il suo tratto è completo. Qualche volta questi picchi di esperienza, come un paesaggio ghiacciato sotto il sole invernale provvedono in noi ad una immediata percezione della vita come vita. Essi ci danno la capacità di vedere la reale natura delle cose che sono davanti ai nostri occhi, della gente che conosciamo qui ed ora in questo mondo, di tutte le creature e di noi stessi.
Attraverso l'ultima e la più ricca delle risorse umane, la fertile solitudine del sé profondo, il nostro cuore risponde all'incontro con il mondo. Esso danza le lenti melodie delle colline, scivola sotto l'arcobaleno, prega il fiore senziente. Parlando di una campanula, Hopkins dice: Io conosco la bellezza del Signore da essa: una grande e semplice affermazione ma tuttavia priva di significato per coloro che sono sotto l'incantesimo del materialismo.
Le esperienze esaltanti della coscienza, impossibili da tradurre in parole, accadono nelle nostre vite più frequentemente di quanto vorremmo ammettere. L'esperienza può essere breve, spontanea ed inaspettata ma di una chiarezza nella quale tutto è minutamente percepito dai sensi più fini. E' allora con tranquilla semplicità che noi comprendiamo in modo differenti ed assai più fini come lo yin sullo lo yang, l'attività sulla contemplazione, la conoscenza naturale sulla saggezza intuitiva, la scienza sopra la religione riescono ad incrementare l'incapacità di lavorare per la loro integrazione.
Allora conoscere, la conoscenza estetica, l'esperienza predominante della vista con l'occhio interiore, l'occhio del cuore, l'occhio dell'amore è uno dei significati, se non il significato principale col quale possiamo realizzare l'unità di tutte le cose: la non dualità.
La luce del corpo è l'occhio - dice Matthew - se lì il tuo occhio è solo, il tuo intero corpo può essere pieno di luce, ma se il tuo occhio è diavolo allora il tuo intero corpo sarà pieno di oscurità. Sicuramente queste enigmatiche parole ci ricordano che conoscere nel pieno senso del termine è "vedere", essere pieni di luce, e non passeggiare nel buio.
Cosa succede in quei piccoli momenti così gentili e così significativi per le nostre vite? Possono essere spiegati ? e se così come?
Attualmente è familiare l'idea che la nostra conoscenza di sé non significa o non rappresenta il nostro intero essere. C'è un 'immensa raccolta di evidenze che suggerisce che non solamente i processi inconsci occupano una gran parte dell'attività mentale ma che anche questa stessa attività ricopre un vasto spettro di diverse attività come sogni, immaginazione creativa, riconoscimento di carattere, concettualizzazione, intuizione ed esperienza religiosa.
La coscienza allora, come dice Kathleen Raine, è come un piccolo circo di luce intorno al quale giacciono le regioni della memoria, alcune visitabili a volontà ed altre no, ed intorno alle nostre memorie personali poi, configurazioni archetipiche ed energie sconosciute della psiche. Intorno ad ogni cosa che possiamo, anche lontanamente chiamare noi stessi, c'è quello che i mistici hanno chiamato il terreno divino, la presenza, di ciò che, per la nostra anima, può essere chiamato Dio.
I misteri prendono molti nomi: nous per i greci, mens per i mistici, pneuma o spirito per S. Paolo, che descrive questa presenza nella parte più profonda e centrale della psiche umana, come il respiro vivente di Dio dal quale tutte le cose sono continuamente sostenute e create.
Sebbene questa presenza sia chiamata talvolta il sovraconscio o sé transpersonale - in contrasto con il limitato conscio, pieno di ego personale, regno - nelle parole di Blake - della personalità di Satana, al quale essa è interamente opposta, per me stesso io preferisco usare il nome con la quale essa è più conosciuta: anima.
Una interpretazione non dissimile della divinità di tutto si può trovare nel classico della letteratura sanscrita, le Upanishad, dove le parole Brahman il terreno dell'essere universale e Atman, il terreno dell'essere personale, descrivono rispettivamente quello che può essere tradotto come lo Spirito Santo e la sua indivisibile presenza in ciascuno di noi.
Per la verità può essere che Dio non debba essere sentito come qualcosa di lontano e separato da noi, in un cielo al quale ascendiamo dopo la morte, ma piuttosto come qualcosa racchiuso in mano sempre e per sempre nel più profondo di noi: più profondo a noi -come dice Tommaso D'Aquino - di quanto noi siamo a noi stessi. Questa santità della vita non è qualcosa di predicato o predicabile, come un attributo, ma è inerente alla divina natura del terreno, lo spirito divino dell'umanità.
Queste riflessioni, io credo, sono confermate ogni volta che riconosciamo la bellezza, rispondiamo all'amore o ad alcuni aspetti della verità che muovono a noi, come il mare stesso è attirato, da una invisibile forza di gravità spirituale. Ma mai più che in quei momenti di singolare intensità, più rari e di un differente ordine di coscienza della percezione del bello, noi afferriamo le esaltanti visioni della percezione dell'eterno ORA.
Quando, per esempio, non cercando la sicamora buddista nella elusione, ma vivendola, noi siamo PURO ESSERE. Allora , nel confronto del temporale con l'eterno, l'Io dell'Anima e quello dell'albero sono uniti in un inno eterno di preghiera per il flusso della vita: l'uno nei molti e i molti in uno.
La gioia di questa unione è descritta da S. Teresa con parole che ci ricordano le Upanishad di duemila anni prima. Essa è, lei scrive, come acqua cadente dal cielo in un fiume o fontana, quando tutto diventa acqua e non è possibile dividere o separare l'acqua del fiume da quella caduta dal cielo o quando un piccolo fiume si riversa nel mare così impetuosamente che non vi è possibilità alcuna di separazione.
Alcune esperienze della realtà ultima sono estetiche, in quei momenti, faccia a faccia con Giotto e Rembrandt e l'albero della sicamora non vi è distinzione soggetto-oggetto, tutta l'identità individuale è persa, dissolta nella Grande Anima e noi e la natura siamo UNO.
Questa é, naturalmente la reale rinuncia alla quale siamo demandati, la rinuncia di io e mio.
Ero solito interrogarmi se questa trasformazione di coscienza potesse essere raggiunta attraverso l'educazione pedagogica standard o apposita.Temo di no. L'espansione diretta, la verità dell'anima, non può essere raggiunta dalla ragione astratta ma solamente con la trascendenza dell'ego, il centro di tutti i pensieri consci, attraverso tormento, sofferenza amore contemplazione e, non ultimo, attraverso l' arte.
Se la logica della transizione dalla divinità all'arte non è immediatamente evidente, questa è la misura del discredito nella quale le arti sono cadute così tanto che una loro menzione nel contesto di una illuminazione spirituale dell'umanità può sembrare ormai strano.
Nondimeno ciò che ora noi chiamiamo arti, sono importanti, supremamente importanti, poiché esse sono, o possono essere, il raggiungimento delle verità immaginative che altrimenti l'uomo non può conoscere.
Ovviamente le arti ed i prodotti di differenti culture sono esse stesse differenti in contenuto, stile e tradizione, come divise l'una dall'altra sono le diverse razze della Terra.
Anche se sicuramente queste differenze sono importanti, esse sono i dialetti di un medesimo linguaggio dello spirito.
Per Eraclito, la parola è comune a tutti e la saggezza è conoscere il volere da quale tutte le cose sono emanate, così io sono convinto che esiste un universo umano di discorso trascendente le differenze e le lingue. Anche i lavori delle ere o civiltà remote dalla nostra come la preistoria, della quale noi possiamo avere solo una magra conoscenza, ci parlano direttamente, più direttamente di quei lavori del nostro tempo prodotti dall'immaginazione. L'Immaginazione è eterna, la moda no.
Così compreso come le arti ,i prodotti della visione, siano il vero cibo della nostra umanità, dei quali, come Gesù Cristo ricorda, la parola di Dio, le parole ed i suoni attraverso tempo e spazio, culture e medium, sono il linguaggio vivente dell'Immaginazione.
L'immaginazione è la reale essenza della vita umana, il principio di unità in noi, il principio dal quale possiamo percepire, valutare ed imitare l'ordine oltre la nostra razionale comprensione. Essa è inoltre la sola facoltà con il potere di attraversare lo iato tra oggetto e soggetto e di vedere, con estrema chiarezza, la realtà o forma essenziale. La ragione non può. Per sua natura essa è ristretta al finito ed al materiale, ma l'Immaginazione, non avendo limitazione alcuna, lo può. Essa può infatti percepire l'infinito in ogni cosa ed in quel momento di scoperta fare entrare un'altra mente oltre la mente del nostro ego personale.
Perciò nessuna sorpresa che le arti fioriscono o decadono in accordo all'adeguamento della nostra idea di trascendente. Fioriscono in quelle culture o individui che possiedono, comunque inconsciamente, un senso di luminoso, svaniscono in quelle che hanno perso il potere di vedere la realtà dello spirito. Come la nostra cultura. Per la separazione dell'anima dal corpo e dal mondo non vi è in noi alcun disastro o aberrazione, ma una frattura che attraversa la nostra mente come una faglia geologica. Non vi é niente di equivoco su questo fatto. Questa faglia è una screpolatura della mente che corre profonda sino al cuore della materia. Spirito e corpo non possono essere divisi, la loro mutualità, la loro unità è inevitabile. La creazione, ogni creazione non è la liberazione dello spirito dalla carne o dalla materia, è invece il loro matrimonio, la loro unione, la loro riconciliazione in armonia. Nessuna meraviglia che H. Bergson comparasse l'amore di Dio per la sua creazione all'amore per la creazione che muove l'anima dell'artista. Questa è la mia conclusione -scrisse- alla quale i filosofi che accettano l'esperienza mistica devono pervenire: l'intera creazione vuole apparire a lui come una vasto lavoro di Dio per la creazione di creatori, per la possessione di esseri collaboranti con Lui e pieni del suo Amore.
In ogni civiltà, l'artista (l'artista che è in ognuno di noi) ha dato autentica testimonianza della mente del Creatore del quale egli o ella è il suo rappresentante sulla terra.
In questo l'arte agisce come metafora e preparazione per la più grande tra tutte le arti, l'arte di dare forma e significato all'esistenza. Facendo uso della materia in un modo santo ed integro, lavorando amorevolmente e mangiando gioiosamente, l'artista in noi la consacra e schiude la luce del mistero. Nella Cabala: noi causiamo l'ascensione a volare.
Quando noi vediamo che l'immaginazione creativa è presente, noi viviamo nella conoscenza che la nostra vera esistenza resta l'immediata causa di ogni momento in cui viviamo dentro Dio, allora la materia può essere ispirata (dal latino in spire, respirare in ) ed allora la ciotola del vasaio, i colori del pittore, il legno del carpentiere possono essere spiritualizzati, resi sacri, una grazia ricadente solo su coloro che hanno trovato libertà dall'autoattaccamento.
Tuttavia tutte le cose sulla terra, anche gli incompleti lavori della mente umana possono facilmente divenire tentazione. Anche il minerale, di cui la contemplazione può darci, attraverso l'intuizione dell'immaginazione cosmica, una esperienza vivente di non dualità, une esperienza vivente che va profonda sotto le radici, il respiro ed il ritmo della vita, può essere ridotto ad un oggetto di interesse intellettuale o possesso, un oggetto dei cui significati noi possiamo sentirci magnificati.
Da quel momento noi diveniamo incantati alla materia, annodati al tempo, vittime di un attaccamento all'impermanenza che è l'obiettivo buddista della rinuncia o rimozione. Così facilmente cadiamo ed i nostri lavori denigrano non solo la vita ma anche la nostra propria anima.
Ciò sembra portarci naturalmente alla nostra propria epoca, l'età del materialismo e del suo nadir al quale siamo arrivati.
Il primo principio di questa epoca è la realtà primaria , tutto ciò che può essere valutato e misurato, la materia. La materia può solo essere descritta dalla conoscenza empirica e pubblicamente verificabile del mondo percepito, la materia può essere analizzata, ricombinata ed utilizzata nel modo che vogliamo, nelle parole di Bacone: siamo incapaci di gioire dei frutti della terra e di tutti i suoi confort. In superficie il materialismo può sembrare benefico e potrebbe essere così se non fosse per la sua implicita assunzione di una separazione tra mente e materia che ha inaugurato una serie espandente di divisioni, portando ad un universo vuoto di vita, una natura desacralizzata al di fuori della quale ognuno di noi giace solo come, nelle parole di Cartesio, Signore e Padrone.
Ma questo non è tutto. Un'altra più inscrutabile repressione conduce la macchina dell'industrialismo urbano.Se la materia è la realtà, la misurazione quantitativa è tutto. Tutto ciò che evade la rete dei numeri, deve quasi per definizione essere rivista come non provata, come il sopralasciato reame di mente e spirito, di qualità secondaria- il paese fantasma dell'arte e della religione che è divenuto meno rispettato e reso meno abitabile durante gli ultimi trecento anni.
Questo è quello che sta tra le contraddizioni della società moderna. Questo è quello che sta anche dietro l'appannante bruttezza del nostro ambiente contemporaneo e la crescita di quello che Schiller chiamò il disincantamento del mondo, l'attaccamento fuori dalla magia delle cose, il lento inesorabile inaridimento delle antiche primavere. Nessuna meraviglia che abbiamo la sensazione che qualcosa di importante ci è stato rubato, poiché, come la mette G. Bateson non siamo più risonanti al tratto che connette.
Nessuna meraviglia, anche, che come il Signore della Creazione, noi possiamo aver conquistato la terra, scisso l'atomo, passeggiato sulla luna e sappiamo ciò che siamo diventati: una lapide sonora o un cimbalo tintinnante. Ora segni di desolazione e vuotezza oscurano i nostri cieli. Noi stiamo raggiungendo la fase terminale di una civilizzazione che risale alla fine del medioevo, e a dispetto dell'evidenza della trasformazione, siamo ancora ad un lungo cammino da ogni scala di grande rigenerazione. Un momento precario tra la morte ed una nascita difficile.
C'è infatti un crescente numero di indicazioni che la strada che porta fuori da questa mostruosa patologia, la patologia dell'arroganza e vuotezza che caratterizza la nostra cultura, può solo essere indotta da una reversione delle premesse sopra le quali la civiltà rinascimentale poggia.
Il carattere del rinnovamento ci mostra che il rinnovamento della vita viene fuori da quello che noi abbiamo coscientemente dispettato e rigettato, giusto come, nella storia cristiana, il figlio di Dio nasce in una stalla..
Se così è, e ci sono molti segnali per esso, è la mente o lo spirito e non la materia che possono essere considerati il principio primo dell'universo, il terreno della realtà..
Per me , questo è il risveglio che desidero supremamente. Questo è il nuovo tema che dovremmo tentare di vivere.
Ho iniziato con un mistero, Lascaux e vorrei terminare con un altro, Quarr. Non sono cattolico nè cristiano ma ogni anno io vado per alcuni giorni in un monastero benedettino sull'Isola di Wight, dove questi fogli sono stati scritti. Vado lì per un gran numero di ragioni ma principalmente per fare esperienza di qualcosa che posso trovare solo lì.
Chagall disse : nella nostra vita c'è un solo colore che come sulla tavolozza del pittore provvede al significato dell'arte e della vita. E' il colore dell'amore, io vedo in quel colore dell'arte tutte le qualità che ci permettono di accompagnarci in altri campi. E' il colore di cui faccio esperienza a Quarr.
Essa infatti mi è importante perché è la testimonianza di un modo di vivere che è l'opposto della quadro materialista della realtà, E se, come credo, nostro compito prioritario è riconoscere e sviluppare la spiritualità e reclamare il perduto mondo dello spirito o renderlo di nuovo fertile per la sua coltivazione, allora Quarr può essere uno dei luoghi adatti nel mondo occidentale dove possiamo ancora scoprire l'integrità dell'essere.
La religione di vita deve sprigionarsi non da proposizioni o astratte speculazioni, come i sistemi dottrinali, ma dalla immediata ed immaginativa percezione di amore bellezza e mistero.
Così Quarr è importante perché la compagnia degli uomini che vivono là ci danno una testimonianza della loro vita in comunità con un carattere di peculiare armonia e responsabilità.
Ovviamente non sono gli unici, ultimamente ho scoperto la stessa sanità nello Zen Center di S. Francisco dove parecchie centinaia di giovani uomini e donne hanno creato un ambiente non solo per l'assistenza dello spirito, ma per una più grande armonia, che include le immediate vicinanze stesse della città. Anche qui lo spirito è soffiato sulla materialità del mondo moderno, producendo cibo, tende e ben fatti manufatti emblematici della migliore e più emblematica cura.
L'arte non esiste, la dimensione estetica è integrale, l'educazione non esiste, essa cresce naturalmente da una passione per l'eccellenza e l'ordine che è mantenuta ai giovani da vecchi che essi rispettano ed amano.Il lavoro non esiste, è una parte essenziale della pratica, una via per realizzare la natura e le necessità dell'esistenza sociale ed ambientale.
E' difficile convogliare le qualità di una comunità in cui l'intera natura degli esseri umani e le loro capacità possono essere fuse insieme.
Ma a Quarr e nel lavoro quotidiano del Zen Center, ogni giorno lavora la riverenza della vita, il senso di un gruppo di uomini tutti-di-un-pezzo, allora questo può portare alla rivelazione di un ordine umano che mette insieme armoniosamente le varie concezioni della cultura.. Essi dimostrano che una vita integra è un ideale ottenibile.
Intanto dobbiamo vivere in un mondo in cui la pressione su noi è formidabile. Proiettati verso la bancarotta noi dobbiamo scoprire e riscoprire dolcemente così tanto.
Dobbiamo riscoprire una vita di significati e propositi, non più lontani dal nostro centro.
Dobbiamo scoprire l'importanza della creazione, l'atto immaginativo, senza il quale non possiamo essere umani. Dobbiamo riscoprire l'arte e la vita come una unità, l'arte che è un atto, non un oggetto, un rituale, non una possessione.
Possiamo riscoprire che noi tutti possiamo svilupparci l'uno con l'altro in una rete connettiva di affinità amore e responsabilità.
Dobbiamo riscoprire l'unità di tutte le cose, cosa lo spirito muove in tutti gli esseri creati., Dio, bestie ed esseri umani e stelle e piante, che lo spirito senza materia è meno del suo opposto.
Niente di meno e niente più di questo sarà più difficile da realizzare.
** John Lane, pittore e scrittore, direttore artistico di Resurgence. Il suo libro più recente è "Timeless Simplicity"
Tratto da "Terra, Anima, Società", vol. 2 - FioriGialli Edizioni
Un articolo meraviglioso... grazie!
Questa società liquida, con le sue leggi del profitto e dell' apparenza, vuole distruggere la creatività che è in ognuno di noi. Solo l' amore ci può riportare all' atto della creazione e sentirla in noi in ogni cosa facciamo...
Articolo illuminante!
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